CIAO A TUTTI! Aspettando l'uscita della
prossima puntata ho scritto questa ff,all'inizio doveva essere una
one-shot, poi si è dilungata e ho deciso di dividerla in
parti, spero che vi piaccia!! Commentate please!
La missione non era andata come
previsto.
La detective Beckett stava
ripercorrendo gli eventi della giornata e il risultato era
semplicemente quello. Non era andata come previsto.
Il piano era riuscire ad entrare
nell'edificio senza scorta armata( dato che non avevano modo di
contattare nessuno,la loro macchina era stata distrutta e in quel
posto non c'era campo), cercando di non farsi notare,solo lei e
Castle, addestrato sul momento per aiutarla, arrestare il serial
killer all'interno e liberare la città da un altro sociopatico
assassino,ma niente era andato come previsto. Perchè?
Semplice.
Non era solo.
Beckett e Castle erano stati rinchiusi
in quello che sembrava essere un rifugio anti-nucleare degli anni
'50, all'interno dell'edificio in cui si erano introdotti per
arrestare il killer; un edificio isolato in mezzo al nulla assoluto.
Nessuno avrebbe mai potuto sentirli o immaginare che fossero lì.
Il killer e il suo complice li avevano
rinchiusi solo perchè volevano costringerli a dire cosa la
polizia avesse su di loro, ma entrambi sapevano che non doveva
mancare molto prima che quei due tornassero e li facessero fuori.
Il silenzio che da più di
mezz'ora dominava l'ambiente dimostrava che lo stabile era vuoto, i
due criminali erano usciti, probabilmente diretti verso la città.
Castle calcolò nella sua mente che, tra andata e ritorno,
escludendo il tempo in cui sarebbero rimasti in città,
sarebbero tornati non prima di un'ora.
- Sarà una domanda stupida, ma
cosa facciamo?- chiese Castle alla detective.
-Non ne ho la più pallida idea,
non abbiamo i cellulari, quindi non possiamo essere rintracciati, e
immagino che a questo punto li abbiano distrutti, non ci sono
finestre, ci hanno rubato gli orologi quindi possiamo avere solo
un'idea approssimativa di che ore siano, siamo bloccati. L'unica
fortuna è che questo posto è abbastanza grande e l'aria
non verrà a mancare tanto presto.- rispose lei.
-Gia, questa si che è
fortuna...- rispose sarcastico Castle
Entrambi erano in piedi e cercavano,
nella luce soffusa che filtrava attraveso la fessura tra la porta ed
il pavimento e un piccolo buco vicino al soffitto, qualcosa che li
aiutasse ad uscire, ma non c'era niente di utile, non c'era proprio
niente!
Quando alla fine si arresero entrambi
si sedettero con la schiena al muro, ognuno dalla parte opposta
all'altro. Avevano parlato per molto tempo durante l'ispezione alla
stanza, vagliando ogni singola ipotesi bizzarra Castle aveva tirato
fuori, ma ora entrambi erano in silenzio, immersi nei loro pensieri,
dovevano accettare quella situazione, parlare non serviva a niente.
Dopo quella che sembrava un'eternità
Castle disse:
-Pensi che ad Alexis doni più il
nero o il grigio?-
-Cosa?- rispose Beckett confusa, che
Castle stesse già impazzendo?
- Fra due settimane è il suo
compleanno, oggi sarei dovuto andare con mia madre a comprarle il
regalo perchè lei parte per L.A. , sai, per quello spettacolo
dove interpreta una donna che scopre di avere il cancro e comincia a
coltivare marijuana, ma poi ho ricevuto la tua chiamata...-
Beckett si sentiva morire, voleva
chiedergli di smettere di parlare. Ma lui continuò, fissando
il pavimento, la voce che non lasciava trasparire alcuna emozione.
-....così dovrò comprarle
il regalo da solo, e stavo peensando ad un vestito...però non
so se le doni di più il nero o il grigio, per me è
sempre bellissima...-
-Castle, mi dispiace, io....- disse
lei,fissandolo,con le lacrime agli occhi.
-No,lo so...cioè è
improbabile che usciamo vivi da questa situazione, ma nel caso
fossimo fortunati vorrei mettermi avanti.- concluse lui.
Beckett scoppiò a piangere, il
senso di colpa per aver messo un padre di famiglia in quella
situazione era terribile. Il solo pensiero di togliere ad Alexis il
suo punto di riferimento la stava uccidendo.
Castle alzò lo sguardo, si mise
in piedi e le si avvicinò lentamente, sedendosi accanto a lei
e abbracciandola. Lei si avvinghiò al suo petto e sfogò
tutte le sue lacrime, mentre lui le sussurrava “andrà
tutto bene”, parole a cui lui per primo non credeva.
Per quanto quella donna fosse forte,
lui capì in quel momento che era come una bambina, che aveva
bisogno di qualcuno che tenesse e badasse a lei, perchè
nessuno è abbastanza forte da resistere alla solitudine.
Appena smesso di piangere, la detective
alzò il viso e guardò lo scrittore negli occhi, e
disse
-Scusa...-
- Di niente, è una camicia che
mi ha regalato mia madre!- scherzò lui riferendosi alla
macchia lasciata dalle lacrime di Beckett
- Non per quello, scemo, per questa
situazione, per quello che ti ho fatto passare in questi anni...-
-Non l'hai chiesto tu, sono stato io a
volerlo, è quello che voglio ancora-
Non appena finì di dire la
frase, la detective sentì montare la rabbia dentro di sé.
-MI SPIEGHI COME FAI A PARLARE IN
QUESTO MODO?- gli urlò alzandosi in piedi e allontanandosi da
lui abbastanza da rompere l'intimità che li aveva avvolti poco
prima.
Lui, confuso, si alzò e disse
- Non capisco, cos'ho detto?-
-MA NON CAPISCI? TU CONTINUI A
RISCHIARE LA TUA VITA SEGUENDOMI IN TUTTI I MIEI CASI, MA NON PENSI
AD ALEXIS? E DIRE CHE LO SAI COSA VUOL DIRE CRESCERE SENZA UN
GENITORE! COME PUOI CONTINUARE A RISCHIARE IN QUESTO MODO? - la
rabbia montava sempre di più man mano che gli urlava contro.
Lui, impassibile,si rimise seduto e
disse
- Dovevo farlo...-
-NO, NON è VERO, IO DEVO FARLO!
QUESTO è IL MIO
LAVORO, TU SEI RIUSCITO A CONVINCERMI CHE LA TUA PRESENZA ERA
INDISPENSABILE MA NON è COSì!-
-
Cosa credi, che non sappia che la mia presenza non era
indispensabile? Certo che lo so! Voi siete i migliori nel vostro
campo...-
- E
ALLORA PECHè CONTINUI A TORNARE?- gli urlò lei
-
Forse perchè nella prima volta nella mia vita mi sento utile a
qualcosa!- le rispose lui guardandola fissa negli occhi.
Era
una bugia, ma probabilemente era abbastanza convincente, dato che lei
si ammutolì e tornò a sedersi dall'altra parte della
stanza.
Passava
il tempo, nessuno dei due sapeva quanto. Il silenzio che era calato
era uno di quelli malati, quei silenzi che ti costringono a pensare,
e in quel momento, i pensieri non erano positivi.
-Io
lascio- disse Castle all'improvviso.
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