Apple Pie
Salve
a tutti. Questa ff (o "zozzifiction", come l'ho ribattezzata io XD)
è nata più per gioco che per altro. Doveva essere solo un
modo per delirare su msn con gli amici. Poi ha preso strade tutte sue,
che non ho la più pallida idea di dove mi porteranno. Per ora
non posso fare a meno di seguirle e di bearmi delle parole che
zozzEdward mi sussurra all'orecchio.
I personaggi sono presi in prestito da Twilight, ma se ne discostano quasi completamente. Il mio Edward e la mia Bella sono assolutamente umani...fin troppo.
Bene, questo è più o meno tutto.
Vi ringrazio.
Miki.
Primo capitolo
APPLE PIE
Sono cinque minuti che mi domando che
razza di posto sia mai questo.
Afferro il cellulare e scorro la lista
dei messaggi.
Non è una richiesta stavolta. È quasi
una supplica.
Per me non fa differenza. È come tutte
le altre...beh, non proprio come le altre. Ha un corpo da mozzare il
fiato e una pelle liscia e profumata. I capelli lunghi sono morbidi e
lucenti...e parla poco. Sono questi i motivi che mi hanno spinto ad
avere con lei un rapporto, oserei dire, fisso.
Mi piace?
Non credo.
O meglio...mi piace che non abbia
speranze. Mi piace che mi guardi senza aspettarsi nulla.
Lei usa me allo stesso modo in cui io
uso lei.
Le 18:50. Dannazione. Sono in
anticipo. E mi ritrovo in una delle strade più squallide di Boston.
La gente si volta a guardarmi, attratta
evidentemente dal mio cappotto dal taglio raffinato o dalle mie
scarpe lucide. O forse è il profumo della mia colonia?
Sono passati i giorni in cui facevo
perfettamente parte di questo squallore.
Mi guardo in giro.
Perché non arriva?
A quel pensiero il palmare vibra,
allontanando la mia mente dalle angosce del passato.
“Sono in ritardo, scusami. Non andare
via, ti prego. Faccio prima che posso”.
La tentazione di mandare al diavolo lei
e i soldi di suo marito è tanta, è forte.
Ma rimango. Non voglio cadere di nuovo
nel tunnel dei ricordi, devo tenere la mente occupata...e lei è una piacevole distrazione.
Il tintinnio di un campanello mi fa
voltare di scatto.
Twilight Café
Ma che razza di
nome...
Mi avvicino
all'ingresso e guardo dentro: non c'è nessuno per fortuna.
All'interno
l'ambiente è caldo e apparentemente pulito. L'odore prevalente è
quello di caffè e non di fritto rancido, come nella maggior parte
delle tavole calde della zona.
Decido di entrare,
non voglio dare nell'occhio. So che è impossibile che qualcuno mi
riconosca, ma la sensazione di disagio che provo mi toglie il
respiro. L'ultima cosa che mi serve ora è un attacco di panico.
Mi siedo ad un
tavolo vicino alla finestra, rivolto verso il vetro, dando le spalle al
bancone e a tutto il resto. Vedo ancora la stessa strada, gli stessi
edifici, ma stare seduto qui è come essere al sicuro, è come se
tutto ciò che c'è là fuori non mi possa ingoiare di nuovo.
- Signore, cosa
desidera?
- Del caffè,
grazie
Non alzo nemmeno lo
sguardo, so che c'è una ragazza accanto a me, ma non m'importa.
- Abbiamo un'ottima
torta di mele...
- NO grazie – la
interrompo con un tono un po' troppo aspro – il caffè va
benissimo.
Quando si gira per
tornare dietro il bancone la guardo. Non è molto alta. Indossa una
divisa dal taglio discutibile, rosa, con un grembiule bianco, legato
dietro con un fiocco. Dalla gonna larga spuntano due gambe
affusolate, la pelle candida. Ai piedi un paio di sneakers ed
un'orribile cuffietta sul capo, dalla quale fuoriesce una lunga coda di
cavallo. Esegue ogni gesto rapidamente e torna da me dopo pochi attimi. Versa la bevanda fumante in una tazza.
Torno a
guardare fuori e penso che le lascerò una grossa mancia.
- Ecco il caffè.
- Grazie.
- E la torta...
- Ma...io non...
- Non si dice no
alla mia torta. Soprattutto se appena sfornata! È la migliore torta
di mele che esista!
Non mi dà nemmeno
il tempo di protestare che si allontana dal mio tavolo.
Guardo davanti a
me. La tazza è piena di caffè bollente e accanto c'è un piattino
con una fetta di questa fantomatica torta.
Due strati di
sfoglia dorata racchiudono un morbido e fumante ripieno. L'odore che
sprigiona è tra i più deliziosi che abbia mai sentito. Non è
semplicemente odore di mele...c'è qualcosa in più. Il fumo pungente
e speziato che sprigiona colpisce le mie narici, ed è un senso di
familiarità quello che provo e mi viene in mente lei.
- EJ tesoro, mi passi la cannella?
- Certo mamma, subito. Che stai
facendo?
- Ti preparo una torta di mele, la
signora Swan non ha dimestichezza con i fornelli e mi ha chiesto di
farne una per la sua bambina, a quanto pare la piccola adora la mia
torta!
Gli ingredienti che mi ha portato,
però, sono decisamente troppi per una sola. Gli Swan sono persone
adorabili e la loro bambina è meravigliosa, così rosea e paffuta.
Sono contenta che siete amici.
- Non siamo amici mamma...è
piccola!
- Ma ha solo due anni meno di te EJ.
- E' piccola. Ogni tanto la faccio
giocare un po' con me...è una piagnucolona!
- Mmh...se lo dici tu.
- Mamma, non pensi che papà si
arrabbierà per questo?
- Oh no, stai tranquillo. Tuo padre
ha il doppio turno oggi in fabbrica e, quando tornerà, non ci sarà
più traccia delle torte.
Parlava mentre
continuava a mescolare gli ingredienti. Sul suo viso, invecchiato
precocemente, si affacciava un debole sorriso. Il taglio sul labbro
le faceva male, così come l'occhio gonfio. Ma gli occhi le
brillavano, sembrava quasi felice.
- E adesso, l'ingrediente segreto.
- Metti un ingrediente segreto
mamma? Dai dimmi qual è, voglio saperlo!
- Oh no! Se te lo dicessi poi dovrei
ucciderti.
- Dai mamma, ti prego...non lo dirò
mai a nessuno
- Lo prometti?
- Croce sul cuore!
- Mh...va bene, mi fido! La vedi
questa pallina?
- E cosa sarebbe?
- Senti l'odore...si chiama noce
moscata.
- Ma è dura, non la vorrai mettere
lì dentro?!
- Ma certo che no...vedi questa? Si
usa per grattugiarla e la polvere si unisce all'impasto.
- Ed è quello che fa la differenza?
- Beh, lo sentirai quando la torta
sarà pronta.
Ricordo ancora il
profumo di quel dolce. Ne avevo assaggiato un solo boccone eppure mi
basta pensarci per sentire distintamente il sapore. Non ho mai più
assaggiato qualcosa che gli si avvicinasse lontanamente. Avevo ancora
gli occhi chiusi quando all'odore delizioso del dolce si sovrappose il
puzzo disgustoso di birra...era tornato!
- Dove cazzo avete preso questa
fottutissima torta?! - disse scaraventando in un solo colpo il tegame
giù dal ripiano.
- Edward...non...
- Taci cagna! Ti sei fatta fare di
nuovo l'elemosina, vero?
Le sue dita affondavano nell'esile
braccio di mia madre, mi andai a nascondere dietro il bancone, ma non
potevo non sentire tutti gli insulti e il rumore dei colpi che le
infliggeva con una furia animalesca.
- O è la ricompensa? Ma si...lo
sapevo...ti fai scopare dal bel poliziotto...ti piace la sua bella
divisa inamidata...
- No Edward, lo giuro...non è così,
sai che non potrei mai! Sai che amo solo te.
Un gran frastuono mi costrinse a
voltarmi. La mamma era riversa al suolo, dopo essere stata
scaraventata con violenza contro il mobile della cucina. Vedevo
sangue, dalle labbra, dalla testa.
La afferrò nuovamente, per le
spalle, portandola alla sua altezza.
- Quando ti parlo mi devi
guardare...che devo fare con te – disse scuotendola vigorosamente –
io non ce la faccio più. Ne ho piene le palle di te!
Non riuscivo a muovermi, avrei
voluto saltargli addosso, urlargli di lasciare in pace la mamma, ma
cosa potevo io contro di lui? Vedevo le sue mani, che in passato mi
avevano accarezzato con amore, afferrarla per i capelli. Lei
continuava a chiedere scusa, continuava a dirgli che lo amava.
- Che devo fare con te, eh? COSA?! Mi
capisci quando parlo? Hai capito quello che ho detto?
L'ennesimo spintone, stavolta, a
fermarla, il frigorifero.
- Tu non capisci un cazzo! Sei
un'idiota...lo sai che sei un'idiota eh? E spostati!
Con un calcio allontanò il corpo
oramai inerme di mia madre dallo sportello del frigo. Lo aprì e ne
tirò fuori una bottiglia di succo. Ne bevve un sorso, rumorosamente
per poi sputarglielo sulla testa.
- E' acido! È così che cresci tuo
figlio? Col succo acido?
Fu quando le svuotò l'intero
contenuto addosso che scattò qualcosa dentro di me. Gli saltai
addosso, urlandogli tutte le offese che fossi in grado di
pronunciare. Affondai le mie unghie nella faccia e lui si dimenava
urlando. Ma che poteva fare un bambino di otto anni ad un uomo, il cui
fisico era temprato dal lavoro e il cui animo era inasprito dalla
rabbia, dall'odio e dall'alcool?
Riuscì ad afferrarmi per il collo e
ad allontanarmi da lui. Non feci in tempo a scappare che un sonoro
ceffone mi fece cadere a terra. Sentivo tutta la faccia pulsare e il
sapore ferroso del sangue inondarmi la bocca.
- M...mamma...
Deve essere stata quella che lei
chiamava “forza dell'amore” a darle quell'ultimo guizzo di
vitalità. Mentre lui si avvicinava nuovamente a me, lei lo colpì
furiosamente con un mortaio di pietra ponendo fine definitivamente
alla sua lurida esistenza. Uno sforzo troppo grande dopo tutto ciò
che aveva subito. Si accasciò al suolo e, solo dopo aver sussurrato
il suo amore per me, si spense.
Mi asciugo in
fretta le lacrime, cazzo...non posso farmi vedere in questo stato!
Tutta colpa di quella cameriera e della sua fottuta torta! Per
fortuna che un bagliore rosso mi riporta nel mio mondo.
Mi alzo, finisco il
caffè e prendo il portafoglio per saldare il conto. Lascio una
banconota da dieci dollari sul tavolo e mi giro per andare via, ma...mi
volto nuovamente verso il tavolo e afferro la forchetta. La affondo
nel dolce e la porto alla bocca!
Uhmf...
Apro la porta,
facendo suonare quel fastidiosissimo campanello e senza girarmi dico
ad alta voce:
- La torta...la tua
torta...non è assolutamente la migliore!
Non le lascio il
tempo di rispondere che vado via.
Mi avvicino a
quell'incanto e faccio scorrere lo sguardo su di lei.
Ha
delle curve da mozzare il fiato. Anche ferma esprime la sua
dirompenza. Poggio una mano sul fianco, è liscio, caldo...eccitante.
Vorrei poterla avere tutta per me, sentirla fremere sotto le mani.
Non sapevo l'avrebbe comprata. Mi aveva chiesto quale fosse la mia
macchina preferita e la mia risposta era stata fin troppo spontanea:
una Porsche Cayman rossa...rossa fiammante, come le tue labbra!
Vedermela davanti
adesso è come un sogno. Il finestrino del lato passeggero,
rigorosamente oscurato, si abbassa.
- Edward sei con
me? Andiamo?
- Si certo – dico
deglutendo – andiamo.
Quando entro
l'odore di nuovo mi assale. E' tra le fragranze più belle che abbia
mai sentito. Guardo gli interni, e mi perdo nel colore della
passione.
In netto contrasto
lei è seduta lì, fiera e bellissima, al volante. Sembra nata per
guidare una macchina del genere.
Mi allontano,
poggiando la schiena contro l'interno dello sportello e la guardo.
E' la solita
esibizionista. Sfoggio il sorriso sghembo che tanto la eccita e
continuo a far scorrere lo sguardo su di lei.
Un foulard rosso le
incornicia il viso baciato dal sole, souvenir del suo ultimo viaggio
ai Caraibi. Gli occhiali scuri, dalla linea raffinata, le coprono lo
sguardo...ma so bene cosa c'è dietro quelle lenti: brama,
eccitazione...so anche che cerca il mio consenso, vuole piacermi e si
sforza in ogni modo perché sia così. Non le dico che farei lo
stesso il mio dovere, anche se dovesse presentarsi sciatta e
scarmigliata. L'importante è che alla fine metta mani alla borsetta
per il mio compenso.
Devo dire però,
che in questo modo mi rende il compito molto più piacevole.
Indossa un completo
nero, la giacca con un solo bottone le copre a malapena il petto, da
dove spunta un reggiseno in pizzo rosso fuoco. Scuoto la testa e
continuo a sorridere. La gonna è un tubino nero, stretto, ma con un
profondo spacco che le scopre la coscia, quasi fino all'inguine,
mostrando il bordo liscio, come piace a me, delle autoreggenti. Ai
piedi un paio di Laboutin nere lucide che completano degnamente il
tutto.
Mi metto comodo e
lei capisce che ha passato l'esame. In effetti ha un aspetto
assolutamente fantastico. Anche se la cosa che più mi eccita è
sapere che ha fatto tutto questo per me.
Quando Rosalie mi
ha presentato Tanya, la sua migliore amica, di certo non avrebbe mai
immaginato che tipo di rapporto sarebbe nato tra noi. D'altronde
nessuno di loro immagina lontanamente in che razza di situazione mi
sia andato a mettere. Ma l'odore dei soldi cancella l'odore dei
ricordi e per ora va bene così.
Per fortuna non
accende lo stereo. La musica adesso coprirebbe il rombo del motore,
che alle mie orecchie suona come le fusa di una gatta in calore.
- Non vedevo l'ora
di tornare – dice con la voce tremula per l'agitazione – mi sei
mancato così tanto!
- Non ti sei
divertita col maritino?
- No! - risponde
piccata – fosse per me potrebbe marcire all'inferno.
- Oh, sono sicuro
che ne saresti molto felice. Ti ci vedo nella parte della vedova
inconsolabile che ha appena ereditato milioni di dollari. Saresti
perfetta nella parte – le dico sfiorandole la coscia con il dorso
dell'indice. Al mio tocco la pelle rabbrividisce e la vedo deglutire.
La presa sul volante diventa meno sicura e la macchina ha un
impercettibile sbandamento.
- Sarebbe il minimo
dopo tutto quello che sono stata costretta a sopportare. Avevo dei
sogni, Edward, una carriera come modella, un futuro e sono stata
praticamente venduta!
Si morde le labbra.
Il dolore è ancora forte nonostante gli anni, nonostante i soldi,
nonostante tutto.
Il padre di Tanya,
per evitare la bancarotta, costrinse la figlia appena diciottenne a
diventare la moglie di Mr. Leech, un magnate della finanza, senza
l'aiuto del quale, il fallimento delle industrie di famiglia sarebbe
stato inevitabile. Purtroppo per lei, Arold era un uomo viscido e
senza scrupoli, convinto di poter ottenere qualsiasi cosa con i
soldi, sempre pronto a dissanguare le piccole imprese in difficoltà,
per poi acquisirle, smontarle dall'interno e rivenderle, assieme ai
suoi fratelli, Marcus e Caius.
Anche sua moglie era stato un affare per lui.
Un bel trofeo da
ostentare nella grandi occasioni e di cui godere in privato.
La cella dorata in
cui era stata rinchiusa questa splendida fenice era invisibile agli
occhi della maggior parte della gente, ma per me era diverso...io
vedevo il modo in cui si stava spegnendo e riuscivo a darle quello
che lei voleva: libertà, anche per una sola notte o per un'ora. Da me
non cerca pietà, non cerca romanticismo, non le interessano l'anima,
il cuore e tutte quelle cazzate a cui si legano le altre donne. Lei
pretende da me l'unica cosa che sono in grado di dare, egregiamente
oserei aggiungere.
Non andiamo in
albergo, non le piace, e casa sua è esclusa, anche se il marito non
c'è mai.
Con i guadagni del
suo lavoro, poco dopo le nozze, Tanya ha acquistato un piccolo
appartamento, in una zona periferica. Lì c'è tutta la sua vita, lì
passa le giornate quando non ne può più di una vita che non le
appartiene, lì c'è lei..anche dopo che fa ritorno a casa. Ed è lì
che le regalo momenti di pura estasi.
Beh...”regalo”
non è il termine più appropriato!
Quando spegne il
motore, scendo e, velocemente, faccio il giro per aprirle la portiera.
So che apprezza queste carinerie. Non per nulla sono così richiesto.
Non per nulla il mio nome è quello più sussurrato tra le signore
della classe benestante di Boston e il più temuto dai mariti.
Mentre con fare
seducente scende dalla macchina, mi accorgo che sotto la gonna non
indossa nulla. Faccio finta di non aver visto e la accompagno con il
braccio verso l'entrata.
L'andatura è
sinuosa e provocante e la scia di profumo mi investe, non opprimente,
ma delicata, sottile, come un assaggio di ciò che mi spetterà a
breve.
Quando richiudo la
porta non mi dà nemmeno il tempo di voltarmi che è già su di me.
Mi lascio spingere contro la porta, le sue labbra premono con forza
contro le mie, in un bacio che urla impazienza, desiderio, bisogno
disperato. Le sue mani risalgono sul collo, sono calde, lisce, mi
accarezzano il viso e poi si portano tra i capelli, afferrandoli e
strattonandoli con forza. Mi discosto, cercando di non essere brusco.
Lo sa che non mi piace...
Mi guarda con aria
mortificata, allontanandosi, anche se di poco.
- Scusami, non
volevo. Lo sai che amo i tuoi capelli...a volte non riesco a
trattenermi.
Accosto la guancia
alla sua e strofino leggermente, le sussurro all'orecchio di non
preoccuparsi e al suono della mia voce sento il suo corpo tendersi
come corde di violino..
Porto una mano
dietro la nuca e la avvicino a me ricominciando a baciarla.
Scendo più giù,
lentamente, dietro la schiena, spingendo il corpo contro il mio,
la mia eccitazione preme contro la sua coscia ed un gemito soffocato
le sfugge dalle labbra.
Le mani continuano
a vagare sul suo corpo, riempiendosi delle sue natiche sode, per poi
risalire di nuovo a cercare la pelle sotto la giacca. La sua schiena
è bollente e la pelle si solleva in un brivido lungo la scia che
tracciano le mie dita.
Mi allontano un po'
per portarle sul davanti e sbottonare quell'unico bottone. Con un
fruscio la giacca cade sulla moquette, scoprendo qualcosa di molto
eccitante.
Cerco, dietro la
nuca, l'estremità del foulard e le scopro il capo. I capelli sono
raccolti in uno chignon molto stretto, ma non mi ci vuole molto per
liberarli dalle forcine e farli ricadere in indomabili onde sulle sue
esili spalle. Con una mano le piego la testa da un lato e con l'altra
sposto i capelli lasciando scoperto il collo.
Lei sussurra, ad
ogni movimento, ad ogni mio gesto, è argilla tra le mie mani, o
meglio, ferro incandescente, e si lascia plasmare amabilmente.
Le accarezzo il
collo col naso, cercando, sotto il profumo, l'odore della sua pelle.
Non c'è nulla di più buono dell'odore della pelle di una donna.
Con la lingua
lambisco lentamente una spalla, lascio piccoli baci, intervallati da
delicati morsi.
Il suo respiro si
fa sempre più accelerato ed il cuore sembra che stia per uscirle dal
petto. Le sue mani sono sul mio cappotto, ferme. Sa che non deve
farlo. Non deve spogliarmi.
È una delle mie
regole.
Ma è impaziente e
devo dire che questo suo modo di fare mi rende le cose estremamente
facili.
Senza staccare le
mie labbra dalla sua clavicola mi libero del soprabito, della giacca
e comincio a sbottonarmi la camicia tirandone fuori i lembi dai
pantaloni.
- Oh Edward – le
sfugge quando finalmente il mio torace le si presenta dinanzi. Le sue
mani sono su di me ancor prima che riesca a sfilarmi del tutto
l'indumento. Con le unghie laccate di rosso segue la linea dei
pettorali, mi sfiora i capezzoli, per poi scendere sui fianchi e
fermarsi poco sopra la cintura.
Con le labbra
continuo ad infuocarle la pelle. I miei baci scendono sul suo petto e
affondo il viso nell'incavo dei seni strizzati in un reggiseno in
pizzo che lascia ben poco alla fantasia.
La stringo tra le
braccia e la sollevo da terra. Agilmente porta le gambe attorno ai
miei fianchi, cominciando a strusciarsi languida contro la mia
erezione.
Raggiungo il letto
e la poso dolcemente senza staccare le labbra da lei.
Con le dita le
sfioro il piccolo seno da sopra il tessuto e sorrido quando vedo il
capezzolo indurirsi all'istante. Sposto quel sottile pezzo di stoffa
e mi porto con la bocca su di esso.
- Tu mi farai
impazzire prima o poi – sussurra, mentre si porta le mani dietro la
schiena per slacciare il reggiseno. Nessun contorno più chiaro
riveste il suo petto. La pelle ha un colorito dorato e uniforme.
La guardo per un
attimo per poi rituffarmi sulle sue labbra.
- Hai preso il sole
in topless? - le chiedo tra un bacio e l'altro.
- No – risponde
allontanandomi. Con le mani spinge sul mio petto facendomi capire le
sue intenzioni. Scivolo su un fianco e perplesso la vedo alzarsi dal
letto.
Mi volta le spalle
e, lentamente, comincia a far scendere la lampo. Mi metto seduto,
comodo, per gustarmi lo spettacolo che mi si offre davanti.
Fa scendere
l'indumento lungo i fianchi, scoprendo lentamente la pelle nuda.
Prima di sfilarlo
completamente si volta.
-...integrale...l'abbronzatura
l'ho presa integrale.
E alzando prima una
gamba e poi l'altra si libera completamente della gonna, rimanendo
nuda di fronte a me, con solo le autoreggenti e le scarpe.
Avanza verso il letto
e, poggiando un piede sul materasso, tra le mie gambe, fa per srotolare la
calza lungo la coscia.
- No – le dico
afferrandole il polso con decisione – tienile!
Le circondo la
caviglia e risalgo lentamente accarezzandole il polpaccio sottile.
Quando arrivo al ginocchio le sollevo la gamba e le faccio poggiare
il piede accanto a me, portando la sua intimità all'altezza del mio
viso. Con un gesto del bacino si avvicina ancora di più offrendomi
un frutto che sa coglierò presto.
Continuo a
carezzarle la coscia, soffermandomi lungo il bordo della calza. Con
le mani si sta torturando i capezzoli, mentre la mia risale lungo
l'interno coscia.
Getta la testa all'indietro imprecando.
- Tanya...non sono
parole che si addicono ad una signora – dico con voce roca, prima
di posare le labbra sul ginocchio.
- Cazzo
Edward...non sarei qui se fossi una signora.
Sorrido...nel suo
tono c'è quasi disperazione.
Con la punta delle
dita comincio a sfiorarle il contorno dei fianchi, l'ombelico, il
ventre, che sembra avere piccoli spasmi sotto il mio tocco leggero.
Le labbra compiono
inesorabili il proprio cammino, raggiungendo, finalmente, il suo
centro.
Non mi sorprende
trovarla così eccitata, pronta, perfetta.
Basta poco per
farle raggiungere l'apice e mentre il corpo è scosso da un violento
fremito, con le mani la sostengo senza staccare la lingua da lei.
Quando l'ondata di
piacere si attenua e lei ricomincia a muovere, languida, il bacino
contro la mia bocca, mi alzo in piedi e la bacio, facendole sentire
il suo sapore sulla lingua.
La spingo sul letto
e, mentre si sistema nel mezzo, sfilo calzini e scarpe e mi libero
dei pantaloni e dei boxer in un colpo solo.
Il suo sguardo
malizioso vaga lungo il mio corpo nudo, fino a fermarsi al centro
esatto. Ed io posso quasi sentirlo, il fuoco che emana, sul mio membro
eccitato.
La raggiungo e le
circondo un seno con la mano, stuzzicandone la punta con il pollice.
Tanya inarca la schiena e spalanca di più le gambe, chiaro segno che
adesso i preliminari sono finiti.
Mi sollevo sulle
braccia e, dopo aver infilato il preservativo, la penetro
velocemente. Non è mai stata così calda, così bagnata. Quando
comincia a muoversi, dettando il ritmo, assecondo i suoi movimenti.
Il silenzio è interrotto solo dai nostri respiri sempre più veloci,
dai suoi sussurri strozzati, dai gemiti.
Le circondo la
schiena con un braccio e sollevandola mi porto a sedere sul bordo del
letto. Le gambe mi circondano il bacino e le spinte diventano più
rapide, più profonde.
Guardo i suoi
piccoli seni tondi sobbalzare, sul suo viso un'espressione di pura
estasi.
Ancora una volta
penso a quanto sia facile stare con lei. Il suo unico scopo è quello
di essere libera, libera di provare piacere, libera di essere una
donna. Mentre ondeggia i fianchi, poggia il viso nell'incavo del mio
collo, leccandolo e mordicchiandolo quando il movimento rallenta, per
poi affondare i denti quando improvvisamente riprendo a spingere con
maggiore decisione.
-
Edward...io...io..sto per...oh Edward.
A quelle parole mi
alzo in piedi e sostenendola con le mani sotto i glutei, la poggio
con la schiena al muro, continuando a spingere dentro di lei.
Un orgasmo intenso,
devastante ci coglie contemporaneamente e, prima che le forze vengano
a mancarci, raggiungo il letto.
Dalla finestra la
luce della luna entra nella stanza inondandola di una meravigliosa
luce azzurrina. Improvvisamente il pensiero che di lì a breve mi
sarei ritrovato solo nel mio appartamento mi coglie mozzandomi il
respiro.
La notte arriva e
puntualmente arrivano le sue ombre, le sue paure, i ricordi. So che è
inevitabile. Mi alzo e comincio a raccogliere i vestiti dal
pavimento.
- Edward non
andare. Ti prego, non andare. Solo per stanotte rimani qui. - la voce
è bassa, il sonno si sta già impadronendo di lei.
E, per la prima
volta, tale richiesta mi appare come un'ancora di salvezza a cui non
esito aggrapparmi.
-Ok Tanya. Ma solo
per questa notte. Non mi va di aspettare un taxi – le rispondo con
finta superficialità.
Ed è nel sonno che
lei sussurra – non avresti dovuto...non avresti dovuto aspettare un
taxi.
Senza nemmeno
chiedermi cosa abbia voluto dire mi stendo sul letto accanto a lei
sperando che il sonno mi sottragga dal supplizio dei ricordi.
Eccoci qua, alla fine di questo primo capitolo. Spero che la lettura non sia stata troppo pesante e noiosa.
Qualche
breve nota: la storia è ambientata a Boston. Perché? Non
ne ho la più pallida idea! Volevo fosse una citta, ma non una
delle solite metropoli. Mentre scrivevo è uscita questa e l'ho
lasciata.
Mr Arold Leech è, ovviamente, Aro e "leech" significa sanguisuga, mi sembrava perfetto.
Se ne avete voglia, lasciate un piccolo commento. Fa sempre piacere sapere l'opinione, positiva o negativa, di chi legge.
Al prossimo capitolo, che arriverà a breve (una settimana al massimo).
Baci.
Miki ^_^
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