PROLOGO.
«NON MORIRE, “MENDEKOUSE”»
Il Ninja nemico cadde al suolo morto e
macchiò la terra del suo sangue, il volto ancora atteggiato a
stupore per il fatto di essere stato beffato e ucciso così
rapidamente da quel “pivellino”.
Ma Shikamaru già non gli prestava più
attenzione: si stava già lentamente voltando verso ciò
che lo aveva condotto lì. E si voltava lentamente perché
temeva quello che stava per vedere. Infine dopo quella che gli
sembrò un’eternità il suo sguardo si poso sul corpo
esamine della Kunoichi: a quella vista si sentì improvvisamente
vuoto, vuoto e disperato.
Sentiva la
stessa disperazione di quando vide Asuma, il suo maestro, cadere
davanti ai suoi occhi ucciso da quella tecnica codarda, da quella
maledizione. La stessa disperazione che provò quando lo vide
morire mentre gli diceva che sarebbe potuto diventare Hokage, e che
rimpiangeva di non essere mai riuscito a batterlo a shogi. La stessa
disperazione che aveva letto negli occhi di Kurenai quando le aveva
riferito ciò che era successo.
Ma se
quella volta prendersi la propria vendetta contro quel bastardo di
Hidan lo aveva soddisfatto, aveva calmato se non cancellato quella
sensazione orribile, ora invece si sentiva più che mai un
fallito: non era arrivato in tempo e l’aveva lasciata sola
circondata da molti nemici, e così lei aveva dovuto soccombere
benché fosse una Ninja straordinaria.
A cosa
serviva essere considerato il Ninja più intelligente del
villaggio, a cosa era servito tutto il suo ingegnoso piano, a cosa era
servito portare a termine con successo quella missione, se questo era
il prezzo che doveva pagare? Shikamaru si avvicinò a quel corpo
e si chinò verso di esso mentre gli occhi gli si imperlavano di
lacrime.
Improvvisamente si rese conto di quanto tenesse a quella ragazza
così problematica. Fissò i suoi capelli biondi slegati e
sparsi per terra tutt’intorno al capo, fissò il suo corpo
atletico che sarebbe potuto sembrare semplicemente immerso in un sonno
profondo se non fosse stato per le ferite e per il sangue che sporcava
i suoi vestiti, fissò gli occhi che erano chiusi e
desiderò intensamente poterli rivedere.
«Mendekouse» mormorò «ti prego! Non puoi essere morta.»
Già.
“Mendekouse”-Seccatura quante volte l’aveva chiamata
con quello stupido nomignolo. Lo divertiva immensamente farla
arrabbiare, ne valeva la pena anche se rischiava di passare diversi
giorni all’ospedale della foglia. Di solito, per fortuna,
finivano per sorriderne entrambi.
Improvvisamente, come senza motivo, gli tornò in mente una
conversazione fatta con suo padre molti anni prima: gli aveva chiesto
perché avesse sposato sua madre anche se era una donna
così dispotica e violenta lui gli aveva risposto in un modo che
allora aveva giudicato assurdo
«Anche lei a volte sorride in modo gentile. Deve essere per quello».
Allora
quella risposta gli era sembrata molto stupida, tipica di suo padre,
ora gli pareva quasi di capire: anche quel dannato sorriso ironico che
tante volte lo aveva irritato, ora avrebbe desiderato vederlo
più di ogni altra cosa. Erano passati solo pochi secondi, ma a
Shikamaru erano parse ore, si chinò sul corpo, senza speranza,
quasi svogliatamente, come se stesse per compiere un’azione
totalmente inutile. Le prese il polso e appoggiò dolcemente il
capo sul suo petto. Respirava! E il cuore batteva!
«Dei della Foglia! Grazie!»
Ma era
debole. Così debole che quasi sembrava un’illusione
dettata dal suo desiderio. La kunoichi aveva ferite in diversi punti
vitali e Shikamaru non era un Ninja medico e non poteva curarle o
avrebbe peggiorato le cose; le conoscenze di farmacologia che aveva
appreso dai manuali del suo clan erano poco utili in quel momento. Gli
altri Ninja della missione, stavano già tornando alla base. Non
c’era che una cosa da fare. Era rischioso, certo! Poteva morire
durante il tragitto. Ma non poteva certo aspettare che venissero i
rinforzi inviando un Kaghe Bushin. L’avrebbe portata lui stesso a
Konoha, che non era in fondo molto distante.
Le
fasciò meglio che poté le ferite più gravi, quel
poco che aveva voluto imparare sull’arte medica gli tornò
utile, e la prese delicatamente tra le braccia. Si levò in piedi
e volgendosi intorno vide i cadaveri dei Ninja che lei prima di cadere
aveva sconfitto. Partì correndo più veloce che poteva.
Mentre era
a metà strada improvvisamente si fermò, aveva sentito
quel corpo, inerte e svenuto, divenire come più leggero. La
kunoichi si riprese per qualche istante. Shikamaru fece appena in tempo
a fissarla negli occhi per una frazione di secondo. Poi subito si
richiusero. Le sue parole risuonarono nell’orecchio del ninja per
tutto il tragitto fino all’ospedale.
«Shikamaru, aiutami!»
«Resisti Mendekouse!» disse «resisti! Senza di te…chi prenderò in giro?»
Finalmente giunse in vista del
villaggio, sospirò di sollievo. Mancava poco alla meta. Giunse
davanti alle guardie del villaggio: due Chunin, Izumo e Iwashi. I due
fecero per fermarlo.
«Shikamaru!» dissero «Dove vai?»
Shikamaru si fermò solo per un attimo, esasperato da quell’inattesa fermata.
«Non è evidente,
cazzo?! All’ospedale! È ferita in modo grave, ma sono
certo che i Ninja medici possono ancora salvarla. Vi prego !»
aggiunse disperato
«Scusa. Lo sai è nostro dovere interrogare chiunque entra nel villaggio e…
«Non importa, non
importa!» rispose lui bruscamente «Piuttosto, inviate
qualcuno a recuperare dieci cadaveri a settecento metri in quella
direzione. Si tratta di Ninja nemici» aggiunse
Riprese la
sua corsa angosciosa e forse senza speranza, cercando di muoversi in
modo da non peggiorare condizioni della ferita. Finalmente giunse in
vista dell’ospedale. Entrò di corsa ignorando i Ninja
posti all’entrata.
«C’è bisogno di un medico» urlò. «presto, sta per morire».
«Shikamaru! Ti sembra il
caso di urlare in questo modo! Sei in un ospedale non nella piazza
centrale di Konoha! Che diamine ti prende…».
Shikamaru
si girò verso colei che aveva parlato, una Ninja poco un poco
più bassa di lui, con il completo d’ordinanza per tutti i
medici dell’ospedale di Konoha, i lunghi capelli rosa raccolti in
una coda elegante dietro la testa perché non la intralciassero
nelle cure. Si trattava di Sakura Haruno, il migliore Ninja medico del
paese, la migliore allieva della defunta Quinta Hokage, Tsunade delle
Lumache.
Non appena
si accorse del fardello che Shikamaru portava con sé, Sakura
interruppe la sua requisitoria [che altrimenti sarebbe durata
un’altra mezz’ora]. Mormorando un affrettato «Scusa,
Shika, non me n’ero accorta», Sakura diede una rapida al
corpo che nel frattempo Shikamaru aveva delicatamente posato su una
barella. «Spiega»
«L’ho portata qui dalla foresta» spiegò
calmò come sempre, ma tradendo un poco di agitazione
«è stata ridotta così affrontando da sola una
decina di Ninja della Roccia, li ha sconfitti quasi tutti ma, poi ha
dovuto soccombere. Io sono arrivato troppo tardi. Ho capito subito
quanto fosse grave e ho deciso di portarla qui da solo. Non c’era
altra soluzione. Si salverà vero?».
«È davvero molto grave» sentenziò
Sakura mentre gli esaminava le ferite «e di certo
quest’ultimo trasporto non ha giovato alle sue condizioni»
continuò «ma immagino che tu abbia fatto comunque la cosa
giusta, non c’erano altre possibilità» aggiunse,
vedendo l’espressione sul volto di Shikamaru. Si rivolse alle
infermiere presenti: «preparate la sala 5 per le operazioni e
attendete il mio arrivo».
Si sedette
accanto a Shikamaru che nel frattempo era crollato su una sedia della
sala all’ingresso, sfinito dalla missione, dalla fatica di aver
portato fino a lì quel corpo, dalla preoccupazione per la sorte
della Kunoichi. «Ce la farà» disse Sakura
toccandogli la spalla «è una Ninja forte e le nostre cure
saranno efficaci. Hai anche fatto una buona fasciatura, bravo».
Shikamaru si limitò ad annuire con aria stanca. Poi trovò
la forza di dire
«Non
sopporto di perdere qualcuno in una missione. Vorrei restare ad
aspettare fuori dalla sala. Andrò dopo a fare rapporto
dall’Hokage, sono certo che non farà obiezioni, vista la
situazione».
«Certo che puoi restare! Seguimi! E se quell’eterno
ritardatario di Kakashi-sensei si permette di muoverti una critica per
il tuo ritardo, giuro che gli spacco il muso» mormorò
Sakura. Shikamaru sorrise. «Andiamo» disse Sakura.
Camminando
si diressero insieme verso la sala operatoria numero 5. Shikamaru si
fermò nell’anticamera sedendosi su una delle scomode sedie
appoggiate alla parete, era la stessa sala in cui, anni prima, aveva
atteso che Tsunade-Sama salvasse Choji Akimichi. Sakura si
diresse verso la sala, prima di entrare si girò un’ultima
volta verso Shikamaru. «Andrà tutto bene. Ti
avvertirò non appena l’operazione sarà
finita». Il giovane Jonin annuì. «Grazie
Sakura». Lei si limitò a sorridere e ad entrare.
Dopo
qualche minuto, all’improvviso entrò Choji Akimichi. A
malapena trattenuto dai Ninja medici che protestavano dicendo.
«Akimichi-san! Insomma! C’è un’operazione in
corso!».
Improvvisamente Choji si bloccò, incontrando lo sguardo di
Shikamaru. «Amico mio! Sei vivo, stai bene!» gridò
prima di avventarsi contro di lui stritolandolo in un abbraccio
spaccaossa.
«Choji» balbettò Shikamaru non appena quella
stretta si sciolse «ma che diamine ci fai qui?»
«Ero
preoccupato per te! Cavoli non sei tornato dalla missione con gli
altri, nessuno mi sapeva dire dove fossi, poi vengo a sapere che sei in
ospedale».
«Sei
un vero amico Choji! Ma non devi preoccuparti per me in questo modo,
sono discretamente bravo ad evitare le difficoltà!».
«Scusa Shika. Mi sono solo fatto prendere la mano quando mi
hanno detto che eri in sala operatoria».
«Hahaha un increscioso malinteso!».
«Ma allora perché sei qui, Shika? Chi c’è in sala operatoria?»
Invece di
rispondere Shikamaru, sprofondò la testa fra le mani. Rivedere
Choji gli aveva permesso di staccare un poco dal corso dei suoi
pensieri e gli aveva dato una ventata di allegria. Ora quella domanda
lo riportava al presente, alle sue responsabilità. Anche a
quelle passate. «Sai Choji, qualche anno fa tu eri in quella
stessa sala e io ero qui fuori ad aspettarti» disse.
«Si
devo ancora ringraziare le conoscenze farmacologiche del tuo clan! Me
la sono vista davvero brutta! Però non capisco cosa
c’entri questo con la mia domanda!»
Di nuovo
Shikamaru non rispose. Si limitò a fissare con aria assente il
posto proprio di fronte a lui, accanto a quello che ora occupava Choji.
Poi si alzò, mettendosi le mani in tasca si diresse verso la
porta, si appoggiò ad uno dei battenti e disse.
«Vuoi
sapere chi c’è in quella sala? Semplicemente la mia
compagna dell’ultima missione. Ho fallito Choji. Di nuovo. Lei
rischia di morire per mia incapacità e per la mia
stupidità. Sono solo un fallito, nient’altro»
parlava con la sua consueta voce calma e tranquilla, ma la sua rabbia e
frustrazione trasparivano chiaramente dal suo volto e dal suo corpo.
Pestò con rabbia una manata sulla porta
«Ma
non ti devi trattare in questo modo. So che fai sempre il possibile
perché non muoia nessuno disse Choji. «Tieni molto a lei
vero Shikamaru?» aggiunse.
«Che
dici Choji! È solo la mia compagna di missione,
nient’altro.». Choji conosceva bene Shikamaru e capiva che
quella era solo una bugia. Ma capiva anche che non la diceva per
ingannare il lui, ma per ingannare se stesso.