Come
ci sono finita io in questo fandom?
Non
saprei. E' imbarazzante e sinceramente The Vampire Diaries mi fa piuttosto ridere
–
non del modo in cui intende far ridere, presumibilmente – ma
ci
sono nonostante tutto alcuni personaggi decisamente fanfictionabili,
e poi si sa che quando si tratta di rapporti conflittuali tra
fratelli ci vado a nozze, perciò come potevo io esimermi?
Come?
In
tanti modi, ma non l'ho fatto.
Passando
alla shot, ovviamente fa riferimento a eventi che mi sono inventata
di sana pianta, ed è anche abbastanza pallosa. Abbiate
pazienza. Mi sembrava un parallelo adatto per il "respirare", e mi ha permesso di esplorare un filino il lato più malinconico del personaggio - uno che ha il mostruoso coraggio di leggere e rileggere Via col Vento, e scusate se è poco.
Almeno
lui
Quand'era
piccolo, Stefan era spesso ammalato. I suoi polmoni avevano qualcosa
che non andava, funzionavano meno bene di quelli degli altri bambini
della sua età. Con la pubertà e la prima
adolescenza il suo fisico
si era irrobustito e il problema si era risolto da sé, ma
fino agli
undici anni aveva passato parecchie notti a tossire disperatamente,
col fiato che non andava né su ne giù e lo faceva
boccheggiare
anche per ore, curato dalla madre e dalla domestica.
Ogni
volta che succedeva, Damon sentiva i suoi violenti accessi di tosse e
il suo ansimare frenetico attraverso il muro che separava le loro
camere da letto. Ascoltava l'aria entrare a stento nella gola di
Stefan e per ognuno di quei respiri faticosi anche lui tratteneva il
fiato come se stesse soffocando a sua volta, mentre le sue dita
stringevano spasmodicamente la federa del cuscino, su cui teneva
affondato il viso schiacciandovi contro gli occhi spalancati.
Sprofondava in un dormiveglia incostante da cui riemergeva di
frequente, sempre spinto da un moto d'ansia improvviso che lo
strappava a quel sonno leggero.
Poi,
poco prima dell'alba, la tosse di Stefan si calmava. A quel punto di
solito Damon si svegliava un'ultima volta, come se fosse stato il
silenzio stesso a chiamarlo. Scivolava fuori dalle lenzuola
silenziosamente e in punta di piedi, trattenendo il fiato,
raggiungeva la porta della sua stanza e la socchiudeva lentamente,
per non fare il minimo rumore. Poi sgusciava fuori, aprendola quel
tanto che bastava a permettere al suo corpo di passare, e zampettava
verso la camera del fratello. Si affacciava pianissimo, rimanendo
immobile nella penombra, e soltanto quando i suoi occhi si abituavano
raggiungeva il letto del minore. Per qualche minuto rimaneva
lì
fermo senza muoversi, di fianco a Stefan che dormiva profondamente,
sfinito, e non faceva altro che guardarlo riposare. Suo fratello.
Osservava i capelli scompigliati e umidi di sudore, le labbra
socchiuse da cui, finalmente, l'aria entrava e usciva nel modo
giusto, e ascoltava il ritmo di nuovo regolare del suo respiro.
Dopo
qualche minuto il sonno gli appesantiva le palpebre, intorpidendolo,
e Damon ritornava sui propri passi, fuori dalla stanza di Stefan, e
lì cambiava direzione, percorreva leggerissimo il corridoio
e
scendeva delicatamente le scale, attento a non produrre suoni che
potessero disturbare il sonno degli altri occupanti della casa, fino
ad uscirne.
Quando
arrivava all'esterno, con i piedi nudi nell'erba umida della notte
morente, si avventurava al di là del terreno demaniale,
allontanandosi di qualche decina di metri fino ad oltrepassare la
barriera degli alberi intorno alla magione dei Salvatore. Allora si
sedeva davanti al cielo aperto e aspettava di vedere i primissimi
raggi del sole nascere. Li attendeva più tranquillamente di
quanto
facesse qualunque altra cosa durante il giorno, quando il suo
carattere irrequieto e un po' sfacciato lo dominava – quel
carattere che tanto dispiaceva a suo padre.
Stava
soltanto seduto, al freddo, e aspettava la luce del giorno sperando
che sarebbe stato quello lì il giorno in cui Stefan sarebbe
riuscito
a correre fino in fondo alla staccionata senza ansimare troppo forte
all'arrivo. Quando il sole cominciava a levarsi, Damon ritornava
nello stesso perfetto silenzio in casa, in camera sua, si infilava
nel letto e crollava profondamente addormentato.
Molto
tempo dopo, il giorno che Damon si innamorò per la seconda
volta
della donna sbagliata, quella che amava Stefan e ne era riamata,
pensò che quando fosse stato troppo stanco, troppo sfinito
dall'esistenza e da tutto quello che gli aveva portato, l'avrebbe
fatto un'altra volta.
Avrebbe
posato l'anello sul comodino, accanto al letto, sarebbe scivolato col
suo sovrumano, impercettibile silenzio nella stanza di Stefan e
l'avrebbe guardato dormire come quand'era bambino, e lui gli voleva
bene, e Stefan ne voleva a lui. Sarebbe rimasto lì per un
po' a
imprimerselo nella mente ancora meglio di quanto avesse fatto in
quasi cento e settant'anni, fino a poco prima dell'aurora, poi
sarebbe uscito.
Avrebbe
attraversato il bosco verso le rovine della loro vecchia casa e
lì
si sarebbe seduto da qualche parte ad aspettare l'alba, sperando che
quello fosse il giorno in cui Stefan avrebbe ripreso a respirare
la vita fino in fondo. Almeno lui.
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