1. Sorry,
did I wake your dreams?
Disclaimer. Gli Avenged Sevenfold (M. Shadows, Zacky Vengeance,
Jimmy "The Rev" Sullivan, Synyster Gates e Johnny Christ) sono persone
realmente esistenti. I personaggi originali non sono ovviamente persone
realmente esistenti, ma semplice frutto della mia immaginazione (Meg
Seward, Peter Whitestone e altri che verranno di seguito). Questa
narrazione è frutto della mia (malata) fantasia e non
prentede di raccontare fatti realmente accaduti ma semplicemente
è pura invenzione. Non conosco personalmente la band
(purtroppo, vorrei aggiungere) né tutti i personaggi
realmente esistenti che verranno citati. Con questa storia non si hanno
fini di lucro ma di puro intrattenimento! Detto ciò, ENJOY :D
Margaret Kelsey aveva
sempre avuto una bella voce. Sin da piccola, i suoi genitori la
ascoltavano con affetto mentre intonava dolci canzoncine, con quelle
sue delicate corde vocali. Così l’avevano iscritta
a corsi di canto e affini, per poter sviluppare quella sua
inclinazione. E non era nemmeno stato difficile, poiché la
piccola Meg amava la musica più di ogni altra cosa al mondo,
adorava intonare quelle parole che le servivano per comunicare a tutti
quanti il suo stato d’animo. Con la musica
esprimeva tutto ciò che il suo cuore provava, senza dover
necessariamente interloquire con qualcuno, semplicemente cantando o
suonando il pianoforte.
I
tempi del liceo erano stati strani, si era sentita sempre presa in
considerazione solo e soltanto quando c’era bisogno di una
bella voce, di qualcuno che cantasse o che suonasse qualcosa. E a lei
quella situazione in cui veniva sfruttata non piaceva affatto. Era
cresciuta nell’assolata Huntington Beach con la musica come
unica compagna, unico amore, non ebbe nessun ragazzo serio fino
all’ultimo anno di liceo, solo storielle leggere, a cui lei
non dava alcun peso. Amava cantare sopra ogni altra cosa, del resto
poco le importava. Ai suoi diciotto anni giunse la storia seria, che le
prese l’anima. Lui era un ragazzo eccentrico, stravagante, ma
anche piuttosto farfallone, infatti in poco tempo si stufò
di lei, lasciandola sul ciglio di una strada immaginaria a ricomporre i
pezzi del suo cuore spezzato. Fu dopo essersi diplomata che decise cosa
avrebbe fatto della sua vita: non le importava degli amori, non le
importava avere una casa piena di bambini e voci di persone. Voleva
dedicare la sua vita alla musica. Non avrebbe iniziato
l’università, voleva cercare fortuna con la sua
splendida voce. Molti le avevano detto che avrebbe potuto far carriera.
Perché non provare? Aveva iniziato con l’esibirsi
in locali, pub e qualsivoglia festa, mettendo in mostra le sue doti
canore per un qualsiasi produttore che sarebbe casualmente passato di
lì. Aveva cantato per alcuni anni in piccoli locali,
riscuotendo un discreto successo che le portava sempre nuovi ingaggi.
Le mancava il piccolo salto per spiccare il volo, per gettarsi a
capofitto nel mondo che la sua unica e meravigliosa passione le apriva
dinanzi. Eppure non riusciva a trovare chi la aiutasse a
compiere quel salto nel vuoto che l’avrebbe condotta verso un
mondo luccicante e pieno di sorprese.
Aveva
ventun anni quando, finalmente, era arrivato il suo momento. Un
dannatissimo discografico l’aveva sentita cantare, ammirando
la sua bella voce e dicendole che se avesse voluto essere conosciuta
non doveva far altro che andare a letto con lui. La bella Meg non si
era certo fatta pregare per dargli un due di picche di quelli epici,
dicendogli che se avesse voluto fare la puttana sicuramente avrebbe
trovato clienti migliori di lui. E così, a ventiquattro
anni, si trovava ancora invischiata in quella rete fatta di piccole
parti, soltanto misere esibizioni rispetto a quello che avrebbe voluto,
ma mai si era lamentata, poiché era stata la sua scelta,
quella, e non avrebbe di certo mollato tutto soltanto perché
non riusciva a trovare la fama e il successo che pensava di meritarsi.
Se c’era la musica, il resto non le importava.
Con
la costanza e l’impegno, però, venne premiata. Un
produttore la sentì cantare a una festa, decidendo che
quella ragazza doveva far parte della sua casa discografica. Le fu dato
un biglietto da visita e la promessa che alla Warner Bros lei avrebbe
fatto carriera.
Margaret Kelsey stava dinanzi all’enorme edificio della
Warner a Los Angeles, le spalle curve e lo sguardo leggermente
preoccupato. Come poteva essere certa che sarebbe davvero riuscita a
sfondare? L’uomo che l’aveva ingaggiata ne sembrava
sicuro, diceva che la sua voce era troppo bella per rimanere
inascoltata, ma lei stentava a crederci. Dopo tutti quegli anni di
difficoltà, era davvero incerta sul da farsi. Prese
finalmente il coraggio a due mani, entrando nello stabile e dirigendosi
verso la reception. Il posto era affollatissimo e pieno zeppo di gente
che andava e veniva, lei domandò come potesse incontrare il
signor Whitestone, dicendo di avere un appuntamento. Sedicesimo piano,
terza porta sulla destra. Ce la poteva fare. Salì sul primo
ascensore che trovò, pigiandosi insieme a molte altre
persone in quello spazio angusto. Respirò a fondo quando si
fermarono sul suo piano e scese, trovandosi dinanzi ad una piccola sala
d’attesa che dava su un lungo corridoio. Non sapeva se
avrebbe potuto dirigersi direttamente verso l’ufficio
indicatole, quindi si accasciò su una sedia, prendendo una
stupida rivista di moda e sfogliandola con poca convinzione.
Notò una macchinetta del caffè in un angolo della
sala, ma decise che non era tempo di caffeina, le avrebbe soltanto teso
ulteriormente i nervi, così attese nel completo silenzio
asettico del luogo. La moquette bianca e i quadri dai colori delicati
alle pareti non facevano altro che rafforzare la sensazione di pace e
tranquillità che la stanza infondeva. La ragazza
tossicchiò in completa solitudine, mentre aspettava che
qualcuno, una qualsiasi persona, venisse a dirle qualcosa, anche solo
per rimandarla a casa, che ne sapeva! Non le importava, bastava
soltanto che non la lascassero lì fuori da sola a macerare
nei suoi dubbi e aspettative che, sapeva, sarebbero state deluse.
Perché Margaret non era un’illusa, sapeva di non
avere grandi possibilità di riuscita. Quando finalmente una
delle porte del corridoio si aprì, fu stupita, se non
sconcertata, nel vedere chi era uscito da quella stanza per ingurgitare
una dose di caffeina.
James
Owen Sullivan stava camminando davanti a lei, non degnandola di uno
sguardo, mettendo un piede dietro l’altro sul manto bianco
che ricopriva il pavimento e armeggiando con la macchinetta del
caffè nell’angolo opposto della stanza.
L’uomo tornò poco dopo presso il posto dove sedeva
compostamente la ragazza, sorridendo.
«Questa
riunione sta durando troppo peri miei gusti.»
esclamò rivolgendosi a lei.
Meg
lo guardò a bocca aperta. Uno dei suoi idoli le stava
rivolgendo la parola come se nulla fosse, come se fossero stati amici
di vecchia data e lui avesse soltanto voluto farle presente quanto si
stesse annoiando in quella stanza angusta insieme ai suoi compagni e
amici. Gli occhi chiarissimi di lui si soffermarono sulla sua
scollatura per qualche secondo, per poi tornare velocemente sul suo
viso. Si sedette al fianco della donna, mentre ancora lei boccheggiava
per l’assurdità della situazione. Non solo aveva
avuto la fortuna di capitare nella loro stessa casa discografica, nello
stesso giorno in cui avevano una riunione con i produttori. Aveva anche
avuto l’immenso, gigantesco culo di incontrare Jimmy, the
Rev. La ragazza lo fissò qualche attimo, per poi accorgersi
che l’altissimo uomo seduto al suo fianco attendeva un
qualche genere di risposta.
«Oh,
uhm, mi dispiace. Io sono qui per vedere Peter Whitestone.»
affermò senza troppa convinzione. Il batterista sorrise,
annuendo con comprensione.
«Penso
che ne avrà ancora un poco con noi e poi sarà
libero per dare ascolto a questa bella signorina.»
ammiccò lui, per poi continuare: «Prima volta che
vieni qui, vero?»
Margaret
annuì, scostandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. Il ragazzo dai capelli scuri annuì a
sua volta, bevendo il caffè.
«Anche
noi eravamo piuttosto tesi al primo ingaggio, ma vedrai che
andrà benissimo. Peter è un’ottima
persona, anche se a volte diventa… Noioso. Comunque io sono
Jimmy.», concluse con un sorriso, tendendole la mano. Meg
avrebbe voluto ridergli in faccia, dicendo che sapeva benissimo chi
fosse, ma si limitò a sorridere e stringere la mano che
l’uomo le porgeva.
«Margaret,
piacere di conoscerti.»
Margaret Kelsey sedeva con Jimmy “the Rev” Sullivan
in una sala d’attesa della Warner Bros Records, a Los
Angeles, ridendo sguaiatamente per un aneddoto divertente che il
ragazzo le aveva appena narrato. Quando si riprese, guardò
l’orologio appeso alla parete. Era ormai passata
mezz’ora da quando James era lì con lei,
così la ragazza domandò:
«Non
dovresti tornare dentro?»
Dopotutto
c’era una riunione in corso, che ne poteva sapere lei di cosa
accadeva in quello studio.
«Nah,
possono anche fare a meno di me.»
Proprio
in quel momento la porta della terza stanza sulla destra si
spalancò, facendo spuntare il capo spettinato di un
irritatissimo Brian Haner Jr. Questi si guardò intorno con
aria furiosa e quando finalmente individuò l’amico
seduto su una delle sedie di plastica sbraitò:
«Cazzo
Jim, il mio cazzo di caffè?»
Il
ragazzo ridacchiò, alzandosi e dirigendosi alla macchinetta
per prendere un bicchiere di plastica colmo di liquido scuro e bollente
e porgerlo al brunetto, che lo fissava con occhio critico.
«Qui
abbiamo quasi finito, hai intenzione di tornare dentro oppure resti
lì a fare il cascamorto come solo tu sai fare?»
Jimmy
rise ancora una volta, scuotendo la testa.
«Sei
soltanto geloso perché l’ho trovata prima
io.»
L’occhio
clinico e analitico di Brian scrutò la ragazza che sedeva
con aria intimorita nella sala d’attesa. Jim se le sceglieva
bene.
«Bene,
allora tieni compagnia alla signorina, tanto non
c’è bisogno di te.» concluse chiudendo
di scatto la porta. Rev tornò a sedersi al fianco di
Margaret, sorridendo.
«Che
ti dicevo?»
Passarono
altri dieci minuti prima che la porta si spalancasse di nuovo, facendo
uscire la band al completo. Il ragazzo al suo fianco si alzò
di scatto, mentre M. Shadows, con i soliti occhiali, si dirigeva verso
l’ascensore, seguito da un allegro Johnny e uno Zacky che si
guardava intorno con aria curiosa e gli occhi verde chiaro
così luminosi da far boccheggiare Meg quando incontrarono i
suoi. L’aveva visto in fotografia più di una volta
ma mai avrebbe pensato che le iridi del ragazzo possedessero un colore
così vivido. A chiudere la fila vi era mr. Gates, con
calcato in testa un cappello rosso e un sorriso strafottente sulle
belle labbra.
«Forza
Jim, andiamo.» aveva ordinato il cantante, mentre tutta la
band entrava in ascensore. Il batterista si era fermato solo un attimo,
per scompigliarle i capelli e augurarle un in bocca al lupo a cui lei
rispose sussurrando:
«Crepi,
il lupo.»
Margaret Kelsey aveva cambiato nome. Ora Meg Seward sedeva nel terzo
ufficio a destra al sedicesimo piano nella sede della Warner Bros, a
Los Angeles. Peter Whitestone, come le aveva anticipato Jimmy, era
cordiale e disponibile, anche se spesso iniziava discorsi complicati
che la povera ragazza seduta davanti a lui non riusciva a seguire, ma
annuiva comunque, sorridendo. Sarebbe stata prodotta, le sue canzoni
sarebbero state ascoltate in tutto il mondo. Meg Seward sarebbe
diventata una cantante famosa. Il nome l’aveva scelto insieme
a Mr. Whitestone, che le aveva detto di chiamarlo semplicemente Peter:
Meg era l’abbreviazione del suo nome che tutti usavano,
mentre Seward era il cognome di uno dei suoi idoli, Jonathan Seward,
l’uomo che aveva appena incontrato in corridoio sotto le
vesti di Johnny Christ, nato nel suo stesso giorno, il diciotto
novembre. Ed esattamente un mese dopo il suo ventiquattresimo
compleanno il sogno di Margaret si era finalmente realizzato. Il
diciotto dicembre dell’anno 2009, in quell’ufficio
della Warner, la donna portava a compimento il suo sogno più
grande.
Nove
giorni dopo sedeva ancora su quella sedia di finta pelle, alle prese
con la creazione del suo primo singolo. Aveva scritto il testo,
portandolo a Peter (sì, aveva abbandonato il
“Mr.” quando l’uomo l’aveva
rimproverata per la millesima volta), che ora lo leggeva con interesse.
«Mi
piace!» affermò infine, facendo sorridere la
ragazza.
«Ne
sono felice, l’avevo scritto tanto tempo fa, aspettando
questo momento. L’ho rivisto e corretto.»
L’uomo
annuì, rileggendo ancora una volta quella canzone, scritta
dalla bella creatura che gli sedeva di fronte. Poteva andare, vedeva
già il successo in quegli occhi color caramello. Ce
l’avrebbe fatta.
«Perfetto,
ora basta solo pensare all’arrangiamento. Domani allo studio
di registrazione, così cominciamo a pensare alla
melodia.»
Le sorrise,
stringendole la mano e congedandola. La donna uscì dalla
stanza con un enorme sorriso sulle labbra, a dimostrazione della sua
tangibile felicità. Presto avrebbe coronato i suoi sogni di
gloria, ma nulla la rendeva più contenta
dell’aver, finalmente, raggiunto il suo obbiettivo. Aveva
dovuto faticare, non era stata un’ascesa facile e immediata,
ma era giunta esattamente dove voleva. E il giorno dopo il suo sogno
sarebbe iniziato.
L'angolo
della piccola folle:
ovvero l'angolo di
quella mongola dell'autrice ;D Salve gente! Okay, vi vorrei spiegare
come nasce questa malatissima fic. Ho creato un pg -sì,
è Meg- ed ho subito pensato che sarebbe stata adatta ad una
storia simile. Perciò eccomi qui. Questa storia è
dedicata al grande Rev, batterista fantastico e persona straordinaria.
Volevo fargli un piccolo tributo. Questo primo capitolo, come
probabilmente anche il secondo -probabilmente un corno, ce l'ho bello
che scritto- saranno introduttivi dei fatti che verranno narrati di
seguito. Spero che qualcuno possa apprezzare la mia prima
sperimentazione in questo fandom, ho deciso di provarci anche io. Un
saluto, al prossimo capitolo
Berrs *w*
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