Ispirazione.
Si,
è questa che mi mancava. Se avessi avuto l'ispirazione non
mi sarei
mai trovata nel cesso della scuola a pensare come una dannata a
qualcosa di stupidamente umano da scrivere. Parliamo di problemi
recenti: «Il governo
rimane in vetta».
No, non centra
niente con l'umanità.
«Soccorsi in Africa per i bambini bisognosi» no,
troppo lontano da
noi. Così non avrei fatto molti progressi.
Focalizziamo.
Cosa
stavo facendo? Stavo cercando l'argomento per un tema.
Perchè?
Riottenere quello che era mio.
In
un attimo la rabbia mi invase la mente. So che odiare un professore e
una compagna di classe era sbagliato, ma non ci potevo fare niente.
Ringhiai. Si, ringhiai. Era abbastanza frequente per me in quel
periodo, pensate che spettacolo: una ragazza che ringhia. Ah!
“Ho
sentito ringhiare?” abbiamo il nostro primo spettatore, la
prego si
accomodi “Fede perchè ringhi?”.
Mi
girai verso la mia vittima, alzandomi in piedi, pronta a
contrattaccare a spada tratta, ma tutto quello che ne veni fuori fu
un altro flebile ringhio. Aveva infranto la prima regola.
“Fede?
FEDE? Lo sai che detesto quando mi chiami così!”
“Finalmente
una risposta che non sia un verso!” quel suo dannato sorriso
strafottente gli si era allargato su tutta la faccia e la mia voglia
di tirargli un bel cazzotto stava cominciando ad allentarsi
“Ehi,
le signorine non tirano pugni ai ragazzetti che le fanno il
filo”
tipica sua frase.
“Peccato
che tu non sia uno di questi, e comunque non volevo tirarti nessun
pugno”
“Scommetti?”
riprese lui, rapidissimo facendo roteare i suo occhi chiari in segno
di sfida “Lo sai che ti leggo nel pensiero piccola”
cercò di
strapparmi la penna dalla mano ma i pronta gli afferrai il braccio,
contorcendolo in una morsa molto dolorosa da vedere, figuriamoci da
provare. Aveva la testa appoggiata alla mia spalla e respirava a
fatica, respiro molto smorzato, probabilmente per la pessima
posizione in cui si ritrovava
“Chi
te l'ha insegnata questa? Il principe di cuori?” ora era
andato
anche a infrangere la seconda. “Forse” mugugnai io
rossa come mai
in viso, e con il suo fiato caldo sul mio collo “Smettila di
respirare, mi metti i brividi” conclusi, brusca, risvegliando
una
sua risata poco rassicurante.
“E
come faccio scusa?” si stava trattenendo, e si vedeva, le sue
guance si erano allargate e gli angoli della sua bocca toccavano il
lobo dell'orecchio, aprendo quel suo enorme sorriso, capace di
lasciare di stucco chiunque lo guardi.
“Ti
tappi la bocca, scemo” risposi fredda, allentando la presa,
cominciando a notare una minore sua resistenza.
Si
morse il labbro, stringendo i denti e facendo una specie di teatrino
del ventriloquo “Fatto” ridacchiò sempre
a denti stretti,
volendomi mostrare che non apriva bocca “Ma ti ricordo che ho
ancora il naso a disposizione” dicendo questo
ispirò ed espirò
profondamente, scompigliandomi e scostando i capelli sul mio collo e
facendomi provare un brivido.
Oramai
in preda del suo stupidissimo gioco, posi la penna e con l'attuale
mano libera gli tappai il naso con forza, avendo come risposta una
risatina soffocata “Ok, Ok pmi apprendo”
Lo
mollai del tutto e sempre ridendo, rotolò sul pavimento del
bagno
scolastico.
“Alzati
cretino che è tutto sporco” mi prese di parola e
si mise in
ginocchio davanti a me, il suo enorme sorriso si era dimezzato,
tramutandosi da sorriso di scherno in un dolce e caldo sorriso a
trentadue denti, di quelli che (purtroppo) mi faceva sciogliere
“Va
meglio così?” chiese con la classica faccia da
cagnolino
bastonato.
“Direi
di si” cercavo di non guardarlo, perchè ormai mi
conosceva fin
troppo bene, i suoi occhi riuscivano a scrutare in modo profondo nei
miei e a ricavarne tutto ciò che voleva. Ero abituata a
evitare il
suo sguardo, quei suoi occhi quasi bianchi, freddi come il ghiaccio,
ma in grado di scaldarmi, farmi emozionare e commuovere.
Silenzio.
Un silenzio decisamente imbarazzante.
“Sai”
riprese lui “Non si direbbe che noi due stiamo
insieme”
Stavolta
rivolsi lo sguardo verso di lui, pur sempre non guardandolo dritto in
faccia, e crucciai le sopracciglia “Infatti, noi non stiamo
insieme”
“Ah
si?”il suo sguardo cercò il mio “i tuoi
occhi dicono un'altra
cosa”.
In
modo molto patetico, non riuscii ad emetter parola e mi ridussi ad
una ragazzina con il labbro tremolante davanti a quel ventenne dalla
carnagione chiara che si stava chiaramente prendendo gioco di me.
“Ti
amo”. Terza regola.
Quel
suo sguardo dolce, e quel suo sorriso così calmo e pieno di
pace,
unite a quelle due paroline... piansi una prima lacrima e gli saltai
letteralmente in braccio, facendolo arretrare, e piangendo una
seconda lacrima.
“Giada
l'hai rifatto, le hai infrante tutte e tre, di nuovo. Tutte e tre nel
giro di dieci minuti”.
«Se
nel corso di diversi mesi si producono solo tre eventi sociali
interessanti, saranno tutti e tre nella stessa sera».
Seconda
legge di Johnson
King
Capitolo
Primo: Affronta le tue paure e il mondo ti sorriderà
“No!”
“Perchè
no?!”
“Perchè
è giusto così!”
“Ma
dai Serena!”
“Smettila
di fare il bambino capriccioso!”
Clive,
diciassette anni, piccolo di statura, o almeno quanto me, ma molto
più piccolo di cervello. Un vero peccato perchè
con il suo bel
visino avrebbe potuto fare grandi cose. Capelli scuri, nero pece, e
occhi verdi smeraldo, anch'essi scuri, ma molto più
incantevoli.
Peccato che sotto quel bell'aspetto si nascondesse un marmocchio
precisino e pignolo.
“Smettila
di trattare male tuo fratello, Sally!”
Storsi
il naso e la risposta del mio rivale fu una linguaccia
“Smettila di
trattare male tuo fratello Sally!” ripeté con voce
stridula. Lei
era Lucille, bellissima donna, fisico da modella e occhi magnetici.
Di nazionalità incerta, era la mia matrigna,
nonché la madre
naturale del lì presente Clive, che naturalmente io
detestavo. Non
avevo mai pensato che avere un fratello fosse così
stressante,
essere figlia unica fino ad allora era stata la cosa più
facile
della mia vita. Come se non bastasse, il signorino si comportava
così
solo con me, come a farlo apposta, con gli altri era completamente
normale. Eva, la mia migliore amica, era cotta di lui e passava le
serate a casa mia a fissarlo mentre il signorino se ne stava steso
sul letto in mutande e canottiera, come di suo solito, non calcolando
chi era in quel momento in camera. Ovviamente la camera in comune era
stata una brillantissima idea di mio padre. Ma questa è
un'altra
storia.
“Siamo
arrivati tesoro!” la donnina dai tratti orientali al volante
stoppò
la macchina e noi scendemmo a passo di marcia, pronti a un'altro anno
scolastico deprimente e senza allegria.
“Non
essere così depressa Sally, ci sono qua io” mi
strinse in una
morsa d'acciaio, facendomi respirare a mala pena e inebriando le mie
narici del suo dopobarba schifoso, come se non lo sentissi abbastanza
nel bagno di casa nostra.
“Che
fai, Clive! Non devi abbracciarmi in pubblico ricordati!” ero
leggermente spazientita, non so se si fosse notato.
“Scusa,
perchè tuo fratello non può
abbracciarti?”
“Perchè
sei mio fratello solo da tre mesi, cazzo!”
La
storia mia e di quella peste di Clive era tra le più
classiche e
allo stesso tempo originali. Fratellastri da pochi mesi, mio padre e
sua madre, già ci odiavamo, e qui sta la
classicità. La cosa mai
vista prima era che non sapevo niente
di lui, a parte l'età, il colore dei capelli e tutte quelle
cavolate
genetiche che si vedono a vista. Non sapevo qual'era il suo colore o
il suo piatto preferito, ne quando era nato. Eppure eravamo in
simbiosi ventiquattrore su ventiquattro. Eh si, in tutte le sue
sfaccettature e contraddizioni Clive sapeva sorprendere molto bene.
Era tremendamente riservato, ma allo stesso tempo mi trattava come se
sapesse tutto di me e come se ci fossimo conosciuti da una vita.
Iperprotettivo
era dire poco. Mi stava attaccata tutto il giorno, pur mostrando un
certo astio nei miei confronti.
“Si
sente già come a casa!” aveva dichiarato mio
padre. Già, ma
qual'era casa sua? Poteva sembrare una cosa elementare, ma non ne
avevo la più pallida idea. Da dove venivano Clive e Lucille?
Uno dei
miei ricorrenti problemi esistenziali al tempo. Come no.
“Eccoci
siamo arrivati” dissi fermandomi davanti al cancello della
nostra
scuola “Allora, ripetimi: chi sono io?”
Sbuffò.
Uno sbuffo rassegnato e terribilmente fiacco.
“Serena
Elisi, diciassette anni, classe 4^B commerciale”
annuì.
“E
tu?”
“Clive
Stevanin, diciassette anni, classe 4^C geometri. E non sono tuo
fratello, noi manco ci conosciamo. Detto bene?”
Io
annuì nuovamente e gli diedi un leggero bacio sulla guancia,
presa
dall'euforia “Sei stato bravo, Cliv” lo lodai
accarezzandogli la
testa e vedendolo diventare paonazzo.
“G-Grazie...”
sarà stato antipatico da morire, ma era carinissimo, e quando
gli
facevi dei complimenti o lo riempivi di gesti carini si addolciva
tantissimo, diventando un bambino coccolone e senza difetti. Era di
una tenerezza incantevole, lo ammetto a mani scoperte.
“Ehi
Serena!” Eva, di cui vi ho già accennato
l'esistenza, si
avvicinava a passo spedito, attirata molto probabilmente
dall'intossicante profumo che il mio fratellastro aveva addosso
“Oh,
Clive non ti avevo visto!”
Ma
a chi vuoi darla a bere, tesoro?
“Ciao
Eva” ecco: la trasformazione da bambino capriccioso a super
figo
aveva avuto atto “Come stai?” il suo sguardo si era
fatto deciso
e il suo colore era tornato il solito rosa pallido e candido.
“Benissimo
tu?” mi faceva quasi vomitare il modo in cui quella che
doveva
essere la mia migliore amica, nella buona e nella cattiva sorte, si
faceva abbindolare dal moretto affianco a me. Gli occhi blu puntati
su di lui, come se fosse una specie di dio. Dimenticavo, lei lo
trattava proprio come se fosse un dio.
“Molto
bene, grazie” e sorrise. Un sorriso acceso e dolcissimo,
quasi
diabetico fino al midollo. “Ti sta molto bene quella
camicetta”
ecco, flirtavano anche adesso. Non potevo sopportarlo.
“A
me piace molto il tuo giacchetto” eh? Per favore era
orribile. Eva
svegliati! “Oh grazie! Speravo proprio ti piacesse”
Balle! Lo
aveva addosso solo perchè mio padre glielo aveva imposto con
la
forza, era un suo regalo e durante il primo giorno alla nuova scuola
gli avrebbe fatto fare un figurone secondo lui. Si vedeva che mio
padre non capiva una cicca di moda.
In
ogni caso, non riuscivo più a sostenerli e con una scusa
inventata
al secondo, me ne andai verso la prima porta che vidi e mi ci chiusi
dentro. Era un bagno. Un bagno di quelli messi male, a dirla tutta.
Faceva
un caldo infernale e mi tolsi la giacca, troppo pensate per quel
periodo, accorgendomi però do avere ancora molto caldo. Mi
guardai
attorno e non vedendo nessuno all'orizzonte, mi tolsi la maglia per
levare la canottiera, rimanendo in solo reggiseno.
“Tu,
ragazza in reggiseno!”
Tirai
un urletto, voltandomi, e notando un ragazzo biondo, alto circa dieci
centimetri più di me, che mi fissava con due occhi di
ghiaccio, duri
e senza scrupoli. Cercai disperatamente la mia maglia, cadutami per
terra per lo spavento e, una volta afferratala, cercai di coprirmi il
seno ma con scarsi risultati.
“È
inutile che ti copri, ragazzina. Si vede tutto”
Cercai
la voce per ribattere, ma più fissavo quei due fanali
bianchi come
la neve, più la mia fiducia se ne andava
“Approposito... che fai
nel bagno degli uomini mezza nuda? C'è per caso un sedicenne
arrapato qui in giro?”
“Io
ne ho diciassette di anni, scemo!” la cosa più
stupida che potevo
dire, ovviamente, la dissi. Subito dopo, immersa fino a qui nella
vergogna e sempre cercando di nascondere la mia terza di reggiseno
con una maglietta minuscola, notai un altro paio di cose
fondamentali. Primo: aveva ragione lui, eravamo nel bagno degli
uomini, l'insegna con l'omino lo faceva notare forte e chiaro.
Secondo: avevo già visto quel ragazzo da qualche parte, ma
non
ricordavo dove; e terzo: senza volerlo ci eravamo avvicinati molto
più di quello che avrei mai potuto volere.
“An
si? Diciassette anni? Come ti chiami, sentiamo”
“Serena”
scandì, allontanandomi.
“Bene,
Sere. Ti dispiace andartene che devo pisciare urgentemente?”
Regola
numero uno: MAI nessuno, dico nessuno, è autorizzato a
chiamarmi
Sere.
Il
mio sguardo si fece cupo e ricominciai ad avanzare verso di lui,
decisa da dargli una lezione.
“Allora
non lo capisci l'italiano, eh? Perchè non te ne vai da
qualche tuo
amico o fratello che ne so....”
Regola
numero due: MAI ricordarmi che avevo un fratello. Mi faceva diventare
dannatamente isterica.
Ancora
più adirata lo spinsi contro il muro, sentendo il suo gomito
che
sbatteva sul leggero cartongesso.
“Lasciami
stare, cazzo! Cosa devo dirti, che ti amo se te ne vai?!”
Regola
numero tre: MAI pronunciare le parole “ti amo”
senza un pretesto
preciso in mia presenza.
E
scattai come una molla, polso dritto, mano rigida. Un bel ceffone
stampato sulla sua guancia sinistra, senza nemmeno avere il tempo di
pensare a quello che stavo facendo. Ma sfortunatamente, subito dopo
me ne resi conto.
Portai
una mano alla bocca, devastata perchè avevo appena preso a
schiaffi
un ragazzo che avevo appena conosciuto, e che avevo appena notato
essere bellissimo. Gran bel momento per notarlo ovviamente!
“Scusa,
scusami!” cercai di scusarmi in tutte le maniere possibili,
ma più
fissavo l'orrendo stampo rosso fuoco che gli avevo impresso sulla
guancia, più mi rendevo conto che stavo facendo una cavolata
dopo
l'altra.
Lui
con la mano destra mi allontanò, mentre con la sinistra si
copriva
il marchio
e intanto mi guardava con occhi gelidi “Che diavolo ti
è saltato
in testa? Non sono mica la tua bambola!” ero veramente
distrutta e
la mia emotività stava venendo fuori, quando qualcuno mi
faceva la
predica mi atterrivo in un modo pauroso. Fece per alzare le mani,
forse per afferrarmi o forse per schiaffeggiarmi a sua volta, ma un
braccio sbucato dal nulla lo bloccò all'improvviso.
“Che
stai facendo, non si tocca una ragazza!”
Eccolo,
il mio peggior incubo. Clive in carne ed ossa, davanti a me che mi
difendeva senza un motivo, fissando il biondino con aria perfida, con
gli occhi che sprizzavano energia pura. Non l'avevo mai visto
così.
“E
tu adesso chi cazzo sei?!” per tutta risposta, l'altro si
staccò
dalla presa e indietreggiò, fino a che non fu fermato
nuovamente dal
muro di qualche riga più sopra.
“Sono
Clive, Clive Stevanin, futuro re!”
Sia
io che occhi di ghiaccio ci rimanemmo (concedetemi il modo di dire)
di merda. Un'altra, forse l'ultima, cosa da sapere su di lui: si
credeva un erede al trono, una specie di principino
dell'antichità,
fuggito dal suo regno per cercare la tranquillità e bla bla
bla...
diciamo che se non avesse messo in scena una presentazione
così
ridicola, avrebbe anche potuto impressionare qualcuno, ma aveva
fallito miseramente.
Il
ragazzo scoppiò quasi a ridere e fu in quel momento che vidi
per la
prima volta il suo sorriso da lobo a lobo. Era veramente buffo e
senza rendermene conto risi anche io.
“Sally!
Io ti difendo e tu ridi?!”
Non
lo ascoltai e continuai a fissare gli occhi del lui davanti a me,
sprizzanti di allegria e leggerezza. Non erano più
così freddi e
ghiacciati tutto ad un tratto. Come per magia, si accorse del mio
sguardo puntato su di lui, smise di ridere e cominciò a
guardarmi in
modo molto più intenso. I nostri sguardi incrociati da una
catena
invisibile, vennero interrotti dall'inutile figura di Clive che
raccolse la mia maglietta, caduta poco prima durante l'impatto con la
guancia del tipo. In un secondo il mio volto si tinse di rosso e
afferrando la maglia corsi dentro un gabinetto, sbattendo la porta in
modo che mezza scuola mi sentisse.
Subito
dopo il veloce cambio d'abito, rimasi li ferma immobile, con
l'orecchio appoggiato alla porta di legno nel tentativo di origliare
una parte della loro discussione iniziata poco prima.
“Re?
Re di cosa?” il biondo stava evidentemente schernendo il mio
fratellastro per la sua ultima affermazione, e non avevo niente da
ridire perchè è la stessa cosa che avrei fatto
anche io.
“Non
credo ti freghi più di molto, e poi ho detto futuro
re”
L'altro
rise, cercando come sempre di trattenersi, ma riuscendo poco nel suo
intento e scatenando un nervosismo in Clive che cominciò a
battere
col piede per terra, suo inarrestabile tic.
“Okay,
scusa” era veramente pessimo, si sentila lontano un miglio,
senza
nemmeno guardarlo in faccia, che stava cercando di prenderlo in giro
“Dimmi, che rapporto avete te e la giovane escort qui
presente?”
scemo lo era di sicuro, perchè non si rendeva conto che lo
sentivo
benissimo; oppure lo faceva apposta e allora, oltre ad essere
stupido, sarebbe stato anche un grandissimo stronzo.
“Io...
io e lei, ecco...” forse la testolina bacata che il moretto
aveva
si stava attivando, perchè sembrava voler desistere nel dire
che era
mio “fratello”,
cosa che effettivamente gli avevo raccomandato di non fare.
In
quel caso la figura di Clive si sarebbe presentata più a
meno così:
un futuro re che se andava a spasso per i bagni a salvare le donzelle
mezze nude da ragazzi completamente normali che non sarebbero mai
riusciti a rendersi conto di quello che stava succedendo. Sarebbe
stato presentato come un personaggio molto imbarazzante, cosa molto
brutta se si conta che quello era il suo primo giorno di scuola.
“Eh?
Non ti ho sentito parla più forte!”
“Lei
è mia morosa” a sentire quelle parole caddi a
terra dal colpo. Si
sentì un tonfo provenire da dietro la mia porta e i due si
portarono
davanti a questa incuriositi e confusi. Capii che era arrivato il
momento di uscire da lì.
Con
quel minimo di dignità che mi era rimasto, aprii la porta in
modo
abbastanza diretto, con un solo spintone sicuro, rossa in viso fino
alla punta dei capelli e fissando in modo truce il moro principino.
“Ma
guardatevi che carini” prese parola il biondo, allontanandosi
da
noi un passo per assistere meglio alla scenetta “i due
morosetti
che fanno figuracce insieme, che dolci!” rise in modo
disprezzante
e si girò per andarsene.
Ci
rimasi malissimo.
Sapevo
che era solo una cavolata, non era successo niente di grave o
irreparabile, solo una figuraccia come tante e una piccola bugia
venuta fuori a causa di un momento di panico. Ma rodeva e bruciava
tantissimo. Sentirlo ridere mi faceva sentire veramente triste, e
anche Clive era rimasto di sasso.
Mi
venne automatico girare il volto e poggiarmi contro la cosa
più
vicina, in questo caso la spalla del mio fratellastro e per un paio
di minuti buoni restammo in silenzio così, come se niente
fosse
accaduto. Poi presi la parola.
“Perchè
cazzo hai detto che sei mio moroso?!” mugugnai atterrita.
“Mi
sembrava la cosa più sensata da dire” rispose lui
piatto “Non
dovevo dire che eravamo fratelli”
“Ma
non dovevi dire nemmeno che ci conoscevamo”
“Questo
mi è sfuggito”
Avrei
tanto voluto rispondere con un “L'avevo
notato”
ma sarebbe stato inappropriato e l'avrebbe ferito ancora di
più.
Certo, io e lui non eravamo così uniti, ma non mi sarei mai
permessa
di scalfirlo mentre stava già evidentemente soffrendo.
“Credo
sia meglio andare in classe” proposi.
“Già”.
Durante
la ricreazione non riuscivo a sentirmi tranquilla. Tutto il malumore
era passato e avevo la grandissima voglia di scoprire che fosse quel
biondino da paura, per andare la e dirgliene quattro.
“Descrivimelo,
magari so dirti chi è” avevo parzialmente
raccontato a Eva a storiella del bagno, tralasciando il mio essere in
reggiseno e il fatto che io e Clive eravamo stati insieme per due
secondi netti.
“Allora:
era alto e biondo, un biondo chiaro chiaro, quasi platino. E aveva
anche due occhi molto chiari, come il ghiaccio e molto freddi”
Le
mi guardò un attimo storta “Sai quanti ragazzi
così ci sono a
scuola con capelli biondi e occhi chiari?”
Scossi
la testa indignata: non capiva. Non erano degli occhi qualsiasi:
così
freddi gelidi senza espressività, ma che riuscivano a
trasformarsi
in due fanali pieni di calore quando sorrideva. Di sicuro non c'erano
altri ragazzi così a scuola.
“È
complicato”
“Me
ne sono accorta” sbuffò “Vediamo se
riusciamo a vederlo in giro”
E
così partì la nostra ricerca disperata del
biondino. Dopo aver
girato due piani inutilmente decidemmo di dividerci “Io vado
verso
la classe di Clive” dissi “e tu ti sposti verso
quel corridoio,
okay?”
Mi
gettai in quella marea di persone nel corridoio della 4^ e 5^
geometri, spintonando un po' di persone e facendo non pochi disastri,
come mio solito. Intravidi il mio fratellastro e gli corsi in contro
domandando se avesse visto occhi di ghiaccio nei paraggi.
“No,
cioè si...” sembrava un po' confuso.
“Si
o no?!”
“Si!
Lui è...”
Non
fece in tempo a finire la frase che ci trovammo vicinissimi, legati
da un braccio maschile dietro le nostre spalle “Ehi
fidanzatini”
la cosa positiva era che avevo trovato il ragazzo che cercavo, quella
negativa era il fatto che credesse ancora nel nostro fidanzamento
“Come state?” credo lo facesse apposta, ma stava
urlando quasi
volesse attirare l'attenzione di tutti. Infatti ci trovammo come
illuminati da dei riflettori, con l'intero corridoio che ci fissava
perplesso.
Il
tipo si spostò di lato e guardandosi attorno per assicurarsi
che
tutti lo stessero guardando si rivolse a noi con voce stavolta
più
mite “Che ne dite di un bel bacio per celebrare la
cosa?”
Stavo
quasi per mettermi a ridere e a raccontare tutta la verità,
ma mi
bloccai pensando all'emerita figura di cavolo che avrei fatto.
Così
mi voltai verso Clive per chiedere consiglio a lui e mi ritrovai
coinvolta in quello che avrei voluto non accadesse mai. La mano di
lui mi afferrava il mento e portava la sua bocca a congiungersi con
la mia, in un bacio di pochi attimi, leggero, casto e puro, senza
un'eccessiva partecipazione da parte di entrambi.
Eppure
fu proprio quel bacio a far scomparire il sorriso dagli occhi del
biondo, nonostante tutt'attorno si levassero applausi da parte di
completi sconosciuti.
***
Okay la mia prima storia nel
campo romantico! So benissimo che non è nulla di che, ma
vorrei sapere il parere di chi storie del genere ne legge taaante ogni
giorno. Sto cercando di migliorarmi e le critiche costruttive non
possono che fare bene.
A voi la parola!
Grii
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