Alcibiade
[Sangue e
veleno nelle mie vene]
Brandelli
di nuvole bianchissime, acqua e polvere davanti a lui, si
rincorrevano sopra un mare di mille zaffiri: Alcibiade poteva vedere
l'oceano
spumeggiare candido davanti a
lui,
salutarlo mentre sollevava cascate di ghiaccio e neve - baci rubati e
carezze
proibite sulle sue labbra.
Lui sfiorò appena il bordo della trireme con
le
dita lunghe e nervose,
sollevò lo sguardo per assaporare
il profumo del vento - sapore di pioggia e sale. I primi riverberi del
sole gli
illuminavano il viso perfetto, lo incoronavano d'oro e argento come
l'eroe
d'altri tempi e altre storie.
Ma
lui non era un eroe.
La
trireme s’adeguava perfettamente ai flutti
marini, tranquilli mulinelli e cascate di spuma come gigli
bianchissimi, fiori
sbocciati quasi per caso in quel deserto di lucido blu. La flotta la
seguiva
intonando un canto di vittoria ch'era miele sulle sue labbra riarse,
oro dolce
e pastoso e acqua gelida. Era quasi strano sentire qualcosa di diverso
dal
peana di vittoria ch'aveva dovuto ascoltare ai sissizi, quando un
mantello
scarlatto gli pendeva sulle spalle e il dorico echeggiava nella sua
mente.
Ma
non era passato poi molto
tempo, pensò distrattamente, da quando
poteva assaporare la dolcezza delle serate estive sulle rive
dell'Eurota, o
vedere quel fiume snodarsi come un nastro d'argento sotto una luna
luminosa e
una pioggia di stelle.
Un
sorriso leggero gli bruciò all'improvviso lo
sguardo, nero e lucido, così veloce da essere scomparso
nell'attimo successivo:
una città era apparsa dalle nebbie dell'orizzonte come una
gemma protesa verso
il mare, e lui poté finalmente accarezzarla di nuovo, dopo
così tanto tempo,
assaporarne il profumo d'acqua e sale.
Il
vento gli sfiorò la chioma scurissima e il
viso perfetto come un'amante appassionata, abbandonata ma mai
dimenticata.
No,
non l'aveva dimenticata. Non avrebbe mai
potuto farlo.
Non
avrebbe mai potuto dimenticare la sua
fiammante giovinezza trascorsa a rincorrere mille sogni e mille
ragazze, i
palazzi bianchi di marmo lunare o la figura di Pericle che si stagliava
minacciosa davanti all'ingresso, tratti severi e sguardo duro sul viso
di suo
zio. Non avrebbe mai potuto dimenticare quei labirinti di case e malta
in cui
si perdevano persino i suoi pensieri più audaci, o le flotte
che abbandonavano
le acque gentili del Pireo per far vela verso mete lontane. Non avrebbe
mai
dimenticato l'Acropoli splendente o il glorioso Partenone, incendiati
dalla
luce dell'alba, Socrate e i suoi insegnamenti, le assemblee in cui si
discuteva
il destino della Grecia intera.
Atene
gli apparve ancora più bella di quando
l'aveva salutata, con una risata sulle labbra e l'ambizione a
divorargli lo
sguardo, mentre le ricchezze della Sicilia e dell'Occidente intero lo
stavano
aspettando: Siracusa e Messina e chissà quante altre
città, mura d'avorio e
oro.
Atene,
la signora del mare, che odiava e amava
al tempo stesso. La madre crudele da cui era stato rinnegato senza
motivo, solo
per l'invidia e la gelosia di pochi intriganti che l'avevano spinta a
non
volerlo. Se anche l'ingratitudine non fosse bastata a giustificare il
suo
tradimento – perchè era stato
un tradimento, sangue e veleno nelle sue
vene -, forse l'avrebbe fatto l'orgoglio ferito a morte. Avrebbe voluto
essere
il migliore dei suoi figli, il Primo Uomo d'Atene, ma gliel'avevano
impedito
con tutti i mezzi a loro disposizione.
Recarsi
a Sparta era stata una scelta sofferta
ma necessaria, distruggere la propria patria l'unico piacere in grado
di
placare il suo odio. Anche ricordare gl'intrighi in città
aveva un sapore
amaro: stringere la mano di Lisandro era stato come avventurarsi su una
rotta
sconosciuta, sentieri senza meta che però portavano sempre a
qualcosa,
riconoscendo in quello sguardo un riflesso distorto di sé
stesso – servo e
tiranno della propria smisurata ambizione.
Ma
in verità capire dove fosse finita la
necessità e fosse iniziato il piacere, chi fosse stato il
traditore e chi il
tradito, era un segreto così ben custodito che neppure il
suo cuore poteva
conoscerlo.
Un'altra
onda s'infranse spumeggiando contro lo
scafo della trireme, giglio di candida spuma in un deserto di lucido
blu.
Finalmente Alcibiade poté vedere le bianche case d'Atene
emergere dal mare come
acqua e polvere, il
Partenone e
l'Acropoli splendere come un unico gioiello di marmo e bellezza: un
secondo
sorriso gli bruciò lo sguardo, ancora più rapido
del primo.
Sangue
e veleno nelle sue vene? Non aveva
importanza.
Era
a casa.
Note dell'Autore:
Sì, sono tornato. Non so
quanti si ricordino di me - ne è passato di tempo, forse
anche troppo - ma spero che a tutti, ai lettori vecchi quanto a quelli
nuovi, questo racconto sia piaciuto ;)
Raccontare un episodio storico non
è mai un'impresa facile, ma sono abbastanza ambizioso per
credere di esserci riuscito; se comuque qualcuno avesse riscontrato
inesattezze di sorta (visto che nessuno è perfetto, io meno
di tutti) è più che invitato a segnalarmele.
Che dite, mi sono meritato un
commento? XD
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