Il Cacciatore

di Dudissimo
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PROLOGO
All’inizio è come una nebbia che oscura ogni percezione.
Poi si dirada. Gradualmente, nell’arco di pochi attimi lunghi come secoli.
Sono… non so dove sono.
Alzo lo sguardo. Archi che sorreggono un soffitto in ombra e pareti di pietra illuminate da lanterne.
Una catacomba. Fredda e umida.
Rabbrividisco.
Cos’è questo suono?
Ah, li vedo. Sono quattro, incappucciati, verdi. Io sono su un podio, e loro inginocchiati sotto.
Cantano… o pregano. Non capisco cosa dicono, ma non mi piace. Per niente.
Un altro è diverso… viola, in piedi proprio davanti a me, rivolto agli altri. Li ammaestra.
Non capisco. Non ricordo. Ma so che non dovrei stare qui.
Muovo le braccia e le gambe. Forse se…
Ah!
Chiodi… catene con piccoli chiodi che perforano polsi e caviglie. Per tenerli legati alla pietra.
Il sangue esce dalla ferita, la ferita dà dolore, il dolore alimenta la paura.
Ho paura.
Tanta paura.
Che mi succederà?

Il viola incappucciato smise di parlare ai cinque in verde e si voltò verso la croce di pietra.
La vittima si era svegliata. Aveva fatto scorrere sangue lottando contro le catene.
L’uomo sogghignò sotto il cappuccio mentre estraeva qualcosa di lungo ed affilato.
Un pugnale.

Cosa vuole fare con quello?
No, no, no, no!!

Si avvicinò al corpo che cominciava a dimenarsi, senza far altro che infierire sulla sua stessa carne.
Appoggiò la punta d’acciaio sul petto nudo e si rivolse al cielo, sordo alle deboli suppliche.
“ Accetta o Dea questo dono di fede… “

Ti prego, ti prego, non farlo!
Non voglio soffrire!
Non voglio morire!
Farò tutto quello che vuoi, lo giuro, ma lasciami vivere!

 “ … e donaci la Tua grazia! “

No!!

Le ultime parole della ragazza si trasformarono in grida di dolore quando la lama affondò nella tenera carne, disegnando una lunga linea rossa fra i seni. Poi, dopo che ebbe strappato il ferro maligno, infilò le dita artigliate nello squarcio e lo allargò facendo risuonare nuove urla.
E da sotto il cappuccio uscì un lungo serpente nero.
Le spire ondeggiarono, si contorsero e simili al sangue che rientrava da dove era uscito si infilarono sibilando nella grande ferita aperta.
Fu allora che i lamenti si fecero più strazianti, che le membra si agitarono fino a mozzare mani e piedi cadendo al suolo come una bambola di pezza, che le cantilene degli incappucciati si fecero più simili ad ovazioni di sanguinaria gioia.
Finché il corpo sinuoso color della notte uscì dalle labbra inerti, stringendo fra le zanne un cuore ancora fumante.




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