Mi illudo che sia così

di bambolinazzurra
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Non lo meriti: non meriti di essere chiamato padre, perché tutto ciò che hai fatto è stato fecondare mia madre.
Non meriti di essere considerato un padre perché non hai mai visto tuo figlio, l’hai abbandonato ancor prima che nascesse.
Io diventerò qualcuno. Prima, però, devo liberarmi di te. Devo cancellare la tua stupida esistenza, dovrai essere solo un lontano ricordo o forse nemmeno quello.
Perché io voglio andare avanti, diventare grande senza di te. Voglio la gloria.
Quando raggiungo la tua casa mi fermo un momento, chiedendomi, nonostante tutto, se non farei meglio a desistere dal mio proposito. Ma io sono Lord Voldemort, non posso avere ripensamenti, devo abbandonare i sentimenti, sono per i deboli.
Entro nel salotto, stai cenando con quelli che devono essere i tuoi genitori. Patetico, vivi ancora con loro. Sei un fallito, oltre che uno sciocco. Sei il primo a scorgermi e vedo un lampo di sorpresa nei tuoi occhi. Cerchi di distrarre i tuoi vecchi, non vuoi che mi vedano e traggano le loro conclusioni. Potrei anche rimanerne ferito, ma non lo sono.
Sento la rabbia crescermi dentro, ma so che anche quella è debolezza. Da oggi sarà l’odio la mia vera forza.
Sollevo la bacchetta, puntandola contro di te. Terrorizzato scuoti la testa, ma allo stesso tempo apri le braccia, come offrendoti spontaneamente.
-    Avada Kedavra! – ruggisco.
Sei qui in terra, morto ai piedi del tuo legittimo ma disconosciuto figlio.
Mi accascio vicino a te per vedere se il mio primo Anatema che Uccide ha davvero funzionato. Ma come posso dubitarne? Sono troppo in gamba per fallire qualunque cosa.
Sento un sapore amaro e salato sulle mie labbra, identiche alle tue. Perché i miei occhi secernono lacrime?
Non può essere vero che io provi dolore per la fine di un essere insulso quale tu sei. Non posso piangere la fine di un padre indegno.
-    Sei uno sciocco, Tom – dico a te, ma in fondo a me stesso – Sono degli sciocchi tutti coloro che osano mettersi contro di me – aggiungo, sperando di cancellare il mio momento di debolezza. Sono un essere umano, dopotutto…  Ma ancora per poco!
Mi rialzo e noto i miei nonni, terrorizzati e orrendamente consapevoli. Non sono qui per essere il vostro adorato nipotino, vecchi. I legami fanno soffrire, di qualunque genere essi siano. E la sofferenza è debolezza. La debolezza porta alla morte e niente è peggio di questa: dalla morte non si ritorna.
Altre lacrime cadono dai miei occhi mentre arrivo a questa conclusione. Perché questo mio padre, per quanto ignobile, non ritornerà. Hai dovuto costringermi a farlo, Tom, non è vero? Ma trarrò lo stesso il vantaggio che posso da tutto  questo.
Uccido i miei nonni. Con loro è più facile, non è come guardare me stesso più vecchio di vent’anni. Non è come vedermi morire per mia stessa mano.
Esco dalla grande casa, ogni traccia di dolore ormai scomparsa dal mio volto. Sono forte.
Ho cancellato il ramo indegno della mia ascendenza. Sono forte.
Dominerò la morte. Diventerò invincibile.
Non voglio ammettere, nemmeno con me stesso, che ho guardato nella mente di mio padre, prima che morisse. Non ci ho visto solo paura, ma anche rimorso. Sollievo per una punizione che aspettava da anni e non ha avuto il coraggio di auto infliggersi. Il rimpianto di ciò che non ha avuto la forza di essere. E un’immagine di mia madre. Non l’ho mai vista, ma so che è lei.
Se lo avessi risparmiato non sarebbe comunque stato un padre per me. Mi avrebbe cacciato e ripudiato di nuovo, non mi avrebbe accolto, non avrebbe cercato di conoscermi. Sarebbe stato tutto uguale a prima. Ho fatto bene ad ucciderlo.
O almeno mi illudo che sia così.




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