CAPITOLO 20
Christine rivide Verònique, pochi giorni più
tardi.
Era una domenica pigra ed assolata, come ogni domenica
autunnale che si rispetti.
La ragazza non si era più fatta sentire,così approfittando di un sonnellino pomeridiano di
Madame Valerius, Christine era sgattaiolata fuori, ovviamente dopo aver
lasciato un biglietto alla madrina.
Non voleva farle prendere un colpo…per
l’ennesima volta.
Bussò discretamente alla porta,un
paio di volte.
Non era sicura che ci fosse qualcuno in casa… o peggio,
che Verònique fosse sola.
Come avrebbe reagito se avesse aperto… quell’uomo? No, meglio non
pensarci…
Trattenne il fiato mentre la porta
cigolava…
Fu Julienne Giry ad aprirle,e parve
stupita di vederla lì, anche se dissimulò la meraviglia con un
caldo sorriso, ed un abbraccio prolungato.
Alle sue spalle, dalla porta del salottino, spuntò la
testa bionda di Vittoria.
Christine gettò una rapida occhiata
all’appartamento, mentre si slacciava il mantello.
Era molto diverso dall’ultima volta che era stata lì.
Era..semivuoto.
Era scomparso dall’ingresso il caldo tappeto dalle
tonalità rossastre ed orientali, così come i quadretti di
ceramica appesi alle pareti, e il grosso vaso panciuto di ottone
dorato che fungeva da portaombrelli.
Chissà come le sarebbero apparse le altre stanze..
Come temeva. Ogni cosa,svanita o
impacchettata.
Vittoria, seguendo la meraviglia nei suoi occhi,
tentò di spiegarle.
“Sai,Verò ha regalato
ad un ricovero tutti i suoi mobili, non avrebbe avuto senso trasportarli per
così tante miglia..e poi non sarebbero stati adatti alla nuova casa, e
quindi…”
Julienne le lanciò un’occhiataccia fulminante, e
Vittoria arrossì immediatamente.
Era evidente che avesse appena commesso una gaffe.
Verònique non
le aveva raccontato ancora nulla.
“Non preoccupatevi per me, davvero! Immaginavo che
sarebbe accaduto…solo, non così presto.”
Christine fece il possibile perché il suo tono
apparisse davvero neutro,e non venato
dall’angoscia che si portava dentro come un macigno. Un groppo le serrava
dolorosamente la gola.
Julienne annuì,comprensiva.
“Vedi Christine,sono certa
che te ne avrebbe parlato anche prima, ma forse temeva la tua reazione…
ti è così affezionata, non sopporta l’idea di infliggervi..
di infliggerti questo dolore.
Ma crede anche di avere delle responsabilità nei
confronti del suo passato.”
Si sedettero tutte e tre in terra, in cerchio, a gambe
incrociate,accanto al camino acceso.
Le ultime fiamme si agitavano nel focolare, illuminando la
stanza con luci e ombre.
Sembravano un gruppo di ragazzine al campeggio, perfino
Julienne aveva perso la sua aria inflessibile e composta,per
ritornare bambina.
Si era disfatta il severo chignon,e
i capelli le ricadevano sulle spalle,morbidamente arruffati.
Vittoria, distrattamente, si mise ad acconciarglieli con le
dita.
“Io proprio non la capisco,Verò”
borbottò Vittoria a mezza voce.
“Va bene volerlo rivedere, va
bene essere felice per lui, il fatto che si sia salvato ha davvero del
miracoloso. Ma sono passati due anni santo Cielo!
Quell’uomo ha avuto un’amnesia,potrebbe
essere diventato pazzo. Si sentono moltissimi casi di questo tipo,leggete i giornali! E poi,
vogliamo parlare della sua famiglia? Quelli la vedevano male due anni fa,pensate un po’ ora… è troppo plebea per
la loro grande casata!”
Era veramente indignata.
Julienne e Christine si scambiarono un’occhiata.
Vittoria non aveva mai subito la perdita di un caro,non poteva capire come loro l’angoscia di
Verò, la sensazione di poter aggiustare ciò che in passato si
è ritenuto essere rotto per sempre.
Una sensazione che le avrebbe fatto
superare anche i maltrattamenti degli Abbott.
“Vedi Vittoria.. Verònique
ha diritto di agire come meglio crede della sua vita. Robert e lei si amavano,sognavano una vita insieme, dei figli. Ora ha la
possibilità di avere tutto questo. Perché
dovrebbe negarsela? Per poi pentirsi amaramente un domani?”
L’intervento di Christine stupì entrambe le
donne.
La bambina comprendeva evidentemente le cose meglio di molti
adulti.
Meglio di me
sicuramente, pensò Vittoria.
Vittoria si alzò e tornò dal cucinino con una
scatola di biscotti, già aperta.
Rimasero accanto al fuoco a sgranocchiare dolcetti e a tormentarsi
nervosamente i capelli, in attesa del ritorno di
Verònique, fino a cadere preda di un sonno leggero.
Quando la ragazza rientrò,trovò
le sue amiche in quella intima,familiare posizione.
Provò una stretta al cuore all’idea di doverle
lasciare. Tutte e tre…
Per sempre.
Verònique era ritornata immediatamente a Parigi, affidando
Raoul alle cure della governante e degli altri domestici della villa, e si era
precipitata all’albergo dove si trovava la famiglia Abbott.
Un albergo da ricchi, come è
ovvio: la sua era una famiglia importante e facoltosa.
Era stata guardata con disapprovazione dal concierge: in un
albergo tanto elegante, doveva sembrare decisamente fuori
posto. Indossava un vestitino di cotone scolorito, aveva
i capelli ravviati alla meglio, gli occhi gonfi di pianto. Doveva sembrare una
pazza….e si sentiva come se lo fosse stata davvero.
Quando il cameriere, sempre
guardandola con curiosità, l’aveva scortata al piano giusto, il
suo cuore era in stato di choc.
Chissà come
sarebbero andate le cose.. l’avrebbe
riconosciuta?cosa si sarebbero detti?
Ed ecco,la porta era aperta davanti a lei.
Bastava qualche
passo…
E poi lo vide. Robert…
Seduto su una poltroncina accanto al letto,
vestito elegantemente come suo solito, ma più magro, i lineamenti
affilati, i capelli più corti e chiari dell’ultima volta in cui si
erano visti.
Le spalle non erano più larghe e possenti,ma
scarne e fragili: una lunga cicatrice,sottile e rossa come una ferita di lama
gli attraversava la fronte.
Ma gli occhi erano i suoi,non
c’era dubbio. Azzurri,limpidi. E con quella luce particolare,intensa… poche persone
avevano occhi simili.
Fra tutte le persone che conosceva, soltanto
lui e Gustave.
Scacciò dalla mente l’idea di Gustave,e si concentrò, con gli occhi velati,
sull’uomo che ora le sorrideva, ed era balzato in piedi,correndo quasi
verso di lei.
Ecco,la stringeva forte a
sé.
Parlava,parlava,parlava…ma
Verò non sentiva nulla, solo il suadente tono della sua voce,Dio quanto le era mancata! Sapeva
rimescolarla dentro,quella voce…
Le sue labbra percorrevano ogni centimetro del suo viso,
come la mani di un cieco gli suggerivano i suoi
lineamenti. I baci di un bambino, glielo
aveva sempre detto,prendendolo in giro..
Una mano le stava accarezzando i capelli,
ravviandoli piano dietro l’orecchio…lo aveva sempre fatto.
Un gesto intimo e protettivo,che la faceva sentire
amata.
Forse Robert non ricordava ancora coscientemente ogni
dettaglio della loro storia, ma il suo corpo sì, inequivocabilmente.
Ciò che aveva passato,patito, non aveva
cambiato i suoi sentimenti.
Verònique si abbandonò completamente a quelle
sensazioni.
Cancellò due anni della sua vita, cascate di lacrime
e di rabbia, di delusione e sconfitta.
Si sentiva a casa.