Inizio col salutarvi
tutti e ringraziarvi enormemente per aver seguito il prequel di questa storia.
Per chi non lo conoscesse, il titolo è “GOLD IN THE BLUE”, probabilmente
conviene leggere prima quella, tanto per rimanere un attimo a passo con il
racconto, ma questa è una decisione vostra.
Sono tornata alcuni
mesi più tardi dalla conclusione della mia prima storia sperando con tutto il
cuore di riuscire a coinvolgervi e a emozionarvi con le mie parole, nelle quali
ho messo tutto l’impegno possibile.
Bene, inizio col
spiegare alcune cose. “Timeless Light”, ossia questa mia nuova fanfiction, è
strutturata in modo diverso da quella precedente, ora mi spiego meglio. La
trama è, come dire, intrecciata, passato e presente si mescolano con giochi di
flashback e frammenti di ricordo, così da creare una specie di continui lampi
di luce, idee improvvise o ricordi offuscati. Inoltre, appaiono alcuni nuovi personaggi,
che conosceremo capitolo per capitolo.
Se riesco – cosa assai
improbabile – posterò un capitolo alla settimana, molto probabilmente il lunedì
attorno alle 18.00.
Ringrazio tutti
nuovamente e vi lasco alla mia nuova storia. Un bacio!
Timeless Light
PROLOGO: TUFFO NELLA MEMORIA (PARTE 1)
Bianco. Candore, purezza, gelo. Così, con
quest’atmosfera così insolita, si presentava la piccola cittadina di Resembool,
persa tra le campagne, la sera del 12 gennaio 1923. La neve polare aveva imbiancato
ogni più misero centimetro del paesello, come se ogni debole filo d’erba fosse
stato imprigionato in una fredda morsa dai chiari toni.
Era così strano che a Resembool nevicasse, data la
posizione geografica e l’aria mite che aleggiava tra campi e vasti prati.
Eppure, quella sera, tutto sembrava essersi fermato, per lasciar spazio alla
prima inaspettata nevicata degli ultimi quattro anni.
Edward posò una mano sul vetro ghiacciato della
finestra, lasciando come traccia moltissime minuscole goccioline di condensa.
Batté le palpebre, seguendo con estrema attenzione la danza delicata di un
piccolo fiocco di neve, che volteggiava appena al di fuori di quella sottile
barriera di vetro. Rimase incantato da tanta purezza, rilasciata da un così
minuto oggetto.
Si allontanò di pochi passi dal vetro, dando un
ultimo fugace sguardo al calendario e seguendo con gli occhi d’oro la grande
scritta sul primo foglio, impressa con un inchiostro nero.
Sorrise, schiudendo le labbra sottili, incorniciate
appena da qualche accenno di barba, che doveva aver rasato da poco.
Quant’era mutata la sua vita, nel corso di quegli
anni. Ad Amestris regnava la pace, salvo qualche rara e fievole insurrezione ai
confini, causata dagli attacchi esterni. Eppure, il passato continuava a infierire
nella sua mente, chissà per quale motivo.
Si strinse, rabbrividendo, nella vecchia palandrana
rossa – ultima traccia delle sue memorie – chiedendosi per quale ragione non
avesse ancora gettato quel panno logoro e malandato. Si colpì la fronte con
leggerezza, dandosi mentalmente dell’idiota, per aver pensato anche un solo
secondo di sbarazzarsi della sua amata compagna di mille avventure.
Scosse la lucente massa di capelli aurei, che
crescevano sempre più. Cominciavano a essere leggermente fastidiosi, ma sapeva
che, se mai li avesse tagliati, avrebbe dovuto subire le violente ire di una
meccanica in particolare. A dire il vero, si era anche concesso qualche
spuntatina – rigorosamente di nascosto – altrimenti, in quel momento, avrebbe
dovuto far attenzione a non inciamparvi sopra. Ok, forse stava un tantinello
esagerando. I ciuffi color del grano gli arrivavano a metà schiena e a Winry
ciò sembrava bastare, per fortuna.
Si avvicinò a passi lenti al caminetto, gettandovi
all’interno alcuni ceppi di legno secco. Al contatto con il fuoco, il legname
produsse un crepitio secco e non faticò affatto ad incendiarsi.
Edward allungò le mani verso quella luminosità,
riscaldandole beatamente. Le ritirò improvvisamente, riconoscendo in quelle
fiamme e in quella luce un pensiero che lo infastidì parecchio.
Roy Mustang e l’alchimia, due presenze fisse nel
suo passato.
Due presenze che, alla luce di quello che sarebbe
successo in futuro, avrebbe fatto meglio a non dimenticare.
Seguì il movimento danzante delle lingue di fuoco,
osservando ogni più misero gioco di luci e di ombre che riusciva a plasmare
quella piccola e luminescente forma di calore. Lo scoppiettare allegro del
fuoco era l’unico rumore che animava la stanza e la sua mente, facendolo
scivolare nell’oblio dei ricordi del passato.
Gli occhi dorati, luminosi, riflettevano quel
tiepido lume, parendo ancor più preziosi del semplice anello d’oro che ornava
da ormai più di due anni il suo anulare sinistro. L’osservò, rigirandolo sotto
lo sguardo.
Sorrise dolcemente, sospirando appena e spostandosi
con naturalezza un ciuffo di capelli all’indietro. Ancora, da quel giorno ormai
lontano, nella sua mente vibrava un quesito, e lui ancora non era certo
d’averne trovato la risposta.
Che fosse
tutto un sogno?
Tese le orecchie, udendo un altro debole suono
farsi sempre più vicino. Il cuore dell’ex alchimista d’acciaio aumentò il
battito, riconoscendo in quel soffice rumore la risposta a ogni suo più piccolo
dubbio. Sorrise, di nuovo, socchiudendo le palpebre, e godendosi quello
scalpiccio tenero e infantile, che rievocava alla sua mente preziose immagini
dai contorni dorati.
Si chinò lentamente e accolse tra le braccia forti
quella piccola creatura, che aveva teso le manine insicure verso di lui.
Affondò il naso nei soffici filamenti che imperlavano la testina bionda,
percependo in essi un rincuorante profumo di famiglia.
Allontanò il viso, scostandosi appena, ma sempre
tenendo ben saldo il piccolo con le mani. Incontrò gli occhi puri e innocenti
del suo bambino, così preziosi e rilucenti d’oro splendente che non poté non
riconoscere nei suoi.
Strinse al petto il piccolo, cullandolo appena,
senza mostrare però troppa enfasi. Se qualcuno l’avesse visto in quel momento,
così preso e totalmente dipendente da quel bambino, gli avrebbe di sicuro
appioppato il termine “sentimentalone” – appellativo comunque per nulla
appropriato al suo modo di fare, a detta sua – e lui si sarebbe ovviamente
offeso, scatenando un putiferio.
Eppure, non sapeva perché, né come, ma ogni volta
che incontrava quel piccolo sguardo – era anche il suo, quello di Al, quello di
loro padre – qualcosa si muoveva dentro di lui. Era una sensazione diversa,
sconosciuta, ma incredibilmente piacevole.
Era come se, da due anni a quella parte, quel
bambino, suo figlio, fosse
improvvisamente diventato il centro di tutti i suoi pensieri, la stella più
luminosa di tutto il suo piccolo mondo.
Deglutì, tentando di calmare il palpito insistente
del suo cuore, veloce e ritmato come il battito delle ali di un colibrì.
Inspirò nuovamente il profumo che emanava quella creatura, talmente piccola e
fragile da non sembrare nemmeno reale, ma solamente una luminosa allucinazione
derivata da anni di profonde ferite nel cuore.
Il piccolo stirò le braccine, assonnato,
giocherellando con i ciuffi ribelli che già solleticavano la fronte di suo
padre.
-
Papà.
Sussurrò il bambino, tra uno sbadiglio e l’altro.
Edward, con un sorriso colmo d’emozione, abbassò lo sguardo, fino a trovare quello
del figlio. Un rivolo d’aria sfuggì dalle sue labbra, rendendosi conto di non
essere affatto sorpreso della sensazione che lo aveva abbracciato, quando aveva
incontrato quegli occhi vispi. Quel bambino, sembrava riflettere la sua figura
come la superficie lucida di uno specchio. Era lui. Un lui ovviamente più
piccolo, che ancora non riusciva a parlare correttamente, ma pur sempre lui.
Si era soffermato molto su quel particolare,
osservando le foto che lo ritraevano da bambino, quelle che la zia Pinako
custodiva sulla bacheca della sua casa.
-
Che cosa c’è, Daniel?
Rispose l’ex alchimista, un po’ titubante. Si
sedette a terra, reggendo comunque tra le braccia il bambino, che nel frattempo
aveva afferrato con la manina un lembo della vecchia palandrana rossa.
-
La mamma.
-
La mamma? Che cos’ha combinato la mamma?
Chiese Edward, canzonatorio, scompigliando
giocosamente i capelli del figlio. Nonostante tutto, si guardò intorno, facendo
scattare lo sguardo da un lato all’altro della stanza, ma della moglie non vi
era traccia. S’incupì un po’, forse leggermente preoccupato. Deglutì e scosse
la testa, cercando di spazzare via dalla sua mente le immagini della prima
gravidanza di Winry.
Non che fosse successo qualcosa di grave, ma il
ricordo del travaglio e dopo del parto – e soprattutto delle urla della povera
ragazza – risuonò nella mente dell’ex alchimista come l’assordante e monotona
sirena di un allarme, agitandolo non poco.
-
Winry?
La chiamò, allarmato, cercandola nuovamente con gli
occhi. Vide una scia color miele spuntare da dietro il muro che dava sulle
scale. Chiuse gli occhi e sospirò, rassicurato dal volto divertito della moglie
dagli occhi color del cielo.
-
La mamma sta bene.
Si limitò a dire lei, raggiungendoli e sedendosi
sul divano a pochi passi da loro. Socchiuse le palpebre inviando dolci occhiate
al pancione rotondo che portava ormai da otto mesi. Lentamente, vi passò sopra
la mano destra, accarezzandolo, raggiunta poi dalla sinistra, che compì lo
stesso gesto.
L’ex alchimista arrossì di botto, meravigliato da
quella scena. Sorrise beatamente, mentre la sua attenzione tornava a
concentrarsi sul biondino che teneva in braccio, il quale sembrava essere
veramente interessato a quel panno ormai antico color vermiglio acceso.
-
Dani?
Lo chiamò, squadrandolo con aria truce. Il bambino
alzò lo sguardo d’oro, per poi sorridere in modo fin troppo innocente al padre,
che già aveva alzato un sopracciglio, confuso.
-
Sì?
-
Che cosa volevi dire prima della mamma?
Daniel alzò un attimo lo sguardo, come a recuperare
un pensiero ormai accantonato in un angolo della sua mente. Posò le mani a
terra, scendendo dalle gambe di Edward, che seguiva ogni suo movimento
incuriosendosi sempre più. Gattonò per alcuni metri, per poi alzarsi in piedi e
proseguire con qualche difficoltà verso l’altro lato della stanza, dove si
trovava una delle sue “ceste dei giochi”.
Winry voltò la testa, assicurandosi che suo figlio
non combinasse qualche marachella. Il biondino, per nulla infastidito dagli
sguardi inquisitori dei genitori, si chinò ad aprire la cesta, estraendone un
pallone di cuoio dall’aspetto trasandato, forse consumato dall’estate passata a
rotolare tra le colline del paese.
Lo trattenne tra le mani a fatica, tentando di fare
qualche passo, ma trovò l’impresa troppo ardua da portare a termine. Con un
leggero sbuffo, posò il pallone a terra, spingendolo un po’ con le mani, un po’
con i piedi, fino a raggiungere nuovamente l’ex alchimista. Edward l’osservò,
inclinando la testa.
-
Ecco.
Sbuffò il bambino, sedendosi a terra accanto al suo
giocattolo, producendo in piccolo tonfo. Guardò suo padre per qualche istante,
poi tornò a concentrarsi sulla sua palla. Era un regalo di compleanno che lo
zio Alphonse gli aveva porto qualche mese prima, invitandolo a non farsi male,
mentre ci giocava. Lo ricordava distintamente. Eppure, in quel momento, quel
pallone gli pareva tutt’altro rispetto a un gioco potenzialmente pericoloso.
-
Papà?
Lo richiamò, tirandogli un ciuffo di capelli.
Edward grugnì sommessamente, alzando gli occhi al cielo, per poi sorridere,
pronto ad ascoltare le parole del figlio.
Winry lo incenerì con lo sguardo, mormorando
qualcosa sulla “calma verso i figli”. Lui era calmo. Perfettamente. Non avrebbe
avuto alcun motivo per essere agitato, in fondo, Daniel non lo aveva ancora
chiamato nano. Deglutì, dandosi mentalmente dell’idiota. Winry ridacchiò,
avendo intuito i pensieri contorti del marito. Schiuse le labbra in un sorriso
colmo di serenità, sussurrando una piccola parola. “Fagiolino”.
Eh no, adesso basta. Lui non era basso. O almeno,
non lo era più.
“Prendi e incassa, Winry. Questa me la paghi.”
-
Papà??
Lo chiamò ancora il piccolo, strattonando – questa
volta – la palandrana, con una forza e una determinazione che un altro qualsiasi
bambino della sua età avrebbe solamente potuto sognarsi. L’ex alchimista si
vide costretto ad assecondare i desideri del figlio ed ad ascoltare ciò che
aveva da dire.
-
Sì?
-
La mamma.
Disse Daniel, indicando la madre con l’indice della
mano destra. Winry inclinò la testa, incuriosita. Pochi istanti dopo, il
bambino additò invece il pallone. Sul volto di Edward apparvero i primi segni
di una risata rinchiusa e poi ingoiata, trattenuta al limite dello sforzo.
-
Perché la mamma ha mangiato una palla?
Edward si lasciò scappare una risata sguaiata,
scompigliando con una mano i capelli del figlio, come a premiarlo per
quell’affermazione. Daniel, perplesso, sbatté un paio di volte le palpebre.
Sentendosi preso in giro, il piccolo si rattristò e sulle estremità dei suoi
occhi d’oro puro comparvero grappoli di lacrime cristalline.
Winry, dapprima divertita dall’accaduto, si alzò
dal divano con uno scatto felino non appena vide il pianto farsi strada nello
sguardo del biondino. Afferrò la chiave inglese, che si trovava da chissà
quanto tempo posata sul tavolino di legno intarsiato accanto al divano e la
lanciò senza tanti complimenti sulla testa del povero ex alchimista, che
stroncò la sua risata e si afflosciò a terra apparentemente privo di sensi.
-
Sei un idiota!
Lo ammonì Winry, correndo a soccorrere Daniel, che
si sfregava gli occhi umidi con le manine strette a pugno. Edward si alzò
dolorante, massaggiandosi con la mano destra il grosso bernoccolo che quel
dannato arnese gli aveva provocato.
-
Winry, sei impazzita per caso?
Sbraitò, tornato improvvisamente in salute,
voltando la testa da un altro lato con fare stizzito. Winry, con in braccio il
piccolo, gli si avvicinò pericolosamente. L’ex alchimista indietreggiò poco sul
pavimento.
-
Sei un insensibile, Ed.
-
Che cosa? Perché?
-
Ma non hai visto? L’hai fatto piangere!
-
Ma che dici?
-
Potevi non metterti a ridere così! Poverino, ci
è rimasto male!
-
Ma hai sentito che ha detto!
-
Certo! Ti ricordo che ha due anni, Ed. Non può
sapere come...
-
... Oh, già. Hai ragione.
Ammise Edward, alzandosi da terra e raggiungendo il
piccolo tra le braccia della mamma. Portò una mano verso una lacrimuccia, che
si apprestava a scendere dalla guancia paonazza del bambino e l’asciugò. Daniel
tirò su con il naso, facendo vibrare le labbra.
-
Scusami, piccolo.
Sussurrò Ed, sfiorando la punta del naso del figlio
con quella del suo. Daniel smise di piangere e posò una manina sulla guancia
del suo papà. Edward fu scosso da miliardi di brividi ed emozioni diverse.
-
Avevi ragione. La mamma sembra proprio un pallone.
-
Edward!
-
Hey, non contestare le sagge parole di tuo
figlio.
-
Umph. Sei impossibile.
-
Lo so.
Disse l’ex alchimista, avvicinandosi questa volta
al viso della sua meccanica di fiducia. Arrivò a pochi millimetri dalle sue labbra,
socchiudendo gli occhi. Winry sospirò, colta da un’ondata di sensazioni che le
fecero battere il cuore.
Con il suo respiro sulle labbra, Edward concluse il
suo discorso, abbozzando un sorrisetto compiaciuto.
-
Ed è per questo che sei innamorata di me.
Mormorò, prima di azzerare la già inesistente
distanza che li divideva con un bacio dolce, uno di quei baci che le riservava
solo in alcuni momenti, quando erano soli, quando aveva bisogno veramente di
averla tutta per sé.
-
Continuo a chiedermi come tu riesca a zittirmi
ogni maledetta volta.
Edward sogghignò dolcemente, rubando il figlio
dalle braccia della moglie. Lo strinse un po’ al petto, sedendosi sul divano.
Winry lo imitò ritrovandosi nuovamente accanto a lui. Daniel si arrampicò sulle
braccia di Ed, raggiungendo il pancione della madre.
-
Ma...
Cominciò, mordicchiandosi le labbra.
-
Io posso giocare anche con questo pallone?
Winry si lasciò sfuggire un risolino dolce,
intenerita dalla pura ingenuità di quel bambino così meravigliosamente simile
al suo papà.
-
No, piccolo.
Gli disse semplicemente, accarezzandogli la
testolina bionda. Il bambino assunse un’espressione dapprima pensosa,
successivamente sempre più abbattuta.
-
Perché?
-
Perché questo non è un pallone. Qui dentro c’è
la tua sorellina.
Gli occhi di Daniel sembrava stessero per uscire,
tant’era rimasto sconvolto da quella rivelazione. Posò titubante una manina sul
ventre rigonfio della madre, tastando qua e la nel vano tentativo di
riconoscervi una figura umana. Sconsolato, posò un orecchio sul pancione ed
attese.
Improvvisamente, saltò dalla sua posizione per
rifugiarsi tra le braccia di Edward.
-
Mamma! Mamma!
Piagnucolò il bambino, terrorizzato.
-
La sorellina si è mossa!
-
Oh, tesoro!
Disse Winry, con le lacrime agli occhi, riprendendo
Daniel, che tornò di buon grado tra le sue braccia. Il bambino appoggiò
nuovamente la mano sul “pallone”, invitato dalla mano esperta di sua madre.
Tocchettò curioso quella superficie liscia e rigida, eppure morbida e setosa,
ricoperta da uno spesso e candido maglioncino di lana.
-
Ciao. Come ti chiami?
Sussurrò Daniel, abbastanza timoroso, rivolgendosi
al pancione. Winry scoppiò in un pianto liberatorio, di cui ogni lacrima era
pregna di felicità e commozione. Edward le passò una mano sulle spalle,
stringendola a sé, mentre l’altra raggiungeva quella del figlio sul giusto
luogo, quel ventre rotondo che simboleggiava una nuova parte del loro futuro.
-
Vi amo, più di ogni altra cosa.
-
Anche noi, vero Daniel?
-
Certo papà! Ma perché non mi risponde?
-
Perché ancora non sa parlare. È troppo piccola.
S’intromise Winry, posando la testa su quella del
marito. Il fresco profumo d’erba bagnata la travolse, inebriandole i sensi più
di quanto non lo fossero già.
-
E quando uscirà da lì?
-
Oh, prima di quanto immagini, piccolo.
Mormorò, abbassando poi lo sguardo al pancione. Un
nuovo sorriso si fece strada sul suo volto, già rigato da calde lacrime di
gioia. Sentì il sapore salato sulla lingua, passata a inumidire le labbra
secche.
-
Arriverai presto da noi.
Sussurrò, a voce bassa, rivolgendosi a lei. Volse lo sguardo alla lontana
finestra, scorgendo ancora qualche fiocco di neve imperlare la nottata. Strinse
forte la mano di Edward, che la ringraziò con un tenero bacio sul collo.
Nella loro mente, già si formava l’immagine del
loro nuovo mattino. Un mattino pieno di sole e di aria tranquilla.
-
Aspetta... ancora per poco.
Un mattino incorniciato dal profumo delle rose
bianche, lontano dal freddo di quel vento che ha trascinato lontano ogni
traccia di tristezza. Il loro nuovo mattino senza pioggia.
-
Sarai la nostra luce, Rosalie.
SPAZIO AUTRICE ^W^
Ed ecco la prima parte (ce ne
saranno tre) del prologo di questa fanfiction. Dunque, che ne pensate? Lasciate
qualche recensione, così che io possa sapere come avete trovato l’inizio di
Timeless Light!
Alla prossima settimana! :D
MeggyElric___