Fandom: La Sirenetta/Supernatural.
Pairing: merman!Castiel/prince!Dean.
Rating: Pg13.
Beta: Narciss63 (la
mitica ♥).
Genere: Angst,
Comico, Introspettivo, Romantico.
Warning: La Sirenetta!AU, Crossover, Fluff, Slash.
Words: 4732 (fiumidiparole).
Summary:
Trasposizione Destiel della celeberrima “La
Sirenetta” di Andersen, con finale alternativo.
Note: Scritta per
l’ottava
– e ultima, sigh – settimana della COW-T di fiumidiparole e maridichallenge,
Team Maghi – Missione 2: fandom!AU.
Il titolo della fic è quello dell’omonima canzone degli U2
(no, dico, avete presente il video? *-*♥) da cui sono tratte le strofe
che fanno da introduzione e da conclusione alla storia.
DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
Eletrical Storm
Il mare è gonfio come
un mal di testa
e la notte fa male.
Due amanti sono stesi, senza lenzuola, nel loro letto
e il giorno sta cominciando.
Sei sempre nella mia testa.
So che non è abbastanza.
Se il cielo si apre,
ci deve essere un modo di tornare
ad amare e solo amare.
C’era una volta negli abissi, dove l’oceano è più blu e
profondo, un castello fatto di corallo, con il tetto ricoperto da ostriche celanti
splendide perle. Lì viveva il Re del mare, attorniato dai suoi numerosi figli e
figlie, tutti bellissimi e dotati di voci capaci di incantare il cuore dei
mortali. Ognuno di essi, però, aveva una lunga e lucente coda di pesce al posto
delle gambe.
Trascorrevano il tempo giocando con i pesci, che
s’intrufolavano attraverso le finestre del palazzo come rondini, e adornando il
giardino del castello, nel quale ognuno si prendeva cura di un’aiuola.
Castiel, il più giovane ed affascinante tra loro, aveva la
voce più bella del mare, ma era silenzioso e riflessivo. Curava con attenzione
la propria aiuola, al centro della si trovava una bellissima statua di marmo
bianco, ritrovata in un relitto, ma più spesso saliva in superficie per
osservare le navi che oscuravano il suo regno, e per guardare da lontano le
terre degli uomini, enormemente incuriosito da quel mondo che non poteva
raggiungere.
Fu durante una di queste escursioni
che si avvicinò ad un vascello, che navigava placido sull’acqua tranquilla. Il
ponte era illuminato a festa da luci colorate e dagli oblò giungeva una musica
allegra, così lui si accostò ad uno di essi per sbirciare all’interno. Allora
vide un bellissimo ragazzo dagli occhi verdi che rideva e ballava con tutti,
animando la festa; era il principe del regno vicino e si festeggiava il suo
compleanno.
Il giovane tritone s’incantò ad osservarlo, senza badare
allo scorrere del tempo, e non si accorse della tempesta che nel frattempo si
stava preparando. Non che per lui fosse un problema, sapeva nuotare benissimo
in qualunque situazione, ma per gli umani non era lo stesso.
Presto la nave venne ghermita dalle onde, che la
sballottarono e la trascinarono al largo, finché – sotto il suo sguardo
preoccupato – riuscirono a rovesciarla, gettando gli uomini e tutto il suo
contenuto in mare. Castiel sapeva che gli umani non potevano vivere in acqua, a
volte i loro corpi giungevano fino al suo regno, inanimati e freddi come la
pietra, e non poteva sopportare l’idea che la stessa sorte capitasse al
principe. Così nuotò in mezzo ai pericolosi resti del relitto, che sospinti
dalle onde rischiavano di colpirlo, e lo raggiunse appena in tempo, quando
ormai le forze lo stavano abbandonando e – svenuto – aveva iniziato ad
affondare.
Gli sostenne la testa, assicurandosi che restasse al di
sopra della superficie e se lo strinse al petto, tenendolo al caldo. Il
principe era già molto pallido e le sue labbra piene stavano diventando blu per
il freddo, quindi il tritone si affrettò a portarlo fino a riva e lo stese
sulla spiaggia, vegliando il suo sonno mentre il sole lo scaldava. Gli scostò i
capelli chiari dalla fronte, baciò le sue ciglia ornate di gocce d’acqua e le
guance trapuntate di lentiggini, e proprio allora notò che somigliava molto
alla statua nel suo giardino, ma delle voci umane si avvicinarono e fu
costretto ad allontanarsi.
Si nascose tra la schiuma del mare e vide un gruppo di
ragazze correre in spiaggia per giocare. Una di loro, distinguibile anche a
distanza per i lunghi capelli neri, notò il principe e – dopo un attimo di
sgomento – si avvicinò a lui per controllare che fosse vivo e chiamò le amiche
per aiutarla a soccorrerlo. Il ragazzo si svegliò poco dopo, ed abbracciò e
baciò colei che l’aveva trovato come se fosse la sua salvatrice, mentre Castiel
sentiva il cuore stringersi in una morsa, comprendendo che non si sarebbe mai
ricordato di lui.
In seguito il giovane tritone divenne ancora più distante e
silenzioso, al punto che perfino Gabriel – uno dei suoi fratelli più grandi –
iniziò a preoccuparsi ed andò a cercarlo. Lo trovò a fissare con malinconia la
statua della propria aiuola, come – da un po’ di tempo a quella parte – faceva
sempre.
«Cosa ti rende più noioso di una medusa, fratellino?» lo
interrogò, sgranocchiando distrattamente uno snack di alghe verdi. «Be’, non
che tu prima fossi molto divertente, ma almeno cantavi» considerò subito dopo.
Castiel inclinò la testa di lato con espressione perplessa.
«Perché trovi le meduse noiose?» replicò confuso.
«Sono troppo permalose, pungono» Gabriel storse la bocca in
una smorfia, poi lo sollecitò: «Allora?»
Il più giovane chinò il capo. «Ho incontrato una persona…»
iniziò.
«Awn, il mio fratellino è
innamorato! Chi è lei? Di che colore sono le sue scaglie? Ce le ha grandi?» domandò a raffica, portandosi le mani al petto e
strizzando l’acqua, lì dove le sirene usavano le ostriche per coprirsi il seno.
«Non è una lei» lo
interruppe Castiel.
«Oh… be’, fa lo stesso. Chi è lui? Ce l’ha lungo?»
cambiò interrogativi, inarcando le sopracciglia con fare malizioso.
«È un umano» chiarì allora. «Credo
sia un principe. L’ho salvato da un naufragio».
«Quello altissimo e carino, o l’altro?» chiese allora
Gabriel, con sguardo scintillante d’interesse.
«Non era particolarmente alto, direi nella media dei suoi
simili» rispose il più piccolo meditabondo.
«Ouh! No, quello lì è un idiota. Il
fratello minore è molto meglio» asserì l’altro.
«Allora li conosci?» domandò Castiel entusiasta.
«Sicuro. So dove abitano. Ti ci
porto, se vuoi» lo rassicurò il più grande.
Fu così che risalirono in superficie e Gabriel lo condusse
lontano, fino ad un’insenatura e poi attraverso un canale che portava alla
terrazza del castello del principe. Era un costruzione
di scintillante pietra gialla, ornata di bellissimi archi e zampillanti
fontane.
I principi erano entrambi là e stavano dando di scherma per
allenarsi. Gabriel indicò a Castiel quello più alto, ma per quanto fosse bello
e somigliasse al fratello, lui continuava a pensare che il maggiore fosse
stupendo.
Questi riuscì a disarmare l’altro con un movimento lesto e
gli puntò il fioretto alla gola. «Sei una schiappa, Sammy» lo sbeffeggiò ed il
più giovane sbuffò in modo ben poco principesco.
«Hai approfittato del fatto che avessi il sole in faccia,
Dean» lo accusò.
«La battaglia è anche tattica, non solo
forza» ghignò il maggiore.
Gabriel, vedendo quanto Castiel fosse incantato, gli
sventolò una mano davanti alla faccia. «Pessima, pessima idea, fratellino. Lascia perdere,
non è roba per noi» lo redarguì allora, all’improvviso
molto serio, e lo trascinò via riportandolo in mare aperto.
Castiel non l’aveva mai visto così, di solito era Michael –
il maggiore dei suoi fratelli, nonché erede al trono – ad essere tanto severo.
«A differenza nostra, che viviamo oltre trecento anni,» gli stava spiegando intanto Gabriel «gli umani hanno una
vita molto più breve. Ma quando noi moriamo diventiamo spuma di mare, loro
invece hanno un anima ed ascendono al cielo».
«E non c’è modo, per noi, di ottenere un’anima?» chiese
allora lui.
«C’è» ammise riluttante
l’altro tritone «Ma non ci devi pensare. Se tu
riuscissi a diventare più importante della sua stessa famiglia, tanto da
convincerlo a giurare il suo amore davanti a Dio, allora i suoi sentimenti ti
darebbero un’anima senza intaccare la sua. Però è impossibile, Cassey. Non solo
sei un maschio – quindi non potrebbe sposarti – ma non hai quei sostegni per
camminare che loro chiamano gambe.
Gli umani trovano le nostre belle code orribili» gli rivelò
e si sentì quasi in colpa quando lo vide rattristarsi enormemente.
«Su col morale, fratellino» cercò di rincuorarlo,
passandogli un braccio attorno alle spalle. «Stasera si balla!» esclamò,
ricordandogli che quella notte a palazzo si teneva un
festa. «Vuoi uno snack?» aggiunse poi, tirando fuori da chissà dove un’altra
barretta di alghe verdi.
Più tardi, su volere di suo padre, Castiel cantò per
intrattenere gli ospiti, ma nonostante tutti applaudissero e fosse circondato
dall’affetto dei parenti, il suo cuore era freddo come le profondità
dell’oceano. Sgattaiolando via di nascosto, prese una decisione e si diresse
verso la zona più desolata e pericolosa delle acque: i domini della Strega del
Mare.
Lì il fondale era arido ed inospitale, vi crescevano solo
piante orribili simili a viscidi tentacoli, che ghermivano qualunque cosa si
avvicinasse loro: oggetti, pesci, corpi di marinai annegati, perfino sirene. Il
giovane tritone rabbrividì, ma non si diede per vinto, strinse le braccia al
petto e nuotò più veloce, così che non potessero afferrarlo. Poi dovette
superare i serpenti del mare – chiamati dagli uomini murene – che la
Strega allevava come cuccioli, ed infine scorse la sua
dimora, interamente fatta di ossa umane.
La padrona di casa era lì, intenta a coccolare un viscido rospo, ma… be’, non era esattamente come Castiel se
l’aspettava.
«Sei un maschio» osservò stupito.
«Capitan Ovvio è tra noi» ironizzò lei – lui.
«Ma allora perché ti fai chiamare la Strega
del Mare?» domandò il tritone perplesso, inclinando il capo.
«Attira più facilmente i giovani sirenetti sprovveduti. Ed infatti eccoti qui» asserì ghignante. «Puoi chiamarmi
Crowley, se preferisci» aggiunse, facendo i grattini al rospo sotto al muso.
«Ad ogni modo, so perché sei qui» rise divertito. «Vuoi un paio di quei
sostegni che gli umani chiamano gambe
per conquistare il principe Dean e cercare di ottenere un’anima» il suo tono
era insopportabilmente beffardo, chiaramente considerava Castiel uno sciocco,
ma lui non vi badò.
«Ti aiuterò» decise infine la Strega, assumendo un’espressione
saputa e maliziosa. «Ti darò una pozione che dividerà
in due gambe la tua coda, ma sarà doloroso come venire trapassato da una spada.
Manterrai la tua andatura elegante, ma ad ogni passo che compirai ti sembrerà che
i tuoi piedi vengano trafitti da coltelli roventi e, se il principe non s’innamorerà
di te e sposerà un’altra, all’alba del giorno dopo diverrai spuma di mare. Sei
disposto a sopportare tutto questo?»
«Sì» asserì Castiel conciso, pensando al suo bel principe
per farsi coraggio.
«Bene. Ma gli affari sono affari e
la mia pozione ha un prezzo. Voglio la cosa più bella che hai: la tua voce» annunciò Crowley sfregandosi avidamente le mani.
Il giovane tritone impallidì. «Come farò a conquistarlo
senza di essa?» Non avrebbe potuto cantare per lui, tantomeno parlargli, e Dean
non avrebbe mai saputo che era stato lui a salvarlo.
«Oh, suvvia! Avrai la bellezza
dalla tua parte, i tuoi incredibili occhi blu… ed anche un culo niente male.
Non serve altro per conquistare un uomo» sbuffò la Strega, sventolando una
mano in acqua come per scacciare un pesciolino fastidioso. «Dunque, vediamo un
po’…» ponderò, frugando in un mucchio di ossa alla ricerca di qualcosa. «Dovrei
tagliarti la lingua per prendermi la tua voce, ma senza quella
ti sarebbe un po’ problematico limonare con Dean, quindi…» asserì tirando
finalmente fuori una pergamena e srotolandola su un tavolaccio «metti una
firmetta qui e siamo a posto. Eh, che vuoi farci, ho il cuore tenero!»
Castiel si accigliò, ma non
replicò, prese in mano con decisione la penna offertagli dalla Strega e appose
la propria firma sul contratto. Un attimo dopo quello
sfolgorò di luce, facendogli fare un guizzo indietro e, quando aprì bocca per
farsi sfuggire un’esclamazione stupita, non ne uscì alcun suono. Si portò una
mano alla gola, sfiorandola con rimpianto, ma poi Crowley si tagliò un polso e
fece gocciolare il proprio sangue nero in un’ampolla e, nel momento in cui
gliela porse, ogni altro pensiero sparì dalla sua testa.
«Nuota fino alla spiaggia e bevila
prima che sorga il sole, o non avrà effetto. Se i tentacoli dovessero darti
fastidio, al tuo passaggio getta su di loro una goccia della pozione e andranno
in pezzi» lo istruì la Strega, ma il tritone non
ebbe bisogno di sprecarne nemmeno una goccia, perché le piante si ritirarono
terrorizzate, senza rallentarlo.
Passando sopra al castello di suo padre, sentì il petto stringersi
in una morsa, ma l’alba era vicina e dedicò alla propria famiglia solo un
ultimo pensiero malinconico, prima di voltare le spalle al proprio passato ed a
tutto ciò che conosceva per dirigersi in superficie. Nuotò fino al palazzo del
principe, s’infilò nel canale mostratogli da Gabriel e si stese sulla terrazza,
ingurgitando il disgustoso contenuto della fiala giusto un attimo prima che
giungesse l’aurora.
Subito un dolore lancinante gli attraversò tutto il corpo e
la sua bocca si spalancò in un grido muto, poi la sofferenza gli fece perdere i
sensi.
Quando rinvenne, il principe era accanto a lui e lo osservava
incredulo. Castiel abbassò lo sguardo, temendo che ad allarmarlo fosse stata la
sua coda e che la Strega
lo avesse ingannato, invece la parte inferiore del suo corpo si era trasformata
in un bellissimo paio di pallide gambe. Ed era nudo – tutto nudo.
Arrossì imbarazzato ed il principe sorrise, drappeggiandogli
gentilmente addosso il proprio mantello. «Devi aver
bevuto parecchio, ieri notte, amico» ironizzò. «Chi
sei? Non mi sembra di averti mai visto a palazzo. Ricorderei di certo due occhi
così» asserì.
Il tritone poté rivolgergli solo uno sguardo triste ed un
minuscolo sorriso, indicandogli la propria gola e facendo un cenno di diniego
col capo.
«Oh…» mormorò Dean. «Be’… andiamo dentro, o congelerai»
decise, aiutandolo a mettersi in piedi e passandogli un braccio attorno alle
spalle per condurlo all’interno del castello.
Castiel prese l’altra mano del principe e con delicatezza
tracciò alcune lettere sul suo palmo.
«C-A-S…» lesse il principe «Castiel? È il tuo nome?» domandò, e sorrise quando lui annuì. «Davvero
bello, sembra il nome di un angelo. Anzi, tu
sembri un angelo» osservò, mentre si addentravano fra
i corridoi.
Proprio come aveva predetto la Strega, l’abitante del mare
ad ogni passo aveva l’impressione che punte aguzze e coltelli roventi gli
trafiggessero i piedi, ma non gli importava. Camminò leggero al suo fianco,
maestoso ed elegante, tanto che tutti si voltarono a guardarlo.
Lo stesso Re – che il tritone apprese chiamarsi John
Winchester – lo osservò stupito, con sguardo speculativo. Era un uomo che
capiva chi aveva di fronte alla prima occhiata, di quelli che sparavano sui
possibili nemici ancor prima di fare domande.
«Devi essere un principe» asserì il sovrano «nessuno che sia
inferiore al rango regale ha tanta grazia e fierezza» e Castiel sorrise
enigmaticamente.
«Credo che abbia perso la memoria,
padre. Conosce solo il proprio nome ed è muto» parlò
Dean per lui, togliendolo dall’impiccio.
Lo vestirono di seta e velluto, mettendo ancor più in
risalto la sua bellezza, ed il principe lo prese sotto la sua protezione. Lo
ospitò nelle stanze accanto alle proprie, divise solo da una porta comunicante,
e lo chiamava ironicamente “il suo trovatello” facendo sorridere tutti, Castiel
compreso, che segretamente pensava che fosse lui il suo trovatello.
Si guadagnò subito la sua fiducia e la sua ammirazione,
mostrandosi abile nell’arte della scherma – perché come ogni principe che si
rispetti, se pur Principe del Mare, aveva avuto un’adeguata istruzione militare
– e seguendolo ovunque, in ogni spedizione.
Dean lo portava sempre con sé, sia nelle occasioni di
piacere che in quelle formali. Lo condusse a visitare le campagne e le montagne
del suo regno, ed il giovane tritone lo seguì con incrollabile entusiasmo;
perfino quando diventava chiaro a tutti che i suoi piedi sanguinavano, lui
sorrideva e non lasciava il fianco del proprio principe.
Castiel riusciva a conquistare
tutti con un solo, intenso sguardo ed i suoi occhi erano tanto espressivi che
davvero le parole servivano a poco, e – in quelle rare occasioni in cui erano
strettamente necessarie – rispondeva con carta e penna, che aveva preso
l’abitudine di portare sempre con sé.
Aiutava il principe ad adempiere a
tutti i propri doveri e presto divenne il suo braccio destro, immancabile e
sempre presente. Perfino il principe Samuel ne era stupito – e segretamente un
po’ geloso, come ogni fratello minore – ma vedeva quanto Dean fosse sereno e
quindi accettava la situazione, benché ormai loro due trascorressero molto meno
tempo insieme.
La notte Castiel sgattaiolava di
nascosto fino alla terrazza ed immergeva i piedi doloranti nell’acqua fresca,
osservando malinconicamente il mare. La sua famiglia gli mancava in maniera
struggente, ma non era pentito. Ed in una di quelle notti i suoi fratelli
vennero a trovarlo.
Gabriel gli lanciò una confezione di snack in testa per non
averlo ascoltato e poi gli chiese come andasse e se stesse bene. Anna gli fece
una filippica infinita e Balthazar lo interrogò – con suo enorme imbarazzo –
sulla sua vita sessuale. Michael gli mandò a dire che l’aveva enormemente
deluso – ma di lui a Castiel non importava molto – e perfino suo padre lasciò
il Castello del Mare per risalire in superficie e salutarlo da lontano.
Durante una delle sue piccole scappatelle, il principe lo
seguì e gli si accomodò accanto, facendolo sobbalzare. «Ti piace davvero il
mare, eh?» osservò, spalla a spalla con lui.
Il giovane tritone accennò un sorriso, ma il suo sguardo era
triste. Sapeva che Dean gli voleva bene, più bene che a chiunque altro, ma ancora
non l’amava e continuava a sedurre qualunque bella ragazza che incrociasse la
sua strada. Eppure aveva per lui riguardi che non riservava a nessun altro – ad
esempio, Castiel era sicuro che il principe non si sarebbe
alzato nel cuore della notte nemmeno per il fratello – ed aveva
l’impressione che avrebbe potuto amarlo davvero, se soltanto fosse stato una
donna.
Lo interrogò con gli occhi e Dean comprese subito cosa
volesse sapere. «Sì, non riesco a dormire» rispose, poi posò il capo sul suo
petto e chiuse gli occhi. «Stare accanto a te è incredibile, mi sembra sempre
di essere cullato dall’acqua» mormorò dopo un tempo infinito e lui lo strinse
di più a sé, come quando l’aveva salvato dal naufragio.
Il principe era orgoglioso e virile, non mostrava a nessuno
le proprie paure e debolezze, ma lui riusciva a vedere oltre quell’aria da
spaccone, fino a sfiorare il suo cuore fragile e portarlo a nudo, al punto che
Dean non si vergognava più di cercare il suo sostegno.
«Quand’ero bambino,» gli aveva
raccontato un po’ di tempo prima «la notte mia madre mi diceva che gli angeli
vegliavano su di me».
Castiel sapeva che la Regina Mary era morta poco dopo
la nascita del principe Samuel, e non avendo mai conosciuto la propria madre,
comprendeva cosa volesse dire parlarne.
«Quando ti ho trovato, ho pensato che qualcuno ti avesse
mandato per me» aveva continuato Dean «Credo tu sia il mio angelo, Cas».
Il tritone avrebbe voluto spiegargli che non era caduto giù dal
cielo, ma emerso dal mare, però qualche giorno dopo aveva
letto su un libro cosa fossero gli angeli custodi e quanto fossero belli e
gloriosi, e si era sentito lusingato capendo finalmente le parole del proprio
principe. Lui lo avrebbe sempre protetto – si promise – sempre, finché avesse avuto respiro.
Gli accarezzò con dolcezza i capelli chiari e cercò con i
propri i suoi occhi, verdi come i prati di quel regno. Sono qui – cercava di dirgli – qualunque
cosa accada, sarò sempre qui.
«Mio padre vuole che mi sposi» rivelò allora Dean,
gelandogli il cuore. «Vuole che tra qualche giorno
parta per conoscere la principessa del regno vicino. Il nostro matrimonio
unificherebbe i nostri paesi e acquieterebbe ogni dissidio, ma io non ho
intenzione di farlo. Andrò ad incontrarla per accontentarlo, però non accetterò
le nozze» gli spiegò. «C’è
una sola donna che potrei portare all’altare: la ragazza che mi ha trovato
sulla spiaggia alcuni mesi fa, salvandomi la vita. Ma non so nemmeno il suo
nome».
Castiel si sentì morire. Avrebbe
voluto scuoterlo, rivelargli che era stato lui a tirarlo fuori da quell’inferno
tempestoso, che si era ribellato alla propria famiglia, che aveva rinunciato a
tutto quello che possedeva, e che lo aveva fatto per lui. Ma non poteva farlo – non aveva voce.
Il giorno seguente approntarono i preparativi e salirono
sulla nave che li avrebbe portati al regno della principessa. Cercò di
consolarsi pensando che Dean avrebbe rifiutato l’unione, ma quando infine la futura sposa venne presentata loro, il povero tritone
sentì il mondo crollargli sotto ai piedi.
Si chiamava Lisa, aveva lunghi e bellissimi capelli corvini
ed era la ragazza che aveva trovato il principe sulla spiaggia, dopo il
naufragio. Egli la baciò entusiasta, accettando il fidanzamento, ed in tutto il
paese si cominciò a festeggiare; il giorno dopo si sarebbe celebrato il
matrimonio.
La sera rientrarono alla nave ed anche lì si festeggiò come
in qualunque altro luogo del regno, ma di ora in ora Castiel diveniva sempre più
pallido. Quella mattina Dean avrebbe sposato Lisa e, all’alba seguente, lui si
sarebbe tramutato in spuma di mare.
Presto fu chiaro che non si sentisse affatto bene e la
questione fu tanto palese da offuscare la felicità del principe. «Non capisco cos’abbia. Sta male, ma non vuole spiegarmi» si lamentò con il fratello minore e questi gli rivolse
un’occhiata di rimprovero.
«Davvero non capisci?» lo interrogò Sam, gettandolo nella
confusione più totale.
Nel frattempo il giovane tritone si trovava sopracoperta,
lontano dai festeggiamenti che si tenevano nella stiva, con la scusa di
prendere un po’ d’aria fresca. Lì osservò l’acqua con occhi dolenti, pensando
che aveva perso la sua unica opportunità di guadagnarsi un’anima e presto non
sarebbe stato più nulla, se non parte del mare stesso.
All’improvviso, però, Gabriel, Anna e Balthazar emersero in
superficie. Castiel osservò allibito i loro capelli tagliati cortissimi, specie
quelli della sorella, che erano sempre stati molto lunghi, del colore del fuoco
ed erano considerati i più belli del mare.
«Prendi questo» lo incitò la sirena, mettendogli tra le mani
un lungo pugnale affilato. «Abbiamo ceduto i nostri
capelli alla strega per ottenerlo. Puoi ancora salvarti: se lo conficcherai nel
cuore del principe entro l’alba di domani, tornerai ad essere un tritone e
potrai vivere il resto dei tuoi trecento anni con noi»
gli spiegò.
«Te l’avevo detto che è un idiota, fratellino» sbuffò
Gabriel «Non ne vale la pena. Torna da noi».
«Io lo userei per tagliargli qualcos’altro» soffiò Balthazar
cupo.
Quindi, quando tutti andarono a dormire e la nave fu
finalmente silenziosa, Castiel s’introdusse di soppiatto nella cabina del
principe.
Dean dormiva con l’innocenza di un bambino, a pancia
all’aria, con un braccio gettato sopra la testa e l’altro abbandonato sullo
stomaco. Il suo petto era scoperto ed inerme, quasi offerto in sacrificio. Il tritone strinse con più decisione il
pugnale, sino a farsi sbiancare le nocche, ma poi il ragazzo si lasciò sfuggire
un sospiro e le sue labbra si arcuarono in un
inconscio sorriso, e la sua presa vacillò.
Non sarebbe mai riuscito a strappargli la vita – mai. Aveva promesso di proteggerlo fino
al proprio ultimo respiro e l’avrebbe protetto anche da sé stesso.
Il coltello cadde a terra con un tonfo e Castiel si chinò a
sfiorargli la bocca con un bacio, accarezzando quei capelli chiari un’ultima
volta, prima di allontanarsi.
Tornò sul ponte e, dopo un momento d’esitazione, salì sulla murata,
guardando dritto l’acqua nera sotto di sé. Poteva buttarsi adesso e mettere fine
da solo al proprio travaglio. Non credeva di essere abbastanza forte da
riuscire a vedere Dean portare qualcun altro all’altare e giurargli amore
eterno. Si sarebbe gettato in quel momento ed i suoi fratelli lo avrebbero
accompagnato in una morte serena, finché non si fosse trasformato in schiuma di
mare tra le loro braccia.
«Che stai facendo?» lo riscosse una voce familiare,
facendogli quasi perdere l’equilibro, ma due braccia forti
gli serrarono i fianchi e lo tirarono giù. «Cosa credevi di fare?!» lo apostrofò Dean, facendolo voltare e ringhiandogli
quelle parole in faccia.
Castiel era così esausto e così disperato, aprì bocca per
spiegargli, per urlargli contro tutto quello che aveva
nel cuore, ma non aveva voce – dannazione non
aveva voce! Lo spinse via,
strappandosi da lui e, quando il principe lo guardò stupito, lo colpì ad uno
zigomo con un pugno, tanto forte che probabilmente il suo bel viso il giorno
dopo sarebbe stato deturpato da un livido scuro. E poi lo fece ancora e ancora,
guadagnandosi con ogni probabilità la pena di morte, ma era già condannato,
pertanto non gli importava.
Dean riuscì ad afferragli le
braccia ed a costringerle dietro la sua schiena, in una presa dolorosa che era
quasi un abbraccio intimo. Petto contro petto, Castiel lo guardò con tutta la
forza della propria disperazione. Ansimava per lo sforzo e avrebbe voluto
piangere, ma il popolo del mare non aveva lacrime. Lasciò crollare la fronte
sulla sua spalla, tremando in silenzio, ed allora il principe lo lasciò
lentamente.
Il tritone gli prese il viso tra le mani e con delicatezza
baciò lo zigomo contuso, poi le sue ciglia bionde ed ogni lentiggine su quelle
guance lisce.
Dean boccheggiò sotto quel tenero assalto come non aveva
fatto nemmeno con il precedente, ben più violento, e riaprì gli occhi per
incontrare i suoi, stringendogli con forza i polsi, trattenendolo quasi temesse
che potesse sparire da un momento all’altro. «Tu…» mormorò incredulo, senza fiato, come se il peso di una
rivelazione improvvisa gli fosse appena crollato addosso «tu
eri in mare, quella notte. Eri tu?
Ricordo il tocco delle tue labbra. Come… com’è possibile? Non eri su quella
nave, io non ti conoscevo».
Castiel trattenne il respiro, sentendo il proprio cuore
saltare un battito, ed annuì convulsamente.
«Eri tu, Cas?» chiese ancora sbigottito.
«Non ha senso, eravamo lontani miglia e miglia dalla
spiaggia, nessuno avrebbe potuto sopravvivere con quella tempesta».
Il tritone gli accarezzò il volto con i pollici. Io sì – affermavano i suoi occhi blu – io potevo.
«Oh, Dio…»
bisbigliò il principe sopraffatto. «Il Cielo mi sia testimone, se eri tu,
chiunque tu sia, io… io…» cominciò, ma Castiel non seppe mai come avrebbe
concluso, perché all’improvviso le labbra di Dean furono sulle sue e tutto il
resto passò in secondo piano.
Si lasciò sfuggire un respiro secco,
quando con un piccolo gemito Dean lo strinse di più a sé, e permise alla sua
lingua di intrufolarglisi in bocca. Sapeva ancora di alcool e di qualcosa di
ancora più bruciante che era solo suo,
ed a Castiel girò la testa come se fosse ubriaco.
Il principe interruppe il bacio con un suono morbido e
poggiò la fronte contro la sua, strizzando le palpebre con aria sofferente.
«Oddio…» soffiò angosciato. «Cosa dovrei fare? Ero
convinto che fosse stata Lisa a salvarmi, ero pronto a sposarla e ora… ora… non
mi stai mentendo, vero?» lo interrogò riaprendo gli
occhi.
Il tritone gli rivolse uno sguardo ferito, poi sgusciò via
dalla sua presa e Dean lo acciuffò per un braccio giusto in tempo, prima che si
allontanasse del tutto. «Diamine, se sai esprimerti anche senza parole»
borbottò stralunato. «Domani avrò un sacco di cose da fare» considerò infine e,
dopo un momento d’esitazione, riprese a baciarlo.
L’alba lì trovò ancora svegli ed abbracciati nella cabina
del principe, poi questi si alzò ed iniziò a prepararsi. Castiel gli rivolse
uno sguardo preoccupato, ma Dean gli rispose spiccio:
«Che fai ancora lì? Renditi presentabile, devi preparare la nave a salpare
mentre io sarò via. Torniamo a casa».
A quel punto impallidì ed il ragazzo si rese conto
dell’equivoco. Tornò sui propri passi, poggiò un ginocchio sul letto e si chinò
a cercare le sue labbra. «Ho un matrimonio da annullare, tu sta’ qui e prepara
la fuga» chiarì, scoccandogli una bacetto sul naso,
che glielo fece arricciare come un coniglio. «Devo anche parlare con mio
fratello» ponderò poi, rimettendosi dritto, e l’altro lo rincorse con le
braccia, cingendogli il collo e strappandogli un bacio più passionale, prima di
rivolgergli un’occhiata felice. «Sì, buongiorno anche a te» replicò Dean
ridacchiando, riuscendo finalmente a sciogliersi dalla sua stretta.
La ritirata dei principi Winchester fu rocambolesca e
raccontata con indignazione dalle genti di quel regno per molto tempo. Rischiò
quasi di causare una nuova guerra, in effetti, ma Dean
se ne lavò le mani non appena rientrò in patria.
Lui, Samuel e Castiel vennero subito convocati da suo padre,
che stava giusto per iniziare una filippica che avrebbe riportato Dean alle
medesime condizioni di quando aveva quattro anni ed aveva appena perso sua
madre, ma il ragazzo fu più veloce e lo interruppe.
«Rinuncio ad ogni diritto di successione» dichiarò deciso.
«Cosa?!» esclamò stupito il Re.
Perfino Castiel era allibito, ma il fatto che Sam non avesse
fatto una piega gli suggerì che era proprio di quello che il fratello maggiore
voleva parlargli.
«Abdico in favore di Sammy; un
giorno sarà un Re molto migliore di me e, nel frattempo, sarà un Principe
Ereditario molto più assennato del sottoscritto. Quanto a me, non posso
succederti, padre. Sono innamorato di un uomo e non alcuna intenzione di
sposare nessun altra» spiegò lasciando il povero John
Winchester in totale stato di shock.
Il giovane tritone stava ancora assimilando la nuova
notizia, quando la rabbia del Re cominciò a gonfiarsi. Ma ancora una volta Dean
fu più rapido, lo prese per mano e gli intimò: «Corri!» tirandolo via e
fuggendo con lui dalla sala del trono, con tutta la forza delle loro gambe,
lasciando solo uno scroscio di risa al loro passaggio.
Fa caldo come
all'inferno, tesoro, in questa stanza.
Certo il tempo cambierà presto,
l’aria è pesante, pesante come un camion.
Spero che la pioggia lavi via la nostra sfortuna.
Se il cielo si apre,
ci deve essere un modo di tornare
ad amare e solo amare.
FINE.