Waiting for Her
Neuro non era ancora al massimo delle sue forze.
Con il suo ultimo tentativo di sopraffare HAL, quest’ultimo aveva invece avuto modo di sopraffare lui.
Ricordava ancora bene, forse anche troppo, la penosa
figura che aveva fatto innanzi a Yako: un demone, per giunta ferito,
che si abbassa a chiedere l’aiuto di un essere umano per arrivare
alla soluzione di un mistero - e poco importava che gliel’avesse
chiesto perché la sua mentalità demoniaca non poteva
neppure concepirla.
Non era una bella cosa per
la sua razza, considerato il fatto che erano indubbiamente superiori
agli umani sotto una molteplicità d’aspetti impressionante.
Rilassò la schiena
contro il divano su cui era accomodato, appoggiando la testa sulla
sommità dello schienale, scrutando il soffitto con finto
interesse: in quel frangente, in quella parte del mistero indubbiamente
più succulento che avesse mai incontrato fino ad allora, lui era
perfettamente inutile;
eppure, nonostante una parte di sé si rodesse per
quell’obbligata mancanza d’utilità, l’altra
parte era in un certo senso compiaciuta della cosa, in quanto la
situazione avrebbe messo alle strette la sua serva al punto che, con
buone probabilità, sarebbe riuscita a diventare autosufficiente
- anche se entro un certo limite.
Era l’occasione che
non si era mai presentata per far sì che il suo cervello
iniziasse a funzionare per proprio conto, senza che lui intervenisse in
alcuna maniera, né psicologicamente, con le sue brillanti
deduzioni, né fisicamente a proteggerla.
In quella parte
dell’indagine avrebbe dovuto fare tutto da sola; tuttavia, un
tarlo insistente e fastidioso continuava a ronzare nella testa di
Neuro, ponendogli sempre la stessa domanda: “ci riuscirà?”.
Il demone socchiuse gli
occhi, stirando le labbra in un sorriso sghembo dal quale trapelava un
po’ della sua strafottenza, ma anche una sottilissima traccia di
una sicurezza intrinseca.
Era certo
che ce l’avrebbe fatta e non solo perché era l’unico
appiglio cui potesse aggrapparsi per cercare di risolvere quel mistero,
ma anche perché Yako aveva avuto modo di guardarlo
all’opera, di ascoltare le sue logiche e brillanti ricostruzioni
dei precedenti casi - Neuro non mancava certo di modestia...! - ed
avere degli esempi di come si affronta un’indagine come si deve,
contemplando e tenendo in considerazione una varietà non
indifferente di situazioni e procedimenti differenti l’avrebbe
senz’altro aiutata.
Oltretutto, nonostante si
ostinasse a trattarla sempre nel peggior modo possibile, offendendo lei
e la sua condizione di misero essere umano, Neuro aveva avuto modo di
constatare che la sua mente, in apparenza vuota e senza la
benché minima scintilla di ragionamento logico proprio, in
realtà riusciva ad “assorbire” tutto quanto.
Ecco perché era
dell’opinione che, se sottoposta alle dovute pressioni ed in
mancanza della sua assistenza, Yako avrebbe potuto farcela.
Lui, adesso, non doveva far altro che attendere sia il suo ritorno sia che i suoi poteri si ristabilissero completamente.
Continuando a riflettere,
spostò di lato la testa, annoiato: aveva osservato il soffitto
tanto a lungo da essere riuscito ad individuare tutte le sottili crepe
che correvano sull’intonaco.
Quanto ci avrebbe messo
Yako a trovare la soluzione...? Era difficile prevederlo, ma poteva
dedurre che sarebbe riuscita a risolvere l’enigma entro la fine
del giorno - dopotutto, gliel’aveva ordinato lui.
Il demone alzò una
mano, portandosela innanzi agli occhi, osservandola con
un’espressione assorta, come se fosse sovrappensiero: il recupero
dei suoi poteri si stava lentamente avvicinando a completezza. Non
mancava ancora molto, forse un paio d’ore.
La porta si aprì all’improvviso, sbattendo contro la parete.
Neuro spostò gli
occhi dal proprio arto e li portò sulla figura minuta che era
apparsa sulla porta, piegata in due mentre cercava di riprender fiato.
Doveva aver fatto una bella corsa per arrivare lì talmente
spompata: sembrava che avesse attraversato addirittura tutta la
città.
Mentre l’osservava, squadrandola da capo a piedi, lo sguardo del demone si accese di un immediato e nero entusiasmo.
«Hai trovato la password, Yako...?» domandò, appuntando infine gli occhi sul suo viso, in trepidante attesa.
Passò un momento
prima che la ragazza riuscisse a drizzarsi e fissarlo a propria volta,
per poi replicare: «Riesco a pensare... ad una cosa sola».
I suoi occhi erano animati
da una viva fiamma di determinazione che non le aveva mai visto nello
sguardo e che contribuì a rafforzare la forza e la fermezza
delle sue parole.
Le labbra di Neuro si arricciarono in un sorriso beffardo e compiaciuto.
«Andiamo, Yako» esclamò.
Non era al massimo della forma, ma poco importava: l’attesa era finalmente giunta al termine.
Yako aveva trovato la password ed aveva maturato almeno un po’ quell’indipendenza su cui tanto contava.
Adesso toccava a lui scendere in campo, per darle modo di arrivare ad inserirla.
Da quel momento iniziava un altro tipo di attesa, quella in cui pregustava il mistero che si apprestava a risolvere.
E poi avrebbe potuto mangiare.
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