«Tesoro,
non reggerti al cavo che lo sfondi!».
Distolgo
lo sguardo dai miei piedi e fisso l'ometto basso ed abbronzato che mi
ritrovo per nonno negli occhi, astiosa. «Nonno, io ti voglio
bene,
ma come diamine pretendi che io scenda giù per questo
scivolo della
morte fangoso senza supporto alcuno?».
Mi
sorride e saltella allegramente fino in fondo alla discesa, per poi
guardarmi con un sorrisetto, indicandosi.
«Così».
Costringo
i miei occhi a restare nelle orbite ed la mia mascella a starsene
buona buona, guardandolo piuttosto risentita. «Beh, scusa
tanto,
Vecchio dell'Alpe, se io sono cresciuta con l'asfalto sotto i piedi e
se con queste scarpe slitto sul fango come neanche un ippopotamo
ubriaco con la labirintite su una lastra di ghiaccio, eh».
Scoppia
a ridere e se ne va.
Sbuffo.
Piglia anche per il culo.
Torno
a fissare critica il sentierino scosceso e fangoso, comunemente
noto come “Trappola mortale per la sottoscritta”, e
metto un
piede in avanti. Ovviamente, inizia a procedere verso il basso come
animato da vita propria, facendomi entrare in panico per un secondo.
Scruto
ansiosa la fine della discesa, dove si erge un muro, e metto l'altro
piede innanzi a Pinocchio -il piede che ho appena scoperto essere
vivo-. Anche lui inizia a scendere da solo.
Provo
a fermarmi, ma i miei piedi si son messi d'accordo con il fango. Ma
porca merda.
Inizio
a correre, ponendomi come unico scopo quello di non far entrare in
collisione il mio didietro fasciato dai miei jeans nuovi e il
terriccio.
Tanto,
al massimo, c'è il muro.
Muro
che mi accoglie a braccia aperte.
Per
essere precisi, accoglie con grande impeto la mia fronte ed i palmi
delle mie mani, che ora bruciano come neanche il culo quando
m'ingozzo di cioccolata per la befana.
«Dio
santo, che hai fatto?» chiede nonno, sbucando dal capanno
degli
attrezzi con una pala in mano.
Lo
guardo sofferente e indico l'aggeggio con l'indice.
«È per
raccattare me, quella?».
Aggrotta
la fronte. «Veramente è per spalare la merda dei
conigli» mi
risponde, con un'innocenza incredibile.
Mi
porto le dita sulla fronte, appurando d'essermela graffiata tutta. Ho
già detto “Porca merda”?
Realizzo
cos'ha detto e sollevo lo sguardo di corsa, terrorizzata.
«Chi
dovrebbe spalarla, la merda? No, perché suddetta merda
è stata da
me offesa un sacco di volte nel giro di neanche cinque minuti, e
potrebbe decidere di saltarmi addosso in qualsiasi momento per
ripicca».
Mi
guarda comprensivo, dolce, compassionevole,
e inizia a camminare verso un cancelletto piuttosto malridotto.
«La
spalo io, la merda. Tu dai da mangiare alle bestie».
Sospiro
di sollievo e lo seguo. «Per bestie intendi gli adorabili
coniglietti di cui mi parlavi, vero?».
«Certo»
ribatte, aprendo il cancello. «E le capre».
«Oh,
sì, ovviamente, le capr- LE CAPRE?!».
Stormi
d'uccelli s'alzano in volo, spaventati dal mio urlo beduino, e se
entrando trovassi conigli fatti secchi da un infarto non me ne
stupirei poi tanto.
«Sì,
le capre. Non sapevi che avevo le capre?» chiede nonno, con
le
sopracciglia praticamente attaccate ai capelli neri.
«No,
non sapevo che IO sarei dovuta entrare in contatto con quei
quadrupedi malvagi, muniti di corna e puzzolenti!» mi
lamento, quasi
piangendo.
Io
sono terrorizzata
dalle capre.
«Non
puzzano!» li difende, quasi offeso.
«Non
so se te ne sei accorto, ma hai eliminato il meno rilevante degli
aggettivi» ribatto, sollevando un sopracciglio.
Sospira.
«Tesoro, non ti faranno niente. Sono delle capre. Sotto la
categoria
“Animali pericolosi” in genere ci sono leoni, puma,
barracuda e
squali, non capre».
«Chi
ha stilato quella lista non è mai stato quasi ucciso da un
caprone»
borbotto, incrociando le braccia sotto il seno. «Io alle
capre non
mi avvicino. Piuttosto torno da Arturo».
Aggrotta
la fronte. «Da chi? Chi è Arturo?».
«Il
muro».
«Hai
dato un nome al muro?».
«Nonno,
per qualche istante siamo stati una cosa sola, mi sembrava opportuno
presentarci».
Butta
la testa all'indietro, fissando il cielo. «E pensare che
quando mi
dicevano “Tua nipote non è normale”
rispondevo sempre “È solo
un po' stravagante”, o anche meglio “Ma no,
è solo una fase,
passerà!”».
Sollevo
un sopracciglio. «“È solo una fase,
passerà”? Nonno, questa
frase orribile si propina alla gente quando le bambine impiccano le
bambole».
«Hai
ragione, avrei dovuto capire subito che era più grave di
quanto
pensassimo» sospira. «Ora vieni, tu darai da
mangiare ai conigli ed
io spalerò la merda e nutrirò le mie belle
caprette».
«Nonno,
ma tu sei proprio sicuro che questo sia un coniglio?»
domando,
osservando da vicino il roditore più grande di un gatto.
«Che
cosa dovrebbe essere, uno scoiattolo?» chiede, sarcastico,
buttando
il letame in una carriola.
«Un
castoro, per esempio». Stringo gli occhi, osservando
quest'essere
marrone che di un coniglio ha solo le orecchie. «O una
nutria. Anche
una pantegana, volendo».
«È
stato partorito dalla coniglia della gabbia alla tua sinistra, mi
pare ovvio che sia un coniglio» mi risponde.
«Beh,
mai sentito parlare di incroci, tipo il mulo che è figlio di
asino e
cavalla?».
Il
coniglio scopre i denti, ed io gli allungo una carota.
«E
come avrebbe fatto una nutria ad infilarsi nella gabbia e ingravidare
la mia coniglia?». Il tono di mio nonno è un misto
tra il disperato
e il rassegnato.
«Mah,
una nutria non so. Ma per una pantegana non sarebbe stato un
problema. E i castori sono abilissimi col legno. Magari un castoro
è
venuto, t'ha rotto la gabbia, è entrato a fare fiki fiki con
la tua
coniglia e t'ha risistemato la gabbia prima d'andar via»
spiego,
passando a dar da mangiare agli altri animali.
«Che
castoro gentile!» commenta, sarcastico.
«Beh,
era il minimo. Ormai il fattaccio era fatto».
Sospira
ed alza gli occhi scuri al cielo. «Ma che ho fatto di
male?».
«Mi
fai un favore? Porta la carriola con il concime laggiù, dove
quella
collinetta».
«E
poi?» chiedo, aggrottando la fronte.
«E
poi ti chiederei di rovesciarla, ma viste le condizioni in cui ti sei
ridotta la fronte dopo aver dovuto scendere un metro di sterrato non
vorrei doverti ripescare in mezzo al letame, quindi lasciala
lì che
poi ci penso io» sospira, finendo di sistemare il fieno.
Annuisco
e faccio per incamminarmi, poi lo sguardo mi cade sul contenuto della
carriola. «Nonno, ma come fanno i conigli a fare la cacca
così
perfettamente tonda?».
Insomma,
questi sono dubbi che t'arrovellano il cervello. Sono sicura che
neanche quelli di National Geographic sanno la risposta.
«Avranno
il buco del culo tondo» risponde, sputacchiando del fieno che
gli
era andato in bocca.
Sbuffo.
«Nonno, anche noi abbiamo il buco del culo tondo, ma non
caghiamo a
palline».
«Loro
ce l'avranno più tondo!» ribatte, continuando ad
armeggiare con il
fieno. Che dovrà mai farci, poi.
Aggrotto
la fronte, pensierosa. «Questa spiegazione non mi
convince».
Sospira.
«Magari la fanno tonda perché si concentrano,
pensando intensamente
a un cerchio, e esce fuori perfettamente sferica» butta
lì.
M'illumino.
«Sono furbi, eh! Pensa se si concentrassero,
chessò, su un
quadrato!».
«Che
dolore al culo, eh?» mi risponde, sconsolato.
«Ma
veramente. Sai gli spigoli? Una sofferenza atroce».
«Magari
una volta cagavano a cubetti, poi si son fatti furbi e son passati
alle palline».
Il
mio nonno. Ne sa una più di quelli di National Geographic.
Lo
guardo quasi commossa, e lui, avendo finito col fieno, mi guarda
confuso.
Poi
lo sguardo gli cade sulla carriola, alza gli occhi al cielo, e
l'afferra, iniziando a spingerla. «Da' qua».
«Nonno,
ma dici che se mi concentro riesco a fare la cacca a forma di
unicorno?».
«Quindi,
riassumendo, adesso abbiamo spalato la merda e dato da mangiare ai
quadrupedi...».
«No,
ferma. Io ho spalato la merda, dato da mangiare alle capre e
rovesciato la merda dove il resto del letame, e tu hai dato da
mangiare ai conigli» mi corregge.
«Ma
noi siamo una squadra, nonno». Stringo la mano destra a pugno
e
sorrido, sollevandola come i tizi delle squadre di baseball nei film
americani.
Sospira.
«Prosegui con il tuo riassunto».
«Dicevo,
ora che abbiamo sistemato queste bestie, che dobbiamo fare?».
«Ora
tocca alle galline».
...
Ha
detto galline?
«MA
HAI UNA PASSIONE PER GLI ANIMALI ASSASSINI?» grido, facendo
un salto
all'indietro.
Mi
guarda con gli occhi sgranati, per poi passare ad un'espressione
piuttosto disperata. «Non dirmi che hai paura anche delle
galline!».
«Io
non ho paura delle galline» rispondo offesa, e sembra essere
sollevato. «Io sono terrorizzata
dalle galline, che è diverso».
Sbuffa.
«Ma che ti hanno fatto?».
«Se
ne stanno lì, con i loro becchi appuntiti e le loro unghie
affilate,
a guardarti con quegli occhietti diabolici, facendo le indifferenti,
e poi quando ti giri... BAM! Ti colpiscono a morte».
«Sono
galline»
esclama, sofferente. «Sono dei pennuti alti neanche mezzo
metro!».
«Pennuti
che potrebbero potenzialmente uccidermi» specifico.
«Se
gli dai un calcio se ne vanno!».
«'Sti
caz- cavolfiori! Ho le gambe corte, io. Sommate al busto e alla testa
raggiungono appena il metro e sessantacinque, se non mi piastro i
capelli il metro e sessantasette, ma una gallina non si fa certo
intimidire dalle mie gambe flaccide! Senza contare che se alzo una
gamba per dare un calcio a quell'essere immondo rischio di cadere ed
essere sommersa dall'intero pollaio». Al solo pensiero mi
viene da
piangere.
Sbuffa.
«Va bene. Ho capito. Tu mi aspetti fuori dal
pollaio».
Gli
sorrido, sollevata. «Grazie nonno».
Gli
bacio una guancia e lui si avvia.
«Intanto
faccio due chiacchiere con Arturo!» gli urlo dietro.
«Fai
due chiacchiere con chi ti pare» lo sento borbottare.
«Basta che
non combini niente».
«Okay,
io ho fatto. Ora aspettiamo Miguel».
«Aspettiamo
chi?» domando, sgranando gli occhi.
«Miguel,
quello che mi aiuta sempre a sistemare gli animali. Oggi deve venire
qui per aiutarmi ad aggiustare la gabbia là in
fondo» spiega nonno,
sedendosi tranquillo sull'erba.
E io
sono venuta qui perché...?
«Nonno,
scusami, eh. Ma se viene questo Miguel, perché hai insistito
perché
venissi anche io?» chiedo, sollevando un sopracciglio.
Lo
tiro subito giù. La fronte mi brucia.
«Perché
poi tu devi accompagnare Miguel a farmi la spesa, perché tua
nonna
oggi sta tutto il giorno da tua zia e quando la faccio io non va mai
bene» spiega.
«E
questo quando me l'avresti detto?».
«Adesso».
Sbuffo.
Quest'uomo è un genio.
Appoggio
la schiena ad Arturo ed incrocio le braccia. «Tra quanto
arriva 'sto
tizio?» chiedo.
Dà
un'occhiata all'orologio e si gira verso la strada.
«Arriverà a
momenti».
Annuisco
e sospiro, in attesa di quello che si presume essere un amico di
nonno certamente baffone.
Poi,
una domanda mi sorge spontanea. «Nonno, ma sarà
mica il Miguel
della canzone che stava in Cordigliera da mattina a sera e che spara
quattro colpi di pistola a Pedro?».
«Scusate
il ritardo, non mi partiva la macchina!».
Distolgo
lo sguardo dai fili d'erba, preparando una risposta sarcastica che mi
muore miseramente in gola quando vedo l'aitante giovincello che
scende agilmente (agilmente!) lo sterrato.
Di
baffi, Miguel, non ne ha. In compenso ha dei muscoli che fan
suicidare il mio ultimo neurone.
Ed è
abbronzato.
Con
i capelli neri.
E
gli occhi chiari.
Ed
ha una maglia dei Ramones. Dei Ramones.
Anche
le sopracciglia sono attraenti, di 'sto Miguel.
«Non
preoccuparti, tanto abbiamo appena finito con gli animali»
gli
risponde nonno.
«Oh,
meno male». Miguel si ferma a un passo di me con un saltello
(con un
saltello, cazzo!) e mi sorride. «Io sono Miguel» si
presenta,
tendendomi la mano.
«Lo
so» rispondo, ancora un po' imbambolata, senza stringere la
mano.
Vedo
un'espressione un po' imbarazzata sul suo viso, e mi riprendo,
arrossendo.
Gli
stringo la mano. «Io sono Leila».
«Sì,
va bene, tu sei Miguel e lei è Leila. Adesso vieni ad
aiutarmi con
la gabbia, così voi ve ne andate ed io vado a dormire
quindici ore
filate, che dopo oggi ne ho tanto bisogno».
Guardo
nonno un po' offesa. «Senti, era il mio primo giorno da
contadina e
ne ho pagato abbondantemente le spese!».
«Che
hai fatto?» mi chiede Miguel, aggrottando la fronte.
Indico
prima la mia fronte, poi il muro. Lui sembra capire, e infatti gli
viene da ridere. «Ti sei schiantata contro il
muro?».
«A
causa del destino avverso» gli rispondo.
«Destino
avverso o goffaggine?». Ma cazzo ride? Okay che sei tanto
carino
quando ridi, ma se potessimo ridere, chessò, di come
camminano i
pinguini, sarebbe molto più divertente.
«Destino
avverso. Io non sono goffa, sono... diversamente agile».
Nonno
scoppia a ridere, e Miguel sembra fare di tutto per trattenersi.
Sbuffo.
«Su, andate a sistemare 'sta benedetta gabbia»
borbotto.
S'avviano,
e nonno gli dà una pacca sulle spalle.
Tutta
questa solidarietà maschile non mi piace.
Siamo
nella macchina di Miguel, se macchina si può definire questo
incrocio tra un'ape e una scatola di cereali.
«Ma
tu sei proprio sicuro che quest'affare ci porterà fino al
supermercato e ritorno?» gli chiedo, guardandomi intorno
critica.
«Sì,
Miss. Ci porterebbe anche in Congo, volendo» mi risponde.
Si
aggancia la cintura ed io lo imito. Cerchiamo di proteggerci come
possiamo, in questo trabiccolo.
«Semmai
in Congo facciamo un'altra volta, eh. Per oggi non sforziamo troppo
Kitt. Supermercato, casa mia, casa tua. Niente di
più».
«Non
sforziamo troppo chi?» chiede, sorridendo.
«Kitt!
Mai visto Supercar, il telefilm con David Hasselhoff che interpreta
Michael Knight?» domando con un sopracciglio alzato. La
fronte non
brucia più.
Scoppia
a ridere. «Tuo nonno l'aveva detto che eri
stravagante».
Stringo
le labbra. «Ti ha per caso anche detto che la mia
è solo una fase e
passerà?».
«No»
ribatte, confuso.
«Oh,
allora l'avrà detto a qualcun altro. Evidentemente, in te
non voleva
alimentare inutili speranze».
«Perché
non parcheggi anzi lì?».
Mi
guarda con le sopracciglia aggrottate e si allunga a guardare l'altro
parcheggio. «Che differenza fa?».
«Beh,
quello è più vicino all'ingresso»
rispondo, ovvia.
«Di
due metri» scandisce.
«Dimmi
niente!». Tesoro mio, tu avrai pure due gambe e un culo che
neanche
un'atleta, ma io sono una fragile creatura discendente dai panda, eh.
«Convincimi».
Sgrano
gli occhi. «Mi stai sfidando?».
«Una
specie» ghigna.
«Dirò
a tutti che hai ammazzato Pedro» butto lì.
Scoppia
a ridere. «Ti prego, anche tu con Maracaibo no!».
Lo
fisso seria. «Hey, non c'è niente da
ridere».
Cerca
di calmarsi con dei respiri profondi. «Scusa».
Assumo
un'espressione strafottente e incrocio le braccia. «Se non
sposti la
macchina, dopo dovrai portarmi in braccio. E non scherzo».
Sorride.
«Perfetto». Toglie le chiavi dal quadro e scende,
venendo ad
aprirmi la portiera. «Sarà un piacere portarla in
braccio, Miss.
Adesso scenda, prego».
Lo
guardo stupita, e scendo. «Ma che bravo
lacchè».
«Istinto
di sopravvivenza, Miss».
«Quale?»
domando, agitandogli due barattoli di fagioli davanti agli occhi.
«Se
li tieni fermi, magari...» si lamenta, afferrandomi i polsi.
«Sono
identici!».
«No
che non sono identici» sbuffo, spazientita. «Questo
ha l'apertura
facile e questo no!».
«Vada
per quello con l'apertura facile».
Fa
per afferrare il barattolo che tengo nella mano destra e lo blocco.
«E se non è facile da aprire, in
realtà?».
Alza
gli occhi al cielo. «Useranno l'apriscatole».
«E
allora non è meglio comprare subito quello senza l'apertura
facile?».
Sta
per rispondermi, ma si blocca, pensieroso.
«Vedo
che hai afferrato» sospiro.
Mi
strappa entrambi i barattoli dalle mani e li mette nel carrello.
«Melius abundare quam deficere».
Mi
fa l'occhiolino e io quasi mi sciolgo.
Sa pure il latino.
«Biscotti
al cioccolato o alla panna?» chiedo.
«Cioccolato».
«Risposta
sbagliata! Panna».
Metto
le macine nel carrello e continuo a camminare.
«Cosa
me l'hai chiesto a fare?» domanda, seguendomi con il carrello
e con
l'espressione a metà tra il divertito e l'offeso.
Faccio
spallucce. «Per vedere se eri attento».
Mi
afferra per i fianchi e mi dà un pizzico, facendomi scappare
un
grido soffocato. «Io sono sempre attento
a tutto, Miss»
sussurra. Poi mi lascia andare e inizia di nuovo a spingere il
carrello, superandomi.
Ormoni,
cuccia.
«Non
chiamarmi “Miss”» borbotto, in trance.
Annuisce
distrattamente e continua a camminare.
«Mi
prendi il caffè, per favore? Alla tua destra in
alto» gli chiedo,
dopo essermi ripresa.
Lo
afferra, ma non lo mette nel carrello. «Sbaglio o i tuoi
nonni non
possono bere caffè?».
«Infatti
non possono» rispondo, allungandomi per prendere la
confezione.
Alza
il braccio in modo che io, tappa, non c'arrivi. «E allora
perché lo
compri?».
«È
per me. Andrò a trovarli prima o poi, no?»
domando, saltellando per
arrivare a quel benedetto bene primario.
Mi
guarda ghignando. «Non ci arrivi?». E alza ancora
di più il
braccio.
Sbuffo,
guardandolo male, poi mi allungo a prenderne un'altra confezione
dallo scaffale, lanciandola nel carrello.
Gli
sorrido trionfante e continuo a camminare.
«Sei
incredibile» mormora, incredulo, raggiungendomi.
Lo
guardo ed ammicco. «Sapevo che prima o poi avresti ceduto al
mio
fascino».
Metto
il carrello al suo posto, recuperando la monetina, e vado sulla
soglia del supermercato.
Miguel
è vicino alla macchina, intento a mettere la spesa nel
bagagliaio.
Chissà
dove si è nascosto, tutti questi anni. Insomma, se nonno lo
conosce
perché non ha condiviso tale meraviglia con me? Mica
è corretto.
Chiude
lo sportello e mi guarda con aria interrogativa.
Incrocio
le braccia e sollevo un angolo della bocca.
Scoppia
a ridere, raggiungendomi. «Hai ragione, una promessa
è una
promessa».
Si
china, portando il braccio dietro alle mie ginocchia, e mi solleva.
Allaccio
le braccia dietro al suo collo e gli sorrido. «Grazie,
Miguel».
«Non
c'è di che, principessa».
«Allora,
ehm... La spesa è tutta sistemata, tu sei sana e salva...
direi che
ci dobbiamo salutare».
Guardo
Miguel e annuisco. Chissà perché questa
prospettiva non mi piace.
Aggrotto
la fronte e mi appoggio con la schiena alla sua macchina barra
catorcio barra trabiccolo, guardandolo speranzosa. «Ma se io,
del
tutto casualmente, andassi ad aiutare mio nonno con gli animali anche
sabato, potrei del tutto casualmente incontrarti?» gli chiedo.
Sorride
e si avvicina a me. «Mmm, io ho una domanda migliore. Se io,
del
tutto casualmente, capitassi domani sotto casa tua, verresti
casualmente a fare un giro con me?».
M'illumino.
«Dipende da dove del tutto casualmente mi
porteresti».
«Beh,
sbaglio o abbiamo un viaggio in Congo in sospeso?».
Oookay.
Avevo
completamente smesso di scrivere cose leggere, e questo è un
po' il
mio grande ritorno al buon umore, ecco.
Tutto
ciò che è scritto qui... ebbene, è
realmente accaduto alla
sottoscritta. Tutto.
Tranne
l'appuntamento con 'sto benedetto Miguel, purtroppo. ._.
Ah,
una spiegazione sul titolo credo sia d'obbligo, ma non credo di
potervi spiegare per iscritto, sicché, cliccate qui.
Cliccate davvero, fidatevi, che non ve ne pentirete xD.
(Piccola
precisazione: ovviamente il Miguel della storia è diverso da
quello
del video, eh!).
Bòn.
Niente.
Alla
prossima!
|