Il Palazzo di Ferro

di Ulisse85
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4 rampe di scale e poi una grande stanza vuota. Ci sono delle sedie un po’ mal ridotte, comunque ne scelgo una e mi siedo, facendo molta attenzione a che regga il mio peso. L’ampio stanzone è poco illuminato, le finestre sono alte e piccole. Semichiuse. Ci sono delle vetrate che tagliano diagonalmente la stanza. Ma i vetri sono coperti da pesanti tagli di tessuto nero. L’odore è quello di chiuso, non c’è sentore di anima viva. E infatti quello che colpisce maggiormente l’attenzione è l’assordante silenzio della sala. La più acuta attenzione e il più fine udito non riescono a cogliere il minimo rumore. Finora. Ecco che comincio a sentire un rumore lontano. Non capisco cosa sia. Penso siano passi, ma sono strani, un tocco pesante e un silenzio, un’andatura zoppa, claudicante, incerta. Sparita. Improvvisamente non riesco più a percepirla. Eppure la sentivo in avvicinamento, lungo il corridoio. Veniva verso di me. Mi stava quasi facendo sudare freddo, quando improvvisamente più niente. E poi di nuovo, più lontano lo stesso passo, sopra la mia testa. E più niente. Una pesante porta di ferro si chiude sotto di me e di nuovo silenzio. Ormai la tensione esalta il silenzio, sottolineato dagli scatti nervosi delle mani e di muscoli involontari, sincronizzati con il ticchettio di un orologio, a cui non avevo nemmeno fatto caso prima. Da dove viene, non riesco a capirlo. Poi alla fine mi accorgo che è quello che ho io al polso. Il silenzio è tale che riesco a sentirlo. Quando vedo che lentamente una porta cigolando si apre. Da dietro la porta socchiusa filtra della luce, coperta poi da un’ombra che sfila via. E di nuovo quella luce, e la porta aperta. È il mio turno dopo un’ora di attesa. Quanto sono lenti gli impiegati del Comune!




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