Note dell'autore: ● Ogni capitolo della storia è stato strutturato in tre
parti:
[Presente] [Secondo stadio della misantropia]
- Brevi scorci dell’ospedale
- Scambio di battute fra paziente e psicologo
- Inizio della seduta
[Passato] [Primo stadio della misantropia]
- Si riallaccia alla domanda di inizio seduta
- Brevi scorci dell’ospedale ai tempi del precedente psicologo
[Flashback] [Primi sintomi della misantropia]
● Sebbene abbia deciso di rendere Victor inglese, la storia non
è assolutamente ambientata in Inghilterra. Baratie resta una
località di pura fantasia, di cui di reale rimane il solo
nome. Baratie è, di fatti, il ristorante galleggiante in cui
Sanji è cresciuto prima dell’incontro con Rufy.
● Ancora prima di concentrarmi sullo stadio effettivo di misantropia,
nella storia ho preferito focalizzare l’attenzione sulle
cause che nel tempo la inducono. Trattandosi delle tematiche di sogno
ed ideale, ho deciso proprio per questo di rendere Sanji protagonista.
Trovo che, nell’opera di Oda, il suo continuo accanirsi nella
ricerca di qualcosa che neanche sia detto esistere, possa essere un
sogno ancora più grande di quello del Capitano.
Prologue.
Sulle tracce del paziente, Victor capì per la prima volta
cosa significasse braccare. L’indifferenza e lo squallore
dell’ospedale si trasformavano in ombre fra i volti dei
malati. Sanji Regū camminava a larghe falcate fra corridoi che
trasudavano abbandono. Riuscì a riconoscerlo solo quando
imboccò la strada per la reception e il braccialetto
elettronico al polso tintinnò appena. Preso un lungo
respiro, Sanji girò a sinistra verso il reparto di
psichiatria.
Soltanto pochi pazienti percorrevano il corridoio. Gli infermieri
sembravano spettatori indiscreti. All’altezza della saletta
inservienti, Sanji si fermò davanti ad un distributore di
caffè e scoccò un’occhiata di
sufficienza all’uomo alle sue spalle. Prima che entrasse
nella propria stanza, lo psicologo lo vide estrarre da una manica del
camice un pacchetto rettangolare. Sigarette.
1. Primo appuntamento.
La stanza di un pazzo. Victor immaginò il giovane paziente
nel suo letto sfatto, in un groviglio caotico di lenzuola e coperte. Si
avvicinò lentamente all’entrata della camera 313.
Lo porta era socchiusa. In un eccesso di mal sopportazione Sanji
l’aveva bloccata con un vecchio paio di mocassini.
Victor la spalancò e si piazzò davanti ad un
mobiletto porta oggetti. Le mensole tarlate erano stracolme di libri di
cucina e navigazione. Adocchiò qualche titolo e
sbirciò in direzione del paziente.
Sanji era seduto sul suo letto davanti alla finestra, come se non si
fosse mai mosso da lì. Le ante erano chiuse
dall’interno. Il biondo le pulì con la stoffa
della manica, ma non tentò di aprirle. Per un attimo, Victor
pensò che si trovasse a suo agio in quella reclusione
forzata.
- Anche mio nonno era un cuoco. Faceva più che altro sbobbe
nauseabonde, ma gli piaceva pensare di essere un Raffaello dei
fornelli. - esclamò.
Era la prima volta che gli parlava. La sua voce suonava titubante ed
incerta. Quando si era addentrato nella spinosa burocrazia
dell’ospedale, le alte sfere gli avevano affidato il caso di
un uomo accusato di omicidio doloso. L’immagine di
quell’assassino era come l’ombra di Sanji Regū.
- Si chiamava Victor, come me. Victor Basil. - affermò,
poggiandosi alla parete della camera.
L’altro non si prese nemmeno la briga di voltarsi. Si
tastò il polso cercando il braccialetto da cui pendeva una
cinghia in cuoio, e la fece scivolare sotto la fibietta. Poi prese una
sigaretta e la accese dopo due scatti andati a vuoto.
Prima di portarla alle labbra la sollevò e la
esaminò attentamente. I suoi occhi si imbatterono in quelli
di Victor. Trasudavano l’identica indifferenza che aveva
visto nell’ospedale. Lo psicologo continuò a
fissarlo e Sanji, stanco di quell’insolito gioco di sguardi,
riprese a guardare oltre i vetri appannati.
- Allora Sanji – riprese l’uomo per una terza volta
– parlami di te. -
Il biondo rise amaro, ma non disse niente. Quel copione lo aveva
già recitato una volta.
Adesso aveva soltanto il sentore di qualcosa di malato ed
incredibilmente fasullo.
- Allora, Mr Regū. – lo psicologo portò le mani ad
intrecciarsi, scoprendo i canini in un sorriso composto, e
fissò oltre la finestra – mi parli di lei. -
Appena lo vide sedersi, Sanji tornò a poggiarsi alla parete.
Attraverso la manica linda della camicia si intravedeva il polso
emaciato sotto il braccialetto elettronico. Il biondo si
affrettò a far perdere le sue tracce fra il cotone ed il
calcestruzzo del muro. Si mise a sedere nella poltrona ed
aumentò le distanze.
Al ritorno il tramonto aveva trasformato la città in un
dipinto di un’epoca lontana. Sanji Regū camminava fumando e
non la smetteva di ascoltare gli aneddoti silenziosi di quelle strade
che lo avevano visto crescere. Baratie sembrava sprofondata in un sonno
pesante ed acquoso, insopportabilmente pacifico, e lo fissava a sua
volta con lampioni e vecchi lucernari simili ad occhi indiscreti. Sanji
non le parlava più, con le mani sprofondate nelle tasche ed
il respiro che sapeva di tabacco. Non aveva più niente da
dire a quella città che trasudava mediocrità ad
ogni viale, isolato, vecchio o nuovo ciottolo che gli sbarrava la
strada. A metà del cammino, prese il mozzicone e lo
gettò a terra senza spegnerlo. Che bruciasse pure quel nido
di perbenismo.
Arrivò a casa all’imbrunire. Guerric scese le
scale e gli andò incontro. La sua presenza lo soffocava e lo
nauseava.
- Hanno chiamato da scuola. – disse dal salone.
- Avete fatto una piacevole chiacchierata? -
- Loro indubbiamente. Anche da assente riesci ad essere un
buon argomento di conversazione. -
- Notevole. – tagliò corto – Non pensavo
di aver fatto una così buona impressione. -
Si girò per dileguarsi attraverso le scale.
- Se avessi ancora un briciolo di amor proprio, non getteresti alle
ortiche ogni ambizione in questo modo. -
Il piede del biondo rimase a mezz’aria per qualche istante,
sospeso fra un primo scalino ed il pavimento. Sanji per un attimo si
sentì osservato da un punto indefinito della stanza, uno
sguardo che non apparteneva a nessuna delle tante facce
dell’uomo.
Quando alzò gli occhi per parlare sua madre se
n’era già tornata in cucina.
- Ambizione? Stiamo parlando dello stesso demone che ti ha spinto a
sposare mia madre per non affondare, Guerric? -
L’uomo tacque. Il biondo sorridendo riprese a salire le scale.
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Sto ancora cercando di metabolizzare la notizia, quindi concedetemi per lo meno questo delirio.
Che poi delirio neanche sarà, calcolando che con la febbre che mi ritrovo in questi ultimi giorni ho la reattività di un vaso di begonie. .-. Anyway!
L'idea è nata subito dopo l'iscrizione al contest. Perchè ovviamente io prima mi iscrivo a un contest e soltanto dopo arranco fra la nebbia del mio cervello per trovare uno straccio di spunto.
Insomma, per farla breve e per non sapere dire neanche come, ho vinto.
E, davvero, so che dovrei ringraziare LoLLy_DeAdGirL per aver indetto questo meraviglioso contest e complimentarmi con HalfBlood Princess per avermi fatto un po' di posticino sul podio al primo posto ma, seriamente... non ci credo neanche io. .-.
Se qualcuno, anche soltanto un mesetto fa, mi avesse detto che avrei potuto vincere probabilmente gli avrei sputato in faccia. Di tutto cuore.
Per ultimo che poi ultimo neanche dovrebbe essere vi posto il link del contest, con bando, classifica e tutto il resto.
The Nightmare Hospital Contest.
Inutile dire che ringrazio chiunque anche semplicemente darà uno sguardo a questa storia.
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