Bloody Nic

di MizzGreen93
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Le gocce vermiglie percorrono silenziose la mia mano per poi scivolare lungo il mio indice  ed infrangersi  nell’acqua limpida ancora tiepida della mia vasca di marmo bianco… un bianco che è stato appena macchiato, stuprato, privato della sua innocenza dal mio atto bruto. Ogni goccia caduta in acqua produce un suono strano, non saprei descriverlo o forse non ne sono capace: è un suono quasi inesistente, un suono che dura meno di un secondo e poi si tramuta nel nulla, anzi, si trasforma in anelli d’acqua che si allontanano come spaventati dal punto dove la mia goccia di sangue ha scelto di morire.
D’improvviso il rumore comincia a farsi più insistente o forse è solo la mia mente malata che lo percepisce come tale: sembra quasi voglia scuotermi dall’oblio in cui sono precipitata ma ormai è troppo tardi, il burrone è troppo profondo ed io mi trovo già all’interno di questo in balia della crudele forza di gravità che con violenza mi trascina verso il basso, verso l’oscurità, verso il nulla più assoluto.
Apro lentamente gli occhi, li sbatto ripetutamente per combattere l’intorpidimento che ormai mi ha assalito, non sto cercando di combattere, sarebbe una mossa sciocca e soprattutto inutile. Osservo il mio candido braccio sinistro appoggiato sul bordo della vasca, lo scruto partendo dalla spalla sino al polso, dove ho scatenato la mia ultima furia, l’ultima mia vendetta contro me stessa dove adesso vi è un profondo  taglio di quattro centimetri da cui il mio sangue purpureo scorre, anzi, quasi scappa. Sposto il mio sguardo sull’altro braccio che sporge fuori dalla vasca, ricompio meccanicamente gli stessi gesti ma questo lo guardo in maniera diversa, quasi con compassione, dopotutto è stato la prima vittima e il secondo carnefice, dopotutto ha un po’ meno colpa.
Con uno sforzo giro il capo verso destra per scrutare il pavimento alla ricerca di lei. Eccola: il suo color acciaio brilla sotto la luce artificiale, quasi come se fosse dipinto un ghigno maligno su di lei. E chi se lo sarebbe aspettato che quelle fottute lamette su cui avevo sfogato i miei istinti adolescenziali sarebbero diventate un giorno coloro che mi avrebbero accompagnata alla tomba alla veneranda età di 23 anni con passaggio per la vasca incluso nel prezzo. Credo che mia madre non prenderà a bene queste macchie, soprattutto quella sul suo tappeto nuovo.
Riporto la testa diritta, faccio un profondo respiro rilassando i muscoli che comincio a sentire intorpiditi. Immagino la faccia di mia madre quando mi troverà nuda, sporca di sangue e senza vita, immagino le persone  sconosciute che poseranno fiori sulla mia tomba, immagino le mie “amiche”, anzi, conoscenti, che si chiederanno cosa mi ha spinto a compiere questo atto e diranno scherzando tra di loro che hanno sempre sospettato che fossi strana. Ma tutto ciò non poteva davvero essere evitato? Mi sarebbe bastato poco per essere felice. Mi sarebbe bastato poco per restare in vita.
Chiudo gli occhi e con la forza dei ricordi comincio a ripercorrere tratti della mia vita.

 




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