Questa storia è stata
scritta per il contest indetto da ALE2:'Yaoi Contest, citazioni di
Alessandro Baricco'.
E' il primo contest a cui partecipo, perciò mi ci sono
già affezionata in modo particolare!:PP
Timeline: Direi che si può
considerare una future, dato che prende le mosse dalla terza serie, ma
gli spoilers saranno davvero pochi!xD
Detto questo vi avviso
che sarà triste e che mi odierete alla fine, quindi
preparatevi!:P
In secondo luogo, ci
sarà un sequel,
l'ho sto già scrivendo( per un altro contest che
scadrà a marzo, quindi potrò pubblicarlo solo
dopo) ed è quasi finito.
Quando sarà
finita, tutta la storia sarà da leggere come prequel a 'Ripetizioni d'amore.'
Non chiedetemi come mi
sia uscita... è stato puramente casuale!:PP
Disclaimers:
i personaggi appartengono alla BBC e aventi diritto. Io ci metto la
trama e una buona dose di tristezza!:PP
Sono usciti i risultati del contest!
Regrets è arrivata sul podio con un magnifico terzo posto!!
Grazie alla giudice e complimenti a tutte le partecipanti!!
La lotta
è stata dura e molto divertente!!xDD
Regrets
«Il re
è morto! Lunga vita al re!»
Non era stato improvviso. Non poteva certo dire di non esserselo
aspettato.
Uther Pendragon, in fondo, era malato. Un lento declino cominciato con
la perdita di Morgana e continuato senza sosta finchè anche
il suo corpo non aveva ceduto.
Non c'erano state guerre o incantesimi. Solo una malattia che l'aveva
lentamente consumato nel corpo e nella mente.
La cosa orribile era la gioia. Le feste e gli infiniti banchetti. Le
risate e le continue congratulazioni.
Non c'era un solo volto addolorato. Nessuno che piangesse. Nessuno che ricordasse.
Suo padre era appena morto e a nessuno sembrava importare.
Nessuno che lo lasciasse in pace. Nessuno che lo confortasse. Nessuno
che capisse cosa stava provando o almeno ci provasse.
Nessuno che restasse semplicemente al suo fianco. In silenzio.
In quel momento più che in ogni altro, Arthur si rese conto
del vuoto che aveva dentro.
In quell'esatto istante più di ogni altro, Arthur rimpianse
di aver creato quel vuoto che adesso lo stava uccidendo lentamente.
Lui avrebbe
capito senza bisogno di parole.
Lui non
avrebbe trovato motivo di festa nella morte di qualcuno.
Lui non
avrebbe mai condiviso quella gioia.
Si sarebbe limitato a seguirlo nelle sue stanze, restando in silenzio
al suo fianco, portandogli quella consolazione che non poteva chiedere
ad alta voce.
Ma lui ormai non c'era più .
Due inverni. Due
lunghissimi inverni.
E solo adesso era in grado di essere sincero, almeno con se stesso.
Adesso che ormai, era troppo tardi.
Il peso della corona sul capo non era mai stato tanto grande.
Il peso del regno sulle spalle non era mai sembrato tanto insostenibile.
Tutto perché lui
non era più lì a condividerlo.
Tutto perché il sogno senza Merlin non aveva
più senso.
Ma al popolo non importava. Loro non capivano. Loro non vedevano.
Troppo intenti ad acclamare il suo nome per scorgere oltre la maschera.
Troppo convinti che la sua venuta avrebbe portato prosperità
e giustizia quando, invece, la sua anima era già macchiata
dal peggiore dei crimini.
Tradimento. Menzogna.
Di fronte al fiume di persone e colori che invadevano ogni angolo del
mercato, re Arthur salutò la folla con un finto sorriso
stampato sul viso e lo sguardo perso alla ricerca del solo volto che
avrebbe voluto vedere. Del solo volto che non c'era. Che per suo stesso
ordine non poteva
essere lì.
Chissà se era nascosto da qualche parte nella foresta.
Chissà se sapeva della sua incoronazione.
Aveva sorriso quando lo aveva saputo? Aveva immaginato Arthur sul trono
e il futuro che avrebbe portato? Era stato felice ricordando il suo
principe? O il pensiero gli aveva portato solo rabbia e rancore...
aveva pianto ripensando alle cose ormai perdute?
Il dolore gli stringeva ancora il petto in una morsa senza respiro
quando ricordava quella notte? La notte in cui l'aveva cacciato dal suo
regno... dalla sua vita.
«Arthur, mi
dispiace, se avessi potuto dirtelo prima...»
«Sparisci
dalla mia vista, stregone.»
Due inverni senza Merlin e il trono era diventato un incubo freddo e
senza senso.
Il sogno irrimediabilmente distrutto.
E tutto per colpa sua. Del suo miserabile orgoglio.
Della sua stupida rabbia che aveva cancellato ogni cosa impedendogli di
ragionare. Di capire. Di
perdonare.
Completamente furioso, aveva visto solo l'inganno, le infinite bugie.
Tutte le storie inventate, mascherate da un sorriso idiota. Tutte le
cose strane senza spiegazione. Tutte le sparizioni e le scuse assurde.
Tutte le orribili menzogne avevano infangato ogni cosa rendendola
sporca e falsa.
Ogni gesto, ogni parola. Ogni bacio dato di nascosto.Ogni lento sospiro
nel buio.
Ogni gemito strappato alla luce delle candele. Ogni ti amo bisbigliato
al suo orecchio.
Non c'era stato nulla di vero. Nulla di sincero.
Nulla.
E il pensiero di essersi fatto ingannare in quel modo, di essere stato
tanto stupido da crederci, l'aveva lasciato senza respiro. Senza
sostegno. Senza vita.
«Dovrei
ucciderti.»
«Perfavore
Arthur.»
«Non osare
pronunciare il mio nome, non hai più quel diritto. Non
l'avrai mai più.»
Era stato facile in quel momento.
Quando ogni cosa aveva perduto senso.
Quando aveva davvero creduto nella malizia dell'inganno.
Quando l'unica cosa che aveva voluto era distruggere e dilaniare con la
stessa ferocia di una bestia ferita.
In fondo era giusto così. Era l'unica scelta, l'unica strada.
Non avrebbe potuto uccidere Merlin. Nonostante tutto, non avrebbe
sopportato di vederlo morire.
Ma non poteva neppure continuare a vivere in quella bugia. Nell'illusione.
E ci sarebbe cascato di nuovo, lo sapeva. Avrebbe finito col
giustificare, col perdonare. Con
l'amarlo di nuovo.
Perché bastavano solo le lacrime di Merlin per farlo
vacillare, per farlo dubitare.
Perché ormai non poteva più permettersi di
amarlo, ma neppure di non farlo.
In quel momento non si era reso conto di quanto sarebbe stato
più dolce vivere nella fantasia piuttosto che in una
realtà fatta di dolore e rimpianto. Di un desiderio
insoddisfatto. Di una lenta e terribile agonia.
La realtà gli
era costata tutto.
Era davvero così importante sapere se le carezze erano
sincere? Se le parole erano vere?
In fondo cosa c'era stato di vero nella sua reazione? Nelle parole che
gli aveva gettato addosso con tutto quel veleno, solo per vederlo
sanguinare. Per vederlo vacillare e cadere. Per ammirare il risultato
della sua vittoria.
«Ma io ti amo,
questo non cambia niente. »
«Non posso
amare ciò che sei Merlin, non posso e non voglio. Adesso
vattene o chiamerò le
guardie. »
Ed era stato facile convincersi che il suo viso contorto dal dolore
fosse fonte di soddisfazione.
Che le sue lacrime silenziose fossero un balsamo per la sua anima, una
cura per il suo cuore.
Peccato che l'illusione non fosse durata a lungo. Quanto ci era voluto?
Un mese, due?
Troppo poco per
dimenticare, troppo per tornare indietro.
Alla fine anche la sua rabbia, l'odio che per mesi aveva incendiato
ogni suo sentimento, ogni suo pensiero, accecante e logorante,
come un fuoco capace di divorare ogni cosa, l'avevano abbandonato.
Il suo nome era diventato proibito, chiunque chiedesse di lui finiva dritto
in cella.
Ogni cosa che portava il suo ricordo era finita distrutta e bruciata.
E, anche quando la collera aveva cominciato a svanire e le ceneri del
fuoco ormai spento avevano lasciato solo amaro rimpianto, Arthur aveva
continuato ad ignorare la sua anima traditrice.
Il suo cuore stupido e patetico.
Relegando la sua
immagine nello spazio più remoto della sua mente.
Facendo di tutto per dimostrare a se stesso, al mondo - a lui - di aver
fatto la cosa giusta.
Di non rimpiangerla affatto. Di
non amarlo affatto.
Lui era un principe, poteva avere chiunque, poteva amare chiunque.
E lui non era che un misero servo.
Nient'altro che uno stregone bugiardo e incantatore che probabilmente
l'aveva legato a sé con un sortilegio.
Era ovvio. Lo avrebbe dovuto capire subito.
Non si può provare qualcosa di così assoluto per
qualcuno senza il lavoro della magia.
Merlin aveva mentito. Dall'inizio.
Fin dal primo giorno. E ovviamente non l'aveva mai amato.
Altrimenti perché non era mai tornato? Perché non
si era mai fatto vedere, neppure quando Arthur era andato a
cercarlo calpestando il suo orgoglio e tutto ciò in cui
credeva?
Semplicemente perché Merlin poteva vivere senza di lui.
Poteva dimenticarlo e non vederlo più. Poteva andare avanti
senza sentire la stessa dannata spina che si rifiutava di uscire dal
cuore di Arthur ed era giusto che lui facesse lo stesso.
«Se questo
è ciò che desiderate, sire, vi do la mia parola
che il vostro sguardo non si poserà
mai più sul
mio volto.»
E Arthur lo odiava per aver mantenuto la sua stupida promessa.
E odiava se stesso per averlo costretto a mormorarla.
All'inizio, durante tutti quei mesi in cui la sua sola via di fuga era
stata il risentimento, si era ripetuto più volte che, in
realtà, il suo servo non tornava perché era stato
scoperto. Perché sapeva che il suo piano, qualunque esso
fosse, era fallito.
Merlin era stato un servitore orrendo. Pigro, goffo e incapace di
seguire anche il più semplice dei comandi. Lo aveva
licenziato e cacciato più volte di quante potesse ricordare,
eppure era sempre tornato. Anche rischiando la vita.
Quella volta non l'aveva fatto.
Perché, quella volta, non aveva motivo di farlo.
Non c'era mai stata alcuna fedeltà. Alcuna amicizia.
E per dimostrarselo aveva cominciato a distruggere lentamente ogni cosa
per cui Merlin aveva lavorato. Ogni cosa a cui aveva tenuto.
E forse... forse da qualche parte, in fondo a se stesso, sperava che
così il suo servo sarebbe tornato da lui. Per rimproverarlo,
per chiedergli cosa stesse facendo.
Per dargli dell'asino reale, del microcefalo e ricordargli che,
nonostante tutto, un giorno sarebbe stato un buon re.
Lentamente era diventato avventato nei tornei, guadagnandosi
più ferite di quelle che potesse contare.
più spietato in battaglia, più severo e
diffidente verso la magia.
Perfino più arrogante verso i servi.
E quando il re si era ammalato e i regni vicini avevano minacciato i
territori di Camelot sfruttandone le debolezze, Arthur si era gettato
in guerra senza neppure pensarci.
Sempre in prima fila. Sempre il primo nella mischia. Sempre pronto a
impugnare la spada.
Nel giro di un solo inverno era diventato una leggenda.
Un simbolo di coraggio e forza.
Un nome da temere in ogni angolo di Albion.
Ma non bastava. Non era ancora sufficiente.
Perché, ovunque fosse nascosto, Merlin avrebbe sentito solo
la versione romantica della storia.
Avrebbe sentito cantare del coraggio e della cavalleria. Dell'onore e
dell'ardore della battaglia.
Di una pace difesa a suon di spada.
Non avrebbe sentito degli infiniti fiumi di sangue, delle vite spezzate
senza alcuna ragione che non fosse la sua rabbia o il suo orgoglio
ferito. Il suo puerile bisogno di attirare
l'attenzione.
E ne sarebbe stato contento. Perché quelle erano il genere
di cose di cui parlava sempre ad Arthur. Per cui elogiava Arthur e gli
ripeteva che sarebbe stato un grande
re.
Il solo pensiero lo rendeva furioso.
Gli serviva di
più.
Gli serviva qualcosa che arrivasse a ferirlo. Ovunque fosse.
Qualcosa che potesse ancora distruggerlo. Colpirlo. Farlo tornare indietro.
La risposta, alla fine, era arrivata da sé. Nel dolce
sorriso di Ginevra.
Nei suoi lunghi sguardi, nei suoi riccioli neri.
Negli ovvi sentimenti che iniziava a coltivare per il suo principe.
Dopo la scomparsa improvvisa del suo servo, Arthur non aveva voluto
alcun rimpiazzo.
La ferita era ancora troppo recente, faceva ancora troppo male.
Non voleva un estraneo nelle sue stanze. Non voleva che un estraneo
toccasse le sue cose.
La sua armatura.
E, dopo il tradimento di Morgana, Gwen non aveva molti compiti a corte.
Perciò era stato ovvio, quasi naturale, che finisse per
sostituire Merlin nei suoi compiti, anche se in maniera del tutto non
ufficiale. E più tempo passavano insieme, più la
ragazza lo guardava in quel
modo.
Piccoli sguardi, piccoli tocchi troppo lunghi per essere del tutto
innocenti.
E Arthur non l'aveva mai scoraggiata.
Perché si sentiva solo. Perché, in fondo,
condividevano la stessa solitudine ed entrambi amavano chi non potevano
avere. Chi li aveva
abbandonati.
Perché lei era l'arma perfetta.
La lama più affilata e mortale che avrebbe mai potuto
trovare. La sua
migliore amica.
E, se il pensiero che fosse sbagliato
o ingiusto
lo tormentava ogni volta che la baciava o le portava dei fiori, quando
la sentiva ripetere di amarlo o lo guardava con fiducia, Arthur si
ripeteva che non importava.
Anche Gwen stava mentendo in fondo. Come tutti del resto.
E anche se avesse finito con l'amarlo davvero, Arthur non l'avrebbe
ferita.
Lei non avrebbe mai saputo la verità.
L'avrebbe curata e rispettata come una vera lady. L'avrebbe resa regina
e ne avrebbe cantato le lodi fino alla morte.
Le avrebbe dato ogni cosa.
Un regno, una corona, una famiglia.
Sarebbe stato un marito devoto e un amico fedele.
L'unica cosa che le avrebbe negato sarebbe stata il suo cuore.
L'unica parte di sé che non poteva donarle... per il
semplice fatto che era perduto per sempre.
Come aveva progettato, nel giro di pochi mesi tutti decantavano il favoloso amore tra
Ginevra e Arthur. Tra la serva e il principe. E, poichè era
un segreto, tutti ne erano a conoscenza.
I servitori bisbigliavano da corridoio a corridoio.
I cavalieri fingevano di non vedere, senza intromettersi,
perché la strana tristezza che avvolgeva da tempo il loro
principe, forse adesso sarebbe svanita.
Il popolo era innamorato della favola, dell' amore clandestino e
proibito.
E suo padre era comunque troppo malato per potersi davvero opporre.
Per poterlo davvero
rimproverare.
Arthur era a tutti gli effetti il reggente ormai e Ginevra sarebbe
stata la sua regina.
Anche perché ormai la rete era diventata talmente stretta da
non potersi più tirare indietro neppure volendo.
E, in fondo, perché mai avrebbe dovuto farlo? Ginevra era
bella, dolce, intelligente.
Avrebbe dovuto essere sufficiente.
Avrebbe dovuto renderlo felice.
A volte lo sperava. A volte si convinceva che fosse davvero
così.
Nelle notti, quando studiava il suo viso angelico fino ad addormentarsi
e la stringeva a sé immaginando come sarebbe stato amarla
davvero.
Come sarebbe stato essere davvero
felice, anche per un solo istante.
Ma ogni volta che la baciava, ogni volta che la trascinava nel suo
letto e la sentiva gridare il suo nome, era il viso di Merlin
ciò che vedeva. Ciò
che voleva.
E se a volte si diceva che era solo nostalgia, che era solo
stupidità, altre volte... altre volte era costretto ad
ammettere quanto questo fosse falso.
La verità, la verità era che Ginevra non era
Merlin e non lo sarebbe mai stata.
E nonostante tutti i suoi sforzi, tutte le sue illusioni, sembrava che
solo Merlin potesse renderlo di nuovo felice. Completo.
Era strano. Era stupido e infantile, ma solo cercando conforto tra le
braccia di un'altra, Arthur si rese davvero conto del suo terribile
errore.
Quando ormai era
già troppo tardi.
Così, l'orribile segreto che tentava di seppellire e
soffocare da mesi, da
anni, aveva finito col non essere più tanto
segreto.
E adesso era re di Camelot.
Tra poco marito di Ginevra, per quanto il solo dirlo lo facesse sentire
sporco e bugiardo.
Alla fine il vero traditore era proprio lui.
Presto due inverni divennero tre e poi quattro.
Uno dopo l'altro si susseguivano nell'apatia.
Arthur aveva smesso di giocare alla vendetta. Il principe babbeo era
diventato un re giusto e onorevole.
Il re di cui Merlin era solito parlargli quando restavano soli, con gli
occhi lucidi e il sorriso dipinto sulle labbra.
Arthur sperava che, ovunque si trovasse, potesse perdonarlo e forse, un
pochino, amarlo ancora.
Al di fuori si comportava come se tutto fosse perfetto.
Come se avesse ogni motivo di essere felice e soddisfatto.
Ma se questo ingannava i suoi cavalieri o il suo popolo, non ingannava
le persone a lui più vicine .
Non ingannava la sua
regina.
Negli anni dopo il matrimonio, quando al posto della rabbia erano
rimasti solo il rimpianto e il dolore a fargli da compagnia, Gwen si
era fatta più distante.
Il suo viso più pallido, il suo sorriso più
spento. Ormai non si parlavano quasi più.
«Ti manca
Merlin vero? Non ne parli mai, ma io lo so. Lo sapevo anche quando ti
ho sposato. Speravo di curare la tua ferita, ma adesso so che non posso
colmare quel vuoto. Solo lui potrebbe farlo.»
«Non so di
cosa parli.»
«Arthur, non
te ne accorgi? Tu... c'è qualcosa di rotto in te, qualcosa
di frantumato che nessuno tranne Merlin può sperare di
aggiustare e... questo distrugge me.»
Aveva riso, allora, di quelle parole, dicendole che erano sciocchezze. Drammi da donne.
Parole assurde e infondate. Merlin era andato via di sua
volontà, era solo un servo e i servi si sostituivano con
estrema facilità. Ed era fuggito per nascondere il suo
volto, per nascondere quanto il solo pensiero di lui riuscisse
ancora a gettarlo nello sconforto più completo.
Il tempo non guarisce
tutte le ferite.
E lei sapeva. Era ovvio.
Il suo sguardo lo cacciava dappertutto. Il suo dolore. Il suo evitarlo
costantemente.
Non poteva biasimarla in fondo. Avrebbe voluto solo che lo lasciasse in
pace. Avrebbe voluto solo che la smettesse di gettare sale sulla ferita
più dolorosa di tutte.
Alla fine Lancelot era stato la sua salvezza. Certo il tradimento, il
sotterfugio, il trattarlo come fosse un cieco idiota. Quello l'aveva
ferito.
Così come l'improvviso abbandono da parte della regina.
Non che la biasimasse. Nessuno voleva stare con un uomo incapace di
amare o sorridere davvero.
E fin dall'inizio sapeva che per quanto fingesse di amare il suo re, il
cuore di Ginevra era sempre stato del cavaliere. Se c'era una cosa che
Arthur aveva imparato nella sua lunga lista di errori, era che l'amore
non si può ingannare. Né rifuggire.
E la loro fuga gli dava un pretesto per mostrare al mondo il suo
dolore, anche se la sua ferita era molto più antica di
quanto il popolo non credesse.
Ovviamente le storie iniziarono a decantare al mondo il suo dolore.
Il re tradito dal suo migliore cavaliere.
Abbandonato dal suo grande e unico amore.
Era ironico come riuscissero ad avere al contempo totalmente ragione e
torto.
.....E Merlin continuò a non tornare. Neppure una volta. Neppure per un attimo...
Il re sospirò chinando il capo.
Il vento gelido della notte soffiava con violenza tra i bastioni di
palazzo.
Gli stendardi con dipinto il dragone d'oro di Camelot sembravano sul
punto di strapparsi dalle aste che li sorreggevano.
Era di nuovo inverno ormai.
L'ennesimo senza il suo servo. Senza il suo amante. Senza il suo unico amico.
Sei inverni.
Senza una notizia, senza una parola. Senza neppure sapere se fosse
ancora vivo o meno.
E lui continuava ad attendere e a sperare. Vuoto dentro. Solo come mai era
stato.
Con solo i suoi ricordi a fargli compagnia. Con solo la sua voce nella
testa a spronarlo ogni giorno.
«E' vostro
destino diventare il più grande re che Camelot abbia mai
visto.»
Non era vero. Lo sapeva. Tutti lo sapevano. Non ne sapevano il motivo,
forse, ma sapevano che c'era qualcosa in lui che non andava.
Non poteva esserlo, perché non era completo.
Non poteva esserlo, perché era rotto dentro e non aveva modo
di ritrovare ciò che aveva strappato con tanta noncuranza.
La sua stupidità gli era costata tutto.
Non gli rimaneva niente.
Solo infinite guerre, alla conquista di terre che neppure desiderava.
Di ricchezze che nemmeno gli servivano. Di una vana gloria fondata
sulla menzogna.
Terre conquistate per
lui. Per trovarlo. Per scovarlo. Per costringerlo allo scoperto.
Fiumi di sangue e morti su morti che non potevano essere cancellati.
Che, prima o poi, avrebbe dovuto ripagare. Che rimpiangeva, come
rimpiangeva tante altre cose nella sua breve esistenza.
Che lui avrebbe
rimpianto, che lui non avrebbe mai permesso.
Il signore della guerra.
Il conquistatore di Albion.
Grandi titoli per un egoista assassino.
Un bugiardo traditore, che sfogava il suo dolore sugli altri per
fuggire da se stesso, per non guardarsi dentro spaventato da
ciò che avrebbe visto. Dall'orrendo caos che aveva creato,
in cui scivolava attimo dopo attimo, senza controllo.
E, quando tutto era troppo, si ritrovava su quei bastioni a fissare nel
vuoto.
A cercare. A sperare. A
desiderare.
A volte perfino a pregare, sebbene sapesse che nessuno avrebbe mai
accolto le preghiere di uno come lui.
E, quando neppure quella solitudine bastava, quando neppure la speranza
era sufficiente a tenerlo in piedi, si rifugiava nella foresta, vagando
senza meta in sella al suo cavallo. Ora dopo ora fino al tramonto,
nell'oscurità.
Gridando ancora e ancora il suo
nome.
Implorandolo di tornare. Pregandolo di perdonare.
Come avrebbe dovuto fare tanti anni prima.
Come avrebbe dovuto fare quella notte in cui aveva calpestato ogni cosa.
Sperando di portare indietro il tempo. Di poter rifare tutto da capo.
«Non mi fido
di te. Non credo a nulla che esca dalla tua bocca e certamente non ti
reputo un amico. Non dopo questo.»
Ma il tempo non si ferma. Non si riavvolge. Gli sbagli si pagano.
E Arthur, come ogni altro uomo, pagava il prezzo del suo. E lo pagava
col proprio sangue.
Battaglia su battaglia, nemico dopo nemico. Sempre più
pericolosi, sempre più azzardati.
Perché se a Merlin, ovunque fosse, importava ancora qualcosa
di lui, allora, prima o poi, sarebbe tornato.
«Siete un
asino, di quelli reali però».
E allora...
Allora l'avrebbe colpito e gli avrebbe gridato contro. L'avrebbe messo
alla gogna per giorni e gli avrebbe tirato lui stesso la frutta marcia.
E poi...
Poi l'avrebbe abbracciato e trascinato nelle sue stanze, nel suo letto.
L'avrebbe carezzato, adorando e venerando ogni centimetro della sua
pelle.
Avrebbe baciato ognuna delle sue cicatrici.
L'avrebbe amato.
Amato come se gli anni non fossero passati, come se tutto fosse rimasto
come allora, immutabile.
E Merlin gli avrebbe rivelato il torbido segreto che a volte lo rendeva
triste e malinconico mentre facevano l'amore.
Che, a volte, gli faceva distogliere lo sguardo quando Arthur gli
confessava di amarlo in tono incerto.
E Arthur gli avrebbe sorriso. Avrebbe ingoiato il suo orgoglio ferito,
la fiducia infranta.
«Non
importa» gli avrebbe sussurrato, stringendolo
più forte «Sono
contento che tu me l'abbia detto» avrebbe aggiunto
«Ci penserò io a difenderti. Tu resta con me. Non
andare».
E l'avrebbe baciato ancora e ancora come se l'eternità non
fosse altro che un attimo...
Fino ad allora avrebbe semplicemente finto essere il re che tutti
volevano.
Un re giusto e misericordioso per il suo popolo.
Un re onorevole e coraggioso per i suoi cavalieri.
Un re clemente e generoso per i suoi servitori.
E se questi ultimi avessero notato qualcosa di strano nel loro re... se
qualcuno di loro, nell'osservarlo, avesse scorto la ferita, il dolore, il vuoto... allora,
forse, qualcuno sarebbe stato così bravo da raccontare loro
del giovane servitore sparito una notte d'inverno e mai ritornato.
Del suo sorriso e del modo in cui mancava di rispetto a un principe
arrogante.
Del modo in cui salvava la vita dell'erede al trono andando oltre ogni
suo dovere.
Della sua fedeltà e della sua gentilezza.
Di tutte quelle cose che lo rendevano Merlin.
Ma anche così non avrebbero davvero capito. Saputo. Creduto.
Però, sarebbero stati gli unici ad aver mai visto un
frammento del vero Re di Camelot.
E raccontando di lui avrebbero detto : ha qualcosa addosso, come una
specie di infelicità.
Semplicemente. Senza
spiegazione.
End.
Piaciuta?
Lo so...non odiatemi
please!:PP
|