Autore:
Simphony.
Titolo
della storia:
Follia.
Fandom:
Merlin.
Genere:
Drammatico, Angst.
Rating:
Giallo.
Pairing:
Arthur x Merlin.
Avvertimenti:
One Shot, Slash.
Numero
Scelto: 8
– Negozio di Bare.
Caratteristica
scelta:
Mitofobico.
Note
dell’autore:
/
*°*
Follia
*°*
Merlin
non avrebbe mai creduto di arrivare ad un tale senso di follia. Non
avrebbe mai creduto che un giorno tutto il mondo si ribaltasse in
quel modo.
Sembravano
in balia di una tempesta, ma la verità era che la tempesta
altri non
era che Uther stesso.
Un
tirannico e dispotico sovrano che sembrava rovesciare il mondo come
tutti lo conoscevano.
Tutti
sapevano della fissazione di Uther e della sua avversione verso la
magia. Quasi nessuno invece sapeva che tutto era iniziato con la
nascita di Arthur, con il sacrificio della madre, con la maschile
volontà di un erede che Ygraine non gli poteva dare.
Ma
mai, mai Merlin aveva pensato di vedere la scena che gli si
presentava davanti gli occhi.
Tutto
causato dalla paura di Uther per coloro che erano diversi da
lui.
Tutto causato dal terrore che il male si annidasse in quella
che lui pensava fosse la ridente e felice città di Camelot.
La
paura gli offuscava gli occhi. Gli aveva tolto il senno.
Perché
solo un uomo che ha perso la ragione manderebbe il proprio figlio al
rogo.
Arthur
aveva passato due giorni in prigione. Avrebbe dovuto essere frustato
per l'uso della magia, ma le guardie si erano rifiutate appena Uther
aveva lasciato la cella.
Ma
fino a che lui non lo aveva abbandonato, loro non avevano potuto fare
altro.
Subito
allora Merlin era stato chiamato e portato nella cella con dei
medicinali.
Arthur
non voleva farsi curare da nessun'altro, nemmeno da Gaius.
Mentre
ritornava dal mercato della città bassa, incredibilmente
silenziosa
dopo che la notizia dell'imminente morte del Principe aveva fatto il
giro di tutta Camelot e dintorni, Merlin si fermò, senza
volerlo,
davanti ad una bottega.
I
brividi lo iniziarono a scuotere, mentre gli occhi diventavano
lucidi.
Davanti
a lui, una bara, di mogano nero.
Davanti a lui, il luogo dove il
suo signore avrebbe passato il resto della sua esistenza, una volta
morto.
Il
venditore si affacciò, guardando chi era.
Tutti
alla città bassa lo conoscevano. Era il servitore di Arthur,
il
futuro Re.
L'uomo
fissò il mago.
«
Mi dispiace per il Principe. » disse solo rientrando nel
negozio
senza guardarlo oltre.
Merlin
chinò gli occhi, stringendo a sé la borsa con le
erbe mediche. Poi
riprese a camminare senza guardarsi intorno, rientrando al palazzo.
Scese
fino alle prigioni, entrando nella cella dove Arthur giaceva, ferito
e sanguinante.
Quante
volte Merlin aveva visto la bianca e liscia schiena del suo Signore?
Quante volte aveva potuto ammirare la sua perfezione?
Eppure
ora strisce di sangue, che simboleggiavano la pazzia di un uomo nei
confronti del proprio figlio, ombravano la perfezione a cui era
abituato e si costrinse a non piangere.
Non
voleva e non poteva.
Non
voleva credere a quello che stava accadendo e non poteva permettere
che tutto quello continuasse.
Non
poteva crederci.
Arthur
era davvero ansimante e sanguinante fra le sue braccia.
Davvero
le sue lacrime gli stavano scivolando fra i capelli biondi.
Era
assurdo.
Era
solo un incubo. Si sarebbe svegliato, in ritardo, sarebbe arrivato da
Arthur con la colazione in ritardo e una coppa sarebbe invece
puntualmente volata verso di lui, lanciata da un Principe furioso,
già sveglio e pimpante.
Arthur
gli prese il polso. Tossiva sangue.
Cosa altro gli aveva fatto il
padre?
«
Smetti di piangere. » gli ordinò «
Femminuccia. » borbottò asciugandosi la bocca
sanguinante con un
lembo della camicia che indossava.
«
Vedrete, vostro padre tornerà in sé. »
sussurrò solo mentre
passava delicatamente la pezza bagnata sulla schiena del padrone «
Lui... non può davvero continuare con tutta questa follia.
»
mormorò inghiottendo un singhiozzo, rivolto più a
sé stesso che al
ragazzo che stava medicando.
«
Fai piano. » lo rimproverò aspro Arthur senza
guardarlo.
Arthur
appoggiò la fronte contro i polsi, socchiudendo gli occhi.
Non
poteva vedere Merlin in quelle condizioni.
Non
poteva continuare a vederlo piangere, per causa sua. Non era
così
che doveva andare.
Lui
doveva essere felice. Con lui, se possibile.
Artigliò
la paglia con tutta la forza che aveva, imponendosi di non gridare.
Non
era mai stato frustato prima di quel giorno. Non era mai stato
imprigionato prima di allora, non per una causa seria. Per quanto
avesse cercato in tutti quegli anni di evitare ogni ingiustizia ai
prigionieri, non si era mai trovato sulla riva opposta del fiume.
E
sentire la mano, seppur leggera di Merlin con una pezza disinfettata
sulle sue ferite vive, gli sembrava ogni secondo una sconfitta su
tutta la linea.
Merlin
continuava a trattenere i singhiozzi, anche se tutto quello sforzo
continuava a non servire a nulla dato che Arthur poteva sentire ogni
respiro del ragazzo come se fossero urla nelle sue orecchie.
«
Puoi smettere di piangere per favore? » ringhiò
cercando di
guardarlo.
Il
solo storcere leggermente il collo gli procurava dolore.
Rinunciò
quasi subito alla sua impresa. Anche perché non voleva
continuare a
vedere il volto rigato dalle lacrime di Merlin un secondo di
più.
«
Non avete paura? » sussurrò Merlin dopo quasi
un'ora di silenzio.
Arthur
osservò le mani bianche del ragazzo che strizzavano la pezza
bagnata
nella bacinella. Osservò l'acqua un tempo limpida, adesso
rossa del
suo stesso sangue.
«
Solo i codardi hanno paura. Io sono il principe. Non sono un codardo.
»
«
Morirete. Avere paura della morte non vuol dire essere un codardo.
»
esclamò Merlin quasi con rabbia continuando a strizzare la
pezza
nella ciotola.
«
Non dirmi come mi devo comportare. » replicò il
principe «
Finisci il tuo lavoro. E questa sera lascia Camelot. Vai lontano da
qua. »
«
Cosa? Arthur, siete impazzito? » sussultò «
Io... cercherò di parlare con vostro padre e allora voi...
»
«
Se cerchi di parlare con mio padre. » lo interruppe il biondo
seccato «
Farà mettere al rogo anche te. Questa sera lascerai Camelot,
per non
farvi più ritorno. » ripeté voltandosi
lentamente e dolorosamente
verso il servitore.
«
Principe, io... »
«
Non voglio che tu veda. » urlò esasperato «
Non voglio che tu veda mentre mi portano là sopra, non
voglio che tu
veda quando accenderanno il fuoco, non voglio che tu mi veda mentre
brucio vivo. » continuò mentre gli occhi scuri,
solitamente onesti
e un po' ribelli, si riempivano velocemente di lacrime.
«
Merlin, tu non devi trovarti a Camelot domani mattina. »
ripeté
quasi più dolcemente «
Me lo devi promettere. »
Il
giovane non rispose, ma si limitò a continuare il suo
lavoro,
cercando di muoversi il più lentamente possibile.
Merlin
non voleva andarsene. Non voleva scappare da Camelot mentre il suo
ragazzo, il suo Principe, l'uomo con il quale il suo destino era
legato, moriva bruciato a causa della pazzia di un uomo.
Un
uomo che per estirpare la magia dal proprio regno, non ci aveva
pensato due volte e aveva condannato Arthur al rogo. Il proprio
figlio.
Il
proprio amato
e sofferto
figlio.
Non
aveva perso solo la moglie a causa della propria ottusità.
Ma
le sue stesse mani, per la seconda volta si macchiavano del proprio
sangue, del sangue di chi amava e di chi aveva sempre sacrificato
tutto quanto pur di compiacerlo.
Prima
Ygraine, che con l'inganno ha partorito un figlio a cui non avrebbe
potuto fare da madre.
Poi
Arthur, il figlio tanto voluto, per la quale aveva sacrificato la
donna che amava e che adesso attendeva con una regale rassegnazione
la propria sorte.
Era
riuscito ad alzarsi a sedere, nonostante le proteste del compagno e
fissava con sguardo vuoto le grate della prigione, dalla quale poteva
vedere le sue stesse guardie che portavano fasci e fasci di legna da
bruciare.
Per
lui.
Ogni
tanto qualche popolano cercava di fermarle, ma invano. Chinando la
testa, anche gli uomini che più amavano il principe dovevano
eseguire gli ordini del Re.
«
Principe, smettete di guardare. » mormorò piano
Merlin, riprendendo
a pulire e disinfettare le ferite, di nuovo aperte e sanguinanti.
«
Non hai ancora promesso Merlin. Non lascerai questa cella senza
avermelo promesso. » replicò altrettanto piano
Arthur.
Il
giovane mago accennò un sorriso, inghiottendo i singhiozzi.
La sua
mano tremava, il suo respiro era affannato. Ma il principe
sembrò
non farci particolarmente caso.
«
Non vi abbandono principe. E lo sapete bene. Rimarrò al
vostro
fianco, fino alla fine. »
«
Moriresti con me? » chiese Arthur voltandosi finalmente a
guardarlo.
Scuro
nell'azzurro.
Fermezza nella disperazione.
Amore
nell'amore.
Gli
occhi dei due ragazzi parlavano da soli. Ma Merlin sapeva che doveva
dirlo a voce alta, che doveva dare prova al suo principe che non era
da solo.
Abbozzò
un sorriso, cercando di fermare le lacrime socchiudendo gli occhi.
«
Se fosse necessario per salvare voi, morirei io. Se fosse necessario
per starvi accanto, morirei al vostro fianco. »
Improvvisamente
Arthur lo abbracciò, stringendolo a sé con una
forza quasi
disumana. Le unghie del condannato a morte si conficcarono
dolorosamente nella schiena di Merlin, come a dargli un'ulteriore
prova che quello non era un incubo, ma la realtà.
Merlin
sentiva il fiato corto dell'amante sul proprio collo, mentre piccole,
lente e leggere lacrime gli bagnavano la camicia.
Il
mago cercò di abbracciarlo delicatamente, tentando di non
sfiorare
le ferite nude che avevano, nuovamente, ripreso a sanguinare
sporcandogli le dita incredibilmente bianche.
Merlin
si guardò le mani.
Il
sangue del suo Principe. Il sangue che non poteva lavare e che
sarebbe rimasto per sempre impresso a fuoco dentro di lui.
Il
sangue di colui che amava e che non poteva salvare.
«
Adesso mi devi promettere che tu andrai via da Camelot.
Che la
lascerai per sempre. Che non tornerai mai più qua e che ti
dimenticherai di me. »
«
Cosa... Voi... Principe, voi... non posso dimenticarvi, siete proprio
uno stupido. » esclamò a voce troppo alta, con le
mani che
tremavano troppo, con il respiro troppo corto, con il cuore che
batteva troppo veloce.
Arthur
lo lasciò andare, appoggiandosi con fatica e dolore al muro
gelido
della prigione, uno degli ultimi luoghi che avrebbe visto prima che
qualunque cosa fosse stata inghiottita dalle fiamme.
Avrebbe avuto
comunque il tempo, la ragione e la lucidità per guardare suo
padre,
per guardarlo negli occhi, mentre il fuoco gli bruciava i lembi dei
vestiti e la carne.
«
Vattene per favore. Non ho le forze per dirtelo un'altra volta.
»
Merlin
lo guardò. Doveva fare qualcosa. Doveva, doveva, doveva fare
qualcosa per salvarlo.
Ancora
non capiva come Uther avesse solo potuto immaginare che Arthur
praticasse la magia.
Probabilmente
Morgana aveva lasciato quel libro di incantesimi in bella vista. E
sempre la pupilla del re aveva usato la magia nella stanza, quando
solo padre e figlio erano presenti.
E
forse, in quel momento stava attendendo con ansia il momento del rogo
bevendo un bicchiere di vino e si stava preparando a versare lacrime
su lacrime per fingere che la morte di colui che era sempre stato suo
fratello la stesse divorando dall'interno.
Il
mago si avvicinò lentamente, gli passò una mano
sulla spalla
muscolosa e forte, fino a scendere per stringergli la mano nella
propria, così incredibilmente piccola rispetto a quella del
principe.
Poi
lo baciò.
Forse
per l'ultima volta. Forse fu proprio per quella consapevolezza che
quel bacio aveva il sapore della disperazione, della rabbia. Aveva il
salato sapore delle lacrime, il sapore della possessione mentre le
mani di Arthur si stringevano sui suoi fianchi, stringendo fino a
fargli male, fino a che le unghie non lo ferirono e fino a che non si
ritrovò con la faccia al muro, mentre il Principe lo
penetrava con
una tale forza e una tale disperazione che il dolore per l'imminente
perdita di Arthur faceva più male di ciò che il
principe gli stava
facendo.
Quando
Merlin lasciò la cella dove Arthur avrebbe trascorso le
ultime due
ore della vita, in solitudine, sentiva come un macigno che gli pesava
sul petto.
Arrivato
a casa, aprì la porta e seduto su uno sgabello vide Gaius.
Abbassò
subito gli occhi, stringendo le mani a pugno, con rabbia.
Senza
dire nulla si diresse nella sua stanza e prese il libro, iniziando a
sfogliarlo senza vedere realmente ciò che c'era scritto.
Doveva
trovare un modo per salvare Arthur. Doveva trovarlo.
Doveva
riuscire a tirarlo giù dal rogo. Non poteva, non poteva
lasciarlo
morire senza fare nulla.
*°*
Quando
si svegliò sentiva il rumoreggiare della gente. Non si
ricordava
quando i suoi occhi si erano chiusi contro la sua volontà,
ma il
danno ormai era fatto.
Si
affidò al suo istinto.
Non
gli importava cosa gli sarebbe accaduto.
Ma
Arthur non poteva morire.
La
gente si ammassava intorno al rogo. Due cavalieri stavano legando il
principe con poca convinzione e ogni tanto loro stessi, il popolo, le
guardie lanciavano occhiate ad un Uther severo, chiuso, che guardava
con odio il figlio, mentre al suo fianco Morgana piangeva lacrime
silenziose, lacrime di gioia, lacrime che l'intero popolo immaginava
fossero di dolore.
Con
Arthur fuori gioco, il trono sarebbe stato suo.
La
rabbia iniziò a montare senza che riuscisse a tenerla sotto
controllo. Vedere lei che gioiva della situazione, ricordarsi di come
Arthur poche ore prima piangeva per la prima volta davanti a lui, lo
rendeva cieco.
Si
avvicinò spintonando la gente, non curandosi minimamente di
quello
che dicevano o facevano.
«
Lasciate il Principe. » esclamò con tutta la
rabbia che aveva in
corpo.
Salì
a fatica sul rogo, non sentendo le parole di Arthur, dei cavalieri,
del Re stesso.
Non
sentiva il rumoreggiare della gente, del popolo che lo guardava senza
capire che cosa avesse nella testa.
Nessuno
lo sapeva, che cosa gli passava esattamente per il cervello. Nemmeno
Merlin lo sapeva.
La
rabbia e la disperazione più cieca lo stavano trascinando in
un
vortice dal quale non poteva più uscire.
Arthur
morto.
Impossibile
anche solo da pronunciare.
I
cavalieri lo stavano trascinando giù, Arthur urlava parole
che non
capiva, le guance del servitore rigati da fiumi di lacrime che
solcavano il suo volto come un predatore affamato.
«
Merlin, sparisci. » tuonò Arthur.
Solo
allora lo sentì. Solo allora lo vide.
Lo
vide veramente.
Il
suo adorato Principe legato come un ladro al palo del rogo.
Leggermente piegato sulle ginocchia, il volto deformato dal dolore
delle frustate della sera precedente, gli occhi lucidi e
così
disperati.
Le
braccia muscolose tese nello sforzo di tenersi eretto, di farsi
ascoltare dal servitore.
I
capelli biondi sporchi dalla terra e dalla paglia della prigione,
l'unico ultimo giaciglio per un prigioniero arrivato alla fine dei
suoi giorni.
Le
labbra spaccate a causa dei continui e violenti morsi. Quelle labbra
che tanto amava e che tanto avrebbe voluto continuare a baciare.
Si
fermò, improvvisamente senza forze.
Si
accasciò fra le braccia di Sir Leon e di qualche altro
cavaliere a
lui sconosciuto. Cadde sulle ginocchia, mentre le lacrime non si
fermavano.
«
Merlin, sparisci. » ripeté il Principe, con una
autorità tale che
un condannato a morte non dovrebbe più possedere.
«
Principe... Principe... » sussurrava lo stregone.
Poi
socchiuse gli occhi. E si voltò verso Uther, gli occhi pieni
di
rabbia, di odio, di disprezzo per un uomo che ormai aveva perso la
ragione.
La
sua paura della magia, delle vecchie leggende, dell'Antica Religione,
di tutti i miti ad essa connessa stavano rovesciando e spezzando il
naturale legame fra padre e figlio.
«
Voi siete un uomo ottuso, privo di ragione. Voi, proprio voi che
avete ucciso prima vostra moglie, ora non esitate a mettere al rogo
il vostro unico figlio. Siete una vergogna per tutto il popolo di
Camelot. » urlò con tutto il fiato che possedeva,
con tutta la
rabbia che permeava il suo corpo, con tutta la disperazione di chi
sta perdendo il proprio padrone e il proprio amante.
Non
udì le parole di Uther. Non udì le parole in sua
difesa di Sir
Leon. Non udì le parole di Arthur.
Vide
solo un cavaliere che accendeva il rogo. Vide il volto deformato del
suo principe fra le fiamme. Vide tutto ciò per il quale
aveva
combattuto negli ultimi anni scomparire dalla sua vista, oscurata
dalle lacrime, dal fumo, dal fuoco.
Piangeva
Merlin. Senza sosta.
Urlava
Merlin. Il nome del suo amato Principe, costretto ad una morte troppo
violenta e troppo ingiusta.
Si
dibatteva, senza riuscire a liberarsi, con il corpo e la mente
svuotate da ogni nozione magica.
Lo
vide invece accasciarsi al suolo, dopo minuti interminabili di
follia, fra la cenere del legno e del suo stesso corpo.
Urlò.
Urlò tutto il suo dolore.
Aveva perso anche lui la ragione.
L'aveva completamente perduta.
Afferrò
una spada. Una caso. Non sapeva di chi era.
Cercò
di lanciarla verso Uther, ma le frecce delle balestre lo raggiunsero
ancor prima che il suo corpo formulasse il proprio pensiero.
Cadde
a terra, con un solo tonfo sordo. La spada scivolò via dalla
mano,
rintoccando il metallo freddo sulla pietra per qualche secondo.
Il
cielo quel giorno era sgombero da nuvole. Un cielo azzurro, limpido.
In
una giornata del genere Arthur amava andare a caccia se non era
impegnato in qualche lavoro diplomatico con il padre o con gli
allenamenti dei cavalieri.
Non
ci sarebbe andato mai più.
Così
come Merlin non lo avrebbe più accompagnato.
Socchiuse
gli occhi, lentamente.
Ripensò
intensamente al volto di Arthur. Se doveva morire, voleva farlo
pensando a lui.
Il
suo sorriso si impresse indelebilmente nella sua memoria.
Forse
fu per quello che quando Sir Leon si accovacciò accanto a
lui e non
poté fare altro che constatarne la morte, lo vide sorridere.
Fine
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