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#15:
Titolo:
Unlucky to be a Waldorf
Autrice:
Melanyholland
Summary: Chuck stava
bene: gli piaceva la sensazione del lieve peso sulla sua spalla e della presenza
di Blair proprio accanto a lui.
Rating:
arancione
Timeline:
2x06 (New Haven Can Wait)
Main
Characters: Chuck Bass, Blair Waldorf
Unlucky to be a Waldorf
Chuck chiuse il cellulare con
uno schiocco e se lo infilò nella tasca dei pantaloni. Era tutto pronto: le
ragazze erano già sul volo di linea che le avrebbe portate lì, per la gioia dei
lombi dei presunti futuri leader d’America, e Arthur si era incaricato di andare
a prendere le microcamere che le squillo avrebbero indossato insieme alla
lingerie, una piccola e sicuramente sgradita sorpresa per quei rampolli pieni di
sé che avevano creduto di poterlo sottomettere e comandare. Illusi. A nessuno
era permesso di impartire ordini a Chuck Bass, nemmeno ai rappresentanti della
società segreta più famosa dell’Ivy League. Lo avrebbero scoperto presto.
Non avendo più niente da fare
per il resto del pomeriggio, ed avendo perso di vista Nate già da un bel po’,
Chuck fu più che lieto di scorgere una Blair Waldorf su tutte le furie che
marciava assorta verso di lui. Era così presa dai suoi stessi pensieri, lo
sguardo fisso sul sentiero e il pugno stretto intorno al manico della borsa
premuta contro il fianco, che non si era minimamente accorta della sua presenza,
così Chuck poté prendersi tutto il tempo che voleva per squadrarla da capo a
piedi con apprezzamento. Ovviamente, Blair aveva scelto una mise che urlava
diligente studentessa da ogni piega e asola per il suo colloquio col Rettore:
scarpe basse, gonna lunga fino alle ginocchia, camicia e pullover
meticolosamente abbottonati, cravatta dal nodo perfetto. Non aveva acconciato i
capelli in un serioso chignon come l’anno prima durante il ricevimento
con i rappresentanti delle università, e almeno quelli le ricadevano sciolti e
liberi sulle piccole spalle, appena un po’ scossi dal leggero venticello del
campus, ma l’effetto d’insieme era lo stesso. Chuck, benché come era ovvio la
preferisse con abitini sexy e biancheria intima provocante (se proprio ci
teneva a essere vestita, naturalmente), trovava comunque il suo aspetto da
severa bibliotecaria piuttosto stuzzicante, e immaginò di prenderla contro gli
scaffali pieni di libri, con i volumi che cadevano a terra uno dopo l’altro a
causa delle sue spinte vigorose e i bottoni della camicetta che rimbalzavano
ovunque tintinnando dopo che lui gliel’aveva aperta impaziente con uno
strattone, per racchiudere fra le labbra uno dei suoi dolci capezzoli e sentirlo
tendersi sotto la lingua e il cotone umido del casto reggiseno bianco; la gonna
sarebbe stata sollevata fino alle cosce, rovinata e piena di grinze a causa
della foga dell’accoppiamento, e con una mano le avrebbe arruffato i capelli
prima perfettamente lisci, creando nodi in cui avrebbe intrecciato le dita per
spingerle il viso ancora più contro di sé e baciarla famelico ogni volta che ne
aveva voglia, a suo piacimento. Si chiese se sotto Blair portasse le
autoreggenti, magari di seta, con il bordo di pizzo. Per il bene della sua
fantasia, decise di sì.
Si stava ancora crogiolando in
quella deliziosa visione mentale quando Blair finalmente alzò gli occhi su di
lui e sussultò sorpresa, fermandosi di colpo. Ma è troppo tardi, pensò Chuck,
mentre un sorrisetto compiaciuto gli si formava sulle labbra. Ormai, sei mia.
“Come va, Waldorf?” la salutò,
la derisione che trapelava volontariamente dal tono cordiale.
“Ma certo, non bastava Serena!”
esclamò lei con voce sarcastica e irritata, rivolgendosi a uno studente che
aveva avuto la sventura di passare di lì in quel momento e che la guardò confuso
prima di accelerare il passo. Di solito, Blair era più controllata nelle sue
reazioni (almeno in pubblico) e dopo quella risposta tanto plateale, Chuck ebbe
la conferma che la sua cara sorellina l’avesse veramente esasperata. Non aver
ricevuto l’invito alla cena del Rettore doveva essere stato un brutto colpo, per
Blair. Comprensibile: la sua vita era pianificata con la pedanteria di un
architetto stacanovista e ogni leggera modifica significava per lei
l’irreparabile crollo di tutto l’edificio.
“Serena è qui al campus?”
domandò lui, affettando sincero stupore. I prossimi minuti sarebbero stati
piuttosto interessanti.
“Incredibile, vero? Considerando
che l’unico corso in cui può sperare di eccellere è anatomia maschile”.
Oh, e le dava della sgualdrina,
anche. Sì, rifletté Chuck, Blair era proprio fuori di sé.
“E tu che ci fai, qui?”
continuò, scontrosa. “Anche se, riflettendoci, ti consiglio di andare a parlare
con il Rettore. Visti i suoi standard, ti darà subito una laurea honoris
causa”.
Chuck rise, genuinamente
divertito. Adorava la lingua tagliente di Blair, e il modo in cui si accalorava
tutta quando era stizzita, gli occhi scintillanti e le guance rosse vivo. Era
una ragazza così focosa.
“Se non l’avessi capito, era un
insulto.” puntualizzò Blair sprezzante, infastidita dalla sua ilarità. Era di
pessimo umore e ciò significava che chiunque intorno a lei non era autorizzato
ad essere allegro.
“Lo sai che mi piace quando ti
comporti da bambina cattiva.” replicò lui vizioso, occhieggiandola da capo a
piedi con bramosia. Blair incrociò le braccia sul petto e sbuffò seccata, ma
Chuck non si lasciava ingannare dai suoi teatrini: la eccitava essere
guardata così da lui. Ne era certo, perché quello al Victrola non era
stato l’unico spogliarello che Blair gli aveva dedicato: l’anno prima,
nell’intimità delle loro camere da letto, un paio di volte Chuck aveva lasciato
che fosse lei a sfilarsi da sola uno ad uno gli indumenti che coprivano le
meraviglie del suo corpo nudo, e Blair era stata più che compiaciuta del palese
desiderio con cui lui l’ammirava, leccandosi le labbra e indugiando con sguardo
vivido su ogni curva. All’inizio, certo, era stata un po’ titubante a spogliarsi
sotto i suoi occhi mentre lui non faceva altro che osservare voglioso,
completamente vestito, e c’era stata qualche protesta (“Solo perché vengo a
letto con te non significa che mi comporterò come una sciacquetta da strip-club,
Bass”), ma alla fine Chuck era riuscita a convincerla, e anche se la prima volta
era stata tesa e un po’ meccanica nei movimenti e aveva spiato con attenzione
ogni sua reazione alla propria nudità, quando Chuck le aveva sorriso affascinato
sussurrando che era perfetta, le si era illuminato tutto il viso, e aveva
rilasciato un respiro che forse non si era nemmeno accorta di aver trattenuto.
Da quel momento in poi, era stata più sicura di sé e naturale, e si erano
divertiti entrambi a tal punto che era successo di nuovo, e stavolta era stata
Blair a prendere l’iniziativa, spingendolo sul letto e cominciando a far
scorrere giù lentamente la chiusura lampo del vestito...
“Che hai, ti sei drogato?”
sbottò Blair. Chuck fu catapultato nel presente e si accorse di averla fissata
in silenzio più a lungo di quanto intendesse, imbambolato da quei ricordi sempre
dilettevoli. Le occhieggiò le belle gambe con un sorrisetto sfrontato:
“Porti le autoreggenti?”
“Cosa? Non ti riguarda!”
brontolò, aggrottando la fronte. Chuck sospirò, scuotendo lievemente il capo.
“Peccato. Credevo che al college
si facessero conversazioni stimolanti.”
“Non hai ancora risposto alla
mia domanda.” rimarcò lei petulante, ignorandolo.
“Non mi sono drogato. Non
ancora, almeno.”
“Non quella, idiota!” lo insultò
Blair, veemente. “Perché sei qui?”.
Chuck trovava divertente
l’elevato grado di suscettibilità di lei, ma non gli sembrava il momento adatto
per manifestarlo (Blair poteva diventare oltremodo violenta, in alcuni casi),
così si limitò ad accontentarla:
“Sono qui per gli Skull and
Bones di Yale.”
“Ah, già.” annuì Blair
distrattamente, guardando un gruppo di studenti seduti a chiacchierare su una
panchina. I suoi occhi si soffermarono sul grosso girasole di plastica che una
ragazza portava sulla camicetta e una ruga sottile le si formò fra le
sopracciglia. Dedicò qualche altro secondo a fissare con disapprovazione
l’accessorio e poi si riscosse, tornando a lui: “E come è andata?”
“Non potrei parlarne.”
temporeggiò, tanto per stuzzicarla, e infatti lei gli scoccò un’occhiata torva e
spazientita assolutamente adorabile. Soddisfatto, proseguì: “Diciamo solo che
stasera arriveranno un gruppo di ragazze di fiducia pronte a sollazzare i
membri della società segreta, se capisci cosa intendo.”
“Sei disgustoso.” ribatté Blair
automaticamente, arricciando il naso. Chuck ghignò:
“Sono per loro, non per me. I
miei standard sono infinitamente più alti”.
Tese la mano per prenderle il
mento, allusivo e lei sollevò le sopracciglia, altera.
“Fossi in te, mi accontenterei.”
lo respinse, algida. Chuck decise che se Blair voleva fare la perfida e rendere
la fantasia della bibliotecaria inattuabile, lui l’avrebbe ripagata con lo
stesso atteggiamento. Soltanto in modo più subdolo, com’era nel suo
stile.
“Ma dimmi di te, sono curioso:
sei stata invitata alla famosa cena del Rettore?” domandò mellifluo,
accarezzandole la guancia con condiscendenza, e si compiacque quando la vide
irrigidirsi, a disagio.
“Lo sarò.” rispose decisa,
scacciando la sua mano.
“Credevo che i colloqui si
tenessero questa mattina.” obiettò Chuck, con disinvoltura.
“No... cioè, sì, ma...” Blair si
accorse che lui la fissava con un sorrisetto beffardo e tacque per un breve
attimo, per riprendere il controllo. Quando parlò di nuovo, non c’era più
traccia di esitazione nella sua voce: “Gli inviti vengono fatti dopo il
colloquio. È una questione di riservatezza”.
Chuck la ammirò per quella
risposta, perché era veramente furba. Blair era riuscita ad evitare di
confessargli la sua esclusione senza effettivamente mentire. Si chiese se non
fosse il caso di lasciarle passare quella piccola omissione, in fondo aveva già
avuto una giornataccia. E poi, era così carina, con quello sguardo altezzoso e
quel broncio sulle labbra colorate di rosa pastello. Non aveva scelto il
rossetto rosso, probabilmente perché aveva pensato stonasse con il look da brava
ragazza e Chuck trattenne uno sbuffo esasperato. Se Blair avesse mostrato al
Rettore il fuoco che aveva dentro, invece di rifilargli la versione edulcorata e
repressa di Blair Waldorf, probabilmente sarebbe stata invitata alla cena. Anzi,
sicuramente. Impossibile non restare colpiti da lei quando era libera,
raggiante e spontanea, e mentre l’anno prima Blair gli parlava incessantemente
di Yale, lo era stata. Elencava corsi, snocciolava premi e
riconoscimenti, raccontava come sarebbe arrivata alla laurea a pieni voti e le
brillavano gli occhi e non riusciva a stare ferma per l’emozione, tanto che
batteva le mani e gli gettava le braccia al collo e lo baciava con trasporto
ogni manciata di parole. Certo, con il Rettore quelle manifestazioni di affetto
erano fuori discussione (l’immaginazione morbosa di Chuck elaborò una scena
decisamente disturbante fra Blair e un vecchio anonimo prima che riuscisse a
scacciarla con una smorfia interiore), ma avrebbe dovuto sfoggiare tutto il suo
schietto entusiasmo, invece di soffocarlo. Sarebbe stata irresistibile.
Comunque, ormai i giochi erano
fatti e sul posto a tavola di Blair c’era il nome di Serena, la quale di certo
era stata spumeggiante e disinvolta come sempre anche con l’austero Rettore
Beruby. Tuttavia, Chuck aveva il sospetto che a garantire la riuscita della
propria attraente sorellina avessero contribuito sia la scollatura vertiginosa
della sua maglietta che la sua recente amicizia con Poppy Lifton, immortalata su
Page Six. Ma Serena e Blair forse non ci erano ancora arrivate, la prima
troppo ingenua e determinata a dimostrare al mondo di valere qualcosa al di là
del suo aspetto e delle sue frequentazioni, la seconda perché farlo avrebbe
significato mettere in discussione l’ultimo appiglio che le era rimasto, ovvero
che, almeno in campo accademico, il successo mondano di Serena Van Der Woodsen,
la bellissima e spigliata It Girl per eccellenza, avrebbe contato ben
poco a confronto della sua preparazione.
Solo che Blair era piuttosto
sveglia e quella verità scomoda era in agguato. Improvvisamente, Chuck guardò il
suo disagio e non ebbe più voglia di giocare, quanto di aiutarla.
“Beh, nel caso l’invito non
arrivi...”
“Arriverà.” lo interruppe lei,
fin troppo precipitosa.
“...non significa che tu debba
rinunciare alla cena.” finì lui, ignorandola. Se c’era una cosa che tutti loro
avevano imparato vivendo nell’Upper East Side era che nessuna lista di invitati,
per quanto esclusiva fosse la festa, era blindata. I ricchi e potenti non si
occupavano mai di certi dettagli da soli, e ai livelli più bassi della catena
sociale c’era sempre qualcuno che si poteva corrompere. Blair lo sapeva bene,
probabilmente, mentre camminava assorta, era proprio ad un modo per farsi
invitare che stava pensando, ma Chuck le ricordò comunque quel particolare,
tanto per andare sul sicuro e, come si era aspettato, Blair capì.
Anche più di quanto lui volesse,
purtroppo.
“Hai parlato con Serena.” esalò,
scandendo ogni parola, immersa nei suoi arguti ragionamenti. Poi la voce le si
riempì di collera e gli puntò addosso uno sguardo accusatorio: “Sapevi che non
sono stata invitata quando me lo hai chiesto. L’hai fatto di proposito, ti stavi
prendendo gioco di me.”
“Non esagerare, adesso.” si
difese, turbato dal tono di lei, che era più che semplicemente risentito, era
tradito. Gli sembrava di rivivere la sera del Cotillon e non era
stata una delle sue esperienze preferite già la prima volta. Ricordò che aveva
anche rivelato a Serena la risposta di Blair alla domanda del Rettore e si
ritrovò a desiderare che lei non lo scoprisse mai.
“Oh, scommetto che tu e Serena
avete riso alle mie spalle perché lei è stata invitata e io no. Non ti è bastato
farla diventare regina, non è così? Ora la aiuti anche a distruggere il mio
futuro. Sei spregevole!” lo apostrofò, le sopracciglia aggrottate, le guance
paonazze, lo sguardo ribollente di rabbia. Chuck cercò di interromperla per dire
qualcosa che la arginasse, ma era troppo forte, troppo infervorata,
inarrestabile. “Pensi che quando sarò infelice come te ci rimetteremo insieme?
Ti illudi, Bass. Non sarò mai così patetica, e anche se lo fossi, saresti
l’ultima persona da cui andrei. Del resto, lo sei per tutti”.
Chuck accusò il colpo da lei
inferto con tanta spietata destrezza e si rabbuiò. Ferito, si ritrovò d’istinto
a ribattere, crudele: “Non direi, eri piuttosto patetica l’anno scorso, quando
sei venuta a implorarmi di riprenderti nel mio letto dopo che tutti ti avevano
voltato le spalle”.
Vide riflesso negli occhi di
Blair lo stesso dolore che gli aveva provocato lei prima che si riprendesse e
ribattesse, gelida: “Sei stato il più grosso errore della mia vita, Chuck.
Credimi, non accadrà più”. Gli rivolse un ultimo sguardo di disprezzo e poi si
girò per andarsene su quei tacchi quasi inesistenti, lasciandolo solo.
Non aveva fatto nemmeno un
accenno al suo suggerimento, si ritrovò a considerare e, stranamente, fu quell’ultimo
pensiero che lo riempì di amarezza. Niente sorrisi complici o occhiate d’intesa
che erano soliti scambiarsi ogni volta che si aiutavano a vicenda, in quel loro
modo personale di dirsi grazie che condividevano da sempre. Per di più,
era convinto che gran parte della furia di Blair fosse alimentata dai suoi
problemi irrisolti con Serena, non con lui, e Chuck detestava quando gli
scaricavano addosso veleno accumulato per altri, solo perché era facile
prendersela con lui. Facile odiarlo. Sentì montare la collera, e rimpianse che
Blair non fosse più lì per poter contrattaccare ancora un po’.
Sbuffò, s’infilò le mani in
tasca e s’incamminò verso i dormitori.
*
Alla fine dei conti, Chuck si
sentiva piuttosto soddisfatto della serata: grazie alla propria notevole astuzia
era riuscito a non tradire Nate e a vendicarsi di Humphrey, tutto in un colpo
solo e senza sporcarsi le mani. Sorrise crudele al pensiero di quello che
avrebbero fatto quei bastardi rancorosi al pezzente, credendolo l’unico figlio
di quell’Archibald che aveva fatto perdere tanti soldi ai loro padri. Se l’era
meritato, comunque. Nessuno usava Chuck Bass e ne usciva illeso, soprattutto non
dopo averlo spinto a confessare uno dei suoi segreti più dolorosi sfruttando la
sua (momentanea e insignificante) sensibilità per scriverci su un racconto
mediocre.
Mentre meditava trionfante su
questo, scorse una figura familiare seduta sotto un albero, le gambe piegate
verso sinistra, una sopra l’altra, le mani in grembo a giocherellare mogie con
un cerchietto foderato di raso viola e il capo chino ad osservarle con occhi
spenti. Blair non stava piangendo, non lo avrebbe mai fatto in un luogo dove
chiunque poteva passare e vederla, Chuck lo sapeva, ma gli era altrettanto
chiaro che si era seduta lì proprio perché, se fosse stata sola, si sarebbe
lasciata andare alle lacrime. E forse aveva paura di non riuscire più a smettere
per un bel po’.
Le si avvicinò, cauto. Blair
sollevò gli occhi per un momento, poi tornò a guardare l’oggetto che aveva fra
le mani. La gonna del vestito verde che indossava era spiegazzata e sulla manica
c’era uno strappo. Notando quei particolari, Chuck dimenticò di essere
arrabbiato con lei e sentì invece un fiotto intenso di preoccupazione invadergli
il petto: che l’avessero aggredita? Non era ferita, però, almeno non a giudicare
dai lembi di pelle lasciati scoperti dal tessuto. Mentre le ipotesi più
agghiaccianti si affollavano nella sua mente, sperò con tutto il cuore che non
le avessero fatto del male. Altrimenti, avrebbe trovato i colpevoli e
gliel’avrebbe fatta pagare molto cara, rifletté con un guizzo acuto d’ira.
Blair accarezzò con le dita il
fiocco liscio sul cerchietto, poi si spostò adagio una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. Quando quella ricadde subito in avanti, sfiorandole la guancia,
Blair fece spallucce.
“Senza uno specchio, non posso
rimetterlo bene.” commentò a bassa voce, indicando l’accessorio. “Quello che
avevo nella borsa si è rotto”.
Blair era la persona più forte
che Chuck avesse mai conosciuto, non c’era ostacolo che non riuscisse ad
affrontare con determinazione ferrea, o battuta perfida alla quale non sapesse
ribattere con altrettanta cattiveria. Per questo vederla triste e senza difese
lo colpiva sempre profondamente. Nella sua vulnerabilità, Blair era così dolce
da intenerire chiunque, perfino lui. Dolce, un aggettivo che nessuno
avrebbe mai creduto potesse descrivere Blair Waldorf. Ma Chuck l’aveva vista
quando suo padre era scappato con un modello, talvolta era stato con lei mentre
si prendeva cura di Serena nei suoi momenti più bui e sapeva che lo era. La
dolcezza faceva parte di quel carattere complesso e pieno di sfaccettature che
lo aveva irrimediabilmente sedotto, tanto quanto la malizia e l’arguzia.
“Davvero?” sussurrò, non perché
gli interessasse la sorte dello specchietto di Blair, ma perché per spingerla ad
aprirsi doveva rispettare i suoi tempi e le sue regole, tenendo a bada, anche se
con uno sforzo enorme, la propria fremente ansia.
Blair sospirò. “È accaduto
quando ho lanciato la borsa contro Serena, probabilmente. O quando ci siamo
cadute sopra insieme”. Sorrise, una smorfia effimera e senza gioia.
“Vi siete accapigliate?”
domandò, incuriosito, capendo la ragione dello squarcio sulla manica di lei e
della chioma in disordine con un silenzioso sospiro di sollievo. Nessuno
studente alticcio e in fregola aveva toccato la sua Blair, per fortuna.
Alleggerito dal peso di quella supposizione stomachevole, si concentrò sul fatto
che la discussione con la sua sorellina doveva essere stata piuttosto accesa e,
nonostante tutto, rimpianse di non essere stato presente: Blair e Serena che si
saltavano addosso e si strappavano i vestiti era una scena con notevoli
potenzialità erotiche. Quando Blair gli scoccò un’occhiata per studiare la sua
reazione, Chuck ne approfittò per rivolgerle con irriverenza un sorriso lascivo.
Fu ripagato da un’altra smorfia di lei, stavolta appena un po’ più naturale.
“Avevo vinto io. L’avevo
bloccata e, guarda caso, lei ha realizzato solo in quel momento che era stupido
e che dovevamo smettere.”
“Quando dici ‘bloccata’, intendi
che le hai imprigionato il viso fra le cosce, oppure...”
“Chuck!” lo redarguì Blair, e
Chuck fu lieto di vederla scuotere la testa e alzare gli occhi al cielo, gli
angoli della bocca arricciati in un piccolo sorriso. Compiaciuto, si mosse per
sedersi accanto a lei. L’erba bagnata dall’umidità della notte gli avrebbe
macchiato i pantaloni del completo D&G, ma non ci badò. E smise di
pensarci del tutto quando Blair, evidentemente molto provata dalla giornata
disastrosa, gli posò la testa sulla spalla.
“Abbiamo deciso di non essere
più amiche.” confessò, con un fil di voce. Che una cosa del genere si potesse
decidere, Chuck ne dubitava profondamente. Non che avesse molta esperienza
nel campo delle amicizie, ma quell’estate lui aveva deciso di dimenticarsi di
Blair per tornare a essere il vecchio se stesso ed era stato un fiasco completo.
Per cui, non credeva che la faccenda fosse così semplice.
“L’ha deciso lei.”
rettificò Blair, e la voce le si spezzò sull’ultima parola. Si schiarì la gola,
poi proseguì, con orgoglio: “E io le ho risposto che va bene. Perché va bene.
Benissimo. Anzi, ne sono felice. Sono stufa di vederla divertirsi senza
preoccuparsi di niente e di nessuno, rubandomi tutto quello che può alla prima
occasione, per poi venire da me a piangere ogni volta che ha un problema. È
ingiusto, non si merita ciò che ha. Tutti sono così ansiosi di darle
qualunque cosa voglia, solo perché lei è Serena Van Der Woodsen”. Pronunciò quel
nome con repulsione, come se fosse una volgarità, ma la voce aveva ripreso a
tremolare un poco e quindi si schiarì di nuovo la gola. “Io non farò più parte
della sua schiera di fan devoti. Sì, mi sono tolta un bel peso. E una volta al
college, avrò delle amicizie più alla mia altezza. Ammetterai che,
intellettualmente, Serena è piuttosto manchevole”. Il lungo sproloquio aveva il
suono monotono di una cantilena imparata a memoria e Chuck fu certo che Blair si
fosse ripetuta le stesse identiche frasi nella testa fin da quando lei e Serena
si erano divise, nella speranza che ad un certo punto suonassero vere. La sentì
ridere, sprezzante. “Probabilmente è ancora convinta che Les Fleurs du Mal
sia un profumo di Chanel. Sai che una volta, mentre facevamo shopping, ha
chiesto al commesso della profumeria se ce l’avevano in negozio?”
Chuck fece una breve risata
asciutta. “Probabilmente era ubriaca. O fatta.”
“O semplicemente stupida.”
replicò Blair, che quella sera non era dell’umore di concedere alcun alibi alla
vecchia amica.
“A proposito di persone
manchevoli, hai per caso visto Humphrey, di recente?”, magari con un occhio
nero, pensò maligno, ma non lo disse.
“Anche fosse, mi sarei voltata
dall’altra parte. Lo sai.” ribatté Blair sdegnosa, strappandogli un sorriso. Era
più che lieto che Serena non le avesse attaccato la sua insana passione per i
bassifondi. “Perché ti interessa? Non dirmi che siete diventati amici.” calcò
sull’ultima parola con sprezzo. Chuck era offeso che lei avesse avuto bisogno
anche solo di chiedergli una smentita. Lui e Humphrey amici era...
impensabile. Stava per sbuffare con indignazione quando gli venne un’idea
migliore.
“Beh, almeno per stasera, direi
che è il mio migliore amico”.
Blair sollevò un poco il capo
per scoccargli un’occhiata penetrante.
“Che cosa vorresti dire?”.
Chuck ghignò e le raccontò in
breve il piano per incastrare Humphrey. Quando ebbe finito, lei gli posò di
nuovo la testa sulla spalla.
“Astuto, Bass”, concesse,
laconica. Il fatto che non avesse incluso nel giudizio alcuno scrupolo morale
era una delle caratteristiche di Blair che lo facevano impazzire.
“Sì.”
“Come mai ce l’hai tanto con
Dan?”.
Il fatto che avesse capito
subito che proteggere Nate non era la sua unica motivazione era una delle
caratteristiche di Blair che sovente lo mettevano di in difficoltà.
“Non basta che sia banale,
insignificante e di Brooklyn?”
“Jenny Humphrey ha le stesse
caratteristiche, anzi, è molto peggio di suo fratello, e non gliel’hai mai fatta
pagare per averti lasciato in mutande al ballo in maschera. Dunque, Bass, no,
non ti credo.” obiettò lei, con acume.
“Non ricordo di aver mai punito
una ragazza perché ha desiderato vedermi nudo.” replicò lui, soave. “Se così
fosse, passerei la vita a prendermela con te, Waldorf”.
Uno sbuffo fu tutto ciò che lei
riuscì ad elaborare come risposta e Chuck sorrise, gongolante. Se non altro,
Blair non aveva la faccia tosta di negare la propria attrazione per lui. Gli
mancava il bisogno con cui lei gli schiacciava addosso il corpo snello e
morbido, l’ardore con cui gli faceva scivolare le mani dappertutto e il
desiderio con cui gli lasciava scie di baci roventi sul viso, sul collo e sul
petto. Qualche volta, si era ritrovato tracce di rossetto in posti che non aveva
mai creduto Blair potesse anche solo considerare di sfiorare con le sue
preziose labbra, prove tangibili che ciò che era accaduto con lei non era stato
solo un frutto particolarmente succoso della sua immaginazione. E nei giorni in
cui era particolarmente fortunato, un’altra prova dormiva sfinita nel suo letto,
formando linee sinuose e curve delicate sul lenzuolo che l’avvolgeva e rendendo
concreta una fantasia altrimenti letteralmente troppo bella per essere vera.
Sospirò. Gli mancava così tanto,
il sesso.
“Allora? Qual è stata la colpa
dell’ex giocattolino di Serena?”.
Chuck fu tentato di sviare la
conversazione, ma sapeva che Blair non ci sarebbe cascata, soprattutto perché
gli era impossibile applicare le sue principali tecniche di distrazione.
Tuttavia, non le avrebbe raccontato il suo momento umiliante in quella lurida
cella del commissariato. Nemmeno Blair conosceva il segreto della morte di sua
madre, e Chuck voleva che continuasse ad essere così. Si sentiva già
estremamente vulnerabile di fronte a quella ragazza, non era necessario che lei
venisse a sapere anche ogni dettaglio intimo e doloroso della sua vita. Blair
poteva essere una perfida stronza quando voleva e quella era un’arma troppo
potente da consegnare nelle sue mani.
Perciò, optò per una mezza
verità:
“Mi è stato troppo tra i piedi,
ultimamente.”
“Nient’altro?”.
Chuck annuì, e sebbene fosse
chiaramente incredula, Blair non insisté. Di certo aveva percepito la sua
riluttanza a trattare dell’argomento ed era troppo stanca e abbattuta per
lottare contro la sua recalcitrante resistenza. Così tacque, e lui tirò un
sospiro di sollievo.
Restarono in silenzio per un
po’. Chuck stava bene: gli piaceva la sensazione del lieve peso sulla sua spalla
e della presenza di Blair proprio accanto a lui. La brezza notturna gli
rinfrescava la fronte e gli faceva arrivare alle narici il profumo fruttato
dello shampoo di lei. Si permise di passarle il braccio dietro la schiena per
accarezzarle la spalla e Blair non protestò, quieta. Forse si era addormentata,
spossata dallo stress degli avvenimenti diurni. Nel caso, avrebbe dovuto
svegliarla, certo, ma... dopo. Per ora, era contento così. Gli era
mancato poterla abbracciare, e anche se era da bastardi approfittare del suo
momento di debolezza, Chuck non poteva farne a meno. Aveva bisogno di
Blair, anche nella forma di un innocuo contatto come quello, e se lo sarebbe
goduto finché poteva, moralmente giusto o sbagliato che fosse. Usò la presa
sulla spalla per attirarla più vicina, con delicatezza, poi le posò un bacio
leggero sulla testa.
Purtroppo per lui, Blair non
stava dormendo e quando la nuova posizione fece in modo che un seno di lei gli
premesse contro, lo dimostrò sollevando la testa e mormorando: “Così può
bastare, Bass”, nel tono più dispotico che conosceva. Chuck obbedì a malincuore,
ritirando il braccio e la osservò attentamente: Blair fissava dritto di fronte a
sé con sguardo appannato, e stritolava con le mani il cerchietto viola. Gonfiò
il petto in un respiro profondo, accentuando la curva del seno, poi si voltò
verso di lui e lo stupì con una domanda a bruciapelo:
“Non sei venuto in Toscana
perché ti avevo stancato?” parlò in fretta e distolse gli occhi subito dopo aver
finito.
“Cosa?”. Colto di sorpresa dal
repentino cambio di argomento e turbato dall’improvviso focalizzarsi su di lui e
sui suoi sentimenti, fu l’unica risposta che riuscì a pronunciare. Blair sbuffò
e si alzò in piedi di colpo, spolverandosi il fondo della gonna con una mano.
“Lascia perdere, Bass. Non era
importante.” commentò con freddezza. Si chinò per raccogliere da terra la borsa
e lui la precedette, afferrando la pochette e alzandosi in piedi a sua
volta, perché lo infastidiva che la gente torreggiasse su di lui, fosse anche
soltanto la sua irritabile amica d’infanzia e occasionalmente di sesso. Blair lo
fissò interrogativa e lui le sorrise, accattivante:
“Preferirei tenerla finché la
conversazione non è conclusa, se non ti dispiace. Non vorrei che me la lanciassi
contro”. Ci pensò su e aggiunse, vizioso: “Anche se sarei lieto di vederti usare
ancora su di me la tua famosa presa di cosce.”
“La conversazione è
conclusa.” ribatté lei con astio, dedicando alla non tanto velata allusione alla
loro passata vita sessuale solo uno sguardo nauseato. Peccato che non potesse
controllare il rossore che le si diffondeva sulle guance, pensò Chuck con un
ghigno.
“Non per me.” obiettò, con un
tono categorico che lasciava intendere che era lui a decidere. Blair percepì
l’arroganza nella sua voce e fece una smorfia stizzita, ma non replicò. Chuck
sfruttò il silenzio per soppesare accuratamente la prossima mossa. Non gli
andava di confidarle di nuovo come si era sentito tutta l’estate (era già stato
difficile e penoso al White Party, e lei lo aveva ricompensato montando
sulla decappottabile di un altro e mollandolo lì), ma non voleva nemmeno farla
andare via delusa di nuovo da lui.
“Non ero stanco di te”, confessò
alla fine, spiccio. Lo sguardo di lei era così intenso da essere quasi
insopportabile, così si affrettò a spostare l’attenzione su qualcun altro: “E
nemmeno Serena lo è. Risolverete i vostri problemi, come sempre”.
Blair fece un verso scettico.
“Ora che hai avuto modo di
pronunciare questa imperdibile perla di saggezza, posso riavere la mia borsa?”
Chuck le porse la pochette.
Le loro dita si sfiorarono per un momento mentre Blair la prendeva e lui ricordò
che qualche volta le avevano intrecciate mentre si muoveva dentro di lei. Era
stata così morbida e stretta, pensò, mentre percepiva un prurito familiare
sbocciare fra le gambe. Pretendeva di essere baciata continuamente, tanto che
gli soffiava sempre gemiti e ansiti caldi contro la bocca; e poi c’era il modo
in cui gli si aggrappava e tremava tutta mentre veniva... semplicemente
indimenticabile.
Avrebbe tanto voluto riaverla, e
non per una notte, come le aveva chiesto la sera del blackout. Una sola notte
non sarebbe mai stata abbastanza. Blair gli scoccò un’occhiata incerta e Chuck
si accorse del suo imbarazzo. Forse non era l’unico ad avere pensieri impuri,
rifletté compiaciuto.
“Vuoi che ti accompagni fino
alla tua camera?” chiese provocante, perché tentare non costava nulla, e lui
avrebbe messo in gioco perfino tutto il suo patrimonio per sedurla.
“Oh, non ti disturbare”.
Chuck scosse la testa. Non
capiva perché Blair dovesse essere così cocciuta da negare ad entrambi quel
rilascio tanto agognato. Ad ogni modo, si consolò, era soltanto questione di
tempo prima che lei tornasse nel suo letto, sudata e vogliosa. Nessuna donna
poteva resistergli a lungo, nemmeno l’altezzosa Blair.
“Allora buonanotte, Waldorf.”
“Sì, altrettanto.” ricambiò lei
distrattamente, sventolando la mano, poi ruotò su se stessa e si allontanò.
Chuck era sicuro che lei e Serena avrebbero fatto pace. I loro litigi non
duravano mai molto (a meno che una delle due non spariva per mesi in un collegio
del Connecticut, ma dubitava che sarebbe accaduto di nuovo). La seguì con lo
sguardo finché non girò l’angolo, poi s’incamminò a sua volta. Tanto per
assicurarsi che arrivasse a destinazione sana e salva, si disse fra sé e sé. E
se nel frattempo poteva godersi la vista del suo delizioso lato B, tanto meglio.
Fine#15
Note dell’Autrice:
[1] “Lucky to be a Woman” è la traduzione del titolo “La fortuna di
essere donna”, un film del 1956 con Sophia Loren.
[2] Il finale è un po’ da stalker, lo so.^^ Ma Chuck talvolta è
uno stalker, dunque...
[3] I ringraziamenti alle recensioni sono stati spediti col solito
metodo. Vi sono davvero grata per il vostro sostegno.
Alla prossima storia,
Melany
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