I Figli Dei Sogni
I
Merin adorava quei rimasugli di neve che, in
quel periodo dell'anno, si ostinavano a non sciogliersi negli angoli più
ombrosi delle strade: li adorava perché, per lei, erano la testimonianza più
evidente che l'inverno fosse già quasi giunto al suo termine, e che presto la
primavera si sarebbe spalancata in tutti i suoi profumatissimi colori.
Sarebbero finite quelle gelide escursioni alla ricerca di legna per accendere
il fuoco, il lavoro troppo faticoso nei campi dalla terra dura come il
ghiaccio, e le razioni ridotte di cibo durante le tormente più dure. Per una
cittadina come Luhne composta per metà da agricoltori l'inverno poteva essere
un vero problema, soprattutto per chi abitava nei punti più vicini alla
montagna -proprio come Merin e suo padre: la consapevolezza che presto,
forse anche solo tra qualche settimana, l'inverno se ne sarebbe andato non
poteva non renderla entusiasta. In quei grumi di neve rimasti nei vicoli,
ultima traccia rimasta delle bufere che avevano agguantato la città per interi
mesi senza sole, lei vedeva già la montagna tingersi di verde e profumarsi di
caldo, i fiori sbucare fuori tra le rocce, e il cielo ridere e spalancarsi nel
suo azzurro più incantevole. Per questo si concesse di osservare per qualche
altro momento il cumulo di neve rimasto all'ombra del viottolo tra la casa del
signor Ruduf e la panetteria gestita dalla moglie. Pensò che presto il sole
avrebbe raggiunto anche quel punto e che di quella collinetta bianca non
sarebbe rimasto che sporca acqua grumosa. Quando un altro passante le dette per
sbaglio l'ennesima, fastidiosa spallata, decise di lasciare la strada e
raggiungere l'ingresso della panetteria.
Un familiare DlinDlan accompagnò il movimento della porta insieme ad un
intenso odore di farina che le grattò piacevolmente il naso. Si affacciò
senza entrare, guardandosi attorno nella penombra solo per scoprire che dentro
non c'era nessuno.
<<Lan?>> chiamò, ma a risponderle fu solo il rantolo lontano della
stufa. S'intrufolò dentro lasciando la porta socchiusa, ritrovandosi al centro
della stanza in meno di tre passi. La panetteria della signora Nita aveva una
forma esagonale che dall'esterno non si notava mai bene quanto all'interno, e
un pavimento lucidissimo su cui scivolarci e finire a terra non era mai troppo
difficile per nessuno, soprattutto per i bambini e i vecchietti: ma la cosa che
più di tutte attirava l'attenzione erano sempre stati quegli eccentrici disegni
di foglie gialle e rosa sulla parete color prugna. Quando si chiedeva alla
signora il perché di quella bizzarra tappezzeria, lei rispondeva sempre con un
sorriso candido: 'L'avete detto, proprio perché è bizzarra!'
Merin aggirò il bancone di vetro con esposte le ciambelle e le trecce di pane,
e si rivolse alla rampa di scale. <<Lan?>> si spinse fin sul
primo gradino e si affacciò al corrimano di pietra fissando il buio troppo
spesso del piano superiore. <<Sei qui? Ehi Lan, ci sei?!>>
<<Merin!>>
La voce alle sue spalle la sorprese tanto che, prima di voltarsi, non riuscì a
trattenere un sussulto così forte da farle tremare le spalle. Quando scoprì chi
era stato a chiamarla, sorrise e non si stupì della propria reazione: la
signora Nita aveva sempre avuto quel modo di avvicinarsi agli altri di
soppiatto, senza far scoprire la sua presenza prima d'aver aperto bocca e
spaventato qualcuno, come fosse un fantasma. Eppure a guardarla, con quella
corporatura grossa, il passo apparentemente pesante e la voce molto potente per
una donna, chiunque non la conoscesse non lo avrebbe mai indovinato.
Merin le si avvicinò velocemente con l'intento di abbracciarla, ma rinunciò quando
si accorse che stava reggendo un vassoio pesante tra le mani ancora sporche
d'impasto. Così le si fermò di fronte e ricambiò il suo sorriso
<<Ciao!>> la salutò, osservando affascinata i suoi riccioli
non più scuri ondeggiare come molle ad ogni suo movimento del capo.
<<Buongiorno cara>> la signora Nita le lanciò uno sguardo docile prima di
superarla e raggiungere in fretta il bancone: ci appoggiò sopra il vassoio e
poi iniziò a sistemare i panini ancora caldi dietro la vetrina <<Sei qui
per prendere qualcosa? Ho delle ciabatte bianche ancora in forno, se aspetti un
poco te le faccio assaggiare.>>
<<No, no grazie>> Merin le si
avvicinò intrecciando le mani dietro la schiena e studiando attentamente il suo
lavoro, ipnotizzata dai gesti costanti e morbidi della donna. Quando si accorse
di star perdendo tempo scosse il capo dandosi della sciocca <<In realtà
stavo cercando Lan. Dov'è? In cucina?>> <<...chi, Lanis?>> la
signora Nita fermò il suo lavoro per poterla guardare meglio negli occhi. Fu solo
un attimo, prima che riabbassasse il capo e riprendesse le sue faccende da dove
le aveva interrotte <<No, no tesoro, Lanis non è qui>>
<<Ma Ruduf ha dett-!>>
<<Lanis è venuto in panetteria di mattina presto, però poi l'ho mandato dal
Nonnino perché da qualche giorno mi stava dicendo d'aver bisogno di aiuto per
gli alberi di pocce. Credo siano già da raccogliere, lui però non riesce più a
muoversi bene e per questo aveva bisogno di una mano. E' uscito da molto, ma
deve essere ancora a casa sua.>>
Una delle poche cose che la signora Nita aveva in comune col figlio adottivo
era quel sorriso sempre dolce, sempre caldo come una torcia che Merin adorava
con tutta sé stessa e che si soffermò a contemplare mentre ascoltava la sua
spiegazione. Quando finì di parlare, Merin annuì senza accorgersene, si fiondò
verso la porta accennando un <<Grazie, a dopo!>> e il secondo DlinDlan
della giornata accompagno la sua veloce uscita dalla panetteria.
Il freddo mattutino le punse le guance come una carezza di spine, un fremito la
colse alle mani e se le portò subito alla bocca per riscaldarle col suo fiato.
Poi riprese a correre, anche perché se fosse rimasta ancora ferma sulla strada
probabilmente sarebbe stata la folla a trascinarla via senza che lei muovesse
un piede. Il sole era sorto da poco, ma tutta Luhne era già sveglia da un
pezzo: le strade erano strette e si riempivano sempre di gente a quell'ora del
giorno, di contadini un po' ritardatari che andavano a lavoro o pescatori che
cercavano un angolo libero per vendere pesci il doppio più lunghi di loro. Molte
vecchiette si erano sedute sugli usci delle case per cucire stoffe o spellare
verdure, e visto che a tutte piaceva sempre sporgere un po' i piedi fuori
dall'uscio mentre stavano sedute c'era il rischio di inciamparci sopra se non
si faceva attenzione. Poi a quelle vecchiette avrebbero presto fatto compagnia donne più
giovani con i figli piccoli a seguito, e alla calca di gente si sarebbero
aggiunti anche bambini alla ricerca di qualche sasso da usare come giocattolo.
Merin evitò la folla schivando e spingendo come poteva, a volte aggrappandosi
di nascosto insieme ad altri ragazzini a qualche carretto diretto verso la
piazza del mercato -in uno c'erano galline cerule coi loro pulcini
arancioni , e tutte quelle piume svolazzanti le provocarono una tale raffica di
starnuti da convincerla presto a mollare la presa. Gli odori erano fortissimi,
umidi e pungenti, gradevoli o meno a seconda delle sfumature: in diciotto anni
passati respirando quegli odori Merin non era ancora riuscita ad abituarsene
del tutto.
Ci mise un po' di tempo ad attraversare tutto quel tratto di città ed arrivare
a sud, verso il mare e la sua spumosa aria salata. Quella zona di Luhne
comprendeva molte piccole spiagge, tutte o quasi dalla forma di falce e
circondate da alti cumuli di roccia che le tenevano riparate dal vento. Merin
scese dal carretto di verdura che le aveva dato l'ultimo passaggio e proseguì a piedi, fino a superare i margini
della città e raggiungere il terreno sabbioso che l'avrebbe condotta a quelle
spiagge.
La casa del Nonnino era una delle tante collocate vicino al mare,
sparse e isolate tra loro come a non volersi disturbare a vicenda. Non che Nonnino fosse
il suo vero nome, e non che lui avesse davvero dei nipoti in tutta
Luhne,
ma era così che la gente lo conosceva e lo chiamava quasi con
affetto. Merin
aveva sentito diverse strane dicerie su di lui: che in realtà
fosse un
naufrago, che prima di arrivare lì fosse un cacciatore di troll
per venderne le
minuscole corna d'oro che sporgevano poco sopra le orecchie, e che a renderlo
un po'
pazzo erano state le sirene che una notte lo avevano trascinato in
fondo al
mare succhiandogli via tutto il senno con i loro baci velenosi. Merin
non aveva
mai indagato su quelle storie (anche se dubitava che la maggior parte
non fossero stati inventati da qualche buontempone): avrebbe potuto
chiedere
direttamente a lui, se non fosse stato che, sirene-succhia-senno o meno, il
Nonnino un po' matto lo era sul serio.
Il sentiero che conduceva a casa sua era deserto, così si mise a correre e non
si fermò a riprendere fiato fino a quando non ne scorse il tetto bianco in
lontananza. Invece di aprirlo, scavalcò il cancelletto di legno con un balzo e
attraversò in fretta tutto il giardino sabbioso, lasciando che qualche guscio
secco di granchio le scricchiolasse sotto le scarpe quando ci passava sopra. La
porta non era chiusa a chiave così entrò in casa senza premurarsi di
bussare -tanto era inutile, sordo com'era non si sarebbe accorto di nulla
neanche se avesse fatto esplodere una bomba sull'uscio.
L'interno era caldo, ancor più caldo e confortevole della panetteria, e Merin,
soffermandosi un attimo sul tappeto ruvido dell'ingresso, se ne beò con un
sospiro di piacere. Si staccò un po' di malavoglia dalla porta e seguì il
tragitto del corridoio guardandosi attorno. La casa del Nonnino aveva un solo
piano, ma rimaneva lo stesso più alta rispetto a tutte le altre case delle
vicinanze. Aveva persino un suono, quella casa, ed era la voce delle conchiglie
quando accostate a un orecchio cantano la voce sussurrata del mare. Ogni visita
a quella casa le dava l'impressione di essere finita dentro la pancia di un
mostro: o meglio ancora, che ogni oggetto, ogni crepa, ogni scricchiolio del
pavimento fossero lucchetti socchiusi di forzieri pieni di tesori e di segreti
impronunciabili. Ogni volta che pensava certe cose, un brivido di piacere le accarezzava la schiena come le fusa di un gatto.
Quando poi raggiunse il salotto dall'accecante color limone, trovò il
Nonnino seduto su una poltrona incredibilmente più grande di lui, circondato da
tanti di quei cuscini che sembrava pronto a sparirci dentro da un momento
all'altro. Appesi su una parete Merin riconobbe quei disegni infantili fatti
col fango che un tempo gli aveva regalato, e che lui, pur non indovinando mai
cosa raffigurassero aveva appeso in bella mostra come fossero stati preziosi
dipinti d'autore.
<<Nonno, ciao!>> Merin si portò davanti alla
poltrona e sfiorò le gambe ossute del vecchio nascoste sotto una coperta a
scacchi. Il vecchio, che sembrava impegnato a scacciar via una mosca dal naso a
forza di smorfie, quando si accorse di lei spalancò gli occhi grigissimi e fece
tremare le mani sui braccioli della poltrona. Rimase un attimo in silenzio
prima di riuscire a riconoscere la sua figura e tornare a rilassare le spalle.
<<Oh... Oh!>> la bocca gli si aprì in un bel sorriso di tre
denti al massimo, le iridi acquose si fecero lucide come biglie d'argento <<Bambina, che
bello, sei venuta a farmi visita? E' per dirmi che stai leggendo il bianco?
Come sta tuo padre?>>
Merin accettò una carezza della sua mano rugosa e
osservò come i riflessi rossi del fuoco del camino gli bagnavano i fili
chiari della barba e dei capelli. Una cosa che col tempo aveva imparato a
fare era non scomporsi più di fronte alle sue domande bizzarre
<<No>> ammise paziente <<Sono venuta per Lan, è
ancora qui?>>
<<..come?>> chiese lui, lo sguardo fattosi improvvisamente smarrito <<Che cosa è qui?>>
<<LANIS, Nonno!>> gli urlò in un orecchio, così forte che la
mosca sul suo naso volò via con un ronzio spaventato <<Sai.Se.Lanis.E'.Ancora.Qui?!>>
Il Nonnino sbatté le palpebre con aria confusa, gli occhiali quasi gli
scivolarono via ma Merin riuscì a recuperarli prima ancora che raggiungessero
il mento. <<La... nis?>>
Annuì con foga <<Esatto Nonno!
Dov'è?>> chiese di nuovo, ma lui ci mise ancora un po' di tempo per darle
una risposta -tempo che in gran parte perse osservando le macchie del
soffitto. <<Lanis... Lanis...>> cantilenò pensieroso.
<<...Lanis... Aaahh!>> rise e tossicchiò portandosi di riflesso
una mano davanti alla bocca <<E' un bravo ragazzo, proprio un bravo
ragazzo... lo sai che mi sta aiutando a raccogliere le pocce? Sono maturate
presto quest'anno. Gliene regalerò qualcuna. Quante volte sogni al giorno,
bambina mia?>>
<<Grazie Nonno, allora io lo raggiungo, va bene?>> Merin saltò subito
in piedi e corse verso la cucina senza aggiungere altro: sorpassò il tavolo
colmo di pentole vuote e saltò per superarne una caduta sul pavimento, fino a
raggiungere la porta a vetri che conduceva direttamente all'orto.
L'odore del mare la investì in pieno non appena mise il naso
fuori di casa. Rabbrividendo e stringendosi nel suo giubbotto di pelle
attraversò il pontine di legno fino a raggiungere le tre piccole
barche legate al palo, guardandole dondolare seguendo la direzione
delle crepe dell'acqua. Il sole freddo alle sue spalle rendeva l'acqua
brillante come un immenso tappeto di diamante, tanto forte da pruderle
gli occhi, ma fece finta di nulla.
Merin
slegò la barca che più di tutte somigliava a un guscio di
nocciola, ci salì sopra e brandendo l'unico remo si diresse dove
si trovavano gli alberi di pocce.
Nonostante le acque tranquille delle spiagge di Luhne fossero
l'ambiente ideale per alberi del genere, quelli del Nonnino erano i
soli che si potevano trovare in tutte le spiagge di tutta la costa:
sicuramente per questo motivo il Nonnino se la cavava benissimo con la
vendita delle pocce, forse nche meglio di quanto Merin e suo padre
ricavassero con la loro coltivazione di patate rosse.
Erano alberi particolari: più per il fatto che dovevano essere
piantati sott'acqua e non davano frutti fino a quando non crescevano
abbastanza da oltrepassare la superficie, lo erano per i fiori rossi,
simili a stelle marine, conosciuti per il solo soprannome di
"Urlatori". Li chiamavano così perché gridavano,
letteralmente, con un verso stridulo e acuto che non c'era verso di far
smettere per giorni e notti intere, fino a quando i petali non
scoppiavano e al loro posto non cresceva il frutto. Solo un vecchietto
mezzo sordo come il Nonnino avrebbe potuto sopportare tanto bene un
numero simile di alberi di pocce nella loro piena fioritura.
Merin, remando, si fece largo tra i rami spinosi e le folte foglie
color alghe, guardandosi attorno con attenzione e ormai profonda
impazienza. <<Lan!>>
sbuffò, rompendo il silenzio pacifico dell'orto e
ignorando con rabbia le foglie più sporgenti che la trattenevano
per le trecce bionde e le scompigliavano i capelli.Dopo un altro poco
girovagare, ormai scocciata, tirò fuori il remo dall'acqua
gelata e se lo sbatté forte sulle ginocchia, portandosi le mani
a coppa sui lati della bocca.
Poi urlò.
<<LAN! EHI, LAAAAAAAAANNN!>>
<<Merin!>>
E Lanis comparve.
Da dietro il tronco di due alberi una barca simile alla sua
puntò la prua nella sua direzione, mentre la persona a bordo un
po' alzava il braccio e lo agitava per farsi vedere, un po' cercava
goffamente di remare con una mano sola. Merin si voltò a
guardarlo e quando lo riconobbe, senza riuscire a trattenersi, sorrise
di riflesso: poi ci ripensò, decidendo invece che doveva
mostrarsi arrabbiata, e allora incrociò le braccia al petto e
attese che la raggiungesse. Con un cipiglio irritato osservò la
sua figura farsi velocemente sempre più nitida, sempre
più grande. Lanis non smise un attimo di remare in quel modo
ridicolo fino a quando le loro due barche non si scontrarono appena
allontanandosi un poco in direzioni opposte. Sorrise, tra il contento e
il sorpreso, i capelli rossicci spettinati dal vento e buffamente colmi di
foglioline marroni, il viso da ragazzo colorato dal freddo e dal sole.
<<Ehi!>>
<<Ehi.>>
<<Cosa ci fai qui? ...ah, no, non dirmelo!>> la zittì alzando un dito prima ancora che lei potesse aprir bocca. <<Il
Nonnino ha incastrato anche te con questa storia delle pocce, vero?
Be', almeno in due finiamo presto, e poi mi annoiavo a stare solo: lo
hai già un cesto?>> Lanis si
girò col busto afferrando un cestino ancora vuoto incastrato tra
due già quasi pieni di frutti azzurrognoli.
Lo porse a Merin, ma lei non lo prese <<No, Lan. Non sono qui per il Nonnino, stavo solo cercando te.>>
si spinse in avanti e tese un braccio per afferrare il
bordo della sua barca e cercare di avvicinarla alla propria. Lanis
l'aiutò.
<<Me?!>> chiese poi, alzando
gli occhi dal mare per poter incontrare i suoi. Le iridi di Lanis
avevano un colore particolare, sul dorato, che cambiava spesso
sfumature a seconda della luce: quella mattina erano scuri, quasi
metallici, come due luminose schegge di ferro. <<E' successo qualcosa? Mio padre...?>>
<<No no, tranquillo: l'ho visto stamattina a casa
tua e stava meglio del mio. Ti cercavo perché dovevo solo dirti
una cosa. Sono andata alla panetteria e tua madre ha detto che eri qui,
per questo sono venuta.>>
<<Be'... eccomi>> Lanis allargò le braccia in un gesto teatrale che le fece scappare un sorriso <<Cosa volevi dirmi di tanto importante?>>
<<E' papa!>> esclamò Merin aggiungendo una tale improvvisa forza nel suo tono di voce che Lanis quasi se ne spaventò <<Stanotte ha trovato... è tornato a casa con una cosa che...>>
gli occhi le brillarono e il discorso s'interruppe a metà mentre
Lanis la osservaa assumere un'espressione lontana, come fosse presa da
chissà quale pensiero. Non era una novità che Merin si
lasciasse distrarre dal suo mondo di sogni, ma il non sapere di cosa
stesse parlando iniziò a metterlo in agitazione. <<Cosa?>>
<<Oddio Lan! Lo devi vedere, lo devi assolutamente vedere! E'... è così... così...!>>
<<Ma cosa è così?!>>.
Merin trattenne un sorriso mordendosi le labbra e lo fissò a
lungo senza dir nulla, con le mani congiunte sulle gambe e il busto
proteso verso di lui. Sembrava indecisa se continuare a parlare o meno.
Lanis la osservò alzando tanto un sopraciglio da farlo
scomparire sotto la frangia disordinata dei capelli. <<Allora!?>> la incoraggiò, impaziente.
Ma Merin scosse il capo <<Lo devi vedere e basta, Lan. Se te lo dico prima non sarà la stessa cosa dopo che te lo avrò mostrato.>>
<<Ma io devo fare questo lavoro, e mi ci vorrà un sacco di tempo>>
protestò lui, con un tono quasi piagnucoloso, alzando una mano
per invitarla a guardarsi attorno tra gli alberi ancora carichi di
frutta. Merin però non seguì quel gesto, né sembrò scoraggiarsi dalle sue parole <<Se ti aiuto e finiamo presto, poi puoi venire a casa mia?>>
<<Sì, certo, m-!>>
<<Allora zitto e dammi il cesto. Muoviti!>>
Lanis guardò stranito la piccola mano tesa verso di lui. Poi, con un mezzo sbuffo, si arrese e l'accontentò. <<Non vuoi proprio dirmi niente? Neanche un indizio? Ora sono curioso!>>
<<No. Tu prima dove ti trovavi?>>
<<Da quella parte. Sei sicura? Sicura sicura sicura sicura sicura!?>>
<<Allora io andrò da quell'altra. E>>
Merin guardò Lanis con un'espressione molto eloquente sul
viso, mal celando un sorriso che sapeva di dispettoso <<Lan, no!>>
<<No non ne sei sicura?>>
<<No non ti dico un accidente!>>
Il verso acutissimo di un gabbiano attirò la loro
attenzione facendogli alzare lo sguardo sul cielo color glicine.
L'uccello sfrecciò verso terra senza considerarli affatto, e
Merin e Lanis ne seguirono distrattamente la direzione, guardandolo
sorvolare la casa del Nonnino, quasi sparire quando raggiunse i bordi
bianchi della città, e poi volare ancora, sempre più
lontano, sempre più diretto verso il centro dell'isola.
L'isola di Luhne.
La montagna in mezzo all'oceano.
continua...
°°°
Buondì.
Pubblico una mia nuova storia *schiva il primo pomodoro che le viene
lanciato* sperimentando uno stile diverso dal mio solito, per
vedere cosa succede ^^.
A dispetto di quel che può far sembrare questo noiosissimo primo
capitolo, la trama presenta molte scene d'azione e qualcuna un po'
cruda.
Detto ciò... grazie infinite a chi è arrivato fin qui >//>.
au revoir!
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