A
te. Che forse nemmeno la leggerai mai.
Ma
sei tu. Questo conta.
Behind
those green eyes.
Le
erano sempre piaciuti gli occhi verdi.
Aveva
una specie di fissazione per quel colore e per il taglio degli occhi
delle persone; specialmente negli uomini. L'aveva sempre detto alle
sue amiche:
“Se
gli occhi sono chiari già sono mille punti, ma se sono
verdi, metà
del lavoro è fatto”.
Non
poteva sapere quanto fosse vero, quanto sarebbero state profetiche
quelle parole.
Quando
li aveva visti per la prima volta, al di là di quella
ringhiera di
legno, brillare nel buio della sera, aveva pensato soltanto che era
strano, che avesse visto subito il colore, nonostante la penombra,
nonostante la distanza.
Non
sarebbe voluta andare a bere quel caffè. La sua amica ce
l'aveva
incastrata, in quella serata in mezzo a persone che non conosceva,
invitandola a cena a casa sua e facendola mangiare e bere troppo.
-
E' solo un caffè con degli amici, non ti agitare. -
Le
aveva gridato dalla camera da letto mentre si cambiava.
Ma
lei si era agitata eccome, nonostante la bottiglia di Müller
Thurgau
le avesse impedito di fare troppi strepiti e l'avesse aiutata a
salire su quella macchina, guidando verso casa di uno sconosciuto per
prendere un caffè come se fosse la cosa più
normale del mondo.
Non
era nelle condizioni di conoscere gente, non era nemmeno vestita come
si deve.
Ma ci era andata comunque.
Poi
l'aveva accolta quello sguardo verde, portato a spasso da un uomo in
pantaloncini blu, che le aveva aperto la porta di casa sua, l'aveva
fatta accomodare sul terrazzo, in mezzo agli amici già
seduti e le
aveva stretto la mano con una carezza possente, che le aveva fatto
apprezzare quelle mani indurite dal lavoro.
Non
sapeva, lei, che quella carezza sarebbe stata la prima di molte
altre, non lo sapeva ma già iniziava a sperare di scoprire
che cosa
potesse voler dire avere quelle mani su di sé, quel torace
premuto
contro il suo seno, mentre lo guardava camminare avanti e indietro
scalzo, a torso nudo, dal terrazzo alla cucina, per andare a prendere
le tazzine di caffè per gli ospiti.
Le
aveva allungato un bicchiere di liquido scuro, ambrato.
Rum.
Non
immaginava che da quella sera l'odore del Pampero Aniversario
l'avrebbe per sempre ricondotta a lui, che non avrebbe saputo più
guardare
quella bottiglia senza pensarlo e senza sorridere al ricordo di
quanto in fretta fosse finita, quella notte.
Non
ricorda quasi nulla dei discorsi di quella sera, ma ricorda tutto di
lui.
La
posizione scomposta in cui era seduto sulla poltroncina di vimini di
fronte alla sua, le gambe lunghe allungate sul tavolino; la risata
bassa che aveva accompagnato le sue uscite come al solito sempre
più
triviali mano a mano che la serata andava avanti, il sopracciglio che
aveva alzato quando lei, senza scarpe, aveva iniziato a saltellare
sul terrazzo, facendo tintinnare le campanelline sulla cavigliera,
come le zingare che danzavano negli spettacoli agli angoli delle
strade. Ricorda come si era subito precipitato in camera da letto a
prendere delle felpe e dei maglioni, quando lei aveva detto, subito
seguita dalle altre due, che forse iniziava a fare un po' freddo,
lì
fuori. Si era stretta in quel maglioncino di cotone, grigio scuro,
che profumava di ammorbidente, di pulito, di uomo, di lui.
Se
n'erano andate di lì tardissimo, accompagnate alla porta dal
padrone
di casa, che l'aveva guardata scherzare con la sua amica sul
pianerottolo, poggiato con una spalla allo stipite, una gamba
incrociata davanti all'altra, un sorrisetto beffardo sul viso.
Sorrisetto
che si era allargato fino agli occhi, illuminandoli con un lampo di
malizia, quando lei e l'amica di una vita avevano festeggiato una
battuta particolarmente sagace dell'una nel modo in cui fin da
adolescenti si dimostravano affetto: un bacio sulle labbra, senza
sottintesi, senza significati tra le righe.
Le
aveva strappato il loro primo bacio, con quella piccola sfida,
nascosta da una richiesta giocosa:
-
E a me niente? -
Uno
sfioramento di labbra e nulla più; si era sollevata sulle
punte, per
concedere un morbido contatto sul filo di una porta che ancora lei
non sapeva sarebbe diventata l'uscio che si apriva sul suo rifugio,
sulla sua casa, sulla sua pace.
Perchè
si, poi l'avrebbe scoperto, che come lei l'aveva visto subito, dietro
quegli occhi verdi, l'aveva visto dentro, anche lui aveva visto lei.
E l'aveva voluta e presa per sé.
L'aveva
voluta con la sua gonna bianca lunga fino ai piedi, che le si
avvolgeva intorno alle caviglie, mentre saltellava come una bambina
sul tappeto su cui solo due giorni dopo sarebbero finiti a fare
l'amore.
L'aveva
presa, con la sua cavigliera con le campanelle, che tanto lo faceva
ridere e che ancora gli strappa un sorriso divertito quando lei la
prende dal portagioie tra le mani e gliela fa tintinnare davanti.
L'aveva voluta così, con il suo caratteraccio, le parolacce,
il suo
essere anche troppo maschile.
Si
era sentita dire “Se continui a vivere la tua vita
così, non lo
troverai mai un uomo che ti voglia” e lei ci aveva
creduto;
tutti la volevano per una notte e lei il più delle volte si
concedeva, perchè le andava, perchè era facile e
semplicemente
perchè non c'era nulla di male, ad assecondare i desideri
del suo
corpo. Ma le avevano detto che non era così, che era
sbagliata e lei
per qualche momento ci aveva creduto; aveva pensato di non essere
abbastanza per un uomo.
Però
non sarebbe cambiata, questo no.
Meglio
da sola che accanto a qualcuno che vuole farla diventare un'altra.
Lui,
invece, l'aveva voluta così.
L'aveva
baciata, questa volta un bacio vero, in mezzo ad una strada, tra le
macchine parcheggiate, stringendole una mano sul fianco e spingendola
contro la portiera di quell'auto che li avrebbe accompagnati in giro
per l'Italia, insieme, ma che ancora faceva solo da spettatrice al
loro primo vero contatto.
L'aveva
avuta, lei, la sua rivincita, contro le stronze che l'avevano
giudicata troppo intraprendente, troppo emancipata, troppo
“facile”
per meritare l'attenzione di un uomo.
E'
notte e la sente respirare tra i suoi capelli, la sua rivincita.
Lui
se l'era conquistata pezzo per pezzo, come lei aveva bisogno di
essere avvicinata. Non aveva avuto fretta, lui, nel legarla a
sé un
passo dopo l'altro, mentre tutte le barriere di lei crollavano sotto
l'assalto seducente di quel fiume contro la roccia. Si era scavato
una nicchia nella sua corazza e l'aveva erosa con la calma, con le
parole pacate, con le sue battute pungenti e quello sguardo che si
scaldava solo con lei, fino a passarci attraverso, fino ad prendere
dimora al di là di essa, dove lei sapeva di essere fragile.
E
lei si era lasciata annodare a lui, completamente, senza che nemmeno
se ne accorgesse, senza che sentisse nemmeno la consistenza delle
corde intorno a sé.
Aveva
iniziato dopo quasi cinque anni, a sentir prudere intorno ai polsi, a
sentir scorrere la seta di quelle corde sulla pelle. E aveva avuto
voglia di scappare.
Non
gliel'ha detto. Mai.
Ma
lui lo sapeva, lo sentiva. La conosceva troppo bene, come nessun
altro, per non accorgersi che lei era di nuovo recalcitrante,
insofferente, sfuggente. Come prima che la conquistasse, come
all'inizio.
Lei
sentiva la sua preoccupazione, la gelosia per gli spazi in
più che
lei aveva preteso per sé, l'incomprensione per quello
schermo e quei
tasti in cui lei gettava le sue paure, le sue ansie, il terrore di
perdere lui, ma anche il timore di vedere le porte di quella gabbia
dorata chiudersi dietro le sue spalle.
Aveva
faticato, lui, a comprendere il suo ritorno a scrivere, per capire la
catarsi che si nasconde dietro quelle lettere nere che componevano
storie, mondi e personaggi. Non aveva capito subito quanto per lei
fosse necessario, quanto quelle risate a tarda notte dietro una
finestra di msn le impedissero di prendere le sue cose e scappare
lontano da lui, per quanto farlo avrebbe significato per lei lasciare
lì la parte migliore di sé.
Poi
c'era stato quel fine settimana da sola, con un'amica. Lei aveva
riso, bevuto, si era divertita e non aveva sentito la sua mancanza.
Non
era successo perchè lui riusciva ad essere in ogni cosa che
la
circondava.
Nello
spazzolino da denti che le aveva infilato nella trousse la mattina
della partenza, perchè sapeva che lei era sbadata e non se
ne
sarebbe ricordata, nelle telefonate discrete e nei messaggi che le
aveva mandato, facendole capire, senza dirlo, che gli mancava, ma che
era felice per lei, se si stava divertendo. L'aveva sentito accanto a
sé in quel viaggio in macchina, al ritorno, quando in mezzo
alla
nebbia aveva pensato che lui, al volante, non si sarebbe spaventato
come loro, ma l'avrebbe presa in giro per quella paura sciocca.
Ma
era stato tornare a casa quella sera, cenare sul divano con una pizza
tagliata a spicchi poggiata sulle ginocchia, dopo che lui si era
preso cura di lei come faceva sempre, che aveva iniziato a farle
sentire i nodi di quelle corde allentarsi.
Più
di tutto, però erano stati il suo sorriso, dopo che avevano
fatto
l'amore su quel tappeto, ancora una volta, come la prima, il bacio
sulla tempia che le aveva dato e quella frase:
-
Accendi il computer e scrivi alle tue amiche bambolina. Non le senti
da tre giorni, so che ti mancano - .
Le
aveva scompigliato i capelli ed era andato a letto.
Lei l'aveva
seguito, il computer bianco con le farfalle blu tra le mani,
un'espressione stupita sul volto. L'aveva capita di nuovo, ancora,
nonostante tutte le sue perplessità iniziali, nonostante la
sua
ostilità per la tecnologia. L'aveva compresa, come era
capace di
fare solo lui e l'aveva accolta, ancora una volta, con i suoi
strepiti e le sue intemperanze, con tutte le sue stranezze.
È
mezzanotte. Lei spegne il computer e la luce, si accoccola contro di
lui, che nel sonno le fa spazio contro il suo torace e le posa un
braccio sul fianco.
Lo
sente respirare sui suoi capelli, con quel respiro pesante di quando
si addormenta davanti alla televisione e lei lo prende in giro,
quando lui nega di averlo fatto.
Si
stringe contro il suo petto ed un solo pensiero le attraversa la
mente.
Chiudetemelo
alle spalle quel cancello dorato, non mi interessa.
Qui
ci sono io e basta.
C'è poco da nascondere e ben poche altre
note da aggiungere.
Io, la mia mente contorta e lui, che l'ha
saputa capire.
Grazie a Monica, per aver letto, capito e
spronato.
A
Rea, per avermi aiutato con il titolo e per i consigli...
impagabile, come sempre.
Alla
mia Lu, per esserci sempre, anche questa volta.
Per
chi desideri una visita guidata nella mia demenza, con acclusi
deliri, lamentele e sbavi di ogni genere...si, anche spoiler xD, mi
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