Fandom: Harry
Potter.
Pairing: James
Jr./Teddy (accenni Remus/Sirius).
Rating: Pg13.
Beta: Narcissa63 (più bella e rapida che mai O/)
Genere: Introspettivo, Romantico.
Warning: Fluff, Post 7° libro (con epilogo), Slash.
Summary: Teddy e James sono in cerca di un
appartamento.
Note: Scritta per la quinta
settimana della COW-T di fiumidiparole e maridichallenge,
Team Maghi – Missione 2: Fluff.
Dedica: Ne
approfitto per fare gli auguri ad AlexielFay
(_BellaBlack_ su NA), anche se in ritardo. Buon Compleanno e 100 di questi giorni, tesoro!
DISCLAIMER:
Non mi appartengono… bla-bla-bla…. Non ci guadagno
niente… bla-bla-bla…
Libere Associazioni
La strada è
sempre decisa, non però in senso fatalistico. Sono il nostro continuo
respirare, gli sguardi, i giorni che si susseguono a deciderla naturalmente.¹
Tutto era cominciato il primo fine settimana
estivo dopo la chiusura di Hogwarts. Il caldo era insopportabile
nonostante fosse pomeriggio inoltrato, e la campagna di Godric’s Hollow
sembrava incendiata dal tramonto.
Teddy era passato a casa Potter dopo il proprio turno di
lavoro ed aveva trovato James in garage, a lucidare la
sua nuova moto, già insopportabilmente splendente. Be’, “nuova” si fa per dire;
era la vecchia
moto volante appartenuta a Sirius Black, che Harry gli aveva appena ceduto, a
patto che la sistemasse e se ne prendesse cura da solo, ed il suo migliore
amico lo faceva con assiduità quasi religiosa.
Gli offrì una lattina di coca-cola che aveva acquistato
prima di arrivare e Jamie l’accettò entusiasta;
adorava quella bevanda babbana.
«A cosa devo la sua augusta presenza, Messer Lupin?» motteggiò,
alitando sulla carrozzeria e passandovi di nuovo sopra un panno morbido.
«È sabato» gli ricordò lui; ogni weekend estivo, da che
avesse memoria, lo aveva sempre passato lì a casa Potter o alla Tana, quando
tutti i cugini andavano a trovare nonna Molly. «Ma se ti disturbo…» aggiunse,
facendo finta di andarsene, e l’amico l’agguantò
subito per una caviglia, rischiando di farlo finire faccia a terra.
«Dammi una mano, va’» sbuffò il
ragazzo, dandosi arie da lavoratore sfiancato.
Ted gli strappò lo stracciò umido di mano per lanciarglielo
in faccia. Poi, mentre l’amico ancora sputacchiava detersivo, annunciò: «Ho
deciso di trovarmi un appartamento».
«E che ne farai della casa di tua
nonna?» replicò James confuso.
«La venderò. È troppo grande per
me, non riesco a starle dietro» spiegò lui.
Due anni prima sua nonna Andromeda era andata a vivere in
Francia insieme alla sorella Narcissa, con la quale aveva fatto pace dopo la
fine della Seconda Guerra Magica.
«Non ho più l’età per pulire questo
posto da cima a fondo, poi tu sei sempre al lavoro ed io resto sola quasi tutto
il giorno. Andrò a Parigi con Cissy; saremo due tenere
vecchiette che si tengono compagnia a vicenda e fanno lo sgambetto ai
giovanotti» gli aveva detto una mattina a colazione, senza interessarsi nemmeno
più di tanto al suo parere. «E guai a te se verrai a trovarmi troppo spesso!»
lo aveva minacciato.
«Hai già trovato qualcosa d’interessante?» gli chiese allora
James, riportandolo al presente.
«Non ancora. Gli affitti a Londra
sono molto alti, sia nella parte magica che in quella
babbana, ma vendendo la casa non dovrei avere problemi» rispose Ted.
«Potremmo cercarlo assieme – Albus è insopportabile, devo
liberarmene in qualche modo – e dividere l’affitto» propose Jamie.
«Uhm…» mugugnò lui, prendendosi qualche minuto per ponderare
l’idea, mentre tormentava l’orlo sfilacciato di un polsino. Non sarebbe stato
male, in fondo loro due vivevano già praticamente in
simbiosi.
Ma forse l’altro fraintese il suo
comportamento e lo considerò come una ricerca delle parole giuste per rifiutare
l’offerta senza offenderlo, perché all’improvviso s’incupì e borbottò: «Certo,
se preferisci stare per conto tuo…»
«Eh? No, sarebbe fantastico!» gli assicurò.
«Davvero?!» esclamò il giovane
Potter illuminandosi.
«Sì» sorrise lui.
«Cosa sarebbe fantastico?» li
interruppe una voce, prima che Harry James Potter, Capo Auror ed arcinoto
Salvatore del Mondo Magico, facesse capolino in garage, ancora bardato dalla
divisa d’ordinanza.
«Abbiamo deciso di trovarci un appartamento» lo informò il
maggiore dei suoi figli.
«Uhm…» fece il padre, individuando un filo scucito sull’orlo
della propria manica ed iniziando a giocarci, mentre
s’immergeva nei propri pensieri.
Seriamente, delle volte a Teddy faceva un po’ paura il
riconoscersi in quegli atteggiamenti.
«Sto morendo di fame» asserì il più vecchio di punto in
bianco. «Andiamo a mangiare» concluse con un sorriso,
e lui non fece più caso al suo bizzarro comportamento sino a dopo cena, quando
Harry si presentò in camera di James, dove si erano rifugiati per vedere un
film in santa pace.
«Ho una cosa per voi» annunciò, porgendo loro una vecchia
pergamena dall’aria ufficiale.
Srotolandola, i due ragazzi scoprirono che era l’atto di
proprietà di un appartamento nella Londra babbana, intestato a Sirius O. Black e
Remus J. Lupin.
Passarono lo sguardo stupito dal documento all’uomo, che si
affrettò a spiegare: «L’ho trovato dopo la fine della guerra, quando ho avuto
il tempo di controllare tutti i beni lasciatimi dal mio padrino ed allora… be’, Remus era già morto e tu, Teddy, eri troppo
piccolo. Non mi serviva, quindi l’ho conservato e l’avevo
dimenticato, finché il vostro discorso non me l’ha ricordato» sorrise
indulgente alla meraviglia che illuminò i loro visi, ma si affrettò ad
aggiungere: «Vi avverto: non ho mai visitato quell’abitazione, perciò non ho
idea delle condizioni in cui versi, ma se si può risistemare e ve ne occuperete
voi, è tutto vostra» concesse. «D’altronde sarebbe di Ted a prescindere,
ma tu…» aggiunse indicando suo figlio
ed assottigliando lo sguardo «sarà tua solo se ti
renderai utile e non ci causerai problemi».
«Ricevuto!» esclamò Jamie, tirandosi in piedi ed imitando il saluto militare. «Tranquillo, papà, non sono
più un moccioso e ci tengo troppo a questa cosa» lo rassicurò poi, sgonfiandosi.
«Bene» assentì Harry «Allora domani fate un salto alla
Gringott e chiedete ai folletti di farvi avere le chiavi dell’appartamento» concluse con un occhiolino, prima di lasciare la stanza, e ridacchiando
appena fuori dalla porta, quando sentì il figlio esplodere in un grido
entusiasta.
«Oh Merlino, è fantastico!» urlò infatti
James, saltando con le braccia al cielo, prima di gettarsi su Lupin che, ancora
seduto sul letto, gli sorrideva a trentadue denti.
Avrebbe visto l’appartamento di suo padre, realizzò questi.
Quasi non riusciva a pensare ad altro, quando l’amico lo investì, soffocandolo
con i suoi capelli incasinati ed il delizioso profumo
di cioccolato della sua pelle – quasi.
*°*°*°*°*
La casa era all’ultimo piano di un vecchio edificio – più
una mansarda che un appartamento, in effetti – sopra un magazzino di carne in
scatola, e vi si accedeva salendo con un montacarichi. La prima cosa che Teddy
pensò fu che era troppo piccola, quasi claustrofobica,
e la spessa patina di polvere che negli anni si era poggiata su tutto non faceva che acuire quest’impressione. Poi si chiese
come avessero potuto ben due persone vivere
per anni in un posto così.
Ingresso, soggiorno e cucina erano un unico ambiente:
l’angolo per i fornelli ed il lavello erano alla
sinistra della porta, vicino ad un minuscolo tavolo per due; dall’altra parte,
invece, c’era un divano a due posti di fronte ad un camino. La porta in fondo
portava all’altrettanto stretta camera da letto – due
letti singoli lì non ci sarebbero mai stati – ed al bagno adiacente. La carta
da parati doveva aver avuto un fantasia deprimente già
in passato ed ora, gonfia di umidità e muffa com’era, era semplicemente
orrenda. Il pavimento doveva essere di cotto e d’estate sarebbe diventato caldo
in maniera insopportabile, ed il soffitto aveva
bisogno di una bella rinfrescata.
«È…» cominciò Ted.
«Fantastica!» concluse James,
interrompendolo prima che lui potesse dire ciò che davvero pensava.
Gli gettò un’occhiata obliqua, ma i suoi occhi scuri brillavano
di entusiasmo e Lupin si chiese cosa diamine vedesse che lui non aveva colto.
«Non riusciremo mai a vivere in due, qui» cercò di fargli
notare, ma l’amico non lo ascoltava.
Si era già diretto al centro della stanza, dove campeggiava
una grande finestra a vasistas ed aveva allungato un
braccio per spalancarla e fare entrare un po’ d’aria fresca.
«Certo che ce la faremo, Teddy!
Siamo capaci di vivere per mesi rinchiusi nella mia stanza, che è la metà di
questo posto, figurati qui» replicò, prima di zampettare verso la camera da letto. E lui non poté dargli tutti i torti, quindi
lo seguì.
«Visto? Due letti non ci staranno» insisté però.
Jamie scrollò le spalle. «Potrei comprare un divano-letto»
osservò. «Ho un po’ di soldi da parte e quello che c’è
qui è comunque da buttare. Con il montacarichi e la magia sarà un gioco da
ragazzi portarlo su».
A quel punto non gli restò altro che alzare gli occhi al
cielo ed arrendersi con un sospiro.
«Non è rimasto nulla qui» notò deluso; sperava di riuscire a
trovare qualcosa che fosse appartenuto a suo padre.
«Probabilmente hanno portato via tutto prima di lasciare
l’appartamento» ipotizzò Potter. Gli diede una leggera spallata
d’incoraggiamento. «Immagina come sarà una volta che l’avremo pulito e
ritinteggiato» lo incitò, come se potesse già vedere davanti ai propri occhi il
lavoro concluso, e davanti a quel sorriso malandrino lui non poté che sorridere
a sua volta.
*°*°*°*°*
I lavori iniziarono una settimana dopo, non appena Ted
riuscì ad ottenere qualche giorno di ferie. Essere il figlioccio del proprio
capo a volte si rivelava utile.
James, essendosi appena diplomato, aveva più tempo da
dedicare alla casa e, ogni tanto, trascinava con sé Albus e Rose o Lily e Hugo
per farsi aiutare. Ma per lo più faceva tutto da solo
– non sempre per il meglio, ma ci provava – o con Teddy, perché voleva che
fossero loro a rimettere a nuovo l’appartamento.
Nel frattempo lui era riuscito a mettere in vendita la casa
di sua nonna ed aveva iniziato ad inscatolare tutta la
propria roba. Aveva deciso di tenere alcuni mobili per il nuovo loft, ma la
maggior parte facevano parte della casa e sarebbero stati
ceduti insieme a tutto il resto.
Jamie gli diede battaglia per
impedirgli di fare la cucina gialla – «È deprimente! Cosa siamo, Tassorosso?!» – e lo convinse ad optare per
uno squillante arancione – «È allegro e
originale, no?» – mentre decisero di comune accordo di tinteggiare la
camera da letto d’azzurro; non un azzurro da neonato, ma uno opaco e
rilassante.
Al momento stavano montando la libreria che sarebbe stata al
lato del camino, per custodire tutti i suoi libri – «Porco Salazar, Ted, ma quanti sono?!» –,
poi avrebbero dovuto istallare l’antenna per il televisore.
«Drago!» esclamò
all’improvviso James per rompere il silenzio – era allergico alla quiete, Ted
ne era convinto – dando il via ad un vecchio gioco che
facevano sin da bambini, tutte le volte che si annoiavano: uno dei due diceva
la prima cosa che gli venisse in mente e l’altro doveva subito rispondere con
una parola che associava istintivamente ad essa. Di solito la finivano a ridere
per ore, viste le assurdità che il maggiore dei Potter riusciva a tirare fuori.
«Volare» rispose
lui, fissando la mensola più alta con uno svolazzo della bacchetta.
«Cielo».
«Blu».
«Teddy».
«Cosa c’entra il mio nome?» domandò confuso, abbassando lo
sguardo per incontrare il suo.
«È il tuo colore preferito, quello
della tua Casa a Hogwarts e dei tuoi capelli. Se
penso al blu mi vieni in mente tu» si strinse nelle
spalle, prima di passare al prossimo ripiano.
«D’accordo» sorrise un po’ – appena appena, eh! –
intenerito. «Allora… Corvonero».
«Quanto sei banale. Tiara» replicò.
«Non sono banale, sono logico. Horcrux»
ribatté facendogli una linguaccia.
«Certo, certo» lo canzonò James. «Spada di Grifondoro».
«Cosa vorresti insinuare?» lo
provocò. «Cerva».
«Che sei noioso, mi pare ovvio» rispose con nonchalance. «Piton».
«E allora perché vuoi venire a vivere con me?» sbuffò. «Amore» si affrettò ad aggiungere,
pensando a quello che Harry gli aveva raccontato su sua madre Lily ed il Preside Piton.
«Teddy» rispose
subito Jamie e poi si schiaffò una mano sulla bocca, come se avesse voluto
rimangiarselo.
«Ancora? Non c’entra nulla e non mi
hai risposto» gli fece notare, ma l’amico si limitò a
rivolgergli uno sguardo nervoso, prima di fissare il pavimento con crescente
interesse.
«Sì che l’ho fatto» borbottò e Lupin, confuso, cercò di
ricostruire il botta e risposta.
Lui aveva detto “amore” e James aveva associato subito il
suo nome, ma cosa…? Prima ancora di riuscire a
formulare la domanda nella propria mente, i suoi occhi si sgranarono e si
puntarono sulla sommità di quella testolina arruffata.
«Amore…» ripeté,
intrecciando le dita tra quelle ciocche per convincerlo al alzare
il capo.
«Teddy» sussurrò
di nuovo il ragazzo e – Merlino! – non era una sua impressione, era davvero
arrossito. E, okay, magari stavolta lui era un po’ più che intenerito.
Cercò in quei grandi occhi scuri – da cerbiatto, sul serio,
doveva essere una caratteristica ereditaria dei Potter – la conferma che avesse
capito bene o che non fosse una presa in giro, poi semplicemente si chinò a
baciarlo, perché non c’era nient’altro da dire.
*°*°*°*°*
Fu più di due mesi dopo l’inaugurazione dell’appartamento,
che Teddy trovò l’ultima risposta alle sue domande. Era notte fonda e stava finendo di leggere un
libro, mentre James guardava la TV
in soggiorno. Aveva ormai deciso di riporre il volume sul comodino, quando il
segnalibro cadde a terra e fu costretto a chinarsi per raccoglierlo.
L’infida strisciolina di cartone era scivolata sotto il
letto, quindi dovette allungare un braccio per raggiungerla, ma ad un certo punto le sue dita sfiorarono una scanalatura di
una mattonella e questa saltò su, aprendosi di lato come una piccola anta.
Incuriosito, fece luce con la bacchetta ed
infilò la mano nello scompartimento nascosto. Ciò che ne tirò fuori era una
vecchia foto incorniciata: raffigurava suo padre e Sirius Black in quella casa,
stesi su un letto. Un letto matrimoniale.
In quel momento comprese come avessero fatto due ragazzi a
vivere per anni in un posto così piccolo, ma non fu una gran sorpresa. In
fondo, alla fine, il divano-letto a lui e James non era mai servito.
FINE.
¹. La frase d’introduzione è tratta da “Kitchen” di Banana Yoshimoto.