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Tra
verità e bugia: lezioni di teatro
Una giornata può iniziare bene o male ma,
alle volte, riserva sorprese che non mi sarei mai aspettata di ricevere. Come
può una giornata cambiare il corso degli eventi senza che tu abbia il tempo di
rendertene conto e, in certi casi – non il mio –, scoprire o almeno apprendere
ciò che c’è stato tra due persone, non è stato solo un vago, equilibrato,
sentimento come l’amicizia?
Perché dico vago? Beh, mi sembra semplice:
tutti scambiano me e il qui presente Edward Cullen per più di amici. E come dar
loro torto se, dopo questa rocambolesca giornata, ora siamo davvero più che
semplici amici?
Forse, per meglio capire - o farvi una
risata - potrete leggere queste righe, per comprendere come i nostri sentimenti
siano usciti allo scoperto o, per meglio dire, Edward ha “tirato” fuori. Il suo
tipico modo di fare, strafottente e sicuro di sé, ha creato questa nuova
situazione in cui io, Isabella Swan, mi ritrovo in infermeria con le labbra notevolmente
impegnate con altre, dal sapore dolce e fresco come petali di menta.
«Bella? Davvero hai scritto queste… cose nel
giornalino scolastico?» sbotta mio padre incredulo di fronte all’idea che la
sua graziosa e innocente bambina di appena diciassette anni, si diletti nel
trattare determinati argomenti o situazioni. Il suo volto rosso e gonfio dice
tutto, non se lo sarebbe mai aspettato, e neanche io poiché non sono
quel tipo di ragazza. I suoi baffi brizzolati per l’età avanzata - già evidente
- si spostano, eseguendo un movimento ritmico, su e giù, per seguire le labbra
che cercano di emettere un suono, ma sono incapaci per via dello sbigottimento
e lo shock che sembra averlo colpito.
«Di che ti sorprendi? Sono una ragazza di diciassette
anni. È normale che io sappia che la cicogna non esiste, anzi: non c'è mai
stata, per dirla tutta» gli occhi scuri del mio caro e ingenuo papà saettano
dal mio volto indifferente alle parole scritte su quel pezzo di carta,
diventato così famoso per via della roba “piccante” inseritavi dalla
sottoscritta.
Non è un segreto, il fatto che, all’interno della sede
del giornale, ci siano altri autori di storie, puramente amatoriali e scritte
da fan per i fan per allietare le monotone giornate scolastiche dell’anonima
Forks High School.
«Non può essere… tu… io… non puoi…» incredibile come
in un istante mio padre si sia trasformato in un pesce: già, mio padre
assomiglia a un pesce per il suo volto - di solito accompagnato dalla tipica
espressione corrucciata e l’aspetto da burbero ispettore di polizia che l’ha
sempre contraddistinto da quando io sono venuta al mondo. Un uomo silenzioso, calmo
nei modi, ma tremendamente goffo e impacciato quando si tratta di ballare o
compiere qualche passo che richieda un’eleganza innata, ma per sua fortuna sul
lavoro questo piccolo, quanto importante inconveniente, non si è mai
verificato, altrimenti altro che sceriffo della città! Sarebbe lo zimbello
deriso e preso in giro per avere la grazia di un ippopotamo, proprio come
capita spesso a me, quando il simpatico e sempre sorridente Emmett McCarty
trova il modo per attuare i suoi stupidi ma divertenti scherzi, ai danni di una
delle più popolari ragazze della scuola: io.
Il mio nome è noto a tutti, ma la cosa più divertente
è che io ne conosco pressappoco la metà, e forse la mia è un’esagerazione. Se
io conosco tutti, non è solo per merito del mio modo di fare o del mio
carattere, perché in quanto a quest’ultimo mi sento un po’ in difetto. Quanti
ragazzi allontano per via del mio carattere da maschiaccio o per il semplice
fatto che, impegnata come sono nella mia redazione, non trovo neanche il tempo
per potermi organizzare con le mie amiche e uscire magari per vedere un film?
Non avrei problemi sul genere: la cosa più importante
è che io stacchi la spina o metta in stand-by il mio cervello.
«Oh, papà! Non crederai davvero che io scriva roba del
genere, vero?» gli chiedo con un tono ironico e leggermente esasperato, mentre
lo vedo assottigliare lo sguardo verso il basso, in modo tale da poter
osservare chi ha realmente scritto quell’articolo o, per meglio dire, quel capitolo.
I suoi occhi si fermano su un punto particolare, mentre con una mano si
accarezza i suoi preziosi baffi, con gesti lenti e affabili che come sempre
riescono a calmarlo. L’altra mano continua a stringere il giornale,
ma noto con mio sommo sollievo che allenta di poco la presa; in quel punto, la
carta è diventata, purtroppo, stropicciata, segno che mio padre non era
pienamente padrone di sé in quel momento, ma la rabbia era fautrice dei suoi
movimenti, anche quelli più semplici. I suoi occhi si spostano di scatto, come
a voler cancellare con un colpo di spugna le immagini che gli pervadono la
mente, fino a raggiungere i miei: vi leggo stupore, sollievo e poi…
perplessità?
«Ehm, papà? Hai letto chi l’ha scritto? Perché della
tua faccia non si direbbe, almeno…» non dirmi che non sei riuscito a scorgere,
in una grafia orribile e disordinata, il nome di quella civetta di Tanya! In
fondo è scritto persino con colori vivaci e alquanto discutibili. Solo al
ricordo dei glitter adottati nel capitolo pubblicato nel sito della scuola, la
mia schiena è attraversata da decine di brividi, come ogni volta che sento
pronunciare quel nome. Forse il mio sarà anche antico, come afferma lei, ed
anche fuori moda, ma è pur sempre migliore del suo che leggo scritto sempre
come se al posto della penna, oppure della tastiera – meglio dubitare anche di
questa – avesse tra le mani il suo lucidalabbra color fucsia, con migliaia di
brillantini per renderlo ancora più “in”, a sua detta.
Inutile dire che le imprecazioni di Alice, colei che
si occupa del settore moda nella redazione, e mia amica, si siano sparse per
tutta la scuola e forse hanno addirittura raggiunto Seattle.
«No no, ho letto il nome. Forse avrei dovuto
immaginarlo, ma preferisco non entrare nei dettagli, specialmente quando si
tratta di certe cose…» Una risata, sì. Tutto ciò che riesco a
fare o dire, è stato bloccato da questo mio eccesso d’ilarità.
Mio padre, d’altronde, non si aspetta di alzarsi la
mattina e, invece di leggere il solito giornale della città, di trovarsi
davanti agli occhi il giornale della figlia. Beh, sicuramente gli fa piacere
sapere che io ne sono il capo, ma non deve essere stato altrettanto felice di
trovare certe cose al suo interno. Ammetto che si è trattato di un colpo basso
da parte mia, ma oggi più che mai ho bisogno di essere serena e tranquilla,
perché ciò che mi si prospetta davanti sarà una lunga e irritante giornata.
«Era uno scherzo, papà. So ciò che pensi, entrambi che
il nostro carattere e atteggiamento verso certi argomenti non rende facile
discutere di simili cose. Ricordati che io sono la tua fotocopia in fatto di
sentimenti, emozioni e altro. Non c’è bisogno di ripetere certi argomenti. La
situazione è già imbarazzante così! Figurati cosa provo io quando mi ritrovo,
ogni giorno, questo genere di storie davanti e non posso neanche oppormi perché
alla maggior parte degli studenti, in piena crisi ormonale, piace. Anch’io sono
una studentessa come loro, ma scrivo generi e situazioni diverse. Per quanto ci
siano certe scene, non le descrivo così» finisco il mio discorso e, come la
maggior parte delle volte, mi ritrovo a gesticolare, come se mi trovassi in
preda ad una crisi isterica. Sfido chiunque a non infervorarsi di fronte a
certe storie, in cui la dignità e il rispetto verso il genere femminile sono
calpestati nel peggiore dei modi.
Mio padre mi osserva con un sopracciglio inarcato,
chiedendosi chi sia la ragazza dinanzi a lui. Come contraddire la sua
espressione e il suo pensiero del tutto motivato? Non posso; neanch’io mi
riconosco più. Tuttavia adesso, il suo silenzio è inquietante ai miei occhi, e
ciò non fa che presagire chissà quale verdetto. Io che ricevo un verdetto da
mio padre. Assurdo!
Mi sento proprio una di quei criminali che lui
arresta, ma è raro, poiché ogni giorno porta sempre con sé un mazzo di carte da
poker. E si sa, il poker è un gioco abbastanza lungo e che richiede la massima
concentrazione. Bene, potrei tranquillamente affermare che in questo momento
sembra nel pieno di una partita impegnativa.
«Non le descrivi un po’ troppo duramente, Bella? In
fondo, l’hai detto tu: sono solo ragazzi che si trovano in una fase in cui non
è il cervello a predominare ma qualcos’altro. Anche tu sei una ragazza che
sicuramente avrà il suo bel da fare con… con…» ecco, adesso lo vedo incespicare
proprio nella parte più imbarazzante di tutto il suo discorso. Il suo volto -
come del resto il mio - è di una certa tonalità tendente al rosso, ma
preferisco non farci troppo caso. Anche il mio volto è di un rosso scarlatto,
ma preferisco chiudere qui, se voglio uscire da questa casa.
Mi sistemo in modo frettoloso lo zaino in spalla e con
passo svelto mi dirigo verso l’uscio, borbottando un “ciao, ci vediamo a
pranzo” e rinchiudendomi nel mio amato e vecchio pick-up. Quante volte è stato
insultato dalla mia amica Alice? Tante, forse troppe volte, ma finché non mi
abbandonerà, io non lo farò con lui.
Appena entrata nel parcheggio dell’istituto, intravedo
davanti alla scalinata ai piedi della mensa, la mia amica, insieme al resto del
mio gruppo. Ok, chiamarlo gruppo e soprattutto “mio” è una follia, giacché si
tratta di due coppie che sono amiche tra di loro da molto prima che li
conoscessi. Gli unici single siamo Edward ed io.
Chissà se è già arrivato…
Mi guardo intorno mentre cerco di scendere dal mio
mezzo senza dover avere un incontro ravvicinato del terzo tipo con l’asfalto,
ma le mie abilità – sempre se ne ho avuta qualcuna in motoria - non mi
permettono di sperare. Inciampo nei miei piedi e, pregando che il dolore sia al
minimo dopo, attendo l’impatto che… non avviene!
I miei occhi sono ancora chiusi, ma avverto intorno
alla mia vita un braccio forte, saldo, che non mi lascia anzi, mi stringe verso
un qualcosa di possente, solido, tonico: il corpo di qualcuno. Un fiato caldo e
leggermente accelerato mi alita in un orecchio, provocandomi strane sensazioni
ma m’impongo un certo contegno: non so neanche di chi si tratta!
In un gesto involontario, poggio una mano sul petto
dello sconosciuto e colta da uno scatto improvviso, cerco di allontanarlo da
me, ma avverto la sua presa diventare sempre più salda, intensa. Apro gli
occhi, pronta a dirgliene quattro, ma le parole mi muoiono in gola: quegli
occhi verdi che cercavo adesso sono di fronte a me, a una spanna dal mio viso e
mi scrutano divertiti. Sicuramente, si starà beffando di me. Cosa mi dovevo
aspettare? È normale che si metta a ridere proprio come sta facendo e, come di
consueto, si pieghi in due dalle risate. Sì, annuisco mentalmente: è piuttosto
prevedibile. Mentre gli mostro un sorriso tirato e per nulla felice della sua
reazione, si ricompone cercando di fare l’indifferente, ma basta uno sguardo
tra noi per costringermi a seguirlo a ruota nel suo scoppio d’ilarità.
«Ma… come fai… a farmi… ridere… di me stessa?» gli
chiedo con un tono affannato per via dei singulti che non riesco a frenare. La
sua risata riesce sempre a coinvolgermi, a lasciarmi alle spalle quelle
faccende fastidiose legate a Tanya e alla sua truppa di oche, specializzate nel
fare la corte proprio al ragazzo di fronte a me. Un ragazzo che ora come ora,
non riesco a credere che sia diventato il mio migliore amico, il mio confidente.
«Beh, devi ammettere che tu sei buffa ogni qualvolta
cerchi di fare un passo. È normale che io sia sempre nei paraggi…» afferma con
tono grave, come se spiegare una simile banalità sia di chissà quale
importanza, ma «…per rallegrare le mie giornate con una delle tue spettacolari
cadute!» mi devo ricredere. Il mio migliore amico, sì, come no! Dovrei dire
forse chi si beffa di me, altro che amico fidato!
«Grazie, Edward. Sei davvero molto gentile e con tutta
la mia gioia, sei anche sincero. Ma ti prego: tutta questa sincerità mi uccide.
Non vorrai avermi sulla coscienza, spero?» nel mio tono cerco di far trapelare
solo la parte ironica, ma mi riesce difficile davanti al suo sorriso da
schiaffi, perciò tutto ciò mi è uscito come un miscuglio tra il sarcasmo e
l’irritazione. Il suo ghigno – oh, scusate, il suo bellissimo sorriso – si
trasforma in una linea tirata, senza inflessioni. I miei occhi non si
distolgono dai suoi, perché sembrano calamite. Esistono calamite dal color
smeraldo? Forse no, ma quello sguardo…
Rare volte l’ho visto in quel viso dalle fattezze
angeliche. Non si tratta del solito ragazzo dall’aria snob, oppure di quello
che fa di tutto per stare in vista. Lui è un ragazzo normale, con una bellezza
fuori dal comune: una particolare. Chi sono io per negarlo? Chi sono io per non
affermare tranquillamente che sì, ci sono cascata all’inizio nella trappola
dello sguardo, della prima cotta. Una cotta che poi ho catalogato come il
risultato di un’attrazione passeggera, quella che colpisce tutte le ragazze
della nostra scuola e oltre non appena s’imbattono in lui: il ragazzo
dai capelli ramati.
«Averti sulla coscienza? No, proprio non posso. Non
voglio addormentarmi la notte con la paura che il tuo fantasma mi venga a
disturbare proprio nel secondo momento più bello della giornata» ma sentitelo!
Si permette di dire che il mio fantasma sarà chi lo disturberà mentre dormirà.
Come se avessi voglia di andare a trovarlo di notte! Figuriamoci.
«Di notte? Dovrei venirti a cercare anche di notte? E
perché mai? Mi basta vederti qui a scuola; ne ho abbastanza dell’effetto Edward
Cullen per il resto della giornata» lo sfido con lo sguardo mentre pronuncio
quelle parole e so per certo che lui non si tirerà indietro. Non l’ha mai
fatto, perché farlo ora con me? Sicuramente ne tirerà fuori qualcuna delle sue.
Infatti, scuote platealmente la testa, in un gesto esasperato mentre al
contempo allarga le braccia, per poi lasciarle ricadere.
«Beh, le ragazze farebbero i salti mortali per venirmi
a trovare in certe ore della notte, ma a quanto pare, tu proprio no. E poi,
scusa: come fai senza il tuo migliore amico? Ti ricordo che quando hai da fare,
oppure devi sfogarti, io ci sono sempre. È il compito del “migliore amico”,
o no?» che strano, proprio mentre nominava la parola “amico” ho
percepito una leggera nota infastidita. Forse è stata la mia immaginazione,
oppure si è stancato di me?
No, casomai è il contrario: io posso stancarmi di lui
e delle sue battutine! Se ripenso alla prima che mi ha rivolto la parola,
quella volta in cui si è presentato, risollevandomi dal peso della solitudine e
della depressione. Sì, è proprio lo stesso ragazzo di quella volta. Peccato che
a volte, faccia volentieri a meno di questo suo lato strafottente.
Con passo deciso e sicuro, mi avvicino a lui fino a
trovarmi a pochi centimetri dal suo viso. Una scossa mi pervade le membra,
facendomi vacillare dai miei propositi di rimanere calma e impassibile di
fronte a questo ragazzo bello quanto sfacciato. «Me la saprei cavare sempre,
signor Cullen. Non ho bisogno del suo sostegno. Capita a volte di voler gettare
la spugna, di rinunciare a tutto ma…» poggio una mano sul suo petto e, come
guidata da una forza sconosciuta, la faccio salire su fino a sfiorargli il
collo, la nuca, per poi stringere leggermente i capelli alla base, «come può
notare, non sono così debole» l’ultima parola è un soffio di vento, una brezza
trasportata da quest’ultimo, indirizzata al suo orecchio destro, proprio dove
la mia bocca si sofferma. Sento una sua mano sfiorare il mio giubbotto sul lato
sinistro, nascosto agli occhi degli altri studenti che ci osservano a occhi
sgranati e un po’ scioccati. Beh, di cosa mi stupisco? In fondo è la prima
volta che abbiamo un contatto ravvicinato di questo tipo davanti a tutti.
Di solito sono strette di mano, abbracci dall’odore
fraterno, braccia che si sfiorano inconsapevolmente alla ricerca di una figura,
una spalla amica su cui piangere in caso di sconforto o di necessità. Proprio
come lo è stato lui dal giorno in cui ci siamo incontrati, conosciuti, cercati a
modo nostro.
La sua mano sembra delicata, effimera, quasi
evanescente per il suo tocco delicato come una farfalla. Continua una lenta ed
estenuante carezza, che parte da sotto il braccio per poi fermarsi sopra il
fianco. Non l’ho mai sentito esitare come adesso, come se qualcosa in lui funge
da freno inibitore, un comando che prima non si era mai imposto. Che cosa è
cambiato, Edward? Cosa ti rende così succube di queste esitazioni?
Poi, dopo un tempo infinito, la sua mano si posa
tremante sul mio fianco, stringendolo leggermente. Il suo viso nel frattempo,
si è accostato al mio, tanto che il suo alito caldo mi soffia sul collo,
facendo ondeggiare alcune ciocche dei miei capelli, «sì, lo so perfettamente
che non sei debole, ma fino a che non arriverà quel giorno…» ed anche l’altra
mano si poggia sul mio fianco, proprio all’altezza dell’altra e mosso da un
impeto improvviso, mi avvicina a sé, come se quel piccolo distacco tra i nostri
corpi lo infastidisse «…sarò più che felice di poter essere il tuo faro nella
notte».
Sì, il mio faro nella notte. Ecco cos’è Edward per me;
colui con cui condividere qualsiasi cosa, segreto, esperienze. Anche quelle
sentimentali.
Il mormorio degli studenti, e compagni di scuola, si è
fatto via via crescente, mentre il mio caro amico continua a dare spettacolo
trascinando anche me nell’occhio del ciclone. «Forse è il caso di darci un
taglio con le nostre effusioni. Non vorrei essere linciata da
qualche tua ammiratrice…» e con un cenno del capo, gli indico un gruppetto di
ragazze intente a lanciarmi chissà quale maledizione in una lingua mai stata
inventata prima: quella dei cellulari, meglio nota come “stile sms”.
Lui, incuriosito dalle mie parole, si volta verso
quella direzione e prima che riesca a capire le prossime intenzioni, alza gli
occhi al cielo e fa spuntare sul volto il sorriso che una volta, ho dichiarato
essere illegale per l’effetto che produce: ragazze che sospirano con sguardo
sognante e occhi che brillano come i glitter di Tanya che, guardandoli da diversi
punti di vista, a detta di quest’ultima, sembrano una cosa eccezionale e
un’unica.
Dal mio canto, non sprecherò il mio tempo a studiare
gli effetti che i glitter provocano sulle persone. Credo bastino le già
precarie considerazioni che ho su di lei; infierire sarebbe meschino e
inconcludente.
«Sembra quasi che la Terra mi debba inghiottire da un
momento all’altro» finisco con tono ilare e cercando di districarmi da
quell’ingannevole ritratto che le loro menti hanno creato.
«Non vedo come possa infastidirmi la cosa. Non sono
una loro proprietà: qualunque cosa faccio è dovuta a una mia idea, una
mia testa» e
sento intensificare la presa sui miei fianchi. Possibile che non ci arrivi? Non
mi va di essere l’oggetto di simili sguardi e di altri che invece
preferirebbero vedermi in altre braccia; possibilmente le
loro. Il mio sguardo deve essere un misto tra il noioso e l’irritato. Il suo
come sempre, è quello di chi non si rende conto di come la popolarità e la
bellezza siano un dono ed anche una maledizione.
«Scusa Edward, ma non mi va di continuare questo
gioco. Finiamola qui, prima che le ragazze intonino il rito funebre in mio
onore e i ragazzi mi sognino persino mentre dormono in classe» con un gesto
fluido e veloce, mi libero dalla sua stretta che dopo le mie ultime parole, si
è allentata e i suoi occhi si sono posati sui ragazzi, imprecando a bassa voce.
«Sì, hai ragione. Andiamo, fra poco farai il tuo
debutto sul palcoscenico, miss Swan. Qualche dichiarazione alla stampa prima
del grande evento?» mi domanda imitando, con una mano stretta a pugno, il
microfono immaginario e ponendola a pochi centimetri dalle mie labbra. Un
sorriso tutt’altro che allegro mi sfugge dalle labbra mentre mi accingo a
raggiungere i miei amici, seguita dal bel calciatore che non smette di
sorridere impertinente, sapendo già quale sia il mio umore questa mattina.
«Ehm, posso avvalorarmi della facoltà di non
rispondere?» domando, una volta raggiunto il mio gruppo dove un esuberante
essere dai capelli corti e sbarazzini, mi avvolge in un abbraccio ancor più
soffocante di quello avvenuto tra me e Edward. Alice Cullen, un tornado capace
di travolgerti con la sua allegria e il suo entusiasmo per la vita da far
concorrenza ai bambini di pochi anni. Incredibile come la sua passione per la
moda la coinvolga, la colpisca fino al punto da ritrovarla in redazione, pronta
a gestire qualsiasi situazione, argomento che abbia a che fare, seppur in
minima parte, con il termine “moda”.
«Non si risponde a una domanda con un’altra. Ricordi?
E poi non siamo in un’aula di tribunale, perciò non capisco perché non
rispondere…» mi sussurra lui, non appena sua sorella si separa da me. Strano
ma, sì: loro sono fratelli. Edward, il ragazzo simpatico, sfacciato,
irriverente ma anche gentile, è il fratello maggiore della ragazza-vulcano qui
presente, che si è appena ancorata al braccio del suo ragazzo e fulmina tutte
quelle che osano anche solo sfiorare la sua figura. Non invidio per niente al
mondo Jasper. Lui, dal suo canto, si limita a massaggiare con fare ipnotico la
nuca Alice e lei miagola estasiata per le coccole. Scuoto il capo per la scena che
si ripete ogni giorno da quando li ho incontrati, per non parlare di Rosalie ed
Emmett che, non appena si guardano negli occhi, scappano per… insomma, è chiaro
no?
Mi volto verso il mio interlocutore, pronta a
ribattere: «Sì, ricordo. Sono stata io a fartelo presente. E ti risponderò,
anche se già conosci la mia risposta, dopo la scenata che ti ho fatto quando
sei venuto in camera mia l’altra volta» poveretto! L’ho torturato fino a tarda
notte e nonostante i suoi continui sbadigli, l’ho costretto ad ascoltare la mia
filippica e tutte le imprecazioni oltre ogni dire verso Tanya e suo zio, il
nostro caro preside. Il suo sguardo è tutto un programma: si ricorda eccome
della mia sfuriata dato la sua finta arrabbiatura.
«Ti prego, non dirmi che oggi ci sarà il secondo
tempo!» magari, mi svagherei un po’ prima di quella ridicola scenetta. Faccio
una smorfia di dissenso.
«No, non ha senso. Non capirebbe e soprattutto, non
spreco il mio fiato per simili sciocchezze» sì, più sicura di così, non potrei
essere. Senza contare che in ogni caso, non starò con le mani in mano;
tutt’altro. Impiegherò bene il mio tempo sul palcoscenico: farò finta di
dimenticare le mie battute, così vedremo cosa t’inventerai Tanya! Devo avere
uno sguardo perfido perché Edward lo capisce immediatamente e stringe gli occhi
fino a ridurli a due strette fessure. Con lentezza, incrocia le braccia al
petto, in un gesto sicuramente sexy e mi studia per qualche minuto, poi le sue
parole arrivano come un fulmine a ciel sereno: improvvise e veloci.
«Che cosa hai in mente, Bella?» io? No, niente. Solo
rovinare questa stupida e insignificante recita. Qualcuno vuole farmi causa?
Bene, che si faccia avanti, perché credo di fare un favore a tutti. Compongo il
miglior sorriso e con sguardo indifferente, sistemo meglio il mio zaino sulla
spalla, cominciando a salire i gradini con calciatore al seguito.
«Niente. Perché ho l’aria di qualcuno che la combinerà
grossa?» si nota il mio tono volutamente svogliato?
«Sì!» ehm… sì, si nota. Eccome! Colpita e affondata?
No, solo colpita.
«Sarà una tua impressione. Reciterò la mia parte come
giusto che faccia, tutto qui» e un attimo dopo mi sento afferrare per il
braccio sinistro e trascinare in un luogo lontano da orecchie indiscrete.
Sicuramente si prepara a farmi una ramanzina che m’irriterà. Mi volto per
osservare il suo viso e noto alcune piccole gocce di pioggia che cadono da alcune
ciocche dei suoi capelli, simili a spine ricurve, dalle quali ricadono piccole
perle trasparenti. I suoi occhi… poche volte sono stati
limpidi, penetranti, ed è la seconda volta in un giorno.
Cosa ti succede, Edward? Cosa succede a
me? Perché il mio cuore batte forte accanto a te? Mi sono ripromessa di non
innamorami di te, di seppellire questo forte sentimento, per paura di un
rifiuto. Ma si può sopprimere un sentimento come l’amore? Ci conosciamo da
mesi, ma ogni volta che ti guardo, sento di non voler guardare più nessun
ragazzo. Anche se dico di non apprezzare questo tuo lato impertinente, è quello
che mi fa sentire più viva che mai.
«Bella, non fare di testa tua. Lo sai che se mandi
all’aria tutto, dovrai rinunciare alla possibilità di entrare in un buon
college? Il preside non ti permetterà di passarla liscia se sua nipote non
ottiene ciò che vuole?» grazie! Che bisogno c’è di ricordarmi questo fastidioso
dettaglio?
«Tranquillo, non farò nulla. Sei soddisfatto?» gli
chiedo osservando il suo sguardo leggermente accigliato. So cosa sta cercando,
ma non lo troverà. Ha ragione, perché dovrei impuntarmi per una cosa simile? È
solo una piccola recita. Posso farcela, m’intimo mentalmente.
«Okay, ti credo. Non voglio che il tuo futuro sia
compromesso per questo diverbio futile» e mi concede un sorriso: il mio
fantastico e stupendo sorriso. La mia risposta: le nostre mani allacciate mentre
con passo svelto ci avviamo verso la palestra per gli ultimi preparativi, prima
del nostro inglorioso debutto sulla scena.
***
«Non è possibile…» mormoro incapace di ciò che i miei
occhi stanno leggendo, eppure è così. E’ la realtà e per quanto vorrei
soprassedere alla cosa, proprio non si può. Come può proporre una trama che ha degli
sviluppi a dir poco inconcepibili, per poi cambiarla con un’altra ancor più
assurda?
È Tanya, Bella. Cosa ti puoi aspettare da lei? Di
certo non qualcosa di normale o semplicemente, guardabile. Lo deduco dalla
faccia disgustata di Alice ogni volta che osserva i suoi vestiti o perlomeno,
ciò che indossa.
Quelli non sono vestiti, ma quattro stracci strappati
e messi in modo tale da coprire solo lo stretto necessario. Ridicolo e
disgustoso, come suggerisce la mia amica da quando ha messo piede qui nella
palestra adibita a “teatro” per mettere in scena una delle storie realizzate
dalla signorina Denali, che si è aggiudicata il primo premio per migliore
storia. Ciò che mi chiedo è: come si valuta una storia? In base alle scene di
sesso? Beh, direi proprio di sì da come la elogiano le sue amiche con fare
civettuolo. Per non parlare dei ragazzi che sbavano senza contegno.
«Fra poco ci toccherà pulire pure il pavimento!»
sbotto tutto d’un fiato in direzione di quegli zoticoni dei miei compagni. Il
mio “collega di pulizie”, Edward, si volta di scatto nella direzione in cui
puntano i miei occhi e lo sento trattenere una risata. Almeno qualcuno ride in
questa disgrazia…
«Non puoi non biasimarli. Guarda com’è vestita o
meglio, svestita. Invece sono convinto che ci toccherà sgomberare, perché da
quanto vedo, l’inondazione sarà impressionante…» enfasi, l’ultima parola
è stata detta con enfasi, per sottolineare che questa tortura durerà troppo a
lungo. Un sospiro rassegnato fuoriesce dalle mie labbra e con più forza mi
accingo a passare il panno sulle superfici delle piccole pareti realizzate in
cartapesta per lo spettacolo.
«Come mai tu non ti comporti come loro? In fondo anche
tu sei un uomo…» mi chiedo tra me e me ad alta voce, senza che me ne renda
conto. Subito dopo, porto la mano alla bocca, e una risata allegra e attutita
mi giunge alle orecchie. Mi volto per osservare il diretto interessato e noto
che si è piegato in due nel tentativo di soffocare questo suo eccesso d’ilarità,
dovuto alla mia sbadataggine che alle volte, colpisce anche la mia lingua. Mi
mordo il labbro inferiore imbarazzata e nervosa e nel frattempo, mi torturo le
mani sudate per l’emozione. Ecco, sicuramente sarò tutta rossa come un
pomodoro. Penserà che sono stata invadente, che sono gelosa di lui. Un
momento… io sono gelosa di lui?
«Dovresti vederti. Il rosso del tuo viso è ancor più
vivido di un pomodoro!» come si può definire amico un tipo come lui? Non fa
altro che infierire dei miei colpi di testa improvvisi e delle mie figuracce!
Per fortuna, nessun altro ha sentito; chissà che strane idee si sarebbero messi
in testa, soprattutto sua sorella, che non vede l’ora di celebrare il nostro
matrimonio. Testuali parole: “Bella, è passato un bel po’ da quando vi siete
conosciuti ufficialmente. Non provi niente per Edward? È un bravo ragazzo,
bello, gentile…” dopo l’ultima parola, mi sono rifiutata di ascoltare o
quantomeno, le mie orecchie. C’è poco di gentile, al momento.
«Ridi, ridi pure. Comunque non ho fatto una domanda
stupida. Tu sei un ragazzo, e lei è una bella ragazza. Perché non ti metti a
sbavare come loro?» e indico ancora una volta quel gruppetto che non fa altro
che annuire a ogni suo gesto e fissarla con sguardo da ebete… ridicolo! «Oh,
forse ho capito. Non vuoi farti notare a sbavare altrimenti le altre capiranno
di non poter competere con lei» e annuisco col capo con fare saccente, mentre
lui mi osserva con un sopracciglio inarcato all’insù e fermando i suoi
movimenti. «O forse perché non hai il bavaglino? Giusto! Perché non ci ho
pensato prima; ci tieni troppo a quella maglietta?» gli chiedo indicando con
gesto svogliato la maglia a maniche lunghe che indossa. Il suo sguardo muta di
colpo, come se le mie parole l’avessero colpito o semplicemente, sorpreso. Si
avvicina di qualche passo e le sue mani finiscono sul bordo della maglia nel
tentativo di toglierla. Sbigottita, annaspo in cerca d’aria, cercando nel
frattempo di riprendere lucidità e in un lampo, poggio le mie mani sulle sue
per bloccarlo, e una scossa elettrica mi attraversa il corpo. Anche lui
sussulta; non è la prima volta che ci capita di toccarci, ma questi tipi di
contatti, così intimi e improvvisi, ci sconvolgono sempre. Sicuramente nel
medesimo modo e con la stessa intensità.
«Sei impazzito! Vuoi spogliarti qui? Lo spogliatoio è
troppo lontano per te?» accidenti! Se vuole farmi venire un colpo è sulla
giusta strada.
«No, ma volevo farti capire il perché non sbavo dietro
lei…» e solleva di poco la maglia e vedo che sotto, ne porta un’altra, oltre a
quella decisa per la scena: la maglietta che gli ho regalato per la partita di
fine campionato che la nostra squadra ha vinto per merito di questo bravissimo
capitano, Edward. Il mio sguardo si addolcisce un po’ e un sorriso spunta sul
mio viso, abbasso lo sguardo colta dallo stupore. «Non voglio rovinarla per
così poco» ok, vuole vedermi stramazzata al suolo. La mia bocca starà
certamente toccando il suolo. Lo vedo voltarsi e nascondere un piccolo sorriso,
consapevole dell’effetto che hanno avuto le sue parole su di me. Sempre senza
voltarsi, afferra il panno che mi è scivolato e la scopa, dirigendosi nel
retroscena ma, mentre si allontana, mi sembra di sentire la sua voce…
«E poi… perché sbavare per Tanya quando c’è un’altra
che m’interessa?» probabilmente mi sarò sbagliata, perché lui non mi ha mai
parlato di una ragazza che ha catturato la sua attenzione, salvo che quest’argomento
per lui non sia troppo imbarazzante o intimo. Eppure, noi parliamo di tutto.
Sicuramente mi sono immaginata quest’ultima frase.
***
«Beh, era ora! Finalmente siamo pronti per cominciare
lo spettacolo. Dovete dare il massimo di voi, ma che dico… siete soltanto degli
incompetenti!» eccola che comincia a impartire ordini, conditi da insulti di
ogni genere e misura. Il suo sguardo saetta dal mio viso, guardandomi con
sufficienza, fino a posarvi sul volto di Edward, diventando lucido e malizioso
al contempo. Le sue labbra sembrano addolcirsi, rallentare la loro corsa mentre
pronunciano tutte quelle parole futili e prive di significato. Mi volto a
osservare le facce dei miei colleghi di “palcoscenico” che non fanno altro che
sbadigliare e osservare continuamente l’orologio in attesa dell’inizio di
questa stupida recita da bambini delle elementari.
«Tranne te, Edward. Tu sei sempre il migliore, come
potrebbe non esserlo?» chiede con fare retorico mentre si avvicina al suo
interlocutore che la osserva con un ghigno sfacciato a fare da contorno a
quella bellissima faccia da schiaffi. I suoi passi sono lenti, sinuosi ed anche
un po’ volgari – ma su questo, meglio sorvolare – e intanto, sistema o meglio,
abbassa quel piccolo costume di scena che indossa per recitare. Quello che mi
sconvolge – e forse non dovrei – è che anche senza questa commedia di mezzo, il
suo vestiario non cambia.
«Sono lieto che tu te ne sia accorta, ma anche gli
altri si sono impegnati molto. Non credi che dovresti essere loro riconoscente
per il duro lavoro svolto? Infondo il mio ruolo dipende anche dalla
collaborazione che si è instaurata tra me e gli altri. Non mi sembra corretto
insultarli…» le fa notare lui con un tono calmo e ipnotico. L’effetto Edward
Cullen è in atto, e su Tanya, ancor di più il risultato sarà assicurato.
«Oh Edward. Forse hai ragione» forse? La
mia espressione deve essere davvero simile a quella di una vampira sanguinaria.
Non ha idea di cosa sia il lavoro di squadra ma presto se ne renderà conto. La
vedo voltarsi verso di noi, guardandoci con un finto sorriso, per poi tornare
ad accarezzare languidamente con gli occhi tutto il corpo del mio migliore
amico che naturalmente, non perde occasione per far strage di cuori – e
cervelli di oche – intorno a sé.
«Bene, è ora di iniziare. Non vedo l’ora di recitare
al tuo fianco» le sussurra lei nel suo orecchio e per risposta, lui sorride e
scuote la testa, osservandomi fisso.
«Sì, anch’io non vedo l’ora di recitare» i nostri
occhi non si separano nemmeno per un istante mentre ci apprestiamo a prendere
le nostre posizioni sul palco.
Non sai contro chi ti sei messa, Tanya!
Vedremo se la tua storia sarà ricordata come tu desideri.
***
«Tu devi essere Isabella Swan, giusto?» mi chiede Erik
mentre si affianca a me e cerca di guidarmi tra la massa di studenti. Io
interpreto uno dei ruoli principali: la ragazza proveniente dalle zone assolate
dell’Arizona per essere “spedita” in questa sperduta cittadina, a causa di
litigi incresciosi avvenuti con mia madre. Come avevo sospettato, le mie
caratteristiche sono state rispettate nel copione scritto: il mio lato
impacciato è stato descritto fin nei minimi particolari, così da evidenziare le
grandi qualità della regina indiscussa della scuola di Forks, Tanya.
«Sì, si nota?» chiedo in un sussurro, grata dell’auricolare
che non mi costringe ad alzare la voce.
«Certo, d’altronde questa città è piccola. E tu sei un
volto nuovo, perciò rivolgiti a me per qualsiasi cosa, d’accordo?» e con un
sorriso, mi fa segno di seguirlo e insieme ci dirigiamo verso la segreteria per
ritirare il mio orario. Durante il tragitto, mi presenta alcuni amici: Mike,
Tyler e Angela. Non nascondo il ribrezzo che ho provato mentre Mike Newton
tentava di “ammaliarmi” con il suo inesistente fascino. Anche nella realtà è
così; lo ritrovo dappertutto ma quando al mio fianco compare Edward, si dilegua
come se avesse visto chissà quale essere spaventoso.
«Bene, adesso è l’ora di andare a mensa» mi dice
Angela mentre recita la sua parte. Mentre procediamo in quella direzione, una
voce stridula penetra la mia mente, facendomi sussultare – come da copione.
«Così tu sei la nuova!» esclama Tanya, oscillando in
maniera provocante la sua gonnellina bianca con due strisce sul bordo, una blu e
una gialla. La maglietta a maniche lunghe la ricopre come una seconda pelle,
aderendo alle sue prosperose forme. I suoi capelli sono di un biondo platino
perfetto, troppo per essere il suo colore naturale. Sicuramente è andata il
giorno prima a dipingerseli, perché non ricordo avesse mai avuto un simile
colore; ricordo uno più opaco, meno luminoso di questi raggi di sole. Un
sorriso di scherno è tutto ciò che trovo; non si sforza minimamente di
interpretare il suo ruolo. Oca nella realtà e nella finzione; il suo
personaggio è rimasto inalterato.
«Sì, mi chiamo Isabella Swan» le dico porgendole la
mano, mentre dentro di me impreco a più non posso. La vedo schioccare la lingua
e guardarmi dall’alto in basso come se fossi un essere abbietto.
«Mi chiamo Tanya, e farai bene a tenerlo a mente. Io
sono la capo-cheerleader, perciò sono anche, di conseguenza naturalmente, la
regina indiscussa della scuola. Ti avverto, tieni lontano i tuoi occhi dal mio
ragazzo o te ne pentirai» e dicendo questo si allontana, non prima di avermi
lanciato un’occhiata di fuoco, insieme alle altre ragazze della squadra. Più
tardi, vengo a scoprire che due di loro si chiamano Jessica, la pseudo ragazza
di Mike, e Lauren, segretamente innamorata di quell’idiota di Tyler che sbava
dietro a Tanya senza contegno. Mentre gioco con il tappo della mia limonata,
vedo apparire quattro ragazzi, che poi scoprirò essere Alice, Rosalie, Emmett e
Jasper. Questi sono descritti come ragazzi simili a déi scesi sulla Terra e
solo Tanya e il suo ragazzo fanno parte di quel gruppo chiuso ai comuni
mortali.
Man mano che la recita continua a passo sostenuto, poiché
dura all’incirca due ore e mezzo, so che il ragazzo di Tanya è il fratello di
Alice, Edward. L’incontro durante l’ora di biologia e, in quell’ora, i miei
pensieri su di lui, sono raccontati dalla voce narrante: Leah Clearwater, una
mia amica che vive nella riserva.
Edward lo descrivo come un ragazzo bellissimo, dagli
occhi splendenti come smeraldi, dal corpo atletico e il più stronzo e bastardo
che ci sia nella scuola. Durante la storia si scopre che Edward, nonostante
stia con Tanya, mostra un interesse particolare per la ragazza nuova: io. Con
il tempo, lui s’innamorerà, ma prima di ciò, sarà lei a innamorarsi e lui
tratterà il mio personaggio nel modo peggiore. Il ragazzo è davvero un bastardo
e la schiera di giovani donne dal cuore infranto è lunga, solo Tanya non lo
capisce e gli sta affianco come la sua ragazza. Uno dei luoghi più importanti
della storia è il bagno, dove si svolgono gli incontri ravvicinati del terzo
tipo e il modo in cui avvengono, è disgustoso. Mi domando come il preside non
abbia tagliato queste scene così volgari e stupide. Ogni volta che Edward e
Tanya escono dal bagno, i due sembrano essere stati colpiti da un tornado: i
loro vestiti sono sgualciti e i loro respiri sono affannati come sempre, ma
qualcosa non mi convince, specialmente l’ultima volta che sono entrati nel
bagno di cartapesta. Sul colletto della maglietta di Edward noto del colore…
fucsia? Che lei abbia davvero approfittato di questa messinscena per provarci
davvero senza essere disturbata?
Verso metà della storia, Edward e Tanya si trovano
ancora una volta all’interno del bagno, ma il mio personaggio è presente così
decido di attuare il mio piano di sabotaggio e comincio a recitare le mie
battute, ma non come previsto da Tanya.
«Accidenti! Ma qualcuno si sente male?» domando
consapevole di aver appena stravolto il copione, «chi c’è dentro? Vuoi che
chiami un’ambulanza?» e dopo un attimo, vedo uscire Tanya, infuriata del mio
cambio di programma, ma sembra stare al gioco e ripara la situazione.
«Secondo te? Quando si ha un fusto del genere a
disposizione, si può mai star male?» e accarezza lascivamente Edward che si è
calato bene nel ruolo di stronzo e dongiovanni da strapazzo. Nel copione,
sembra che nessuna sia sfuggita al suo sguardo magnetico e al suo fascino da
playboy, infatti, un ghigno malefico si dipinge sul suo viso mentre arpiona la
vita della ragazza pompon e la avvicina a sé con fare possessivo.
«Già, Swan. Cosa si può fare quando si è chiusi in un
bagno?» questa battuta non c’è nel copione ma cosa…? Alzo lo sguardo e scorgo
nei suoi occhi una luce divertita, sinonimo della sua partecipazione al mio
piano di sabotaggio. Sei stufo anche tu, Edward?
«Ehm, vomitare? Dai tuoi gemiti Edward, mi sembrava
proprio che avessi problemi di stomaco, mi sarò sbagliata» le dico con fare
innocente mentre vedo i suoi occhi dilatarsi per lo stupore. I ragazzi che
stanno assistendo allo spettacolo, non smettono di ridere, mentre Edward si
finge anch’esso sbigottito e lo vedo portarsi una mano alla bocca.
«Swan! Ma come hai fatto a capire? Pensavo che la
nostra recita fosse stata ottima! Tanya, ti sei fatta scoprire! Ora la mia fama
di emerito stronzo sarà gettata alle ortiche! Accidenti, tutte le ragazze cosa
penseranno di me?» le grida lui, fingendosi scandalizzato e terrorizzato.
«Beh, posso dirtelo io, se vuoi» gli dico
appoggiandomi al lavabo più vicino e guardandoli senza scoppiare a ridere.
Edward si fa pensoso, mentre Tanya sembra una pentola in ebollizione. Poi,
lisciandosi il mento con il pollice e l’indice m’incita con un gesto a parlare.
«Sono sicura che tutti incolperanno Tanya, perché
qualunque cosa tu faccia, anche se ti porti a letto qualunque essere aventi
organi femminili, nessuna ti colpevolizzerà. Andiamo! Tu sei Edward Cullen, il
ragazzo più sexy, bellissimo, intelligente che tutta la scuola abbia mai avuto
modo di conoscere. Non importa se tu sei stronzo, o bastardo, tutto ti è
concesso. Se diventassi un santo chi ti vorrebbe più? Chi ti cercherebbe più?»
gli domando avvicinandomi a lui che a ogni mia parola, sembra riflettere sempre
più finché non lo sento sospirare e voltarsi con uno scatto secco verso Tanya.
«La Swan ha ragione, Tanya. Anche se è la sciocca
della scuola, la ragazza più goffa e con un equilibrio inesistente, il cervello
lo usa. Sì, per fortuna, sarai tu a pagare per tutto. Infondo è colpa tua se
non riesco a resistere più di qualche minuto con te che subito scappo per il
bagno. Chissà perché mi succede…» ma il suo discorso è interrotto proprio da
Tanya che, infervorata e con gli occhi colmi di lacrime, si aggrappa alla sua
maglia.
«Tu non puoi farmi questo, Edward. Io lo so che ti
piaccio, che mi ami. L’ho sempre saputo che ti sei innamorato di me, ma sei un
uomo, e prima che tu te ne renda conto, passa un bel po’ di tempo. Perché non
smetti di essere amico della Swan e diventi il mio ragazzo? Tu ed io siamo
fatti per stare insieme…» sbaglio, o non stiamo più recitando?
Edward osserva Tanya come se fosse un alieno o
qualunque altra forma di vita sconosciuta sulla Terra; la sua espressione è
sbigottita e incredula, mentre cerca di districarsi da quelle braccia simili a
tenaglie. Io a stento, trattengo una risata di fronte alla scena. Tutto il
pubblico applaude per l’improvviso cambio di copione e quindi, per la nuova
storia messa in scena.
Le storie di Tanya sono note a tutti, per via della
solita trama in cui una certa ragazza, appena arrivata in una nuova scuola,
s’innamora del ragazzo più popolare ed anche più menefreghista; lei,
naturalmente, è la vergine incallita che, nonostante la sua bellezza quasi evanescente,
non ha mai avuto uno straccio di ragazzo. Il “Lui” con il tempo s’innamorerà ma
ci saranno diversi ostacoli, tra cui una certa Tanya che interpreterà il ruolo
della ragazza attuale del famosissimo “Lui”. La storia prosegue con il “Lui”
che continua questo genere di vita, trattando le ragazze come bambole, e
gettandole via. Solo Tanya, la sua famosa ragazza, non si crede bambola ma
stronza come lui che si diverte nel fare sesso bollente e a più non posso con
quest’ultimo, e pertanto si ritiene l’unica con cui deve stare il focoso “Lui”.
Invece, in questa recita, vi è stata introdotta una variante nel finale, in cui
è costretto a sposare Tanya per via di una gravidanza inaspettata, e infine
s’innamorerà con il passare dei suoi anni, mentre la ragazza straniera sarebbe
rimasta un flebile ricordo nel loro lontano passato, innamorata persa e caduta
in depressione per via dell’abbandono. Magari facendo strage di dolciumi e
diventando una balena.
Una variante comica come questa non può non divertire
il pubblico. Soprattutto se la Tanya in questione si sta inginocchiando di
fronte a lui. Edward è costretto a inginocchiarsi a sua volta per via di quelle
braccia ancorate in modo asfissiante alla sua vita e in un istante, accade.
Edward si volta verso di me per implorarmi di aiutarlo
a liberarsi di lei ed io mi avvicino, reprimendo una risata ma concedendomi un
sorriso. Tanya intuisce il mio movimento e afferra con forza il volto di Edward
costringendolo a guardarla, poi le sue labbra si posano sulle sue. Il mio corpo
e la mia mente si bloccano. Intorno a me sento diversi fischi ma ciò non
m’importa. Le labbra del mio Edward si trovano appoggiate su
altre. Altre che non sono mie.
L’ho definito mio, ma è questo che ho sempre provato
per lui? Un sentimento di possesso? Di…amore?
Forse sì, perché quando si avverte questo tuffo al
cuore, questo dolore, non può che essere amore. La nostra è sempre stata
amicizia sana, pura? Oppure un’amicizia che profuma d’amore?
Sicuramente la seconda.
Le mani di Edward la allontanano bruscamente e si
volta nella mia direzione, con uno sguardo strano, mai visto. Paura… ma di
cosa?
Poi, tutto accade velocemente: gli occhi di Edward si
chiudono, le sue gambe si piegano in avanti. Sta per cadere, ma io l’afferro e
lo sorreggo, sentendo un flebile sussurro, «Bella… io ti…» e subito dopo,
crolla tra le mie braccia.
«Edward!» il mio grido disperato si espande per tutta
la palestra, mentre gli altri ragazzi presenti sul palcoscenico si accalcano
intorno alle nostre figure. Nella mia mente, il suo nome si ripete come un
mantra, e forse non solo lì.
***
Plik… Plik… l’unico rumore qui dentro, accompagnato dai nostri
respiri e battiti cardiaci.
Osservo il corpo di Edward disteso in questo grande
letto d’ospedale che riposa, ignaro del pericolo corso. Anche addormentato, la
sua bellezza non si può nascondere. I suoi capelli ricadono sul suo viso in
maniera disordinata, le mani sono allungate lungo i fianchi.
Edward… non hai idea della paura che ho
avuto ed ho tuttora.
Prendo tra le mie mani la sua e la porto alle labbra.
Un leggero movimento delle dita mi fa sussultare e mi volto di scatto verso la
sua direzione, speranzosa. I suoi limpidi mi osservano in maniera strana,
intensa. Lo sguardo di quella mattina…
«Ciao» mi dice con voce roca. Un sorriso dolce si fa
largo sul mio viso e lo abbraccio di slancio. Le sue braccia lentamente mi
stringono a sé, anche se la stretta è debole, per via della convalescenza. I
miei occhi s’inumidiscono mentre stringo con forza e impeto le braccia intorno
al suo collo e con le mani sfioro i capelli alla base della nuca in un gesto
che l’ha sempre rilassato. Una sua mano corre ad accarezzarmi i capelli mentre
sento le sue labbra soffici e delicate appoggiarsi su di essi. Il soffio del
suo respiro è come una carezza sui miei capelli.
«Ciao, mi hai fatto preoccupare, sai?» quanta paura ho
avuto. Ho rischiato di impazzire. È mai stata amicizia tra noi? No, solo ora
l’ho capito, ma ciò non cambia la situazione: lui non è innamorato di me come
io lo sono di lui.
«Che mi è successo?» mi chiede con voce confusa e
assonnata.
«Davvero non ricordi?» gli domando staccandomi da lui e
osservandolo attenta a ogni minimo cambio di espressione. Forse ha davvero
dimenticato gli ultimi avvenimenti. Il suo volto assume un’aria pensosa mentre
si passa una mano tra i capelli. Emette uno sbuffo esasperato e allarga le
braccia, guardandomi di sbieco.
«Ricordo che stavamo recitando, finché tu non hai
deciso di rivoluzionare lo spettacolo…» e mi lancia un’occhiataccia,
continuando «e poi Tanya che si aggrappa alla mia maglietta e… mi… bacia!» che
ridere! La sua espressione si è fatta di colpo disgustata e, con la manica del
camice bianco, tenta di pulirsi le labbra. «Oddio! Che schifo!»
Non riesco a trattenermi e gli rido in faccia senza
contegno. I suoi occhi mi osservano risentiti mentre mi contraggo sulla sedia
in preda ai singulti. «Dovresti vederti… sei incredibile!»
«È colpa tua se quell’oca è riuscita a baciarmi!
Neanche tra un migliaio di anni sarebbe accaduta una cosa simile. Tanya… ah,
avrò gli incubi per sempre» eccolo che si lamenta come un bambino piccolo.
Scuoto teatralmente la testa, per fargli capire che il suo comportamento è così
infantile. «E poi con il preside? Che cosa avrà in mente per noi?» mi chiede
emettendo un sospiro rassegnato.
«Beh, a noi non sarà tolto un capello. L’unica che sta
pagando tutto è proprio Tanya. Ha fatto credere allo zio che le storie che
scriveva erano sue, quando invece mostrava le mie cambiando la firma finale.
Appena ha letto il copione, la sua faccia si è trasformata. Sembrava una
locomotiva pronta a dare in escandescenza…» gli confido, informandolo delle
conseguenze del nostro gesto folle.
«Menomale!» esclama mettendosi una mano sulla fronte,
nel tentativo di scacciare via l’ansia che si è attanagliata nelle sue viscere.
«Sai perché sei qui in ospedale?» gli domando con tono
neutro. Chissà se ci arriva…
«Ehm, sono svenuto se non sbaglio» afferma con un tono
titubante, mentre cerca di fare mente locale sugli ultimi avvenimenti. Forse
posso divertirmi un po’…
«“E così con un bacio io muoio”» recito con
tono drammatico mentre rievoco queste parole. Lui mi guarda stranito e sbatte
le ciglia, confuso.
«Romeo e Giulietta. Atto cinque, scena terza» annuisco
alla sua risposta e appoggio i miei gomiti sul letto, ponendo il mento su
entrambi i dorsi delle mani.
«E allora?» proprio non ci arriva. Un altro sorriso spunta
sulle mie labbra.
«Smettila di sorridere e dimmi perché sono qui!»
sbotta tutto d’un fiato.
«Ti ricorda qualcosa il lampone?» gli chiedo con fare
innocente, osservando il lenzuolo e giocherellando con la zip della mia felpa.
«Sì, è un frutto. Ed io sono allergico in maniera
incredibile, basta poco per mandarmi in shock anafilattico. Ma cosa c’entra con
il mio svenimento?» già, cosa c’entra? Mi domando mentalmente. Mi avvicino al
cassetto che si trova accanto al suo letto, sotto il suo sguardo disorientato,
ed estraggo un lucidalabbra – ovviamente con i brillantini – e glielo mostro.
Lui lo afferra e legge l’etichetta.
«Ma… è al lampone. Insomma, cosa c’entra… con… il…
mio… svenimento» vedo le sue sopracciglia aggrottarsi mentre lo vedo riflettere
sulla mia citazione e l’ultimo oggetto mostrato. I suoi occhi s’incatenano ai
miei, compiaciuti e divertiti da quell’assurda situazione.
«È di Tanya?» annuisco lentamente, mentre lui impreca
in tutte le lingue possibili, «accidenti! Si saranno fatti delle grasse risate,
immagino».
«Solo un po’» e scoppiamo a ridere entrambi.
«Pensavo che ti piacesse Tanya…» lui mi guarda e
scuote la testa.
«Non è il mio tipo anzi, nessuna è il mio tipo. Ho già
la mente e il cuore occupati» i miei occhi si fanno lucidi mentre cerco di
trattenere le lacrime. Avvicino un pugno al suo petto e faccio il gesto di
bussare. Due colpi.
«Io non sento nessuno, sicuro che sia occupato?» gli
domando con tono ironico, ma leggermente tremante. Ha già un’altra nel suo
cuore.
«Beh, non so perché non risponde. Eppure è qui, in
questa stanza…» i miei movimenti si bloccano, così come le mie parole. È qui,
in questa stanza…
«Ma…» balbetto.
«Perché non rispondi, Bella? Ci sei sempre stata tu
qui dentro. Non hai bisogno di bussare: hai già da tempo la chiave del mio
cuore» mi dice, mentre mi sento afferrare la nuca e avvicinarmi a sé. Le sue
labbra sfiorano le mie e dopo un breve istante, si poggiano delicate sulle mie.
Un bacio lento, dolce, vero come la nostra storia.
La nostra avventura insieme inizia da questo momento.
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