escape
Attenzione: il seguente scritto ha per protagonisti persone reali e personaggi
di fantasia. Le vicende raccontate sono frutto esclusivamente della fantasia
dell’autrice. Nessun intento di veridicità o verosimiglianza. Nessun diritto
legalmente tutelato s’intende leso e tutti i diritti riservati spettano ai
rispettivi titolari.
Scritta per l’ultimo turno del “Dodici Mesi di
Fedeltà” Contest
È stato divertente e ringrazio tutti i partecipanti e tutti i lettori! ^O^
Escape
“But I'll still take all the blame
'Cause you and me are both one and the same”
No, il punto non è “che cosa accidenti ci
fai qui”.
Il punto è “perché non lo hai fatto prima”!
C’è tanta di quella polvere che, credo,
morirò soffocato.
E non voglio neanche pensare ai ragni!
Non mi faranno schifo tanto quanto ne fanno a mio fratello, ma trovarmi un
ragno – o un topo – grosso come il
mio pugno davanti…beh, mettiamola così, avrei potuto tirare fuori un programma
migliore per il pomeriggio.
Ma una soffitta è una soffitta e prima o
poi mi toccherà metterci ordine comunque. Del resto è da, tipo, vent’anni che nessuno sale qui sopra se non per accatastare
roba alla rinfusa, e le cianfrusaglie che possono essere state accumulate qui
dentro in vent’anni basterebbero da sole a riempire il negozio di robivecchi
del Sig. Peterson, fosse ancora aperto!
…adesso non ricordo nemmeno quando è
stato chiuso. Tre…quattro anni fa? Robert, il nipote del vecchio Peterson, non
ha proprio voluto prenderselo in gestione. Diceva che in questa topaia non ci
sarebbe tornato nemmeno da morto e come dargli torto?! Se potessi scegliere di
vivere altrove, lo farei anche io. Proprio come mio fratello. Ma se lui se n’è
già andato, non posso che restare io qui, a badare alla mamma ed alla nonna. E
credo che mettere in ordine la soffitta rientri nel concetto di “badare” alla
nonna.
Quindi, animo Paul! Quei tre bauli che
stai osservando da dieci minuti buoni non si svuoteranno da soli, fidati!
E’ che mi fa anche male la schiena, e
questa dannata serratura è arrugginita – o sono le mie ossa ad aver fatto quel
rumorino poco accattivante? Ah, no, ora non metterti anche a sghignazzare da
solo o la gente penserà che sei pazzo!
…accidenti! chi diavolo dovrebbe
pensarlo? Sono qui da solo!
‘Fanculo, Matt, è inutile che io mi
racconti stronzate, questa dannata soffitta di merda era l’unico posto buono
per rintanarsi a pensare senza avere la mamma e la nonna attorno con tutto quel
loro blablabla da comari eccitate.
Eeeh, fratellino, se fossi qui potrei
tirarti le orecchie come ti meriti. Ma hai pensato bene di fare i tuoi grandi
annunci per telefono ed aspettare che l’acqua tornasse calma prima di farti
rivedere. Stai certo che un ceffone non te lo leverà nessuno. Potrai fare fessa
nostra madre, questo è sicuro, ma a me non l’hai mai fatta in trent’anni,
nemmeno quando da piccolo tiravi sceme le persone con quei tuoi modi
innocentini e quei discorsetti da saputello. Ho sempre saputo quello che ti
frullava nella testa, Matt, nemmeno tutti questi anni lontano da casa ti hanno
dato il potere di fregarmi, io quel tono lì, quello con cui mi hai risposto
stamattina quando ho preso la tua telefonata, lo conosco bene e so che tu sei tutto meno che felice, in
questo momento.
Poi, magari, c’è anche che con me hai
sempre fatto meno sceneggiate – immagino che lo sapessi anche tu che non
attaccavano – quindi che so di come lo
hai detto alla mamma?! Ma il tono con cui lo hai detto a me era sufficiente a
capire che no, non sei felice affatto.
-Un bambino!- hai detto, sbuffando un
sorriso di quelli storti che ti scappano a volte, quando stai pensando l’esatto
opposto di quello che stai dicendo – Cazzo, Paul, che accidenti ne so io di
cosa serve ad un bambino?!
-Beh…non lo so nemmeno io.- ho
borbottato, ché di figli non ne avevo più di te fino ad oggi - Però…penso…solo
un po’ di amore e di attenzione, ecco.
-Ah, per l’amore non c’è problema!- hai
ridacchiato ancora, cinico.- Sull’attenzione…dici che ce la faccio ad
incastrarlo tra una sessione di registrazione, un paio di concerti, una decina
di interviste e qualche comparsata TV?
-Dico che c’è anche Kate.
-Per Kate non è mai stato un problema.- E
volevi dire “a Kate non frega un cazzo, lo crescerà come ha cresciuto il suo: a tate, televisione e sfilate
davanti ai riflettori”.
Quello che non hai detto nemmeno per
sbaglio è che stavi pensando a nostro padre.
E mentre parlavi con me, eri proprio da
lui.
Uno dei bauli è pieno delle cose di mio
fratello, quelle di quando era un bimbetto. Gli piaceva giocare con giocattoli
rumorosi, lo ricordo perché la mamma diventava sempre matta quando Matt giocava
dentro casa e lo spediva in giardino o, se faceva troppo freddo, usciva lei
inventandosi mille e uno lavoretti da fare fuori. Gli piacevano le macchinine
che avevano sirene e rumori, aveva almeno un paio di pupazzi con luci e suoni,
un vecchio carillon tutto scassato che la mamma si era portata dietro
dall’Irlanda e che s’inceppava ogni due minuti…Matt non aveva voluto buttare
via nemmeno un vecchio gioco di quando era proprio piccolo, uno di quelli con gli
animali della fattoria, che schiacci e ti fa sentire i versi. Dio, il rumore ce
l’ha sempre avuto nella testa, quello lì! Roba che gli altri lo avrebbero
volentieri fatto fuori.
Io, perlomeno. Cazzo, faceva casino anche
quando cercavo di studiare!
Tipo, quella volta che stavo in salotto e
lui ha cominciato a pestare i tasti del piano. Che bordello! Ero lì a litigare
con un’equazione…mi pare. O forse stavo cercando di mandare a memoria delle
date di storia. Ah! non ricordo! Però ricordo che ho provato a dirgli di
piantarla almeno dieci volte! Lui mi
guardava…che avrà avuto? quattro anni? forse cinque. La smetteva per un po’ e
mi fissava, con un dito poggiato sul tasto bianco e nero, come se mi stesse
assicurando che, appena mi fossi voltato ancora, avrebbe ricominciato
indisturbato.
-Se lo tocchi di nuovo, te le do di santa
ragione, piattola!- gli ho detto cercando di suonare il più temibile possibile.
Non sono mai riuscito ad intimidirlo.
Mai. Se ci fossi riuscito col tubo che avrebbe combinato i casini che ha
combinato!
Però avevo richiamato la sua attenzione.
Ha sgambettato fino al divano su cui ero seduto e si è appoggiato al tavolino
ingombro dei miei quaderni e dei miei libri – strano come ricordi questi particolari e non altri che sarebbero stati
più importanti… - ha continuato a guardarmi, aveva quegli occhi che,
all’epoca, erano già due fanali sul suo muso da topo e tutta una massa di
riccioli scuri che poi sarebbero diventati molto più chiari e lisci con il
tempo. Ma ce ne sarebbe voluto. Con quei ditini grassocci aggrappati al bordo
del tavolino, sembrava che avesse una Domanda – con la maiuscola – da porre
alla “mente superiore” di suo fratello maggiore. Illuso. Io a credere che sarei
mai potuto essere in grado di rispondere ad una sola delle Domande – con la maiuscola – che Matt mi avrebbe
fatto durante tutta questa vita.
-Che vuoi?- gli ho chiesto brusco,
sperando che se ne andasse e mi lasciasse studiare in pace.
Ma non sono mai riuscito neppure ad
allontanarlo.
-Mi insegni?- ha miagolato indicando il pianoforte.
Ho fatto tanto d’occhi. Il quaderno a
mezz’aria davanti al naso e quel moccioso tondo che mi guardava e puntava il
piano con una decisione imbarazzante.
-Ma è una palla, Matt!- ho sbuffato
buttando all’aria il quaderno.- Tu
sei una palla!- ho rincarato.
-…tu.- ha ritorto lui, risentito.- Daaai!!!- ha cominciato a piagnucolare,
appendendosi al tavolo che si è inclinato pericolosamente dalla sua parte.
Per un attimo confesso di aver sperato
che gli si ribaltasse addosso. Un bel colpo in testa e via a nanna per un po’!
-Scordatelo. Ho da fare! Sparisci! Chiamo
la mamma, Matt!
Il mio crescendo di proteste è coinciso
con il suo crescendo di lamenti. Avrebbe trapassato i timpani di un morto,
cazzo!
-Paul, fallo stare zitto!- ha tuonato mia
madre dalla cucina.- Che accidenti gli hai fatto?!
Ho ringhiato. Finiva sempre così, lui
rompeva le palle e nostra madre s’incazzava con me perché ero il più grande.
Storia vecchia, di tanti di quei fratelli maggiori prima e dopo di me che mi
viene da ridere – adesso.
-E va bene!- ho sputato rabbioso
alzandomi. Si è zittito talmente velocemente da farmi capire bene quanto stesse
recitando la parte. Per vendetta gli ho affibbiato un ceffone sulla nuca e poi
sono andato verso il piano.- Ma solo una, eh!- l’ho avvisato.
Matt mi è trotterellato dietro tutto
felice, se gli avessi promesso un gelato gigante sarebbe stato meno raggiante
di come appariva mentre si appendeva al pianoforte, di lato, e mi guardava le
mani come se aspettasse che facessero una qualche magia strana.
Mai capito tanto entusiasmo!
Ho tentato di ricordare a memoria un po’
delle cose che avevo imparato nelle lezioni prese qualche anno prima. Avevo
fatto tanto per non imparare niente che adesso mi sembrava impossibile tirare
fuori anche la cosa più semplice. Così, quando ho sentito la sigla di “Dallas”
alla televisione della cucina – nostra madre era fissata con quella telenovela!
– ho semplicemente ripetuto le note che venivano dal corridoio.
Matt ha riso e mi è saltato in braccio
battendo le mani.
-Questa piace alla mamma.- ha confuso a
modo suo.- Voglio imparare.
Ho stretto le spalle, era una cosa
abbastanza idiota da poterla suonare con un dito solo ed un tasto alla volta;
me lo sono sistemato meglio sulle ginocchia e gli ho mostrato i tasti aspettando
che ripetesse i miei gesti.
Papà è arrivato da lavoro che stavo
ancora litigando con Matt perché mettesse in fila tre note di seguito, ha riso
vedendomi dritto alle spalle di mio fratello a borbottare perché non capiva, la
mamma è venuta a vedere che stesse succedendo e gli ha dato un bacio per
salutarlo.
-Mi sa che abbiamo puntato sul figlio
sbagliato!- ha commentato papà. E quando mi sono girato a tirargli
un’occhiataccia ha riso ancora e ci ha indicato- Però vedi che a qualcosa le
tue lezioni sono servite?
-Aaah…!- mi sono morsicato la lingua su
un “fanculo” che mi avrebbe fatto guadagnare un bel ceffone e sono tornato a
puntare gli occhi su Matt per ascoltarlo, finalmente,
ripetere la sequenza corretta di quella dannata sigla.
-Per carità!- ha detto la mamma tornando
in cucina.- Con quello che ci sono costate e che hanno “prodotto”, quelle
lezioni!- ha risposto a papà- Tuo figlio Paul vorrebbe bruciarmi il pianoforte!
-Non è vero! Solo venderlo a Peterson!-
ho detto.- Sarebbe uno spreco bruciarlo…
La risata di papà era contagiosa mentre
seguiva la mamma.
***
La nonna è venuta a cercarmi. Quando l’ho
vista traballare sulla scala che porta qua sopra per poco non mi è venuto un
colpo. Alla sua età dovrebbe restarsene in poltrona a ricamare e parlare male
delle vicine – quella Dalloway non le è mai piaciuta, credo che sia ancora
convinta che nel suo passato ci sia qualcosa di “scabroso”. Invece è venuta qui
per annunciarmi che il pranzo era pronto e che, se non scendevo da solo ed in
fretta, mi veniva a prendere personalmente! Sono i modi che ha sempre usato con
noi. Con me e mio fratello, ma anche con la mamma. È l’unica maniera che
conosca per dirci “ehi, non so cosa ti ronzi nel cervello, ma mettilo da parte
e vedi di rendere utile la tua esistenza prima che al buon Dio venga in mente
di riprendersela!”.
Penso che Matt avrebbe dovuto confessarli
a lei i propri dubbi sul diventare padre. Insomma…la nonna i calci in culo li
sa dare anche a distanza!
Comunque abbiamo festeggiato. Il che è
una stronzata visto che “il festeggiato” è rimasto al calduccio in
Australia…Nuova Zelanda o quel che è! e si starà scolando una bottiglia di vino
di quelli che fanno da quelle parti o in Sud Africa - …era il Sud Africa che fa il vino buono? – con papà e quei due
scavezzacollo di Dom e Chris.
Cazzo. Dom e Chris. Credo di aver
ringraziato il cielo quando Matt se li è trovati sulla strada. Erano il suo
esatto opposto, dannazione, il suo contraltare.
Dom. Il perfettino Dominic Howard. Bravo
a scuola, rispettoso dei genitori e delle regole, tranquillo, posato, con una
ragazza davvero niente male…
E Chris, che mi sa che hanno tirato
dentro per la collottola perché ai tempi in cui ha cominciato ad uscire con
loro Dom si era già fatto contagiare da quell’idiota di mio fratello. Ah, lui
sì che è rimasto esattamente com’era! Lo stesso identico tizio con la testa
sulle spalle ed un compito preciso nella vita: farsi una famiglia. Quando
quella povera crista di Kelly rimase incinta…Gesù! Penso che alla nonna sia venuto un colpo! Me lo ricordo
ancora, Kelly che veniva a parlarne alla mamma perché qui erano tutte donne – facile dimenticarsi di me, eh?! Mi fa un po’
ridere, ma diavolo…! – e di sicuro l’avrebbero capita.
La nonna?! La tizia che pensa che la Dalloway abbia un segreto
“scabroso” solo perché non l’ha mai vista in Chiesa e da ragazzina ha avuto due
fidanzati?!
Povera Kelly, doveva proprio essere
disperata, ma ammetto che non me lo aspettavo nemmeno io che nonna si
comportasse a quel modo. Chris dev’essere morto quando lei lo ha chiamato per
riempirlo di insulti ed intimargli di tornare a casa a prendersi le sue
responsabilità! Avrei dato qualsiasi cosa per essere con loro a godermi la
scena, sentirla raccontata da Matt non è valso nemmeno un decimo di quanto sarà
stata epica.
Beh, mi sa che Chris quella paternale
della nonna non l’ha mai più dimenticata, perché è rimasto proprio lo stesso di
quel giorno lì.
Il secondo baule è ingombro di cose di
papà.
Credo che butterò via tutto. Penso che
non servano più, sono proprio vecchie e qualcuna che interessava Matt o la
nonna se la sono già presa. A me non frega, non ho mai voluto niente di papà e
non comincerò adesso.
Perfino quando mio fratello chiama a casa
e mi dice che è lì e se voglio sentirlo, gli rispondo di salutarmelo lui.
Che accidenti dovrei dirgli? Sarebbe un
po’ complicato, no? Non è che ci mancherebbero gli argomenti di conversazione,
è solo che avrebbero la stessa età di questo maglione tarlato. Quando di buchi
ce ne sono troppi, secondo me è meglio semplicemente buttare via tutto.
In fondo non mi manca nemmeno più. Mi è
sempre mancato poco, a dirla tutta. Sarà che i primi tempi lo rimproveravo di
quello che aveva fatto alla mamma, sarà che dopo mi sono sentito responsabile
di lei, di Matt e di me stesso, sarà che manco la nonna, che pure è sua madre,
lo ha mai giustificato per essersene andato…E poi l’Australia è lontana.
Chissà, magari se gli dessi modo di
spiegarsi le cose cambierebbero. Quando Matt gliel’ha dato, per lui sono cambiate.
Ed è strano, perché all’inizio era stato lui a prenderla peggio. Matt prende
sempre tutto peggio. Io e mamma siamo diversi da lui, noi non abbiamo
mai fatto grandi scalpori. In lei c’è sempre stato un fatalismo che credo che
Matt non abbia capito e, forse, è stata la ragione per cui si sono allontanati.
Credo anche che mio fratello abbia visto in me lo stesso tipo di reazione: io
non battevo i piedi a terra come lui, non uscivo di casa senza dire dove
andassi e non costringevo nostra madre a restare sveglia con il cuore in gola
tutta la notte. Io non frequentavo “le persone sbagliate”, non cercavo emozioni
forti e non trovavo in “stupidi sogni di gloria” un rifugio contro la banalità
che mi circondava. Le frustrazioni di Matt sono sempre state le frustrazioni di
tutti – e questo la mamma e la nonna non
sono mai riuscite a capirlo – la differenza stava solo nel fatto che lui
non era disposto a viverle così.
Poteva diventare qualcosa di grande –
come è successo – o bruciarsi. Ed io penso che se Dom e Chris non ci fossero
stati, si sarebbe irrimediabilmente bruciato.
Umph…! Era una cosetta magrissima che se
ne andava in giro tutta tronfia nella sua tuta di acetato. Tute di acetato!
solo negli anni ’90 si potevano portare delle cose simili e trovarle accettabili.
I colori hanno fatto impazzire Matt, era la sua generazione quella, la
generazione di chi si tinge i capelli in modo impossibile e mette su brutti
vestiti di qualità scadente ed in materiali “high-tech”. Io ero troppo vecchio.
I dieci anni di distanza tra di noi si sono cominciati a sentire allora, quando
io iniziavo a portare a casa le prime storie importanti e Matt fuggiva da casa
per correre dietro alle gonne. Le ragazze di allora erano fantastiche! Erano femmine. Davvero. Tutto sembrava impazzito,
perfino in questa città, tutto sembrava dover per forza essere sull’orlo di una
rivoluzione culturale.
Matt dice, adesso, che non c’è mai stata
nessuna rivoluzione culturale. Testuale, “non
c’è mai stata nessuna fottutissima rivoluzione del cazzo!”. Lui si guarda
indietro e pensa che erano solo stupidi e colorati, distratti da un mucchio di
luci e da idee preconfezionate. Erano già il sottoprodotto del capitalismo
industriale, i figli di una generazione che era troppo impegnata a giocare e
che è stata giocata. Dice che quelli come me, quelli più grandi che per questo
si sono salvati, sono solidi: abbiamo i nostri principi, i nostri obiettivi e
li abbiamo perseguiti a prescindere. Avevamo meno sogni e speranze già allora
e, procedendo dritti lungo una strada modesta ma ben delineata, siamo arrivati da qualche parte.
Detto da lui suona strano. In fondo è
arrivato molto più lontano di chiunque altro in questa città ed ha realizzato
obiettivi ai quali nessuno di noi aveva mai nemmeno pensato. Ma lui sostiene
che, in realtà, i “Muse” sono come tutti gli altri: sono una falsità costruita
da un colosso industriale, un giocattolo costoso che è stato dato in pasto alle
masse perché possano rincretinirsi pensando che il mondo possa essere cambiato.
Ma non c’è un cazzo da cambiare, dice lui, è sempre la stessa merda in cui
vince chi sta sopra e schiaccia chi sta sotto. E lui sta ancora sotto.
E’ questo che non ho mai capito di mio
fratello. Sul serio! Io lo so bene che Matt “sotto” non c’è mai voluto stare e
non c’è mai stato.
Da ragazzino si faceva picchiare con una
regolarità che trovavo assurda. Quando io non ero in giro a tirarlo fuori dai
guai, lui era in giro a cacciarcisi dentro con l’incoscienza dei suoi anni e la
convinzione di onnipotenza che li accompagnava. Una volta, per dire, si fece
incastrare da questa tizia, una che frequentava la sua stessa scuola ma che
aveva un “fidanzato”. E lui era più grande e nient’affatto raccomandabile!
Qualunque idiota con un po’ di sale in zucca avrebbe capito che la tipa in
questione non valeva il rischio: lei era una puttanella tronfia, a cui piaceva
tirarsela e darla a bere ai mocciosi scemi come Matt e Matt…beh, lui è sempre
stato un disastro con le donne. Sul serio, non capisce un cavolo quando perde
la testa per qualcuna, sarebbe capace di fare le peggiori cazzate con
l’indifferenza distratta di un autentico folle.
E quindi, con questa era tutto un
susseguirsi di dichiarazioni pubbliche, sbaciucchiamenti in mezzo alla strada,
frasi sui muri della scuola e messaggini nei corridoi.
Inutile dire che il bestione con cui lei
stava lo seppe in meno di un secondo e, se all’inizio fu così “gentile” da
limitarsi a prenderlo da parte, scrollarlo un po’ per le spalle e dirgli di non
ronzare attorno alla sua donna, davanti alla risatina stupida di mio fratello
ed alla sua ostinazione nel correre appena lei schioccava le dita, pensò bene
che fosse arrivato il momento di spiegarsi con più precisione.
Giuro che quando lo vidi rocambolare per
tutto il prato, giù al Den, avrei avuto voglia di corrergli dietro anch’io e
solo per prenderlo ed aiutare quegli altri tre a buttarlo a mare. Lo giuro. Ne
avevo le palle piene delle sue cazzate stratosferiche e glielo avevo detto in
qualsiasi lingua conosciuta di piantarla con quella. Glielo aveva detto perfino Dom!
Così me la sono goduta tutta, accidenti!
L’ho lasciato sgambettare come un idiota e sono rimasto a gustarmi la scena
assieme ai miei amici, che se la ridevano alla grande, lo confesso. Del resto,
Matt sembrava esattamente quello che era: un emerito cretino in un mare di
guai. E se quei tre erano la cosa più esilarante che mi fosse capitata sotto
gli occhi nella vita – gonfi e tronfi,
esausti, che cercavano inutilmente di acciuffarlo e sbuffavano come locomotive
a vapore; Matt non è mai stato un gran “sportivo”, ma è sempre stato bravo nel
darsi alla fuga quando serviva! – lui non era da meno, con quell’aria da
mezzo spaventapasseri terrorizzato.
-Se lo prendono e la volta buona che
rimani figlio unico, Paul.- mi disse Mike, tirandomi una gomitata ed ammiccando
in direzione di Matt.
-Uhm…- brontolai, incrociando più
strettamente le braccia al petto, quasi ci fosse il rischio che, se non lo
avessi fatto, quelle si muovessero da sole per andare a riprendersi l’idiota e
metterlo al sicuro.- Ben gli starebbe.- aggiunsi a rimarcare il concetto.
-Ah, non saprei, tua madre potrebbe non
prenderla benissimo!- ridacchiò lui.
Sbuffai. Mi spostai verso il quartetto
che aveva appena svoltato in una traversa – quella puzzolente che passa di
fianco a casa di Tom…Tom quand’è che l’hanno tirato in mezzo? Ah, mi sa che
frequentava mio fratello anche prima di Dominic, povero Cristo! – e mentre lo
facevo mi arrotolai le maniche della camicia fin sopra i gomiti.
A differenza di Matt io non sono solo
basso. Sono grosso. “Buon sangue irlandese!”, diceva la nostra nonna materna
quando mi guardava orgogliosamente.
-Problemi, Fred?- chiesi affacciandomi
all’angolo anch’io.
Lui ed i tre che lo accompagnavano si
voltarono. In mezzo a loro Matt sembrava un pulcino separato dalla nidiata e
finito tra le zampe di un gatto. Credo che tremasse, anche se oggi lo
negherebbe fino alla morte!
Fred, comunque, non era un tipo
socievole.
-Questo qui!- iniziò afferrandolo per un
braccio e scrollandolo così forte che pensai che Matt avrebbe vomitato anche
l’anima appena lo avesse rimesso con i piedi a terra – rompe le palle alla mia
ragazza!- ringhiò.
Matt ingoiò a vuoto per davvero,
verdastro in viso, ma pensare che potesse starsene zitto era come sperare
nell’intervento della Divina Provvidenza.
-Veramente è lei che ci sta.- sfiatò
cercando di suonare quanto più possibile sicuro di sé.
Era pietoso. Scossi la testa e mi battei
una mano sulla fronte mentre Fred riprendeva a scuoterlo malamente.
-Ripeti quello che hai detto, moscerino!
Ripetilo, se ne hai il coraggio!
-Sono certo che il coraggio non gli
mancherebbe se lo lasciassi andare, è il cervello che gli fa difetto.-
intervenni brusco prima che Matt riuscisse a darsi la zappa sui piedi da solo
ed in modo definitivo.
Fred mi guardò. E mio fratello pensò
seriamente che l’ipotesi di vomitare non era tanto male – o perlomeno questo è
quello che mi disse la sua faccia mentre si fissava la punta delle scarpe. Ma
poi Fred deve aver deciso che non valeva la pena di finire in galera per aver
ammazzato una cosa come quella, lo
fissò schifato per un momento e poi me lo lanciò addosso.
-Tienilo lontano da me e da Amy, Paul, o
lo faccio secco per davvero.- affermò spiccio prima di voltarsi ed andarsene
con il suo seguito di cani rabbiosi.
Aspettai che fossero usciti dalla
traversa e rimisi in piedi Matt con molta poca buona grazia.
-Avevo tutto sotto controllo!- fu la sua
prima affermazione del cavolo.
Mai creduto che mio fratello sia in grado
di ammettere i propri limiti!
-Certo, Matthew.- convenni con un mezzo
sorrisetto.
-Sul serio!- strillò lui correndomi
dietro quando mi voltai e continuando ad agitarsi un sacco ed a sbracciare e
gesticolare mentre ripercorrevamo a ritroso l’erba morbida del Den.- Se non
fossi intervenuto tu…
-Ti avrebbero spaccato la faccia. E non
sono certo che si sarebbero fermati lì, in realtà.
-Aaah!!! Non è così! Sono solo tre spacconi senza cervello ed io…
-E tu ti saresti fatto ammazzare.- intervenne
quietamente Mike, venutoci incontro. Gli mise una mano sulla testa e lo
schiacciò giù per tenerlo buono.- Matt, sei un cretino e, se non la pianti di
stare dietro a quella, ti farai male
davvero. Ringrazia tuo fratello e sparisci a casa.- ordinò.
Ovviamente tutto quello che ottenni come
ringraziamento fu un grugnito e le spalle di un fratello piuttosto incazzato – ferito nell’orgoglio! - che procedevano
a passo di carica verso casa.
***
Quando sono sceso per fare una pausa e
bermi una tazza di the, ho trovato la mamma e la nonna che stavano pianificando
come sistemare casa per accogliere il nuovo bambino. Penso che Matt dovrebbe
dire loro che è improbabile che una donna come Kate, abituata a ben altri
ambienti che non l’umidiccia e desolante Teignmouth, possa scegliere di
trasferirsi da queste parti. E poi, già quando stava con Gaia, è sempre stato
lui a seguirle. In fondo questa non è
mai stata la sua terra, Matt si sentiva uno straniero fin dai tempi del liceo,
quando camminava in mezzo ai suoi coetanei senza mai trovare un posto dove
fermarsi. L’ha trovato solo con Dom, Chris e Tom. Perché con loro poteva
spingersi oltre, ad immaginare un mondo che fosse tutto fuori dalle quattro
strade e dai muri del porto di questa città. “Lasciare” tutto questo non ha mai
significato molto ed a volte credo che l’unico motivo per cui ci torna non
siamo noi – io, la mamma e la nonna – ma proprio i suoi amici, quegli stessi
che, invece, sono riusciti ad andare avanti ed a ricucire con questo posto una
qualche forma di legame.
Matt non ha legami che con se stesso e la
propria musica. Non lo fa per cattiveria e, sono sincero, è anche il fratello
migliore ed il figlio o nipote più devoto che si possano immaginare. Matt si
farebbe ammazzare per ciascuno di noi un milione di volte ed ha bisogno di
tutto il sostegno che tutti noi siamo in grado di dargli, perché per ogni passo
che fa lui si volta e si guarda indietro e vuole
vederci lì a sorridergli. Ma poi va avanti comunque, ecco.
Non so se si renda conto che nessuno
riesce a stargli dietro come vorrebbe. Che rimaniamo indietro tutti, insomma – forse Dom e Chris di meno…non lo so. Non
è colpa nostra più che sua, siamo solo diversi. Abbiamo passi più o meno lunghi
ed andature più o meno svelte. Io e la mamma gli siamo sempre sembrati apatici,
rassegnati. Ma siamo solo lenti.
Chissà se Kate sarà diversa. Chissà se
lei riuscirà a seguirlo.
Gaia mi piaceva, sono onesto. Era una con
la testa sulle spalle ed i piedi a terra ma riusciva a seguire mio fratello
quando partiva per uno di quei “viaggi” assurdi che lo portavano a ragionamenti
tutti suoi. La vedevi sorridere mentre lui parlava e parlava, lei se ne stava
zitta e lo guardava e sorrideva. E poi Matt si fermava, la fissava un attimo e
lei lo riportava giù a terra con una parola o un gesto. Lui non la spaventava,
ed io penso che questo sia già qualcosa di importante con mio fratello. Non so
perché tra loro sia finita, Matt non ne vuole parlare ancora e credo che ci
pensi spesso, a lei, e che la rimpianga. Non che non ami Kate, eh! Ma pure la
nonna lo dice: non parla di lei allo stesso modo, non sorride più allo stesso
modo. Un po’ lo rivorrei innamorato in quella maniera lì, quando Matt si
innamora a quel modo diventa un altro – e
si fa picchiare da bulli grossi il doppio di lui! – fa cose idiote, e
vederlo fare cose idiote per una donna è sempre stato esilarante e…beh, sì…fa
tenerezza a modo suo!
Adesso però c’ha più testa: Kate è come
lui, ha gli stessi problemi che ha lui – dice – si capiscono e non si fanno
rogne inutili.
Poi, però,
non ti piace l’idea di crescerci un figlio, Matt. Ed io non riesco più a
seguirti.
Non so cosa ci sia nel terzo baule.
Sembra un mucchio di cianfrusaglie inutili. Ci sono ciucci e vestitini da
neonato, giocattoli rotti e fotografie rovinate. Ci sono anche dei vestiti
ammucchiati, abiti della mamma che non riesco neanche a ricordare ed un
pacchetto vuoto di sigarette del tipo che fumava papà. C’è un diario. Questo me
lo ricordo pure. La mamma ci metteva dentro tutte le cose che la facevano
incazzare, se le appuntava per non dimenticarle mentre papà era fuori e poi
gliele diceva tutte – con metodo – quando rientrava a casa. Quei litigi erano
terribili, io non riuscivo ad ascoltarli e Matt se ne scappava fuori in
giardino a giocare per non doverli sentire.
Credevo che la mamma avesse buttato via
questo diario. Ritrovarlo mi fa immaginare che baule sia questo: quello delle cose che “una volta erano
importanti”.
Litigare con papà era il modo per
continuare ad averci un dialogo, il modo sbagliato, sicuro, ma l’unico che
riuscivano ad avere. Non puoi davvero dialogare con qualcuno che non vuole
parlarti e non vuole aspettarti. Papà,
per certi versi, somigliava a Matt. Era sempre altrove, anche quando stava con
noi, era in un mondo fatto tutto in modo diverso dal nostro e non riusciva ad
uscirne. Credo che andare via da qui, via da noi, e scegliere di vivere una
vita differente con altre persone sia stato il solo modo che ha trovato per
fare i conti con la vita vera e rassegnarsi ad accettare che fosse come si
presenta. Un po’ scialba, il più delle volte inutile e di solito noiosa.
Mamma non ha tempo per queste cose. Non
lo ha mai avuto e, con due figli di crescere da sola ed i conti da fare, tutti
i giorni, con le nostre sofferenze ed i capricci insignificanti che dovevano
per forza essere esauditi, deve aver pensato che fosse più utile chiudere tutto
in un baule e rimboccarsi le maniche. Immagino che sia la ragione per cui la
nonna ha sempre avuto di lei una stima indiscussa, in fondo sono uguali e credo
di esserlo pure io.
…mmh…ho il fiato corto. Mi fa strano
rimestare dentro questa scatola e tirare fuori cose che pensavo di non dover
mai più vedere. Forse, in fin dei conti, non è stata una grande idea venire
quassù. Avevo bisogno di pensare a mio fratello, di trovare qualcosa da dirgli
che sia sensato e non solo “complicato da capire” per entrambi. Invece, mi
ritrovo a pensare a tante di quelle cose da stare facendo solo più confusione.
Io non sono bravo in questo. Non sono
bravo nel capire la gente e meno ancora lo sono nel dare consigli. Matt ha
sempre avuto Dominic e Christopher per questo. Perfino Tom ha sempre saputo
offrirgli un consiglio migliore del mio. Però…lo so che su questa cosa nessuno di loro può dirgli niente.
Non ho chiara la ragione, certo. Ma so
che è così.
Chiudo il baule della mamma. Fare i conti
con la sua coscienza è troppo anche per me e non mi porterà da nessuna parte se
non a sbattere contro lo stesso muro che ha infranto le sicurezze di mio
fratello nell’andarsene di casa. Se c’è tornato, magari, non è solo perché era
qui che ritornavano ogni anno le persone che amava. Magari è stato perché
qualcuno che amava non se n’è mai andato.
Torno al mucchio di cose inutili che ho
accatastato per buttarle via, ed a quello più piccolo delle cose che mi
piacerebbe “salvare”. C’è un foglio di carta che prima ho solo sbirciato,
incastrato dentro una scatola di latta tutta ammaccata. Lo sfilo via e mi
seggo, la sedia a dondolo del nonno, che è rotta da secoli scricchiola sotto il mio peso ed io penso che dovrei
proprio mettermi a dieta e sorrido.
Mio fratello, generalmente, non scrive
nulla. La so anch’io quella storia assurda che va raccontando in giro, che non
scrive perché le “cose buone se le ricorda e, se non se le ricorda, significa
che buone non lo erano affatto”. In realtà è che la sua testa va troppo veloce,
a volte, pure per lui. Mentre sta facendo una cosa ne sta pensando altre venti
- e questo è anche il motivo per cui inciampa nei propri piedi o rompe
qualsiasi cosa abbia tra le dita! – e spesso non ha il modo per ordinare alle
mani di fare il proprio dovere, semplicemente, e recuperare un figlio di carta ed
una penna. Quindi non ho idea di quante cose buone mio fratello si sia “mangiato”
in questi anni, ma temo che siano quasi il doppio di quelle che ha realizzato.
Questa però l’ha scritta. Vorrei dire che
è successo perché era all’inizio, non sapeva bene nemmeno lui “come si fa” e
voleva vedere cosa succedeva a mettere giù due cose in croce e poi appiccicarci
pure una melodia. Ma non sarebbe vero. Ogni rigo è stato scritto e poi
ricalcato tante di quelle volte che la biro blu ha scavato un solco nella carta
e sulle curve delle “O” o le stanghette delle “T” ci sono dei buchi
piccolissimi. Matt non l’ha solo scritta, questa canzone, lui l’ha
letteralmente vomitata e poi l’ha odiata fino all’ultimo verso e poi se
l’impressa a fuoco sulla pelle. E da allora è stato tutto diverso.
-Sai qual è il tuo problema?
-Al diavolo, Paul, se stai tentando della
psicanalisi a buon mercato sei ancora in tempo per fermarti prima di renderti
ridicolo!
-Il tuo problema è che non dici mai
niente.
-Ma se ieri hai protestato che sono
logorroico?! Uh, se non sai che significa, te lo spiego…
-Lo so che significa, pezzo di cretino! E
comunque certo, ne dici un mucchio di stronzate, Matt, ma non dici mai un cazzo
di quello che ti passa davvero per la testa. E non funziona così, sai? se ti
tieni tutto dentro, poi alla fine esplodi. Da qualche parte deve pure uscire la
rabbia, Matt.
-Io non sono arrabbiato.
-…forse sì. Ma forse no.
-Perché cazzo dovete credere che se
voglio fare quello che mi passa per la testa devo per forza essere arrabbiato,
o in crisi adolescenziale, o in conflitto con la figura paterna-barra-materna,
o qualsiasi altra menata da assistente sociale scolastico?! Voglio solo
divertirmi, ok?
-E ti stai divertendo?
Matt non mi ha risposto. Mi ha tirato uno
di quegli sguardi che fanno male, perché sembra che ti stiano rimproverando tutto – ma proprio tutto! – dalla morte
del suo primo animaletto domestico alla partenza improvvisa di nostro padre, un
giorno e senza aver quasi detto nulla. Di sicuro mi stava rimproverando ogni
momento di silenzio fino a quel giorno, ogni volta che avrei potuto avvicinarmi
a lui e chiedergli “Matt, è tutto ok?”.
Allora nemmeno lo sapevo che aveva
scritto questa canzone, ma se pure ce l’avessi avuta davanti come in questo
momento non sarebbe cambiato niente.
Io non volevo parlare con Matt. Non
volevo chiedergli nulla perché non avrei avuto nulla da rispondergli quando mi
avesse fatto una domanda. Io non ho mai avuto risposte per nessuna delle
domande di mio fratello e sono solo scappato per evitare che lui me le facesse.
E poi è ovvio che sia stato più facile fare come tutti gli altri e dargli
addosso, a quello strano, a quello complicato che faceva impazzire la poveretta
di nostra madre. Un intero paese a dargli addosso perché era il figlio
“disgraziato”. Accodarsi alle voci di tutti e smettere semplicemente di vedere
al di là di quello che tutti vedevano,
perfino Matt stesso è diventato ciò che ci aspettavamo da lui: un piantagrane,
un rompiscatole, un guaio ambulante…
Sospiro e mi alzo, infilando il foglio di
carta in fondo alla tasca dei pantaloni. In cucina mamma e nonna ridono forte,
la mamma più forte di tutte e due. Mi vede passare dal vano della porta, ha
tutti i capelli grigi, ormai, ma sorride come sorrideva quando era bella e
giovane e bionda. Mi saluta con la mano e sorrido anche io.
Accendo una sigaretta mentre esco in giardino,
si sente odore di mare oggi, il vento lo tira su e lo porta fino a qui. Giù al
pub, a quest’ora, ci sarà già un mucchio di gente, qualcuno lo conoscerai anche
tu e magari starà parlando di te. Deve essere strano andarsene da qui e
rimanere sulla bocca di tutti; il brutto dell’essere famosi, eh? Chissà se
arriva un momento in cui ci fai l’abitudine, a noi hai dovuto dirlo ed ai tre
quarti dei tuoi… “amici”? conoscenti, ecco. Beh, per loro non ce ne sarà
nessuna necessità, e quando tornerai a casa, ti aspetteranno a braccia aperte e
con un mucchio di complimenti di cui non t’importerà un accidenti, perché le
uniche facce che cercherai in mezzo a quella folla saranno la mia, quella della
mamma e quella della nonna.
Ed io penso che sia arrivato il momento
di metterci la parola “fine” a questa cosa, Matt.
Risponde dopo un bel po’, ci penso solo
in questo momento che potrebbe non essere l’orario migliore e che poteva stare
dormendo. Cazzo! con questa storia del fuso orario non riesco proprio a farci i
conti…
-…Paul?- borbotta, assonnato, sì, ma si
sente che è già preoccupato.
-Mi sa che non era proprio il caso di
chiamarti adesso.- ripeto a voce alta.
-…no…cosa…? Che succede?- biascica.
-Che ora è lì?
-Paul!
Le quattro del mattino, cazzo, mi dici che succede?!- mi rimbrotta a fatica.
-No, decisamente potevo rimandare…
Sbuffa. Lo sento rigirarsi in quello che,
immagino, sia il letto. Quando riprende è un attimo più sveglio.
-O.k., non è niente di serio o questa
fase l’avremmo già superata da un pezzo. – afferma spiccio.- Spara.
Ridacchio. Mi piace – nonostante tutto –
quando si mette a fare “quello che ha tutto sotto controllo”, se penso che fino
a poche ore prima era una specie di pulcino spaventato che mi ha riportato
indietro di almeno…vent’anni, sì, nella nostra storia assieme di fratelli che
si sono sempre capiti poco ma non hanno mai smesso di volersi lo stesso bene.
-Non è successo niente.- confesso
divertito. Matt sbotta un “sì, appunto!” che vorrebbe essere contrariato ma
risulta solo altrettanto ironico.- E’ solo che ho ripensato a quello che mi hai
detto, sai?
-Non dovevi. Dico sempre un mucchio di
stronzate e dopo tanti anni dovresti esserci arrivato pure tu.- scorcia ridendo
anche lui. La voce mi arriva appena più soffocata, lo sento rilassato e questo
va bene perché significa che, anche ad un orario così improbabile, lui voleva che lo richiamassi.- E, quindi,
cosa avresti elaborato?- s’informa.
-Beh…che lo so cosa serve ad un figlio.
Magari non ne ho uno mio, però…diavolo!
sono stato un figlio pure io, no?!
Matt trattiene il fiato. Lo sa cosa sto
per dirgli, lui lo sa da più tempo di me in realtà.
Sorrido.
-Gli serve un padre, Matt. Gli serve che
tu ci sia. E non voglio dire che non dovrai saltare compleanni o feste comandate,
e nemmeno che tu debba sposarti sua madre, promettere di amarla e rispettarla
finché morte non vi separi e poi onorarlo pure quel giuramento. A Dio potrà
fregare qualcosa dei giuramenti, Matthew, ma ai bambini non frega un tubo.-
sospira una risata più lenta, meno convinta, ed io gli tengo dietro solo perché
non voglio che tutta questa storia si perda in un mucchio di parole senza
senso.- Ed io penso seriamente che tu questo possa farlo senza problemi. In
fondo…lo hai capito prima di me, no? è per questo che sei andato da papà, mh?-
Lui non risponde, borbotta qualcosa ma non è veramente una parola, solo un
mugugno che si perde in un altro sbuffo.- Matt, davvero. Tu non potrai mai
essere come lui.
***
-Io lo trovo molto carino.
-Lo dici solo perché non hai dovuto
passarci tutta la tua adolescenza, chiedendoti se “davvero è necessario che tutto puzzi di pesce a questo modo e oh-mio-Dio!”.
Ride. Quando ride brilla; sono i suoi
denti bianchissimi, i suoi capelli biondissimi, la sua pelle liscissima… Kate è
una bambola e Gaia non ha mai riso come una bambola.
“Però
ti amavo.”
Si sente idiota già mentre lo pensa.
Osserva di sbieco il pancione di lei, Kate giocherella distratta con l’anello
che lui le ha regalato e Matt pensa che regalare anelli finora gli ha solo
portato sfortuna.
“Che
cosa stupida! Ti ha detto che ti sposa, è incinta di tuo figlio e tu pensi alla
sfortuna! Ti starai mica portando
sfiga da solo, scemo?”.
Prende le misure del cancello e
parcheggia sul vialetto, la ghiaia scappa sotto le ruote che slittano appena.
Matt ferma la macchina e toglie le chiavi dal quadro. Mentre sua madre e sua
nonna si affacciano alla porta, Kate sta già faticosamente scendendo dall’auto
e lui non fa tempo a strillarle di stare
ferma ed aspettare che l’aiuti.
-…sei
una cosa…!- sbotta arrabattandosi per correrle dietro più velocemente
possibile.
Ma lei è tutta un gridolino eccitato che
fa l’eco esatto a quello delle altre due donne e, quando il circolo matriarcale
le si chiude attorno in abbracci e baci e chiacchiericcio concitato, Matt si
ritrova escluso in automatico, fermo ritto come un lampione a guardarle,
braccia ai fianchi e sguardo stupito: sono il ritratto di tre migliori amiche
che non si vedano da una vita ed abbiano un mucchio di cose da dirsi.
Paul gli viene in aiuto. Una risata ed
una manata sulla schiena – entrambe ugualmente poderose – e lui ritorna
indietro da una terra tutta al femminile per ritrovare la realtà del sorriso
paterno di suo fratello.
-Susu, dovevi immaginare che sarebbe
andata così.- ridacchia ancora il maggiore, tenendolo stretto per le spalle.
Matt scuote la testa, ricambiando il
sorriso.
-Le femmine...!- borbotta.
Paul stringe un po’ di più, orgoglioso,
guarda Kate sottobraccio a sua madre mentre entra in casa e pensa che magari si
è sbagliato. Magari la vecchia Tignmouth può andare bene.
-Andiamo.- esordisce spingendo
leggermente Matt verso l’ingresso – Ti devo ancora un ceffone che non ti
scorderai tanto facilmente.
-…eh?!
“Escape”
MEM 2011
Nota di
fine capitolo della Nai:
Prima di
tutto le “ovvietà”. La canzone citata all’inizio e quella che da il titolo alla
fic, ovvero “Escape” dei Muse, notoriamente (?) scritta da Matt pensando alla
fine del matrimonio tra i propri genitori.
Il “Dodici
Mesi” è stata una fatica immane. Alcune delle storie che ho realizzato per quel
concorso sono tra le migliori che ho scritto nonché tra quelle a cui resterò
affezionata più a lungo per svariate ragioni.
Altre
avrebbero potuto essere migliori e sono
rimasta stupita che siano comunque piaciute.
In
generale, credo di avere un bilancio molto positivo, ed “Escape” – grazie a
Pauly, grazie a quel disastro ambulante del suo fratellino Matt (che ha
palesemente deciso di uccidermi di tenerezza fin dalla propria apparizione in
versione bebè!) – si inserisce tra le storie a cui, credo, rimarrò affezionata.
Grazie a
tutti voi, sopra ogni cosa.
MEM
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