Zenri/AAA è il bene, ma neppure un po' di Zenri/Alice
one-sided mi dispiace ♥
Attenzione: SPOILER! del quarto e ultimo volume di Replica; "AAA" si legge "Tre A". Un ultimo particolare, poi vi lascio: 300 parole esatte per paragrafo, eccetto l'ultimo, che è composto di 100 precise.
Buona lettura ♥
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La storia del sogno
più bello
AAA amava Zenri, ma non nel modo paterno in cui
amava ogni propria creazione.
Zenri era stato il suo primo tentativo di automa
antropomorfo e si era appassionato al suo progetto più di
qualsiasi
altro toy – mud, wood, tin o doll che fosse – che
avrebbe mai
creato.
Quando aveva inserito il nucleo del piccolo
schiaccianoci nel corpo umanoide del fantoccio di metallo ed esso si
era mosso per la prima volta, dapprima incespicando e reggendosi a un
suo braccio e in seguito con maggior dimestichezza, si era sentito
davvero realizzato. Zenri era divenuto il suo migliore amico:
trascorreva più tempo con lui di quanto ne passasse con
Alice e lo
schiaccianoci era al suo fianco in ogni sua singola decisione
–
quando lavorava sino a tardi, quando uccideva le persone per
procurare nuovi organi ad Alice, quando piangeva nel rendersi conto
di quanto fossero peggiorate le condizioni della sua debole
sorellina.
Nel proprio intimo, AAA aveva preso a nutrire nei
suoi confronti una sorta di gelosia distorta, persino quando Zenri
era in compagnia di sua sorella: non tollerava di vederli sfiorarsi,
né che si scambiassero sorrisi complici o restassero chiusi
da soli
in quella stanza d’ospedale così a lungo.
E poi Zenri se n’era andato per fuggire con Cal e
le altre due doll.
L’aveva lasciato solo, dopo trent’anni di
fedeltà e indissolubile amicizia, e si era chiuso alle
spalle una
porta che non avrebbe mai più riaperto.
«Mi chiedo dov’è… che tutto
ha cominciato ad
andare storto».
Zenri non rispose; forse dall’inizio, forse mai.
«Gli ultimi momenti passiamoli insieme, amico mio».
Infine era tornato indietro; non sui propri passi:
indietro. Era tornato da lui per tenergli compagnia. AAA avrebbe
voluto pronunciare il suo nome, in quell’istante, ma la
ragione
tradì il cuore.
«Alice… Avrei voluto vivere felice assieme a
te».
Alice amava Zenri.
Lo schiaccianoci le era accanto da quando la
malattia l’aveva costretta a letto e ogni giorno aveva
ascoltato la
storia di Alice in Wonderland, senza mai lamentarsi perché
Alice
voleva leggere sempre e soltanto quella.
Zenri era estremamente paziente, dolce e disponibile
nei suoi confronti, sebbene Alice si rendesse conto che probabilmente
lo schiaccianoci avrebbe preferito un altro genere di vita, uno di
cui lei non avrebbe mai potuto fregiarsi, poiché sarebbe
stata
bloccata per l’eternità – o almeno
finché il suo fisico avesse
retto – in quel letto.
«Mi odi, Zenri?» gli aveva chiesto una volta.
«Mi
odi perché non posso camminare?»
«A me piace stare qui con te» aveva replicato lo
schiaccianoci, asciutto.
Il timore di Alice era aumentato quando AAA aveva
dato a Zenri un corpo, malgrado fosse stata lei stessa a esprimere il
desiderio che lo schiaccianoci potesse muoversi: nel vederlo agire
come un qualsiasi essere umano – come lei non avrebbe mai
potuto
fare – aveva compreso che adesso erano ancora più
lontani ed era
terrorizzata dall’idea che prima o dopo Zenri avrebbe potuto
davvero decidere di abbandonarla.
Eppure lo schiaccianoci era rimasto ed era sempre
venuto a trovarla per leggerle Alice’s Adventures
in Wonderland
o per portarla a giocare nei campi, all’insaputa del fratello
e dei
medici.
Alice sapeva che presto sarebbe morta, tuttavia la
presenza di Zenri accanto a sé la confortava e a un tempo la
faceva
sentire colpevole: suo fratello aveva rinunciato a un occhio e alla
propria vita per trovarle una cura e lei preferiva la compagnia dello
schiaccianoci alla sua.
Non c’era nessuno che potesse insegnarle le
insidie delle infatuazioni, nessuno che potesse spiegarle
perché
vedere AAA che baciava Zenri la fece sentire così male.
«Mi odi, ora, Zenri?!» aveva gridato.
Poi la tosse aveva soffocato le sue lacrime.
Zenri non aveva ancora imparato che cosa
significasse amare.
Viveva da sempre insieme ad Alice e ad AAA, eppure
ancora non era del tutto certo di avere compreso cosa fosse
l’amore.
Alice e AAA si volevano bene, era indubbio, tuttavia
a Zenri non sfuggiva la piega tesa nel labbro inferiore di AAA quando
vedeva insieme lo schiaccianoci e sua sorella, né gli occhi
tristi
di Alice quando guardava lui e suo fratello andarsene per ritirarsi
in laboratorio, oppure a compiere l’ennesimo omicidio.
Inoltre, non era neppure convinto, Zenri, che si
potesse definire amore l’impulso che spingeva AAA a uccidere
gli
altri – forse disperazione, follia; non amore.
Quando Alice morì, l’automa la vide spirare con
un sorriso profondamente triste sulla bella bocca sottile,
così
simile a quella del fratello; un sorriso che, ne fu totalmente certo,
non aveva nulla a che vedere con la sua malattia, bensì con
il bacio
che lui e AAA si erano scambiati.
«Alice è stata sempre ad aspettarti!»
Era una menzogna: malgrado l’assenza di suo
fratello, la gioia di Alice era stata inconfondibile nella sua
espressione, nel tempo che avevano trascorso insieme prima di quel
bacio.
«Se non le stai vicino tu, chi lo deve fare?»
Ma Zenri avrebbe soltanto voluto che Alice non fosse
morta maledicendo AAA per averle sottratto colui che amava, che AAA
non fosse morto nel cuore molto tempo prima a causa della
disperazione e che loro avessero potuto vivere insieme, sempre
insieme, felici.
«Ormai è tardi, stupido».
Da allora, AAA non aveva fatto altro che pensare
alle ultime parole di sua sorella: “Vorrei che
questo mondo
sparisse”, senza mai davvero accorgersi che lei
avrebbe voluto
comprendere anche AAA e Zenri in quel disegno funesto. Era sempre
troppo perso nei meandri di quella mente che lo schiaccianoci avrebbe
voluto capire un po’ meglio.
«Avrei voluto… non avere sbagliato
tutto… e che
tu potessi essere felice… con Zenri» soggiunse
AAA, oramai anziano
e sfinito, con quel poco di fiato che ancora gli rimaneva.
Non aveva avuto alcun senso la competizione
implicita tra lui e Alice: era con entrambi che avrebbe dovuto
prendersela sin dall’inizio; ambedue avevano peccato di
arroganza a
pensare di poter ergersi al di sopra del mondo intero ed essere
migliore di esso.
«Io sarei stato realmente felice soltanto se avessi
potuto vivere con tutti e due».
«Davvero, Zenri?»
«Sono qui, giusto? Sogna qualcos’altro, adesso:
qualcosa che sia più bello di questo».
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