Bicchiere~
Le
possenti mani stringevano
saldamente il bicchiere in vetro ormai quasi vuoto. La sua unica
occupazione,
in quei noiosi giorni che si succedevano l’un
l’altro come una lenta e monotona
melodia infinita, era quella di
trangugiare qualsiasi tipo di alcolico trovasse nei mobili - bar della
residenza. Alcune volte, a sommarsi a quella, vi era il rituale del
‘lancio del
bicchiere contro Squalo’, purtroppo -in particolare per i
nervi di Xanxus- lo
spadaccino era un po’ che non si vedeva: probabilmente, dopo
l’ultimo boccale
di birra che aveva ricevuto vicino ad una tempia, stava cercando di
evitare
qualsiasi contatto con il suo superiore.
Il
boss dei Varia poggiò il
bicchiere sul tavolo posto accanto alla poltrona su cui, stravaccato,
sedeva;
il rumore poteva essere paragonato ad uno sparo, oppure alla rovinosa
caduta di
un oggetto pesante sul pavimento. In realtà era soltanto il
nervoso che saliva:
la noia lo stava torturando, e l’unico modo che conosceva per
distrarsi era
dare fastidio e, non essendoci il secondo in comando in giro,
optò per il
bicchiere. Essendo ancora integro dopo lo schianto, non contento, lo
lanciò
contro la porta.
Gli
mancava, in fondo.
Girava
il sottile anello
continuamente, muovendolo intorno all’anulare, sfilandolo e
rindossandolo. Erano
ormai ore che si dedicava soltanto a quel silenzioso movimento, con lo
sguardo
perso nel vuoto. Superbi Squalo, non si curava di nessuno, immerso
nella
perpetua confusione creata da Belphegor
e Lussuria che, per sua fortuna, neanche ascoltava. Sul suo volto
troneggiava
una benda bianca che gli cingeva la fronte, coprendo il livido
procuratogli da
Xanxus. Odiava quell’uomo, tutte le volte che lo vedeva, sia
che fosse nervoso
o semplicemente annoiato, gli lanciava qualcosa in testa, in
particolare
fungevano da ‘proiettili’ i bicchieri dal pregnante
odore di alcool che aveva
perpetuamente in mano. Subito dopo, naturalmente, il povero Squalo
urlava sempre
lo stesso monosillabo «VOOOOOIII!».
Quella
volta però il dolore che
aveva causato il boccale lanciato contro il suo volto aveva superato la
soglia
della sopportazione. Lo spadaccino, dopo aver gridato, era
sgattaiolato,
iracondo, fuori dalla stanza del Boss, e si era rifugiato nel salotto
dove
aveva iniziato a maledire il suo superiore.
“È
andata bene che non mi
ammazzato, quel cretino!” e quello stesso
‘cretino’ era fortunato ad essere un
gradino più alto nella scala gerarchica dei Varia,
altrimenti sarebbe stato
sicuramente trapassato dal vero amore di Squalo: la sua spada.
In
quel momento però, si sfilò l’anello
della pioggia, e lo lanciò contro Lussuria. Maledetto,
maledetto Xanxus, lui ed
i suoi stupidissimi bicchieri puzzolenti di Vodka! Quanto lo detestava,
lo
avrebbe soffocato a mani nude, se solo lo avesse avuto a portata di
mano. Se
solo non gli fosse affezionato. Dio, se gli mancava, in fondo!
Il
volto abbandonato sul
poggiatesta della morbida poltrona, gli occhi socchiusi e le gambe
allungate
sul tavolinetto, tanto per sporcare un po’ con i suoi stivali
terrosi tutto ciò
che vi era sopra. Xanxus sonnecchiava, dondolando un braccio penzoloni,
mentre
l’altro, abbandonato sulla pancia, sorreggeva
l’ennesimo bicchiere vuoto. Stava
cercando l’inesistente voglia di alzarsi e trascinarsi in
cucina, quegli idioti
dei suoi sottoposti non gli avevano portato niente di decente da
mangiare,
prima o poi si sarebbe mangiato loro. Dov’era squalo quando
serviva? Lui era
effettivamente l’unico che riusciva a tenerlo
‘buono’, o almeno a non farsi
uccidere per un filetto di manzo troppo cotto.
Come
un felino stanco si alzò,
stiracchiandosi leggermente le braccia, ed uscì dalla
stanza, aprendo la porta
con un calcio, poco importava se era notte e magari la gente voleva
dormire.
La
fioca luce del corridoio,
sommata a quella pallida lunare, illuminavano il cimitero nella stanza
del Boss
dei Varia: bicchieri frantumati, bottiglie aperte, vuote o quasi,
sparse sul
pavimento, cartacce e qualche libro aperto sul pavimento, tutti sporchi
della
fanghiglia che lui si portava dietro da giorni, residuo della
passeggiata
mattutina in giardino.
Xanxus
sbuffò e si voltò,
osservando quel paesaggio devastato, poi attraversò la porta
per andare a
prendere la bottiglia di Rhum che stava bevendo fino a poco prima, per
utilizzarla come bevanda durante lo spuntino di mezzanotte. Mentre vi
si
avvicinava, calpestando quell’insieme di oggetti sporchi, i
suoi occhi
incontrarono il profilo del bastone di un vescovo, spezzato a
metà. Le sue
labbra si incresparono in un ghigno. Quella volta Squalo aveva
afferrato il
bastone e lo aveva troncato a metà, affermando soddisfatto
che non aveva
bisogno di andare a sentire qualcuno parlare di una seconda vita
pacifica o di
un’eterna dannazione, lui aveva già entrambe.
Xanxus lo aveva lasciato fare,
tanto non avrebbe saputo cosa farne di quello scettro consacrato, e,
quella
stessa volta, non aveva capito minimamente le parole dello spadaccino,
pensando
che fossero effetto dei troppi bicchieri di alcolici bevuti.
Il
ghigno cadde, mentre le gambe
superavano con un solo passo quell’oggetto infranto, e le
mani strinsero la
bottiglia fredda. Xanxus si voltò, e con decisione
uscì per la seconda volta
dalla stanza per recarsi nella cucina.
Alla
fine si era addormentato, e
nessuno aveva avuto il coraggio di svegliarlo e ciò non
perché facesse
particolarmente tenerezza, o fosse così carino mentre
dormiva, ma semplicemente
perché tutte le volte che qualcuno lo disturbava iniziava a
sbraitare ed a
cercare di uccidere lo sfortunato. Perciò Squalo, aprendo
lentamente le
palpebre, sbattendole un paio di volte, cercò di capire dove
fosse. Si mise a
sedere, constatando che Morfeo lo aveva trascinato nel mondo dei sogni
sul
divano del salotto, anche piuttosto scomodo. Fu per questo che si
alzò dopo
qualche minuto, camminò con lo stesso passo traballante ed
assonnato di un
ubriaco, nonostante non avesse bevuto un sorso di alcolici da giorni; piano piano la sua camminata
acquistò
sicurezza, così come il suo umore nero. Si stava calmando, e
pensava alla
dormita che si sarebbe fatto, ed
alla
missione del giorno dopo, finalmente non avrebbe passato il tempo ad
annoiarsi.
Soltanto
una pallida luce
illuminava il corridoio che lo spadaccino stava percorrendo. “Quegli idioti devono cambiarle le
lampadine
quando non fungono! Domani mi sentirà, quella
feccia!” I suoi pensieri
furono però interrotti dalla visione di una figura che
usciva da una stanza.
Una figura ben nota.
I
loro occhi si incontrarono, uno
sguardo neutro, piatto, l’aumento della camminata da parte di
entrambi, il
pensiero delle parole dell’altro nella mente del moro, il
rumore del pulsare
del sangue nella tempia dell’albino. La tensione che si
tagliava con un
coltello. Un movimento rapido di uno, verso il lunghi capelli
dell’altro, una
mano che si serrava sul lembo del soprabito del primo.
Fra
le dita di Xanxus scivolavano
lisci come seta i capelli candidi di Squalo, che, a sua volta,
stringeva la
stoffa calda dell’indumento del suo Boss. I loro occhi si
incrociarono, uno
sguardo profondo, sprezzante, dispiaciuto, triste e, in un certo senso
affettuoso. «Ti odio, Boss» affermò il
secondo in comando, fermandosi. «Tsk,
l’hai già detto che sono il tuo inferno,
feccia» ribatte l’altro,
immobilizzandosi, e passando la sua mano fra i lunghi capelli setosi.
Le labbra
di Squalo si incresparono in un sorriso «allora, in fondo, un
po’ di memoria e
cervello li hai anche tu». Xanxus si voltò,
lasciò i capelli dell’altro e con
quella mano andò ad allentare la stretta sulla sua giacca,
fino ad annullarla,
poi, con la sua solita delicatezza, abbandonò la testa sulla
spalla di Squalo,
e cinse il suo busto con le braccia.
«Puzzi
di rhum» il volto del moro
aveva quell’odore, lo stesso odore di sempre, Squalo ormai
non ci faceva più
caso, ma non si lasciava comunque mai scappare il momento di
rinfacciarglielo;
l’altro sbuffò, e chiuse gli occhi «sei
noioso, guarda che ti leggo la bibbia,
se non la smetti» ribatté, prima di sorridere,
quando il fruscio dei capelli
dell’albino gli giunse all’orecchio, e
sentì il suo volto ed il suo respiro
sulla sua guancia.
«Te
l’ho già detto, non ho
bisogno di morire per andare all’inferno o in paradiso, li ho
già, entrambi,
qua».
Xanxus
abbozzò un sorrisetto «e
allora smettila di lamentarti, non ti ho fatto poi così
male, era solo un
boccale di birra, in fondo». L’interpellato scosse
con un piccolo movimento la testa,
in segno di dissenso, poi strappò dalle mani
dell’altro la bottiglia ancora
abbastanza piena, la lasciò cadere a terra e si
girò.
Le
loro labbra si incontrarono, i
due si baciarono, con ardore, e la luce fioca di quelle inutili
lampadine morì
definitivamente, forse spenta da qualcuno, mentre i loro volti erano
illuminati
dal chiarore della luna.
Levi,
sconvolto, da quella sera
non osò più alzarsi per andare a bere un bicchier
d’acqua di notte.
writer's
place~
Questa
è stata la mia prima fanfiction, ok, non porpio la prima,
avevo scritto
una paginetta su Kuroshitsuji, e ne avevo iniziata una di un paio di
pagine sempre sullo stesso, ma giacciono in un quaderno, e dubito
verranno mai riscritte X°°D Quindi considero questa SansaSqualo la
prima FF >w< scritta su costrizione di mia
sorella. Praticamente
dovevamo scrivere qualcosa su Xanxus e Squalo che contenesse questa
parole: vescovo, mano, soprabito, tavolo, anello.
Probabilmente i poveri Sansa e Squaro (?) sono OOC.
Ringrazio chi avrà il coraggio di leggerla ♥
Bannie
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