Disclaimer: lo
vorrei tantissimo, ma Jack ed Ennis sono di proprietà l’uno dell’altro e di
Annie Proulx, non mia, sigh…
Avvertimenti: spoiler.
Desiderium
Non posso ricordare.
Ma quei momenti
puri dureranno in me
come
in fondo a un vaso
troppo pieno.
Non penso a te, ma
sono per amore tuo
e questo mi dà forza.
Non ti invento nei
luoghi
che adesso senza te
non hanno senso.
Il tuo non esserci
è già caldo di te, ed
è più vero,
più del tuo mancarmi.
La nostalgia
spesso non distingue.
Perché
cercare allora se il
tuo influsso
già sento su di me
lieve
come un raggio di luna
alla finestra.
Rainer Maria Rilke, A Lou
Andreas-Salomé
Irritato, Ennis del Mar si accese una sigaretta, bruciandosi
il pollice destro con il fiammifero. Bestemmiando, si portò il dito alla bocca,
umettando il dolore acuto con la saliva. Era un paio di settimane ormai che
stava tentando di smettere: invano, caparbiamente sempre, in qualche modo, ci
ricascava. Gliel’aveva chiesto sua figlia Francine in realtà. “Papà,” aveva
esordito un giorno in cui l’aveva portata a cena in un modesto ristorante
vicino ad un drive-in “non mi piace che fumi. Ti vengono i denti gialli e ti
puzza il fiato. Smettila”. E così lui, per far contenta sua figlia, di punto in
bianco aveva abbandonato pacchetto e fiammifero nella camicia appesa ad un
chiodo, accanto ad una cartolina. Ma ogni suo tentativo puntualmente falliva, e
la mano finiva nella tasca, la sigaretta nella bocca.
Prese un altro fiammifero, e questa volta riuscì ad
accendere, soffiando cerchi di fumo grigio e polveroso, che gli lasciava ai
lati della lingua il sapore sgradevole della cenere.
Oggi Alma Jr. si era sposata, in una piccola cappella con
mura scrostate, color bianco lurido, e lei era bellissima nel semplice vestito
di sua madre, vecchio di vent’anni. Era arrivata all’altare al braccio del
padre, raggiante, e ad Ennis si era spezzato il cuore al pensiero della sua
bambina, cresciuta o ormai moglie di qualcuno. Mai tempo, non c’era stato mai
abbastanza tempo, ed ora era definitivamente finito; gli era scivolato via tra
le dita come vento. E cosa gli rimaneva ormai? Solo vento, e la sensazione
fredda e pungente del suo passaggio impetuoso.
Spense il filtro sotto il getto d’acqua fredda del
rubinetto, e lo gettò in una scatola di latta che usava per raccogliere la
spazzatura. Per liberarsi il palato dal fumo, inghiottì un sorso di birra,
appoggiandosi al davanzale della piccola finestra accanto al lavandino. La
notte era buia, umida, silenziosa. L’erba era pregna del fetore acquoso della
pioggia, che scendeva fitta e uguale. Ammassi di nuvole minacciose, di un nero
sporco, meno scuro del cielo, ingombravano l’aria, e premevano basse e gonfie
sul lontano orizzonte, che Ennis non riusciva a distinguere. La forza corrotta
e brutale che fremeva e pulsava nella campagna non riusciva ad adombrare quella
che scoppiava nel suo cuore.
Là, su a Brokeback Mountain, aveva già vissuto notti come
questa. “Statti lontano dagli alberi”, gli aveva detto Jack Twist “una piccola
luce e, puf, col cazzo che ti rivedo”. Non si era mai avvicinato ad un albero,
quando pioveva. E poi Jack lo aveva afferrato per il colletto e, mormorando un
impercettibile “Non ti azzardare”, si era schiantato contro le sue labbra.
Queste furono le ultime parole che si dissero quella notte. “Che figlio di
puttana, che gran figlio di puttana”, gracchiò rauco Ennis, grattandosi la
guancia e mandando giù altra birra insipida. Anche quel whiskey che si
spartivano un quarto ciascuno, Ennis non l’aveva mai ammesso, gli faceva
parecchio schifo in realtà, ma c’era solo quello lassù, e questo fatto glielo
rendeva infinitamente più gradevole. Non avrebbe cambiato quel liquore cattivo
con il rum più costoso, l’acquavite più pregiata.
Un giorno si passavano la bottiglietta, mentre giacevano sul
prato, con la testa appoggiata al vecchio tronco marcio che Ennis aveva appena
abbattuto. Da lì sovrastavano il pascolo, e tutto il resto del mondo sembrava
troppo minuscolo, troppo lontano, perché potessero curarsene; alle loro spalle
l’immobile massa rocciosa della montagna ritagliava un triangolo scuro nel
rosso arancio del crepuscolo, fendendo minacciosa le nuvole. “Da qui potrei
sputare giù in faccia ad Aguirre e lui penserebbe che se ne sta venendo un
acquazzone,” aveva bofonchiato Jack, pulendosi la bocca con il dorso della
mano, dopo aver bevuto “come lo scopre che sono stato io? Qui non ci può vedere
nessuno. È tutto nostro”. Offrendo la bottiglietta ad Ennis, lasciò la presa
prima che quest’ultimo l’avesse agguantata a sua volta, e gli versò il resto
del contenuto sulla camicia a quadretti che stava indossando. Con un grugnito
di fastidio, Ennis la sbottonò, se la sfilò, e la portò nella tenda, in cui si
trovava la sua saccoccia. Udendo un fruscio dietro di sé, si girò, per vedere
Jack che lo fissava. Gettò la camicia in un angolo, ancora fradicia e sporca.
Ennis si voltò e fissò le due camicie appese, quella di
jeans, e quella bianca a quadretti al suo interno (la macchia scura ancora ben
chiara). Come spinto da una mano invisibile, si avvicinò alla parete e, con una
dolcezza così fuori luogo in lui, lasciò scorrere le dita sul tessuto rigido e
pesante, quasi un contatto prolungato potesse ustionarlo. Non riusciva a far
altro che sfiorarla, ormai.
Come riscossosi dal torpore, ritornò in cucina, e
raccogliendo dell’acqua nell’incavo delle mani, se la versò in viso, acqua che
si mescolava ad acqua, senza lasciar traccia. Con un ultimo sguardo alla natura
che fuori ribolliva con un’intensità malvagia, decise di andarsene a letto.
Dormire era diventato penosamente facile. Bastava che chiudesse gli occhi, e
presto sarebbe giunto il buio, il caldo. E lui sarebbe stato lì ad aspettarlo,
una lattina di fagioli freddi in una mano, un cucchiaio di stagno nell’altra,
seduto presso il fuoco, a gridargli felice “Ennis! Cazzo quanto mi sei
mancato!”, Jack con il suo cappello in peltro nero, il corpo minuto coperto
dalla giacca foderata in pelliccia e da dei jeans logori, tenuti insieme da una
cintura da rodeo; ai piedi quei vecchi stivali consunti.
Anche oggi era vicino al fuoco, ma sedeva pensieroso, il
volto appoggiato al palmo della mano, il gomito appoggiato al ginocchio.
Sembrava quasi che le fiamme che ardevano con voracità stessero consumando
anche lui. Senza parlare, Ennis, vestito solo della canottiera con cui si era addormentato
(non sentiva affatto freddo, però), si accomodò accanto a lui. C’era così tanto
che voleva dirgli, così tanto che doveva
dirgli, ma l’irresistibile quiete della scena, forata solo dallo scoppiettio
del legno, lo sconfisse. Le braci si innalzavano, sospinte dal vento in su,
sempre più su, fino a venire inghiottite nel nero immenso della notte.
Ennis sorprese Jack a guardarle, con un’ombra di malinconia
soffusa negli occhi. Vorrei poter stare
così, proprio così, per sempre. Ma Ennis era cosciente che questo, tutto
questo, si sarebbe dissolto alle prime luci del mattino. Jack, con i suoi denti
prominenti, i suoi capelli ricci, il campo, la montagna. Li avrebbe persi di
nuovo. D’improvviso, come il fulmine squarcia il cielo in tempesta, Ennis artigliò
la giacca di Jack, e con uno strappo disperato lo strinse al suo petto,
affondando le mani in quel materiale ruvido e caldo (non era cambiato),
nascondendo il viso tra i capelli di lui, e non voleva lasciarlo andare, non
poteva, non poteva. Jack gli circondò il torace con le braccia, ancora muto,
con gli occhi chiusi, il respiro sul collo di Ennis gelido come la neve. “Dove
sei finito? Dove te ne sei andato?” ripeteva questi in trance, ma Jack non
rispondeva ancora. “Dove sei?!”. E presogli il viso tra le mani sudate, lo
baciò rude, con angoscia, sconforto, frenetico e delirante. Jack contraccambiò
i suoi baci con uguale violenza, e i loro profili alla luce delle fiamme
sembravano sciogliersi insieme in un’unica figura inquieta e turbolenta.
“Perché cazzo non sei qui?!”, ma il Jack del sogno non rispondeva ancora, gli
accarezzava le guance soltanto, come il vero Jack, ma non parlava. In modo
tenue ed ovattato Ennis comprese che l’alba si approssimava, la luce che
circondava Jack si stava affievolendo sempre di più, il suo corpo scorreva via
come sabbia asciutta tra le mani, finché Ennis non strinse altro che aria, e
non vide altro che il soffitto della sua stanza. Con lentezza e spossatezza si
portò a sedere, e provò quello stesso spasimo lancinante allo stomaco di venti
anni prima, si piegò su se stesso, e per molto tempo non si mosse.
Nota #1: il
latino desiderium esprime nostalgia e
rimpianto per una persona o un bene di cui si è goduto e di cui si avverte la
mancanza; è la sofferenza e la percezione costante di un’assenza, un sentimento
rivolto al passato.
Nota #2: non ho
visto il film (purtroppo), né ho letto il libro in italiano, quindi non
avevo idea di come rendere la parlata del Wyoming, ci ho provato basandomi sui
nostri più comuni errori di grammatica.
Nota #3: spero vi
sia piaciuta :)