Fuori si combatteva una guerra, dentro vorticava l’universo di MrEvilside (/viewuser.php?uid=62852)
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Fuori si
combatteva una guerra, dentro vorticava
l’universo
«Oh,
Lucifero,» cantilenò «vorrei che tu
potessi
vedermi com’ero prima».
Stravaccato
su un trono di pietra consumato dai
rampicanti, teneva accavallate le lunghe gambe nude e il viso
riposava sulle nocche d’una mano mentre le dita della gemella
si
intrecciavano ad una ciocca dei lunghi capelli color zaffiro.
«Odio
questo aspetto» riprese, più a se stesso
che a Lucifero, che si trovava in piedi alle spalle dello scranno,
come un fedele servitore. «Mi ricorda…»
Passò
un dito sulla propria guancia. La percepì
tonda, eccessivamente tonda per un adulto, attraversata da un
reticolo di tentacoli simili a cicatrici.
«…
com’ero quando Dio mi creò».
«Ti
ricorderò com’eri prima di divorare
Sandalphon» affermò con freddezza Lucifero, senza
muovere quasi
neppure le labbra. Stringeva i bordi dello schienale con le grandi
mani bianche e si perdeva distrattamente tra le ciocche azzurre
dell’angelo inorganico.
«Ti
ringrazio, Lucifero». Si compiacque, Rosiel,
nell’udir echeggiare la propria risata e scoprire che era
ancora
bella e armoniosa com’era stata prima che si impadronisse dei
poteri di Sandalphon. Reclinò il capo
all’indietro, incrociò lo
sguardo senza espressione del signore oscuro e allungò le
braccia
verso di lui, come un bimbo che voglia essere preso in braccio dalla
sua mamma. «Mi sto annoiando, quello stupido non arriva
mai!»
sbuffò con voce lamentosa, mentre Lucifero si chinava per
permettergli di cingergli il collo. «Voglio fare un
gioco!»
Se
non fosse stato Rosiel, Lucifero avrebbe creduto
sciocca una creatura che volesse giocare durante una guerra terribile
quanto quella in atto. Eppure l’angelo inorganico, dietro
quel bel
volto sorridente, nascondeva amarezza, smania di vendetta, amore
proibito e timore, anche, al pensiero di ciò che lo
aspettava
nell’Etenamenki.
Il
signore oscuro era un demone arrogante, sin
troppo consapevole delle proprie capacità eccezionali, ma
sarebbe
stato uno stupido a sottovalutare Rosiel.
«A
che gioco desideri giocare?» volle sapere,
gelido e gentile ad un tempo.
L’angelo
inorganico rifletté per qualche istante,
poi stiracchiò gambe e braccia in un gesto che manifestava
con
eloquenza la sua noia. «Chiama il tuo giullare, il Cappellaio
Matto»
decise infine. «Fa’ che mi diverta un
poco».
Belial
apparve nel giardino abbandonato, obbediente,
pochi momenti dopo che Lucifero l’ebbe chiamata al suo
cospetto, e
si inchinò a lui, sfilandosi il cappello che immancabilmente
indossava.
«Posso
fare qualcosa per voi, mio signore?»
domandò con fare servile, senza osare alzar la testa dalla
sua
posizione di totale sottomissione, né gli occhi chiari dal
suolo.
Aveva indosso uno di quei suoi elaborati abiti maschili che
ricadevano in pieghe infinite; magnificamente sensuale, invero, si
prestava alla vista, non fosse stato per i tratti femminei del volto
e la mancanza di curve del corpo, che contrastavano in modo
sgradevole. Una manica bianca recava uno schizzo scarlatto, oramai
secco, unica imperfezione ad indicare che era di ritorno da un
combattimento.
Perché
fuori – fuori da quell’universo isolato,
fuori dall’Atziluth, appena al di là del cancello
– si
combatteva una guerra.
«L’angelo
inorganico ha richiesto la tua
presenza» disse Lucifero, laconico, accompagnato da un passo
indietro, come per porsi al di fuori di quella situazione.
Soltanto
allora il Cappellaio Matto levò il capo e
affisse le proprie iridi azzurre in quelle di Rosiel senza
più il
minimo accenno di reverenza: forse quell’angelo possedeva il
potere
di far obbedire il suo signore, tuttavia non aveva alcun ciondolo che
potesse assoggettare lei alla sua autorità. Se Rosiel fosse
stato
fuori dai cancelli del Cielo Supremo, come ogni altro suo simile, e
non seduto su quel trono, con Lucifero dietro di sé al pari
di
un’ombra, l’avrebbe ucciso.
«Desideri,
signor Rosiel?»
Non
vi era nemmeno un assaggio del rispetto che
nutriva nei confronti del signore oscuro, nella domanda che rivolse
all’angelo inorganico; lo apostrofava
“signore” più per gioco
che per autentica deferenza.
Belial
aveva incontrato molti uomini. Talvolta si
chiedeva se non avesse conosciuto tutti gli uomini della Terra, tutti
gli angeli del Paradiso e tutti i demoni dell’Inferno, sia
nella
vita quotidiana che a letto, eccezion fatta per Asmodeus, il suo
padrone Lucifero e Rosiel l’angelo inorganico.
Quest’ultimo –
doveva ammetterlo suo malgrado – era tra gli individui
più
stravaganti con cui avesse avuto a che fare.
Anziché
trovare irritanti oppure seducenti i suoi
comportamenti, appariva unicamente divertito: una continua sconfitta,
per il Cappellaio, che non aveva la soddisfazione di farlo cadere ai
suoi piedi né di infastidirlo. Al contrario di Lucifero, non
mostrava disgusto, nei suoi confronti, ma neppure particolare
desiderio. A tratti sembrava davvero soltanto un bambino che voleva
giocare, altre volte la sua maturità – sbocciata
di pari passo con
la follia – era terrificante.
Se
soltanto Belial avesse scoperto il punto debole
di quello strano avversario. Se soltanto.
Forse
Lucifero ne era a conoscenza: naturalmente,
però, non avrebbe mai messo a parte proprio lei di quel
segreto, lei
che era soltanto feccia persino all’Inferno. O forse nemmeno
lui
sapeva davvero; forse, come gli altri, era convinto che Rosiel
davvero stesse compiendo un simile scempio solo per amore della
sorella.
Anche
se non ne provava, il Cappellaio Matto
conosceva l’amore.
Per
amore – di qualunque natura fossero – gli
uomini uccidevano, si uccidevano, ferivano, si tormentavano, gioivano
come mai Belial avrebbe ritenuto che qualcuno potesse gioire e poi
finivano per soffrire come nessuna creatura dovrebbe mai.
L’amore
era distruttivo, nonché autodistruttivo, in particolare
quello
proibito.
Esso
creava sì guerre terribili quanto quella che
si stava combattendo, eppure in Rosiel v’era qualcosa di
differente. Come se ciò per cui stava lottando fosse
qualcosa di più
alto di un amore incestuoso.
Scoprire
di che cosa si trattasse era divenuta la
più grande guerra del Cappellaio contro l’uomo che
era riuscito ad
asservire al proprio potere il suo padrone al posto suo.
«Facciamo
un gioco» propose l’angelo inorganico
con quella sua disgustosa voce di zucchero. Fece un cenno a Lucifero
e soggiunse verso di lui: «Lasciaci soli». Il
signore oscuro lasciò
il giardino accompagnato dal frusciare delle proprie vesti;
probabilmente sarebbe andato a vegliare sul corpo di Alexiel
–
dedusse Rosiel dalla direzione che il demone prese – quale
pateticità.
L’angelo
inorganico attese di essere completamente
solo con Belial, quindi le ordinò di avvicinarsi con un
gesto mentre
si metteva a sedere e allargava le gambe candide in una posizione sin
troppo esplicita.
Il
Cappellaio Matto si accostò al trono e chiese in
tono divertito: «Vuoi sporcarti le mani con un demone
ignobile come
me, Rosiel?»
Lui
la guardò con un’espressione altrettanto
divertita, nonché compiaciuta. «Voglio togliermi
la curiosità e
vedere che cos’è che disgusta tanto
Lucifero» rivelò. «Su,
chinati».
Fu
strano abbassare la testa verso quel bambino ed
essere afferrata sul mento da due sue dita in modo così
brutalmente
imperioso; Rosiel attirò il suo viso ad un soffio dal
proprio e la
costrinse, così facendo, a sedersi sulle sue ginocchia. Non
disse
nulla, semplicemente inchiodò gli occhi nei suoi mentre
– senza
fare complimenti – le tirava giù i calzoni e
l’intimo sulle
cosce e arrotolava l’orlo della propria camicia bianca poco
sotto
l’ombelico.
Un
unico, svelto sguardo a ciò che si apprestava a
prendersi, poi alzò di nuovo gli occhi su di lei.
«Non
sembra così male» la schernì in tono
mellifluo. «Come mai Lucifero è così
restio a cederti?» Inclinò
la testa da un lato, come se davvero gli importasse della risposta.
«E
tu?» sibilò Belial. «Perché
mai la tua amata
sorella è così restia a concedersi a
te?» Un sorriso deliziato le
increspò le labbra quando l’angelo inorganico
spalancò gli occhi,
sorpreso dall’attacco inaspettato, e un istante dopo li
ridusse a
due fessure indignate. «L’angelo più
bello dell’universo che
disgusta la sua stessa sorella… Che tristezza».
«Non
è il caso che sia proprio tu a parlare,»
ribatté Rosiel, sebbene improvvisamente sembrasse turbato
«dal
momento che l’unico uomo che desideri quasi non sopporta la
tua
presenza».
«Finché
il mio signore oscuro avrà bisogno di me
e mi terrà al suo fianco, io sarò
soddisfatta,» sentenziò il
Cappellaio, consapevole di averlo punto sul vivo «ma te non
basta,
vero? Non ti basterebbe, se tua sorella ti volesse bene. Tu vuoi che
lei provi nei tuoi confronti la stessa voglia disgustosa che provi tu
nei suoi. Che squallore».
I
ruoli si erano ribaltati, come aveva progettato:
l’angelo inorganico adesso si ritraeva da lei e non voleva
toccarla; al contrario, Belial aderì al suo busto con il
proprio,
così vicina che poteva quasi essere penetrata.
«Suvvia,
Rosiel, ammettilo: è squallido.
Lei non ti desidera e non lo farà mai… E smetti
di nasconderti
dietro la voglia di lei» soggiunse e sogghignò nel
vederlo
osservarla con sincero stupore. Solitamente era un demone mite, il
Cappellaio Matto: poche altre volte era stata così tagliente
con
qualcuno – eccezion fatta per gli uomini che le avevano
giurato
amore eterno dopo il sesso; quelli avevano ricevuto soltanto un
freddo addio. «Davvero la vuoi così tanto che ti
ridurresti in
questo stato pietoso per lei? Davvero ti struggi così tanto
di
desiderio da combattere una guerra in suo nome? Non ingannerai
proprio me, il Satana della Superbia: noi ci somigliamo
troppo».
Un
ultimo colpo.
Forse
non avrebbe ottenuto la guerra, quella volta,
ma perlomeno la battaglia sarebbe stata sua.
«A
te interessa il tuo Dio, non è così? Quello
che vuoi davvero è trovarlo e chiedergli perché
non ti ha mai
amato. Perché ti odiava ancora prima che tu nascessi e
perché ti ha
creato, se davvero eri tanto ripugnante per lui».
Per
cacciarla da sopra di sé, Rosiel si alzò in
piedi di scatto e al tempo stesso le tirò uno schiaffo. Uno
come
tanti altri che aveva ricevuto nel corso della sua vita infinita,
intriso di rabbia e disprezzo: la sua testa scattò da un
lato, ma
Belial si ricompose senza reagire in alcun modo e si
rassettò con
cura gli abiti.
«Vattene»
ordinò l’angelo inorganico, gelido,
senza che un solo muscolo tradisse il suo turbamento interiore.
«Non
è stato dilettevole come pensavo. Sparisci, relitto di
demone».
Il
Cappellaio Matto si profuse in un inchino
beffardo, si sistemò il cappello ed infine gli diede le
spalle. Lo
udì chiamare Lucifero, percepì il lieve suono
delle vesti nere del
suo signore che strisciavano sulla pietra nuda del giardino e i
lamenti di Rosiel, che reclamava le sue braccia attorno alla vita.
Non
aveva importanza. Prima o dopo, quelle stesse
braccia avrebbero cinto i suoi fianchi sottili e allora lei avrebbe
potuto negarsi ad esse.
Per
il momento, sarebbe uscita dall’Atziluth.
Perché
fuori si combatteva una guerra e lei doveva
onorare il suo signore con il sangue degli angeli.
Perché
dentro aveva appena finito di combattere e
aveva scoperto qualcosa – quasi per caso, in
realtà, quando il
ribrezzo aveva sprigionato dalla sua gola quelle affermazioni sul Dio
che Rosiel cercava – che mai avrebbe creduto possibile, da
parte di
un individuo come l’angelo inorganico.
Rosiel
amava. Amava suo padre, come fa ogni bimbo.
E
sanguinava, perché sembrava che Dio non amasse
lui.
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