Disclaimer. Sherlock e i suoi personaggi sono
di proprietà degli aventi diritto, BBC e duo Moffat-Gatiss in primis.
L’autrice del racconto qui sotto non li possiede in alcun modo, la
traduttrice idem. Sono certa che siamo entrambe molto tristi per
questo. *annuisce sconsolata*
Note dell'autrice. Oddio, che
c'è di sbagliato in me? Ok, questo è l'inizio di una spin-off
umoristica ambientata prima degli eventi di "You can imagine the
Christmas dinners". [Vedi nota
della traduttrice a fondo pagina]
(Traduzione a cura di Madame Butterfly
- link al permesso di traduzione qui
- la storia originale la potete trovare a questo
indirizzo.
E ricordatevi che l'originale è sempre la versione migliore quindi, se
sapete l'inglese, siete caldamente invitati a leggerla =D)
ABHORRING
THE DULL ROUTINE OF EXISTENCE
or A Week Spent on Artificial
Stimulants [*]
1.
LUNEDÌ
“Mi annoio,” disse Sherlock con voce strascicata dall’altro capo della
stanza dove, come al solito, occupava l’intero divano. John sospirò e
sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo.
“Mi annoio,” ripeté Sherlock, con più insistenza. Poteva andare peggio,
pensò John; almeno oggi non stava sforacchiando i muri. Mrs. Hudson ne
sarebbe stata felice.
“Guarda la tv. Leggi un libro. Onestamente, sei come un bambino alle
volte, Sherlock.”
Sherlock sbuffò, affondando ancora di più nel divano e voltando le
gambe fin sopra lo schienale così da trovarsi mezzo capovolto.
Era trascorsa una settimana e mezza da quando il loro ultimo caso si
era concluso e da allora era diventato sempre più insopportabile, al
punto che John quasi non vedeva l’ora di andare al lavoro solo per
poter scappare dalla casa.
“Intrattienimi,” pretese Sherlock. John ridacchiò.
“Intrattieniti da solo. Dubito che qualunque cosa io possa fare abbia
un qualche interesse per te.”
Sherlock voltò la testa di scatto verso John, il suo viso reso più
spigoloso e strano da quella sua posizione capovolta.
“Sei decisamente in errore.”
John rise e scosse la testa. Non aveva idea di cosa Sherlock avesse in
mente ma lui era piuttosto contento lì con un buon libro e un tazza di
tè, e aveva deciso di non muoversi per il resto della serata.
D’altronde, lui non era una scimmia ammaestrata. Alcune volte sembrava
quasi che tutti loro fossero semplicemente degli attori sul
palcoscenico di Sherlock.
“Non ci sarebbe alcun problema se Lestrade non mi avesse confiscato la
droga,” gemette Sherlock, fissando il soffitto. John si accigliò e
abbassò il libro; sapeva che Sherlock aveva un passato di
tossicodipendenza ma non avevano mai davvero parlato dell’argomento,
non da quella prima settimana in cui tornando a casa avevano trovato la
polizia che conduceva una retata antidroga nelle loro stanze.
“Di che si trattava, comunque?” chiese, con curiosità. Sherlock gli
rivolse uno sguardo tagliente, poi si strinse nelle spalle.
“Cocaina, per lo più. Ma è passato del tempo ormai; Lestrade si è
rifiutato di lavorare con me finché non ho smesso. Scelsi il lavoro,
naturalmente.”
“Pensavo eroina,” disse John, anche se non era del tutto sicuro del
perché – in Sherlock solo la corporatura esile e gli occhi
intensi davano l’impressione del drogato. Sherlock scosse la testa.
“Provata. Mi rallenta. Non voglio essere lento, John; questo mondo si
trascina avanti ad un ritmo tedioso. Non so come riusciate a
sopportarlo. Io ho bisogno di stimoli,” disse con enfasi, gesticolando
verso il soffitto. John alzò gli occhi al cielo.
“Ma perché non puoi semplicemente... che so, bere della Red Bull come
una persona normale?!” disse.
Sherlock si voltò e lo osservò con interesse.
Quelle erano parole di cui John si sarebbe presto pentito.
MARTEDÌ
Il giorno seguente John era intento a sfogliare una pila di cartelle
cliniche nel suo ufficio, cercando di concentrarsi sul suo lavoro e di
non pensare al cataclisma che un consulente investigativo molto
annoiato poteva scatenare sul loro appartamento. Non aveva avuto
notizie di Sherlock per tutto il giorno e non era sicuro si trattasse
di una cosa buona o di una molto, molto cattiva.
“Tutto bene?” chiese Sarah, facendo capolino dalla porta. Dai loro
primi, disastrosi appuntamenti erano riusciti a stabilizzare i loro
rapporti in una tranquilla amicizia; Sarah aveva fissato un limite
quando il loro terzo appuntamento si era concluso, non nel suo letto
come John si era aspettato, ma incollata alla parete di un edificio in
una di quelle impalcature con le carrucole che si usano per lavare i
vetri esterni dei palazzi. Non aveva davvero capito dove fosse il
problema – non era che Sherlock non li avesse salvati – ma supponeva di
non poterla biasimare.
Sospirò, strofinandosi gli occhi.
“Bene, grazie, sì. Sono solo preoccupato per Sherlock..."
Sarah sussultò leggermente e poi atteggiò la sua espressione in quella
che pensava fosse una di educata curiosità.
“Non è una novità. Che sta combinando stavolta?” chiese.
“Non lo so, è questo che mi preoccupa,” disse John, scuotendo la testa
e poi guardandola con sguardo eloquente. “Si annoia.”
Sarah deglutì nervosamente e gettò un’occhiata alla finestra dietro
John come aspettandosi di vedere il detective piombare su di loro
mentre stavano lì.
“Ah. E l’ultima volta che era annoiato...“
“Ha riempito il bagno di uccelli morti, già. Penso stesse misurando
l’andamento della decomposizione.”
“E la volta prima...”
“Si è messo a sparare al muro.”
Sarah lo fissava, apparendo allarmata quanto lui. John sospirò, temendo
il momento in cui sarebbe tornato a casa e la vista che lo avrebbe
atteso una volta lì. Neanche a dirlo, il suo cellulare emise un bip
nella sua tasca.
MESSAGGI RICEVUTI
QUAL’E’ IL CONSUMO MASSIMO CONSENTITO PER TAURINA/CAFFEINA? RICHIESTA
OPINIONE MEDICA. SH
John deglutì appena, ricordando il suo commento sulla Red Bull, la sera
precedente. Si voltò verso Sarah.
“Sai dirmi al volo qual è il livello massimo consentito per taurina e
caffeina?” chiese. Lei scosse la testa con forza.
“È Sherlock? Sta bevendo... pensi sia una buona idea?”
“No, e sfortunatamente credo sia mia. Non pensavo che l’avrebbe fatto
veramente...” disse John, premendo freneticamente i tasti del suo
cellulare.
A: SHERLOCK
NON SONO SICURO. FARO’ UNA RICERCA – NON FARE NIENTE NEL FRATTEMPO. J
Aveva appena inviato il messaggio che il cellulare emise un altro bip
di risposta.
MESSAGGIO RICEVUTO
NON IMPORTA, SPERIMENTERO’. SH
John gemette e crollò la testa fra le mani, guardando Sarah attraverso
gli spazi tra le dita.
“Posso stare a casa tua stanotte?” chiese, per un momento senza
preoccuparsi del fatto non si stessero più frequentando e che fosse
decisamente una cosa poco appropriata da chiedere. Sarah ovviamente la
pensò così e gli rivolse un’espressione accigliata che rispondeva da
sola alla domanda.
“Se sei stato tu a dargli l’idea, devi vedertela tu con lui,” disse
severamente, poi indicò l'enorme pila di documenti. "Farai meglio a
darti una mossa con quelli, Mrs. Richards sarà presto qui per il suo
appuntamento."
Uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di lei con decisione,
quindi John sospirò e si rivolse ai suoi documenti. Almeno avere a che
fare con le minuzie dei pazienti avrebbe distolto la sua mente dal suo
coinquilino e da qualunque cosa stesse architettando.
Per diverse ore, John riuscì a non pensarci affatto; l'eterno
caleidoscopio di persone e malattie che passò attraverso il suo ufficio
lo mantenne più che occupato, e se qualche volta il suo sguardo
saettava verso il telefono era solo perché stava aspettando una
chiamata dall'ospedale riguardante un caso piuttosto complicato.
Era metà pomeriggio quando ci fu un colpo improvviso e la porta del suo
ufficio venne sbattuta contro il muro. John alzò gli occhi, allarmato
dall'improvvisa intrusione.
Sherlock Holmes stava fermo nell'ingresso, i capelli completamente
scompigliati intorno al viso e gli occhi fissi e spalancati. La sciarpa
era buttata all'indietro.
John deglutì e guardò in su verso il suo amico, ansiosamente. Sembrava
vibrare leggermente.
"Sherlock... che stai fa-"
"Sono venuto ad assisterti," annunciò Sherlock pomposamente, scivolando
nella stanza e marciando dritto verso la scrivania di John, dove
incombette su di lui lanciandogli uno sguardo penetrante.
"Sherlock, quanta Red Bull hai bevuto?" chiese John, temendo la
risposta. Sherlock fece ondeggiare la mano come accantonando la domanda
e iniziò a camminare a passi misurati per il piccolo ufficio.
"Non è importante. Un po'. Troppa, sospetto. Non abbastanza. Chi è il
tuo prossimo paziente? Leggimi la sua cartella clinica," disse tutto
d'un fiato, tanto che John poté a malapena distinguere le parole.
"Non posso, sono confidenziali - perché vuoi la cartella clinica del
mio paziente?"
"Te l'ho detto, sono venuto per assisterti. È la sola soluzione al
problema che ho in mente da qualche tempo; tu sei stanco quando arrivi
a casa dal lavoro, e incapace di raccogliere l'energia o l'entusiasmo
per intrattenermi. La mia mente si ribella all'inattività, John, devo
essere intrattenuto. Quest'idea della Red Bull è buona, mi congratulo
con te, ma test preliminari suggeriscono che non sarei in grado di
mantenere questo stile di vita per più di una settimana senza rischiare
una tachicardia; un metodo alternativo deve essere trovato, quindi. Se
ti assisto, puoi finire in tuo lavoro in metà del tempo - probabilmente
anche meno. In più, sarai molto più vigile quando avremo un caso, visto
che ho notato che in diverse occasioni ti sei addormentato di colpo. Il
fatto tu non sia cosciente avrebbe un effetto nocivo sull'esito di un
caso, la qual cosa si rifletterebbe negativamente su entrambi di noi.
Conclusione, hai bisogno della mia assistenza."
Si fermò per riprendere fiato.
"Non posso, Sherlock, non posso davvero, e non mi puoi aiutare, è
illegale. E anche se tu potessi, non sei in condizioni. Va' a casa e
aspetta che l'effetto della Red Bull si esaurisca," disse, con il tono
più fermo che riuscì a racimolare.
"Non posso, mi annoierei," disse Sherlock, smettendo improvvisamente di
passeggiare su e giù per sbattere le mani sulla scrivania di John. Lo
guardò al di sopra del tavolo, con sguardo folle, "E poi ne ho ancora
diverse casse da finire nell'appartamento. Hai avuto un'eccellente
idea, John, posso vedere tutto molto chiaramente adesso. Ogni cosa
sembra molto... emozionante."
Si raddrizzò all'improvviso e si tolse il cappotto, lo lanciò su un
armadietto porta-documenti e si buttò sul lettino. Si sedette sul
bordo, pieno di energia nervosa, le gambe che dondolavano avanti e
indietro.
John decise di provare una nuova tattica e lo ignorò, tornando alla
tabella che stava riempiendo. Sherlock era silenzioso, come in attesa
di qualcosa, ma la stanza era piena dei suoi movimenti nervosi:
tamburellava con le dita sul lettino, giocherellava con un filo scucito dei
pantaloni, strascicava i piedi sul pavimento. John strinse i denti.
"Hai una mascella molto decisa," disse Sherlock all'improvviso,
"Proprio da soldato. Mi chiedo, sono le persone con mascelle forti ad
essere più predisposte a diventare dei militari o la mascella si
sviluppa durante il tempo trascorso a fare i soldati? Potrei condurre
uno studio sul soggetto, un saggio. Una monografia sulla tua mascella!
Hai letto la mia monografia sui sigari, John? Be', dubito che ne
seguiresti il ragionamento. Però segui me, no, John? Moriarty non ha
un... È per questo che lui... Naturalmente. Anche se forse sono stato
un incauto a permettere che accadesse, crea soltanto debolezza. Quand'è
il tuo prossimo appuntamento con un paziente, John? John?"
John si accigliò, non provando nemmeno a seguire i processi mentali di
Sherlock, gravemente poveri della sua solita chiarezza e coerenza. Un
sintomo dell'intossicazione da caffeina, pensò: pensieri e dizione
sconnessi. Oh signore.
"Erm. Lascia che ti prenda le pulsazioni, per sicurezza. Siediti
fermo," disse, girando intorno alla scrivania e controllando il suo
amico. Sherlock non lo guardò ma continuò a lanciare occhiate alla
stanza e gli occhi gli si illuminarono all’improvviso.
"Non hai effetti personali nel tuo ufficio, niente che ti rammenti casa
o famiglia. Famiglia posso capirlo; imbarazzo, o vergogna.
Difficilmente si vorrebbe tenere la fotografia di una sorella
alcolizzata sulla scrivania di un ambulatorio, un ricordo continuo del
fatto che nonostante tu possa aiutare i tuoi pazienti non sempre puoi
aiutare quelli a te più vicini. Perché niente di Baker Street, allora?
Nemmeno una tazza e nessuno degli appunti scarabocchiati pertinenti ai
nostri casi che lasci dappertutto nel salotto. Perché?"
Sherlock stette zitto per un momento. John lo ignorò e gli puntò una
luce negli occhi, continuando il suo check-up. Le pulsazioni erano
rapide ma non aritmiche; la pelle leggermente accaldata, le pupille
dilatate. Niente di cui preoccuparsi troppo, ma si preparò mentalmente
a tenere d'occhio il suo amico per tutta la durata del suo
'esperimento'.
"Va bene," disse, "Assicurati di rimanere idratato. Bevi molta acqua."
"Ma certo," mormorò Sherlock, ignorandolo del tutto, "Sarah. Non vuoi ricordarle l'altra
tua vita, quella che lei disapprova così tanto. È per la sua comodità o
per la tua? O stai ancora coltivando la speranza di una
riconciliazione?"
John sospirò.
"Magari voglio solo tenere separate la mia vita lavorativa e quella
privata, Sherlock. Molte persone lo fanno."
"Io no."
"Tu non hai una vita privata!"
Sherlock sembrò un po' preso in contropiede e aprì la bocca per
replicare, ma non riuscì a dire niente; ci fu un bussare alla
porta - il suo appuntamento delle 15, pensò John. Mr. Turner.
"Venga," chiamò, pensando che era troppo chiedere che il suo paziente
non notasse la presenza di Sherlock. Non si poteva davvero non notare
Sherlock. Sembrava un enorme corvo, appollaiato su un angolo del
lettino.
Un grosso uomo in t-shirt e pantaloncini entrò ansando nella stanza,
sul volto un espressione dolorante.
"Prenda una sedia, per favore," disse John, indicando con un gesto la
sedia al lato opposto della scrivania. L'uomo lo fece, poi lanciò uno
sguardo a Sherlock.
"Questo è il mio collega," continuò John, rapidamente. "Lui è, erm.
Be', è un consulente, in realtà. È un... diagnosta."
Sherlock stava fissando l'uomo con aria concentrata, ma non disse
niente. I suoi occhi sembrarono leggermente troppo grandi per la sua
faccia.
"Sta... bene?" chiese l'uomo. John annuì vagamente in un tentativo di
rassicurare il suo paziente, poi richiamò sullo schermo la cartella
clinica di Mr. Turner per iniziare la visita. Se avesse agito come se
quel pazzo del suo coinquilino non fosse stato lì, magari sarebbe
andato tutto bene.
“Claudicatio intermittens," annunciò Sherlock alla stanza, sorridendo
trionfante, "Sta avendo difficoltà a camminare, vero, Mr. Turner?
Crampo al polpaccio dopo aver percorso una certa distanza ma che se ne
va dopo un po' di riposo? Mutamento della pelle sulla parte bassa della
gamba? Origine venosa, direi."
L'uomo batté le palpebre e si voltò sorpreso verso John.
"Be', è molto bravo," disse, gentile. John gemette. Permettere a
Sherlock di essere migliore di lui nel suo lavoro. Non era neanche
sicuro di come avesse fatto a scoprire il nome dell'uomo; era certo di non
averlo menzionato.
"Sta anche tradendo sua moglie - e con qualcuno con cui lavora. Posso
vedere la striscia di pelle più chiara dove ha rimosso la sua fede
nuziale. Quindi era al lavoro oggi, ma in abbigliamento informale;
comunque, la sua considerevole stazza, insieme al problema di
circolazione, suggerisce che non si muove molto nel suo lavoro. C'è una
leggera macchia d'olio sulla sua maglietta, quindi direi autista,
probabilmente camionista a giudicare dalla consistenza dell'olio. Un
ruolo in gran parte solitario, dunque, a parte quando incontra altri
autisti, ergo molto probabilmente sta tradendo sua moglie con un altro
camionista. Ci sono andato vicino?"
La faccia dell'uomo si contorse dall'ira e gettò un'occhiata a
Sherlock, poi a John, aprendo la bocca per chiedere una spiegazione.
John scosse la testa, rassegnato.
"Sarebbe meglio ripassare tutti i suoi sintomi, Mr. Turner, giusto per
stare tranquilli," disse stancamente.
Sarebbe stata una lunga giornata.
---
[*] "Aborrendo la monotona
routine dell'esistenza, o Una settimana trascorsa sugli stimolanti
artificiali": la prima parte del titolo riprende una frase detta da
Sherlock Holmes all'inizio del romanzo "Il segno dei quattro".
Note della traduttrice. Eccovi
in pasto un’altra delle mie fanfiction preferite di una delle prime
autrici che ho conosciuto in questo fandom. Io l’ho trovata decisamente
divertente e spero che già da questo primo capitolo vi abbia strappato
almeno un sorriso :D
La fanfic conta tre capitoli e, come dice l’autrice all’inizio, è il
prequel di un’altra sua fic di nove capitoli, altrettanto divertente,
se non di più, che per ora non penso di tradurre, ma mai dire mai! ;D
In ogni caso questa fic che state leggendo si può leggere benissimo a
sé stante, quindi tranquilli.
Contiene alcuni riferimenti al canone, come piace a me (non penso
tradurrò mai niente che non tenga conto del canone letterario, li amo
troppo i Nostri in versione vittoriana <3) quindi divertitevi a
trovarli, o voi amanti di Doyle!
Come al solito, se trovate errori ditemelo, se avete suggerimenti
ditemelo, se mi amate e volete sposarmi ditemelo. Insomma, parlate, non
statevene zitti! XDD
|