Cherry blossoms - fiori di ciliegio

di Leireel
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-Autore: silvershiver (Leireel su EFP).
-Titolo: Cherry blossoms – fiori di ciliegio.
-Prompt: Bellatrix Lestrange, “L’illusione è il lusso della gioventù” (Anonimo), Segreto.
-Altri personaggi: Sirius Black.
-Genere: Introspettivo, Dark.
-Rating: Arancione.
-Avvertimenti: What if...?
-Trama: Alla tenera età di dieci anni, Bellatrix aveva un cassetto pieno di desideri che la lasciavano vuota e insoddisfatta, e invidia, tanta invidia da riempire un mondo.
Bellatrix ha sempre voluto essere Sirius. Si è accontentata dell’illusione di poterlo avere, almeno per un po’.
-NdA: Non so da dove sia uscita fuori questa storia, sul serio; Bellatrix da sola è difficile da gestire, aggiungerci Sirius significa volersi fare del male. Spero che ne sia venuto fuori qualcosa di almeno decente.
Da qui in poi ci sono spoiler della storia, quindi consiglio di leggere queste note dopo, per evitare spiacevoli sorprese. I fiori di ciliegio simboleggiano, nella florigrafia, buona educazione, bellezza femminile, amore e caducità; valori che Bellatrix non si fa problemi a calpestare, da cui la simbologia. Ho supposto che Cygnus non volesse che le sue preziose figlie si schierassero in guerra per svariati motivi: in primo luogo, per i pregiudizi che vedono nella donna il sesso debole, incapace di combattere; per il fatto che fino a poco tempo fa era considerato indecoroso per la donna prendere parti ad attività prettamente maschili quali, appunto, la guerra; non ultimo, per una questione di opportunismo politico, considerato che uno schieramento netto avrebbe reso minime le opportunità di potersi salvare con un voltafaccia (come ad esempio fanno i Malfoy). A sostegno della mia ipotesi c’è da dire che gli stessi Walburga e Orion non si schierano nettamente con Voldemort, nonostante approvassero la sua linea di pensiero, come dice lo stesso Sirius ne L’Ordine della Fenice.
Sono stata indecisa a lungo se far pronunciare o meno a Sirius il nome di Voldemort, visto l’esiguità del numero di persone che osa chiamarlo per nome; poiché lo fa egli stesso nel sopracitato passaggio, tuttavia, mi sono concessa di farglielo nominare ben due volte.
Le suggestioni di Bellatrix di inizio storia sono di stampa freudiana; l’odio per la madre e il desiderio di essere un maschio hanno radici nel cosiddetto complesso di Elettra; anche la successiva distruzione dei miti del padre trova lì spiegazione, essendo il sentimento di desiderio verso il padre ambivalente e talvolta distruttivo. Spero che Freud non me ne voglia per quest’abuso delle sue teorie.
Il tema dell’illusione è ampiamente trattato; quello del segreto è presente in maniera più sottile, meno marcata, ma ugualmente importante.
La storia si è classificata seconda nel contest L'Olimpo indetto da Vogue sul forum di Efp, a parimerito con Payton Sawyer, e ha vinto inoltre il premio Giuria. Ha partecipato inoltre al contest The best of... indetto Acardia e nefene sul forum di Efp, classificandosi quinta su trentuno partecipanti. Inutile dire come i due risultati mi abbiano riempita di gioia; non credevo così tanto in questa fanfiction, e vederla così apprezzata mi ha sinceramente stupito :) Spero piaccia anche a voi.

 

Cherry blossoms – fiori di ciliegio

“L’illusione è il lusso della gioventù”
Anonimo

I ciliegi erano in fiore. I rami ondeggiavano con grazia sotto il vento pungente di marzo, e i petali si spargevano nell’aria fredda e nebbiosa come fiocchi di neve perlacei, per poi mischiarsi al grigio dell’asfalto e rimanere là, inermi, calpestati senza benevolenza da passi sfuggenti e affrettati. Nell’ombra del pergolato di casa Black, Cygnus aveva raccolto tre tra i fiori più belli e Druella, amorevole, li aveva appuntati tra i capelli delle bambine, riservando loro un sorriso di aperta gioia e ammirazione.

Alla tenera età di dieci anni, Bellatrix accoglieva quelle tiepide manifestazioni di affetto con una certa vanità e compiacimento, che tuttavia si mescolavano a qualcosa che non riusciva bene a definire e che solo negli anni a seguire avrebbe identificato con disappunto. Dromeda le aveva stretto la mano senza dire una parola; ma nei suoi occhi spalancati e confusi aleggiava quella domanda che non osava pronunciare a voce alta, e cui lei non avrebbe saputo dare una risposta.

Perché non sei felice?

Alla tenera età di dieci anni, Bellatrix aveva un cassetto pieno di desideri che la lasciavano vuota e insoddisfatta, e invidia, tanta invidia da riempire un mondo. Lo vedeva, lo sguardo di suo padre e dei suoi zii quando guardavano quel mocciosetto di Sirius; era tutto quello che lei non sarebbe riuscita a essere, e bruciava, bruciava da morire.

Perché non posso essere anch’io un maschio, come lui?

Col passare degli anni, avrebbe capito che c’erano altri modi con cui avrebbe potuto onorare la sua famiglia: anche da femmina, anche da donna. A dieci anni, Bellatrix voleva solo essere quell’erede che suo padre tanto desiderava, e che sua madre non era riuscita a dargli.


«Non dovresti essere qui».

I ciliegi erano ancora in fiore; il loro profumo dolciastro si spandeva nel vento come un sussurro nel crepuscolo. Sotto il pergolato, le foglie avvizzite avevano il solo colore che il ricordo riusciva a donargli; l’aria era tanto satura di segreti e bugie da non lasciare neanche spazio per un refolo d’ossigeno.

«Ѐ anche casa mia, in fondo».

A neanche vent’anni, Sirius aveva quella sfolgorante, selvaggia bellezza che solitamente si associa a uragani e temporali: terribile e maestosa, come una supernova pronta a esplodere e a risucchiare ogni luce. Anche nella penombra della notte incombente i suoi occhi attiravano ogni sguardo; ma c’erano solo loro due in quel giardino morente, e Bellatrix, per una volta, non aveva voglia di giocare. Aveva ancora lo sguardo fisso alle stelle lontane quando gli aveva risposto, pochi secondi dopo, sputando fuori le parole con disprezzo.

«Questa non è mai stata casa tua. Ci hai rifiutati dal momento in cui sei venuto al mondo».

Il salone di casa Black era immerso nel buio e nel silenzio; Bellatrix gli aveva ricordato cosa significasse essere l’erede di una tale casata, ed era stata l’unica volta in cui era riuscita a scorgere paura in quegli occhi di brace, in lui che sembrava non sapere neanche dell’esistenza della parola terrore.

«Vero,» aveva riso lui, di una risata amara che non arrivava agli occhi. «Cosa hai intenzione di fare, allora? Buttarmi fuori a calci al funerale di tuo padre?»

Non aveva avuto bisogno di parole; un lampo nello sguardo e lo Schiantesimo si era abbattuto con forza contro la parete di fronte a lei, dove un attimo prima si trovava Sirius.

«Non sono venuto qui per litigare con te, Bella».

«Ah, no? E cosa saresti venuto a fare, esattamente? Pensavo fosse chiaro che la tua presenza non è affatto gradita, qui,» aveva sibilato lei in risposta.

Aveva strappato la lettera di Andromeda con uno scatto rabbioso, mille frammenti di pergamena che aveva consumato nel fuoco verde di un incantesimo; le parole infamanti che le risuonavano nella mente avevano il sapore acre di una sconfitta che non aveva neanche preso in considerazione. Associato ai Black, Grifondoro suonava come la più terribile tra le bestemmie.

Per una manciata di minuti non le era giunta risposta; lo sguardo di Sirius era perso tra la vetrata e le siepi appassite e qualche mondo di pensieri di cui lei sicuramente non faceva parte.

«Non lo so, forse avevo nostalgia di queste mura decrepite,» aveva sussurrato alla fine, così piano da confondersi quasi con l’aria fredda della notte. Il suo tono divertito tradiva una certa forzatura, come se neanche il suo abituale sarcasmo riuscisse a nascondere la solitudine delle sue parole. «O forse avevo voglia di rivedere te».


Bellatrix, fedele al suo nome, racchiudeva in sé la tenebra; come una rosa sfiorita che ancora si ostina a tenere nascosto il suo cuore più segreto, aveva quel fascino decadente di una maturità piena che preludeva a un’imminente vecchiaia, e che donava alle sue labbra sottili e alle palpebre pesanti un languore sensuale, quasi noir nelle sue sfumature più nascoste. Non che lei non ne fosse consapevole: anche in quei momenti di dolore straziante non rinunciava al suo cipiglio provocatore e guerriero, che le donava una bellezza indomita e fiera e in cui molti, scioccamente, non vedevano altro che pazzia. Sirius la conosceva molto meglio che così; sotto le vesti di quell’impeto passionale, che la rendeva tanto imprevedibile quanto violenta, si nascondeva una mente calcolatrice e attenta, pronta a predare e distruggere a un minimo cenno di debolezza. D’altra parte, non era Serpeverde senza un motivo.

«Non ho tempo per queste sciocchezze. Faresti meglio ad andartene, ho altro da fare».

Bellatrix l’aveva liquidato con due parole e un’occhiata sprezzante, nell’estate del suo primo anno; quasi quell’indifferenza calcata fosse una medaglia al valore, Sirius l’aveva guardata a testa alta mentre lei lasciava la stanza. L’orgoglio Grifondoro gli ribolliva nel sangue insieme a confusi ardori preadolescenziali. Non aveva mai rifiutato una sfida, e non aveva intenzione di fare eccezioni.

«Come rimirare il tuo bel Marchio Nero? Ora che papino non c’è più puoi finalmente darti alla pazza gioia col tuo caro Voldemort, non è così?» l’aveva schernita Sirius quando già il suo profilo stava per scomparire oltre la vetrata. Bellatrix si era voltata di scatto, la furia a distorcere i suoi lineamenti eleganti.

«Come osi... pronunciare il suo nome, tu, lurida feccia! Non sei neanche degno di baciare la terra che l’Oscuro Signore calpesta, stupido moccioso senza cervello!» aveva sbraitato avvicinandosi a lui con la bacchetta alzata, fino a puntarla alla sua gola. Un fremito delle palpebre aveva tradito la solita compostezza con cui Sirius si faceva beffe del mondo; nondimeno aveva continuato a fissarla negli occhi, sprezzante.

Lui che sembrava non sapere neanche dell’esistenza della parola terrore.

«Hai un modo davvero curioso di onorare la memoria di tuo padre... Disubbidire alle sue ultime volontà quando ancora il suo corpo è caldo nella tomba, devo dirlo, è un omaggio parecchio originale,» aveva continuato a sbeffeggiarla, incurante degli sguardi di puro odio che Bellatrix gli stava rivolgendo. «Ma per il tuo Voldemort questo e altro, non è così, Bella?»

«Non... osare... pronunciare il suo nome con la tua lingua indegna...» aveva sibilato lei a un soffio dalle sue labbra, la bacchetta a premergli ancora di più contro la giugulare.

«Non mi pare che fino a ora ti abbia fatto tanto schifo, mentre godevi tra le mie braccia,» le aveva sussurrato con un sorriso di scherno. Bella si era ritratta come scottata, mentre la risata di Sirius, simile a un latrato, echeggiava nel pergolato immobile.


Aveva avuto l’illusione di poter riuscire a controllarlo, una volta – aveva desiderato tanto violentemente di poter essere lui da riversare tutto il suo ardore nel plasmarlo a suo piacimento, nella presunzione di poter fare di lui quello che lei non era riuscita a essere: l’erede perfetto, baluardo della nobile e antichissima casata dei Black.

Quell’unica sconfitta bruciava ancora, sulla sua pelle e sul suo orgoglio, assordante e fastidiosa.

I suoi baci le corrodevano la pelle, giù, giù, a marcirle nell’animo come una ferita infetta; ma la sua anima era già nera, il suo sangue annegava nel fango, e quegli amplessi violenti avevano il sapore della distruzione, meravigliosa, feroce, in cui si dibattevano e perdevano e affondavano insieme.
Era un’illusione che continuava a cullarla nei momenti di ozio, quando sedurlo e logorare quella sua innocenza sfacciata, quell’anima che lui, sciocco!, continuava a reputare candida, riusciva ancora a divertirla e a distoglierla dalla noia.

Ma non era più il tempo per quei giochi viziosi, e lo sapevano entrambi.

«Tu non sai niente di me. Niente!» l’aveva attaccato, gli occhi dardeggianti e furenti. «Perché sei venuto, eh? I tuoi amichetti ti hanno lasciato da solo e non sapevi sotto quale sottana nasconderti e piangere?»

«I miei amici, al contrario dei tuoi compari Mangiamorte, conoscono il concetto di lealtà,» aveva replicato Sirius con uno scatto furioso. «Ma pare che anche tu te ne sia scordata, eh, Bellatrix? Cygnus non voleva che te ne stessi fuori dalla mischia, che non compromettessi il buon nome dei Black andando in giro a farti ammazzare? Ma certo, chi se ne importa di papino? Tanto è già morto!»

«Avada Kedavra!» aveva urlato lei in risposta, una furia cieca a stravolgerne i connotati. Il lampo verde aveva mancato ancora una volta Sirius per un soffio, andando a colpire la parete dietro di lui; i mattoni si erano frantumati con un rumore secco e stridente, sparpagliandosi sulle mattonelle scheggiate in una nuvola di polvere.

«Allora è questo che significa,» aveva mormorato Sirius tra sé, fissando lo sguardo tra i detriti scomposti. L’aveva levato su di lei qualche attimo dopo, senza più sorridere. «Immagino che ci rivedremo in guerra, allora. O direttamente all’inferno».

«Spero di avere il piacere di mandarti là personalmente,» gli aveva risposto Bellatrix, ancora ansante, mentre lui si Smaterializzava con uno schiocco secco, lasciando nell’aria una debole scia del suo profumo. I petali di ciliegio, mossi dal vento, si erano posati leggeri tra la polvere; li aveva calpestati con forza prima di rientrare a casa con un’espressione infastidita.


Aveva avuto l’illusione di poterlo avere, una volta; ma di quell’illusione si era avvelenata abbastanza. Non era più tempo di giocare.





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