Siberia
“Quando tornerai
a casa, io non ci sarò. Me ne vado per un po’” mi disse, per poi allungare le
braccia e stringermi a sé con un’imbarazzata goffaggine.
Io l’avevo
presentito nell’aria, da qualche giorno, e come se non bastasse mia madre aveva
già confermato i miei sospetti.
“Guarda che non
smetto di esserti vicino, anche se non stiamo sotto lo stesso tetto. Se hai
bisogno di parlarmi mi puoi chiamare quando vuoi!”
*Non mi eri
vicino neppure quando la tua camera era a cinque metri scarsi dalla mia…*
pensai, ma non lo dissi. Mi limitai a scrollare le spalle.
Mi guardò negli
occhi, con cipiglio.
“Non è colpa di
nessuno, e tantomeno tua” chiarì.
“Non l’ho mai
pensato” risposi asciutta.
“Ora puoi
lasciarmi andare” aggiunsi divincolandomi dall’abbraccio.
“Credi di poter
essere sincero, per una volta?” domandai poi.
Mi guardò senza
capire.
“Beh, c’è una
cosa che vorrei sapere: c’è qualcun altro al nostro posto per te, adesso, non è
così?”
Chinò il capo.
“Non è colpa
mia” mormorò.
La stretta al
cuore che provavo da quando aveva iniziato a parlare diventò una morsa di gelo,
che si allargò a raggiera dentro di me, mentre mi ripetevo che non potevo
piangere e dovevo essere forte. Lo fissai con quella freddezza che mi stava
invadendo, aspettando un’altra menzogna. O forse una verità, almeno stavolta.
*Certo che si fa
tutto cupo e insopportabile, quando ti rendi conto di volere bene a qualcuno
che non ne vuole a te…* pensai.
Ero spaccata in
due. Da una parte c’era quella me che voleva pregarlo di restare, di non lasciarci,
e dall’altra quella me che voleva gridargli di sparire e non farsi più vedere.
L’orgoglio contro i sentimenti.
Vedevo tutto dal
di fuori, vedevo le mie spalle tremare appena e il suo sguardo che non tornava
più ad incrociarsi con il mio. Troppa vergogna.
Sapevo allora,
come lo so adesso, che fino alla fine dei miei giorni sognerò una famiglia in
cui lui non se n’è mai andato.
Una famiglia in
cui le cose vanno come dovrebbero andare.
Ma questa non è
quella famiglia, non lo è mai stata, eppure mi illudevo che nella sua
imperfezione avrebbe vinto la battaglia col tempo e con le incomprensioni
quotidiane. Ci credevo davvero.
Gli diedi le
spalle.
“Tanto anche se
non lo dici, l’ho capito lo stesso. Mi hai chiamata col suo nome, a volte.”
Anche senza guardarlo
sapevo che si era irrigidito. In fondo mi faceva un po’ pena: il problema non
era che non fosse capace di volermi bene, semplicemente non me ne voleva.
Punto. Bisognava che me ne facessi una ragione, prima accettavo la cosa e prima
avrei smesso di starci male.
Perché in quel
momento ci stavo male, eccome. E non riuscivo ad evitarlo.
“Fai come vuoi”
dissi alla fine “ma sappi che con me hai chiuso. Non voglio più avere niente a
che fare con te. E ora, se vuoi scusarmi, i miei amici mi stanno aspettando.”
Non mi voltai
neppure a guardarlo, afferrai lo zaino ed uscii da casa, quella casa dove dal
giorno successivo avremmo imparato a vivere in tre.
*Ma in fondo
sarà meglio così; non faceva che rendere l’atmosfera tesa, si litigava di
continuo, per colpa sua, e poi non è mai stato granché come padre…*
Mentre la mia
macchina divorava i chilometri che mi separavano da Roma, mi ritrovai a pensare
che non mi aveva mai vista davvero. Ero accanto a lui, insieme a lui, dentro di
lui…ma non mi ha vista.
E questo perché,
fin dall’inizio, nella sua testa e nel suo cuore c’era qualcosa che veniva
prima di me. Il fatto che infine il tutto si fosse concretizzato non era che un
trasloco. Mi aveva chiusa fuori dal suo cuore molto tempo prima.
Quando tornai a
casa, due giorni dopo, lui non c’era più.
Era andato via.
Il suo lato
dell’armadio era vuoto, le sue cose non ingombravano più il tavolino del
salotto.
Non aleggiava
più il suo profumo sul pianerottolo.
Entrai nella mia
stanza, gettando lo zaino a terra, e mi lasciai cadere sul letto.
Fissai il
soffitto per un istante.
“Non è colpa
mia”, ha detto.
“Se hai bisogno
di parlarmi, puoi chiamare quando vuoi.”
Maledicendomi
per la mia debolezza, mi ritrovai a piangere come una disperata.
“E il mio
cuore si ritrovò in Siberia
Mentre
aspettava che la menzogna diventasse verità
Perché è
tutto così cupo e misterioso
Quando vuoi
qualcuno che non vuole te…”
(Traduzione
libera da “Siberia” dei Backstreet Boys che ha ispirato questo racconto)