Il dio e la mortale

di yulinghan
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Capitolo 1

  *** Una bellezza divina ***

 

  

 

 

Ai piedi del Monte Sacro Hakurei, c’era una volta una fiorente città, dove vivevano tre sorelle: Sango, Rin, e Kagome.
Per dire la verità le due maggiori, Sango e Rin, benchè davvero molto carine potevano essere lodate con semplici termini umani, ma la bellezza della più giovane era così fuori dal comune che non la si poteva descrivere e nemmeno lodare abbastanza.
La fama di quello spettacolo unico richiamava, per la curiosità, da ogni parte molta gente ed un numero incredibile di forestieri.
Incantati per la meraviglia di questa bellezza senza confronto, i cittadini le tributavano omaggi religiosi, come se si trovassero di fronte alla dea Kikyo in persona.
Anche nelle città vicine e nelle attigue regioni si diffuse la voce che la dea avesse concesso il dono della sua divina presenza o che si aggirava tra le comunità degli uomini.
O ancora che da un nuovo seme di stelle celesti aveva fatto nascere un’altra Kikyo, con la grazia di un fiore intatto.
Di giorno in giorno questa convinzione diventava sempre più diffusa, facendo nascere un grande scalpore nelle province vicine, di lì in tutto il paese.
Si creò allora una processione interminabile di gente che, affrontando lunghissimi viaggi e valicando i monti, si radunava per vedere la grande meraviglia del secolo.
Non c’era più nessuno ad andare sull’ Hakurei per far visita a Kikyo:
non le venivano più tributati i sacrifici, i templi erano lasciati alle incombenze e all’usura del tempo, le cerimonie erano disertate e le statue della dea non più curate.
Tutte le preghiere erano rivolte alla fanciulla, al suo apparire venivano fatti sacrifici in nome di Kikyo assente, con vittime e banchetti, e quando passava per le strade la folla le gettava mazzolini o fiori sciolti.
Questo passaggio inaudito di onori, in realtà dovuti agli dei, tributati al culto di una fanciulla mortale rese Kikyo furiosa e incapace di trattenere lo sdegno.
Scosse vigorosamente il capo la dea, nella sua dimora fatta di stelle, spuma di mare e rose e prese una decisione.
“Io, l’antica madre della natura, l’origine prima di tutti gli elementi, la Kikyo che nutre tutta la terra dovrei dividere con una fanciulla mortale gli onori dovuti alla mia maestà?
Dovrei forse lasciar profanare il mio nome con il sudiciume delle cose terrene?
Dovrei sopportare l’equivoco di un culto a metà con un’altra?
E dovrei permettere che una fanciulla mortale porti in giro il mio volto?”
Ebbra d’ira continuò.
“Invano allora il pastore Onigumo, di cui persino il dio Naraku approvò il leale giudizio, mi scelse per la mia bellezza fra dee tanto importanti?”
Poi sorrise cattiva.
“Ma non avrà di che rallegrarsi tanto a lungo questa mortale, chiunque essa sia, per aver usurpato i miei onori: adesso io farò in modo che si penta della sua inaccettabile bellezza”.
E immediatamente mandò a chiamare quel dio alato, possente nella forma fisica, fiero nel portamento, argentea seta al posto dei capelli e oro colato negli occhi.
Di certo un dio temerario con i suoi scandalosi costumi, nel disprezzo della morale pubblica, armato di frecce e di torce, che era solito visitare di notte le case degli altri, corrompere tutti i letti nuziali e far nascere impunemente guai enormi.
Nonostante lui fosse già suscettibile di carattere, la dea lo provocò ancor di più con le sue parole e lo condusse in quella città dove gli mostro il volto di Kagome.
Gemendo e fremendo per l’indignazione, gli raccontò tutta la storia della concorrenza che le si faceva in materia di bellezza.
“Ti scongiuro!”, gli disse, ”…per l’amore che ci legò, per le dolci ferite del tuo arco, per le dolci bruciature che procura la tua torcia, vendicami, e che la vendetta sia completa.”
Alzò un dito, la dea e lo puntò verso la mortale.
“Punisci la bellezza che mi si è rivoltata contro: fa che si perda d’amore per l’ultimo degli uomini, un uomo senza onore né patrimonio, così vile che non se ne possa trovare uno simile su tutta la faccia della terra.” 





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