Disclaimers: I personaggi appartengono alla
BBC e agli aventi diritto, la storia non
ha
scopo di lucro.
Eccola qui come promesso!!!
Questo è il seguito
di Regrets
e il prequel
di Ripetizioni d'amore!
Il primo capitolo è perfettamente parallelo a Regrets!xD
La storia si è anche classificata terza al contest "Tropes &
Clichés" indetto da Sisya-chan sul forum di
Efp!!!
I prompt che avevo scelto erano future fic, break-up e Heartbroken!xDD
Grazie a Yu_Kanda per il banner stupendo!!!
Spero che la storia vi piaccia, fatemelo sapere in tanti!!!xDD
L’ultima battaglia.
Prologo
Per molto tempo Merlin non provò assolutamente
nulla. Si rifiutò
di provare qualsiasi cosa.
E cosa
avrebbe dovuto provare comunque? Dolore? Delusione? Tristezza? Forse
rabbia, per il facile modo in cui era stato messo da parte? Scegliere
anche uno solo di questi sentimenti, avrebbe significato dire addio ad
Arthur. Accettare che il principe per cui avrebbe dato la vita, non
sarebbe mai tornato sui suoi passi. Che non l’avrebbe mai
perdonato.
E questo, era impensabile.
L'unica cosa che per ora lo teneva sano, era il pensiero che un giorno,
anche se non sapeva quando, l'erede di Camelot sarebbe andato a
cercarlo.
Non per arrestarlo o giustiziarlo, come accadeva costantemente nei suoi
incubi, ma per chiedergli perdono.
Per dirgli che, nonostante tutto, i loro sentimenti valevano
più di ogni cosa.
Più delle bugie.
Più della rabbia.
Più della
legge.
«Sei uno
stregone?»
«Arthur,
aspetta... lasciami...»
«Cosa?
Spiegare? Non c'è proprio niente da spiegare. Tu mi hai
mentito.»
Merlin aveva immaginato spesso come sarebbe accaduto. Cosa si sarebbero
detti.
Non era tanto stupido o ingenuo da credere che il suo segreto sarebbe
rimasto tale per sempre.
Non era così crudele da pensare di non potersi fidare
abbastanza di Arthur, da non voler essere completamente sincero con lui.
Soprattutto visto ciò che condividevano da mesi.
L'amore, i baci, le carezze. Le promesse scambiate davanti al fuoco del
camino.
Il mago sapeva che la verità l'avrebbe ferito. Che scoprire
la rete di menzogne nella quale viveva senza saperlo, avrebbe
danneggiato, forse in modo irreparabile, il loro rapporto.
Ogni giorno che passava, riusciva quasi a percepire la ferita che
l’inevitabile scoperta avrebbe provocato. Il suo farsi sempre
più profonda. Più dolorosa. Più mortale.
Ma ogni giorno che passava, confessare diventava più
difficile. Impossibile.
Ci aveva provato. Infinite volte.
Aveva preparato discorsi, innocui incantesimi da mostrargli, storie di
come gli aveva salvato la vita con la magia.
Aveva immaginato eroiche gesta e sacrifici, nobili giuramenti di eterna
fedeltà.
Aveva immaginato di inginocchiarsi davanti al suo principe, alla sua
mercé. Di porgergli la spada e dimostragli la sua totale
fedeltà.
Alla fine, non era mai riuscito a confessare nulla.
Alla fine non ne aveva avuto il coraggio.
E il destino lo aveva privato per sempre dell'occasione di farlo.
Non era andata come aveva previsto. Certo, si era aspettato le grida,
il dolore, la rabbia, forse qualche notte in prigione, ma alla fine,
era convinto che il principe l’avrebbe perdonato, che lo
avrebbe accettato per ciò che era.
Perchè quando ci si ama, il perdono è
inevitabile, giusto?
Forse non tra loro, forse aveva semplicemente sopravvalutato il
sentimento che sembrava legarli. Forse, nella sua ingenuità,
aveva dato troppo peso agli sguardi, ai tocchi, ai sussurri condivisi
nella notte.
Stupido.
Che stupido era stato.
Arthur Pendragon era fedele a Camelot prima di qualunque cosa.
Fedele a suo padre prima di chiunque.
E Merlin aveva tradito entrambi col suo semplice esistere.
Arthur non l'avrebbe mai
perdonato.
Non l'avrebbe mai cercato, né rivoluto accanto a
sè.
Non l’avrebbe mai accettato, figuriamoci amato. Ridicolo. E il
fatto che ci fosse voluto così poco per dividerli, per
distruggere il loro destino, gli aveva creato un vuoto infinito nel
petto, un dolore tale da essere incapace di pensare a qualsiasi altra
cosa.
«Dovrei
ucciderti.»
«Perfavore
Arthur.»
«Non osare
pronunciare il mio nome, non hai più quel diritto. Non
l'avrai mai più.»
L'aveva sentito spezzarsi in quella stanza, il loro legame.
Quando gli occhi di Athur si erano fatti freddi e velenosi come mai li
aveva visti. Quando dal suo semplice incrociare le braccia sul petto,
Merlin aveva intuito come il suo cuore fosse diventato inaccessibile. Almeno per lui.
Quando la maschera del nobile cavaliere aveva nascosto il dolore e la
sofferenza che lui aveva inflitto.
Il mai più
di Arthur era risuonato in modo così finale tra le pareti e
nella sua mente, che per un attimo Merlin aveva perso perfino la forza
di reggersi in piedi.
Aveva provato a farlo ragionare, a farlo riflettere. A farlo ascoltare, solo per
un attimo.
Prima che ogni cosa si infrangesse e andasse perduta.
Ma Arthur non era mai stato paziente. Né pronto ad ascoltare.
I suoi umori e la sua rabbia incandescente erano sempre stati simili al
temperamento di Uther sebbene durassero meno di un temporale estivo.
Se non altro, non progettava di giustiziarlo e questo qualcosa
significava, giusto?
Ancora si chiedeva se non fosse stata solo pietà per le
persone che lo amavano, Gaius, Gwen, Gwaine. Loro, forse, avrebbero
cercato di salvarlo da una condanna a morte.
«Ma io ti amo,
questo non cambia niente.»
«Non posso
amare ciò che sei Merlin, non posso e non voglio. Adesso
vattene o chiamerò le
guardie.»
Era stata la fine della conversazione, di ogni conversazione.
Lo intuiva dalle spalle tese di Arthur. Dai suoi occhi stranamente
lucidi ed incandescenti.
Dalle mani strette a pugno e tremanti sul tavolo.
Il principe gli aveva detto addio.
Lo aveva bandito.
Non solo dalle sue terre. Ma dalla sua stessa vita.
E lo aveva fatto ferendolo nel modo più brutale.
Lui, che per la sua magia era sempre stato trattato come fuori posto,
come anormale.
Lui, che si era nascosto per metà della sua esistenza,
fingendo di essere ciò che non era.
Per lui quelle parole erano un colpo mortale. E anche se non aveva mai
avuto occasione di dirlo a voce aperta, per quanto si ripetesse che non
era voluto, che era una coincidenza, sapeva che Arthur aveva cercato di
ferirlo. Di vendicarsi.
E ci era riuscito alla perfezione.
Forse anche meglio di quanto credesse.
Aveva cominciato a piangere allora, non lo ricordava.
Ma ricordava la sensazione del suo cuore in frantumi. Il suono distorto
della sua voce quando aveva detto addio.
Il rumore dei suoi passi mentre correva lungo i corridoi con gli occhi
appannati e il sangue che gli ruggiva nelle orecchie.
Nonostante la sua promessa, non era andato lontano.
Nella vana speranza che Arthur ci ripensasse.
Nella stupida convinzione che il loro destino fosse troppo forte per
una cosa simile.
Si era nascosto nelle foreste ripetendosi che, presto o tardi, il
principe sarebbe andato a prenderlo dandogli dell’idiota e
lamentandosi di come non ubbidisse mai agli ordini veri, ma si
intestardisse a seguire le sue parole quando era ovvio che non dovesse
farlo.
Dopo i primi due mesi, il mago aveva cominciato a non esserne
più così certo. Ma, nonostante l'ovvia caduta
dalla grazia del suo principe, il pensiero di andarsene dove non
avrebbe più potuto vederlo nemmeno da lontano, quando si
aggirava per le foreste coi suoi cavalieri, pattugliando i confini o
cacciando lepri e conigli, era troppo doloroso.
Così usava la sua magia per sopravvivere nei boschi. Per
nascondersi da occhi indiscreti.
Per cacciare quando aveva fame e accendere un fuoco quando aveva freddo.
Perso in un limbo in cui, presto, anche il passare dei giorni perse
significato.
In cui la sua vita precedente non sembrava altro che un sogno distante.
A chiedersi che ne fosse stato degli altri. Erano preoccupati per lui?
Sapevano della bugia, del segreto che si era portato dentro? Lo avevano
abbandonato come aveva fatto Arthur?
Almeno Gaius avrebbe chiesto di lui? Cosa gli avrebbe detto il
principe?
Avrebbe rivelato di averlo bandito per la sua magia? O avrebbe
inventato qualche triste e vaga scusa per la sua improvvisa scomparsa?
Forse avrebbe raccontato a tutti che era morto.
E lui era troppo spaventato, troppo vigliacco per avvicinarsi
abbastanza da essere visto, da essere riconosciuto.
Non era il pensiero di essere giustiziato. Certo, c’era anche
quello.
Per tutte le sue belle parole o i suoi eroici pensieri, essere bruciato
vivo era un pensiero spaventoso. Ma la paura che fosse lo stesso Arthur
ad ordinarlo, di essere tradito nel modo più crudele, lo
terrorizzava più di tutto il resto.
Come risultato, non sapeva nulla di Camelot o di cosa vi accadesse.
Quando era scappato, il re era stanco e debilitato. Il tradimento di
Morgana l’aveva colpito dove neppure Gaius poteva curarlo.
Nella città bassa si mormorava già della salita
al trono del nuovo re. E, anche se non lo diceva apertamente, Arthur
non si sentiva ancora pronto a quel ruolo.
Col passare dell’inverno, quando la foresta
ricominciò a farsi più calda e i fiori a
sbocciare,
quando il rumore della vita riprese tutto intorno a lui, Merlin fu
stufo di aspettare nel silenzio.
Cominciò a spingersi oltre il confine, in qualche taverna,
alla ricerca di notizie.
Non che ce ne fossero molte.
Le voci di corte rimanevano tra le mura del castello. Difficilmente ne
uscivano. E con ancora maggiore difficoltà, giungevano nei
villaggi lontani.
Si diceva che Uther Pendragon fosse gravemente malato, ma nessuno era
certo di cosa avesse.
Tutti però, sembravano concordi nel dire che non gli
rimaneva ancora molto da vivere.
Seduto da solo al suo tavolo, Merlin stringeva il calice di sidro tra i
palmi sudati e pensava ad Arthur. Chiedendosi come stesse. Cosa
provasse. Pensava a Merlin? Ne sentiva la mancanza?
Le notizie che racimolava a stento lo lasciavano in ansia, Arthur non
desiderava essere re e Uther... il pensiero che stesse per morire
sembrava così assurdo.
Aveva sempre immaginato che sarebbe caduto in guerra, sotto la spada di
un nemico troppo potente, in una guerra disperata. Non sotto l'assalto
di una comune malattia.
Non per il dolore. Certamente non per amore.
A quanto sembrava, neppure il famigerato Uther Pendragon era immune
alle ferite del cuore. E come diceva sempre sua madre, erano spesso
queste le più mortali.
Anche Merlin lo aveva imparato a sue spese. E, forse, anche lo stesso
Arthur.
Di volta in volta, sentiva parlare di battaglie eroiche, dell'onore dei
cavalieri di Camelot, di come il principe fosse impegnato lungo i
confini a difendere il suo regno dagli invasori.
Merlin sentiva il panico ogni volta che lo scopriva lontano dalla
salvezza delle mura di palazzo.
Sentiva il desiderio di seguirlo, di proteggerlo.
A volte, quando il bisogno di vederlo diventava troppo forte, si
spingeva oltre gli alberi della foresta, là dove sapeva
avvenire uno scontro.
Abbastanza vicino da vederlo, ma non abbastanza da essere visto.
Gli bastava uno sguardo per riconoscere il rosso del mantello di Arthur
tra tutti gli altri.
La sua spada sembrava brillare più di tutte le altre.
E anche se il mago odiava la guerra e la morte che essa portava, non
poteva fare a meno di ammirare la vista del suo principe, del suo re,
vittorioso sul campo di battaglia.
Se il pensiero che il drago avesse mentito, che in realtà
Camelot non avesse mai avuto alcun bisogno di lui o della sua magia, a
volte lo tormentava fino a togliergli il sonno, Merlin cercava con
tutte le sue forze di ignorarlo.
Era un pensiero meschino in fondo. Ingiusto.
Sperare che Arthur avesse bisogno di lui, soffrire perchè la
vita del regno e dei suoi abitanti andava avanti come se nulla fosse
mentre il mago continuava a rivivere la stessa notte, era da
vigliacchi. E lui non lo era mai stato. Non voleva esserlo.
Mesi dopo, scoprì della romantica
storia d'amore tra il principe e una
serva.
Nessuno bisbigliava i veri nomi, ma tutti dicevano di averlo saputo da qualcuno, che
conosceva qualcuno,
che era imparentato a qualcuno
che lavorava a corte.
Qualcuno che li aveva visti baciarsi in un’alcova di palazzo.
Non c'era bisogno di fare alcun nome per sapere di chi parlassero,
c'era una sola ragazza tanto vicina ad Arthur da conquistarne gli
affetti.
Qualcuno giurava di non aver mai visto l'erede di Camelot
così felice. Così
radioso.
Era stata l'ultima volta in cui si era avvicinato ad una taverna.
Preferiva restarsene solo tra gli alberi, a studiare le erbe e a
cercare di riconoscerle, piuttosto che sopportare oltre quelle storie.
Di certo poteva fare a meno dei sordidi dettagli.
La sua mente era come una trappola dolorosa in cui le immagini si
facevano talmente nitide da farlo quasi vomitare.
La cosa peggiore era sapere di non avere alcun diritto di sentirsi in
collera o tradito.
Arthur lo aveva cacciato. Lo aveva lasciato.
E Gwen non sapeva nulla. Non poteva neppure immaginare cosa
c’era stato tra loro.
Nessuno dei due gli doveva niente. Eppure il pensiero di saperli
insieme lo distruggeva.
Aveva sempre saputo che Arthur prima o poi avrebbe trovato una regina.
Era necessario, inevitabile.
Un re aveva bisogno di un erede. Il popolo ne aveva bisogno.
Perciò Merlin si era ripromesso fin dall’inizio di
rispettare le necessità di Arthur. Di accettare di condividerlo,
seppur per breve tempo.
La regina che si era immaginato, però, era molto diversa da
Gwen. Era una nobile straniera.
Una donna bella quanto velenosa. Simile a Vivian forse. Dalla voce
pungente e il carattere irritante. Troppo occupata a curarsi di se
stessa per essere una minaccia all'affetto di Arthur.
Il re l'avrebbe sposata per dovere,
non certo per amore.
Avrebbe avuto l'erede richiesto, ma mai più di quello.
Il suo cuore, la sua
stessa anima, quelle sarebbero appartenute per sempre al
mago.
Da custodire come il più sacro dei tesori.
Chiaramente il fato aveva altre idee.
E adesso a lui non rimaneva più nulla, né la
speranza, né i sogni.
Perchè Arthur era andato avanti senza di lui.
Aveva trovato un modo per riparare il suo cuore e donarlo a qualcun
altro e, nel farlo, aveva distrutto completamente quello di Merlin.
Nonostante tutto, il mago continuò a restare a Camelot,
sebbene non sapesse neppure lui perchè.
A volte immaginava di tornare da sua madre, ma il pensiero di
raccontarle ogni cosa, di lasciar andare i suoi pensieri e mostrarle la
ferita che si portava dietro da più di un anno, lo faceva
rabbrividire.
Sapeva che si sarebbe sentita in colpa per tutto.
Per averlo costretto a partire.
Per averlo mandato alla ricerca di una strada, di un luogo a cui
appartenere.
Non era colpa sua. Niente di ciò che era accaduto.
Non era colpa di sua madre se aveva scelto di distruggere il solo posto
che amava e aveva perso la sua strada.
Avrebbe potuto rifarsi una vita.
Magari in un regno dove la magia fosse ben accetta.
Sapeva di regni più a nord, dove maghi come lui erano tenuti
in grande considerazione a corte. Ma anche quello era solo un bel sogno.
La verità era che non voleva una nuova vita, rivoleva la sua vita.
Una vita che non c'era più, ma dalla quale non riusciva, non
poteva,
staccarsi neppure volendo. Una vita che continuava a tormentarlo ogni
volta che chiudeva gli occhi.
Infine, giunse il giorno tanto atteso.
Ed era triste definirlo così sebbene non ci fosse altro modo
di chiamarlo.
Fu con una sorta di amara delusione che Merlin si avvicinò,
per la prima volta in due inverni, alle mura di Camelot.
Aveva pensato a lungo ai pericoli che correva, ma la folla era troppo
grande e i soldati troppo pochi perchè qualcuno lo
riconoscesse.
E Arthur aveva altro a cui pensare, altro di cui preoccuparsi. Forse
non lo ricordava neppure.
Così, mentre la folla festeggiava il nuovo re e le campane
suonavano a festa, Merlin rimase in disparte, in un angolo buio della
piazza, col volto coperto dal mantello e gli occhi puntanti sul volto
del nuovo re.
Un re addolorato dalla perdita dell'unico genitore che avesse mai
conosciuto.
Chissà, si chiese con un briciolo di amarezza, se Gwen gli
avrebbe portato il conforto necessario. Avrebbe visto ciò
che gli altri si rifiutavano di riconoscere?
Avrebbe accettato la parte più nascosta e vulnerabile di
Arthur, quella che nessuno vedeva mai? Sperava di sì, anche
se il pensiero di perdere quel privilegio, lo feriva profondamente.
Quella notte Merlin pianse tutte le lacrime che il nuovo re non poteva
versare.
Pianse per il destino perduto. Per l’amore perso e per
l’amicizia tradita.
Pianse per se stesso e per Arthur, chiedendosi cosa avrebbe fatto ora
che la sua vita era definitivamente separata da quella del principe... del re.
La solitudine e il dolore, stranamente, non gli erano mai pesate tanto
come da quel momento.
Ogni giorno sentiva che presto sarebbe impazzito se non parlava con
qualcuno.
Ogni notte sognava di trovarsi a Camelot, tra le braccia e nel letto di
Arthur.
Sognava la sua voce che lo chiamava e lo pregava di tornare indietro.
A volte, gli sembrava di sentirlo perfino da sveglio.
Sapeva che era impossibile. Arthur non aveva più bisogno di
lui.
E glielo aveva dimostrato con tutta la crudeltà di cui solo
un Pendragon era capace.
Con la freddezza e la rabbia di un uomo tradito.
Nonostante tutto, il mago non rimpiangeva di averlo conosciuto,
né di averlo amato.
Neppure per un istante.
Fu proprio nel momento più buio della sua disperazione,
quando ormai aveva perso ogni speranza che, come per miracolo, Taliesin
comparve nella sua vita.
Merlin lo ricordava a malapena.
L'antico stregone, il famoso profeta vissuto più di trecento
anni prima.
L'unico in grado di utilizzare la grotta di cristallo.
Ricordava vagamente le parole cariche di ammirazione di Gaius quando
gli aveva raccontato la sua breve avventura nella valle dei re caduti.
Quando aveva perso Arthur, anche se solo per pochi attimi.
«E' giunto il momento, Emrys.»
All'inizio, Merlin pensò di essere finalmente impazzito.
Si era accampato accanto al lago negli ultimi giorni, pregando in cuor
suo di poter rivedere Freya e, forse, poterle chiedere consiglio.
Stanco di rimanere solo. Stanco di non avere nessuno con cui parlare.
Ovviamente non era successo. Merlin non ne era stupito, raramente le
cose andavano come voleva.
Taliesin era comparso come dal nulla, avvolto nel suo mantello
sgualcito, col volto solcato dalle linee di una vecchiaia impossibile
per ogni uomo, trascinandosi dietro il suo bastone di legno e
fissandolo con l'indulgenza di chi ha avuto molto tempo per imparare la
pazienza.
E forse aveva letto i suoi pensieri o forse aveva capito quanto Merlin
fosse incredulo, poichè si era limitato a sedersi davanti al
fuoco, fissandolo in silenzio.
Attendendo che il mago decidesse se fidarsi o meno dei suoi stessi
occhi.
«Ti ricordi di me?» gli chiese con voce bassa e
pacata. Come se parlasse ad un vecchio amico.
«Siete il veggente, quello della grotta»
ribatté Merlin, fissandolo con avidità.
Conscio di come quella fosse per lui la prima vera conversazione in
molto, troppo
tempo.
Sorrise allora e attorno agli anziani occhi neri si formarono mille
piccole rughe e Merlin avrebbe voluto abbracciarlo per rassicurarsi che
fosse davvero lì, vivo e reale.
«Il momento di cosa?»
«Di conoscere i tuoi poteri, Emrys. Per il futuro e per te.»
«I miei poteri? Ma ormai io...» non servo più
avrebbe voluto dire. Ma il pensiero suonava così patetico
perfino nella sua mente, che si rifiutava di dargli voce.
«Il tuo destino, Emrys, è solo all'inizio.
Accadranno cose orrende. Se non saprai affrontarle, Camelot
cadrà con il suo re.»
Nonostante ogni cosa accaduta tra loro, il solo saperlo in pericolo,
risvegliò Merlin come da un lungo torpore «Ditemi
cosa avete visto» gli chiese improvvisamente in ansia.
Taliesin sorrise di nuovo, conscio di aver colpito nel punto giusto
«Posso fare di meglio, posso mostrartelo. Vieni con me Emrys.
La grotta è impaziente. E prima di ogni cosa, devi imparare
ad usarla.»
«Arthur non vorrà il mio aiuto»
mormorò il mago distogliendo gli occhi, sentendo un'amara
stretta al petto nel pronunciare dopo tanto tempo quel nome.
«Ci sono molte strade per realizzare un destino, Emrys. Tu
dovresti capirlo meglio di chiunque altro » gli rispose
Taliesin riportandolo a tanti anni prima, quando col cuore pieno di
speranza, era arrivato in una nuova grande città.
Quando, sotto ad un castello sconosciuto, aveva trovato una creatura
magnifica mai vista prima e aveva creduto in un destino magico e
grandioso.
Il ricordo lo fece sorridere con nostalgia.
«Mi ricordate qualcuno conosciuto molto tempo fa»
mormorò estinguendo il fuoco con un gesto della mano.
Per la prima volta in tanto tempo, sentì di nuovo nascere la
speranza.
Sentì di nuovo che qualcosa sarebbe cambiato, che qualcosa
di importante sarebbe dipeso da lui e quel pensiero, sembrò
riscaldare ogni angolo della sua anima «Alla grotta
allora?» chiese quasi eccitato alla prospettiva di imparare, di fare qualcosa.
In tutta risposta Taliesin sorrise tendendogli la mano.
TBC
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