Il
Profumo dei Ricordi
Recarsi in soffitta era stato, almeno fino ai sette anni, un
vero trauma per Gaia; ma ora che ne aveva venti di più
sorrise al ricordo.
Il suo compito quel giorno era ritrovare tutti quegli oggetti che le
potevano essere utili nella nuova vita che l’aspettava
accanto all’uomo che amava, Andrea.
La soffitta era ubicata, ovviamente, nel sottotetto della casa dei suoi
genitori, e la si poteva raggiungere percorrendo una serie di scalini
in legno di mogano.
Li percorse con molta calma come se volesse assaporare meglio i colori,
gli odori e le sensazioni che riportavano alla memoria il suo passato.
Un passato che non andava dimenticato, ma in certi momenti era giusto
ritrovarlo.
Giunta davanti alla porta pose la mano sulla maniglia, ma proprio
all’ultimo momento parve ripensarci. Fu pervasa ancora una
volta da quel pizzico di emozione unita a paura che aveva tanto avuto
da piccola ogni qual volta doveva recarsi in quel posto buio e colmo di
“misteri”.
Contò mentalmente fino a tre e poi spalancò la
porta e la oltrepassò. Si ritrovò subito a
respirare l’aria di chiuso, ma ben presto fu colta da una
sensazione indescrivibile. La tristezza e la serenità si
mescolarono tra loro, amalgamandosi nel suo cuore.
La stanza era oscura e polverosa, semplice ripostiglio delle cose che
non servivano, o almeno così si credeva, anche se Gaia era
perfettamente consapevole che lì da qualche parte, in mezzo
a quegli scatoloni di ogni dimensione, risiedevano oggetti importanti e
utili alla sua nuova vita.
Un leggero fascio di luce proveniva dall’unica finestra,
illuminando un poco quell’oscurità e lasciando
intravedere il pulviscolo bianco che si librava nell’aria. Si
avvicinò a quel punto, e andò ad aprirla meglio,
facendo entrare una maggior luminosità in modo da avere una
miglior visuale.
Quel mattino il cielo era piuttosto limpido; solo qualche piccola
nuvola bianca era sospinta dal vento, avvicinandosi al sole, senza
tuttavia sovrapporsi a esso.
« Lo vedi come
si diverte il sole a giocare a nascondino? Ora è nascosto
dietro le nuvole, e… aspetta qualche minuto e vedrai.
»
Gaia e Leonardo, suo
fratello, amavano passare le ore insieme a scrutare il cielo, e lui era
sempre così fantasioso, la incantava con quelle sue storie.
Allora aveva solo
quattro anni, ma rimase stupita quando vide che anche il sole amava
giocare a nascondino, proprio come loro.
« Ecco, guarda
ora… è tornato di nuovo fuori! È
divertente, vero? »
Lei lasciò
fuoriuscire un’esclamazione di forte stupore, e poi rise
divertita.
« Oh
sì! Che bello il sole che gioca! Come noi, vero fratellino?
»
«
Sì, proprio come noi. »
Si sorrisero a vicenda.
Il sorriso di suo fratello era indelebile nella sua mente. Era sempre
stato così allegro e solare e, sin dalla più
tenera età, lei voleva essere esattamente come lui.
Effettivamente, si ritrovò a sorridere divertita al pensiero
che non era mai stata troppo femminile, ma piuttosto un bel
maschiaccio, sempre pronta a sfidare eventuali pericoli.
Tornò presto alla realtà e iniziò a
valutare quale scatolone aprire per primo.
Alcuni erano più logori, altri più nuovi.
Su alcuni vi era indicato cosa custodissero, altri erano perfettamente
anonimi.
Gaia aveva tempo, quindi iniziò a fare tutto con estrema
cura e senza fretta alcuna.
Aprì il primo scatolone, litigando un poco con lo scotch
marrone che difficilmente si staccava, ma poi ne estrasse una serie di
libri. Vi erano fiabe e favole, ma anche altri generi; in particolare
spiccavano quelli di puro fantasy. Lo adoravano letteralmente. Sia lei,
che Leonardo.
Passavano intere serate a leggere insieme ai loro genitori alcune
pagine di quei libri, e poi cercavano di ripetere tutto ciò
che essi rivelavano, nei loro giochi pomeridiani.
« Gaia,
insomma, vieni qui e indossa questo vestitino da fatina. La festa
è tra un’ora, se non ti sbrighi resti a casa!
» strillò sua madre, in un giorno di carnevale.
« Ma io voglio
vestirmi da pirata come Leo! » strillò a sua volta
Gaia, scalciando per non farsi mettere quell’odioso abitino
verde, con pizzi, fiorellini e soprattutto a gonna, cosa che un
maschiaccio come lei proprio non poteva sopportare.
« Su, non fare
la sciocca ora. Tu sei una bambina, e Leonardo è un
maschietto. Non potete vestirvi uguale. »
Tuttavia, Gaia non volle
sentire ragioni. Continuò a scalciare, mentre i grandi occhi
castani si riempirono di lacrime.
Fu ancora una volta
Leonardo a sbloccare la situazione.
« Se vuoi
essere come me, non devi piangere. È da femminucce.
»
Gaia tirò su
con il naso, cercando di bloccare le lacrime.
« Se ti metti
quel vestito, ti faccio un regalo. » così dicendo
estrasse dalla tasca una benda scura, come quella che lui aveva
all’occhio destro. A quella visione lei gli rivolse un
sorriso gioioso e non fece più resistenza.
Quella sera era una
fatina un po’ particolare con quella benda
all’occhio destro, ma almeno era felice.
Si ritrovò a ridere all’ennesimo ricordo che
scaturì da quella visione dei libri.
Donò a essi ancora uno sguardo e poi richiuse lo scatolone,
dando attenzione ad altri.
Uno scatolone un poco più piccolo attirò la sua
attenzione. Lo prese subito tra le mani, e lo aprì con
maggior facilità. Nel vedere cosa racchiudeva il suo cuore
ebbe un balzo: c’erano diverse foto relative a vari momenti
della sua infanzia, tutte sparpagliate e non ancora messe
all’interno di album.
C’erano foto di lei appena nata, poi pian piano
più grande, ma in particolare una foto la bloccò:
lei si trovava al fianco del suo amato fratello, e sorrideva tutta
felice, come se avesse compiuto il gesto più bello della sua
vita. Suo fratello, disteso sul suo letto, sorrideva; ma era un sorriso
stanco...
La cosa buffa erano i capelli di Gaia. Sembravano come essere stati
tagliati da una mano inesperta.
E fu proprio quello che accadde quel giorno…
« Gaia fai la
brava a casa con la nonna, io e la mamma andiamo a prendere Leonardo,
sei contenta?»
Le disse un giorno,
all’età di sette anni, suo padre. Il pensiero che
finalmente suo fratello tornasse a casa, dopo giorni e giorni
all’ospedale, la rallegrò. Annuì con
vigore, e dopo aver ricevuto un bacio da entrambi i genitori, le
balzò subito alla mente un’idea.
Corse in bagno e
cercò tra i vari oggetti delle forbici particolari che sua
mamma usava per tagliarle la frangia. Le prese nella mano destra e,
cercando di far attenzione a non ferirsi, iniziò a tagliare
ciocche su ciocche dei suoi lunghi e deliziosi capelli castani.
Sua nonna si trovava in
sala e non si accorse minimamente di quel suo strambo –
almeno all’apparenza – gesto.
Ben presto tornarono i
suoi genitori e fu lei a correre rapida alla porta, come una saetta.
Alla vista dei suoi
capelli ridotti in quel modo – solo qualche ciocca sparsa era
sfuggita al suo gesto – i genitori la guardarono sotto shock.
Sua madre portò una mano alle labbra spalancate, suo padre
non riuscì a dire una sola parola.
Il fratello, che allora
aveva appena dodici anni, la guardò perplesso.
Nessuno riusciva a
capire il suo gesto, fino a quando la piccola fissò i suoi
occhi su Leonardo e ruppe il silenzio dicendo:
«
Così almeno ora sono come te. »
Al ricordo una lacrima le sfuggì, scivolando verso terra.
Finché si trattava di ricordi allegri, era facile gestirli,
ma altri erano davvero difficili da vivere di nuovo. Facevano male al
cuore.
Lasciò la scatola con le foto, non volendo vederne altre, e
si buttò sull’ennesimo scatolone, questa volta di
grandi dimensioni.
Dopo pochi minuti finalmente lo aprì, ed esso si
rivelò essere come la sacca sempre portata da babbo natale:
era strapiena di giocattoli di tutte le forme e dimensioni.
C’erano macchinine, bambole varie – molte delle
quali in pessime condizioni -, lego, costruzioni varie e via dicendo.
Stava quasi per richiuderlo, quando le saltò
all’occhio qualcosa di importante.
In mezzo a tutto quel caos comparve qualcosa di totalmente bianco.
Qualcosa di soffice e peloso. Qualcosa che il suo cuore riconobbe anche
prima dei suoi occhi.
Per un attimo fu combattuta tra chiudere lo scatolone e non lasciar
affiorare i ricordi o prenderlo tra le braccia; ma, qualche istante
dopo, allungò la mano tremante verso quel fagottino che la
guardava con immensi occhi azzurri e vitrei, e lo prese tra le
mani…
Gaia trascorreva ore e
ore ad ascoltare le storie fantastiche narrate dal fratello. Si
differenziavano di soli cinque anni ma erano molto legati.
Spesso bisticciavano
come succedeva a ogni fratello e sorella che si rispetti, ma ci
mettevano poco tempo a fare la pace.
Leonardo era per lei
l’esempio da seguire: un ragazzo forte e coraggioso, con una
fantasia incredibile, e molto colto. Sapeva così tante cose
che lei neanche immaginava! Lo ammirava anche nel suo essere
capace di inventare ogni giorno un gioco diverso che la faceva sempre
divertire un mondo. Alcuni erano difficili e richiedevano tutto il suo
coraggio, come salire su un albero come le scimmie, o correre
velocissima con la bicicletta, cose che per la sua tenera
età non erano poi così semplici.
Cercava sempre di non
piangere, perché era cosa da femminucce, anche se a volte le
ginocchia sbucciate facevano così male che era difficile
trattenere le lacrime; per cui piangeva, ma senza farsi vedere da lui.
Odiava indossare abitini
o gonnelline perché voleva essere esattamente come lui. Un
perfetto maschio, cosa che faceva scuotere il capo a sua madre, che
nonostante ciò non glielo impediva troppo.
Tuttavia, quando
raggiunse i sei anni, suo fratello era sempre più stanco e
non poteva darle troppa attenzione. Già i primi sintomi di
quella strana malattia che lei non poteva comprendere si fecero sentire
anni prima, ma a quell’età divennero sempre
più forti e sensibili, tanto da costringerlo ad andare
più volte dal medico o riposare quanto più tempo
possibile.
Gaia, in un primo
momento, gli girava sempre intorno volendo convincerlo a giocare, ma
quando capì che non poteva esagerare si limitava a stargli
vicina.
Leonardo, nonostante la
stanchezza e la debolezza fisica, continuò a sorriderle e
raccontarle storie. In fin dei conti, questo poteva farlo.
In quel periodo
iniziò ad elaborare favole oscure e troppe paurose per la
piccina.
« Vuoi davvero
dimostrare di essere coraggiosa, Gaia? » le chiese. Lei
annuì con vigore.
« Allora ti
racconto una storia speciale, ma molto paurosa! Devi sapere che in
questa casa vive un essere molto, molto cattivo, capace di fare del
male ai bambini.»
« A me no, io
sono brava e coraggiosa! » lo interruppe Gaia, con uno
strillo acuto, sebbene dal modo in cui si agitava sulla sedia accanto
al letto sul quale giaceva il fratello, si notasse un pizzico di paura.
Il fratello sorrise, ma
poi si fece subito serio. La sua voce si fece più roca,
forse per enfatizzare il terrore che voleva scaturire in lei.
« Allora non
avrai paura di certo ad andare in soffitta! Il mostro di cui parlo ama
le soffitte delle case dove ci sono bambini, come qui, ed è
lì che ora si trova. »
Leonardo fece una
piccola pausa, interrotto da un colpo di tosse, e poi riprese.
« È
un mostro grandissimo, nero, e quasi impossibile da vedere. Di notte si
confonde con le ombre e si avvicina silenzioso alle stanze dove i
bambini dormono tranquilli. »
La piccola
continuò a muovere le gambine e bloccò le manine
tremanti sotto le cosce, in modo tale da non mostrarsi troppo paurosa,
anche se ciò era visibile dal suo viso contratto e dai suoi
occhi spalancati.
« Questo
mostro mangia i capelli ai bambini e pian piano glieli toglie tutti.
Succhia via dal loro corpo il colore, rendendoli bianchissimi; estrae
avidamente le loro energie, rendendoli stanchi. E infine, ruba loro i
sorrisi. Non ha paura di niente e di nessuno. Si diverte a fare male ai
bambini, ed è difficile da combattere… »
« A-anche con
le spade? » chiese balbettando la bambina che ora non
riusciva proprio più a reprimere lo spavento e guardava con
più curiosità il fratello.
«
Sì. Non può essere sconfitto facilmente. Io
stesso l’ho incontrato, e mi ha battuto. »
Il sorriso sul volto del
ragazzino pian piano si spense. Gaia lo guardò turbata; non
comprendeva il motivo per cui ora il suo adorato fratello non
sorridesse più, ma poi si alzò decisa sulla
sedia.
« Io lo batto!
Io! » Si diede un colpetto sul petto, e sorrise raggiante al
fratello, il quale non riuscì a non ridere.
Da quella sera Gaia tentò più volte di
recarsi in soffitta, ma ogni suo tentativo fu vano.
La prima volta le
bastò guardare la porta per sobbalzare, come se temesse che
il mostro nero le fosse vicino; subito sgattaiolò via.
I tentativi seguenti non
furono migliori: un giorno riuscì a salire qualche gradino,
ma bastò il rumore di una porta che sbatteva al piano
inferiore a farla tornare sui suoi passi; un’altra volta
portò con sé una spada di legno con cui giocava
spesso con il fratello, ma fu vista da sua madre che le disse di
tornare sotto.
Una mattina si
ritrovò dinanzi alla porta, ma non appena posò la
manina sulla maniglia, sentì come un sibilo che la fece
gridare, mentre il suo cuore pulsava così tanto che sembrava
volerle scoppiare nel petto.
Era difficile, troppo
difficile affrontare il mostro.
Ma ogni volta che vedeva
suo fratello ridotto in quel modo e peggiorare sempre di
più, la rabbia l’invadeva. Voleva affrontarlo:
seppur piccola era anche molto coraggiosa. O almeno lei sperava di
esserlo.
Tuttavia anche ulteriori
tentativi non ebbero un buon esito e così ci
rinunciò. Per mesi trascorse il tempo in giardino a giocare
in solitudine o, quando poteva, accanto al letto di Leonardo,
ascoltando storie più tranquille, sempre sui pirati, le
fate, le sirene e altri esseri magici e fantastici che entrambi
adoravano.
Suo fratello sorrideva,
ma più passavano i mesi e sempre più si stancava
presto, cosa che la costringeva a lasciarlo in pace.
In quei momenti di
solitudine, Gaia girava per la casa cercando un modo per divertirsi.
Quel luogo in cui fino a
quel momento si avvertiva una grande allegria, ora sembrava
più cupo del solito.
Sua madre aveva sempre
gli occhi lucidi, piangendo a lungo. Più di una volta,
nonostante lo facesse di nascosto, Gaia l’aveva notata. Ma
non sapeva proprio che fare per lei. Probabilmente sua madre non era
coraggiosa.
Suo padre, che fino a
quel momento, si dilettava a leggerle altre storie, ora quasi la
ignorava, immerso in altri mille pensieri e compiti.
E lei?
Semplicemente tentava di
vivere e non perdere il sorriso. No. Il mostro non avrebbe rubato
qualcosa anche a lei. Mai.
Un giorno, passando di fronte alla porta della stanza di
Leonardo, sentì diverse voci, una delle quali era differente
da quella dei membri della sua famiglia. Cercò di sbirciare
dal rivolo di luce proveniente dalla porta socchiusa, e notò
la presenza di un uomo che sembrava visitare con strani strumenti suo
fratello. Chi era? Che cosa gli stava facendo? L’uomo era
vestito tutto di nero e la cosa la preoccupò. Stava per
sospingere la porta per entrare, quando sia l’uomo sia i suoi
genitori uscirono, costringendola quindi ad arretrare.
Gli adulti non
sembrarono badare a lei, ma lei li osservò molto
attentamente. L’uomo scuro disse qualcosa di non
comprensibile ai suoi genitori, che ebbero reazioni sconcertanti. Sua
madre sprofondò il viso sul petto di suo padre, che
cercò di essere forte, seppur il suo sguardo palesasse
l’enorme tristezza che il suo cuore avvertiva.
Quando il dottore se ne
andò, rivolse solo un lieve sorriso alla piccola, la quale
ben presto tornò a guardare i suoi genitori.
« Chi era?
L’uomo nero? Ha fatto del male a Leo? Io gli faccio male!
»
Sembrava furibonda, ma
suo padre stringendo ancora a sé la madre, le disse:
« No, piccola
mia. Era il medico, lui vuole guarire Leonardo. Non devi fargli male,
come lui non ne ha fatto a tuo fratello. »
La piccola non
sembrò credere molto a quella risposta, poi tentò
di avanzare di qualche passo verso la porta, ma sua madre la
ostacolò e disse:
« Non puoi
entrare ora, Gaia. Tuo fratello deve dormire e non puoi vederlo. Non
appena starà meglio, tornerai a trovarlo. »
Gaia si
mordicchiò le labbra. Sembrava arrabbiata e delusa. I suoi
occhi castani indugiarono sulla porta ancora socchiusa, ma poi decise
di seguire quanto detto dai suoi genitori. Alla fine,
l’avrebbero fermata comunque.
Quella notte
pensò a lungo e non trovò molto facile
addormentarsi.
Il suo pensiero fisso
era la soffitta e il mostro che la infestava.
Doveva combatterlo e
sconfiggerlo, così forse avrebbe aiutato Leonardo e lui
sarebbe tornato a giocare con lei e a inventare storie fantastiche, e
poi avrebbe anche potuto dimostrargli tutto il suo coraggio.
Prima che Morfeo
l’accogliesse tra le braccia, la piccola giurò a
se stessa che l’indomani avrebbe affrontato il mostro.
Il giorno seguente non rimosse quella sua intenzione, neanche
quando, ormai al primo scalino della scala che conduceva alla soffitta,
la paura l’invase di nuovo con prepotenza.
Strinse più
forte la spada di legno nella sua mano destra e, dopo aver fatto un
profondo respiro, iniziò ad avanzare molto lentamente ma
spinta da una grande determinazione.
Un passo dopo
l’altro, infine, si ritrovò all’ultimo
scalino, proprio dinanzi alla porta di legno che nascondeva la
soffitta, e con essa, il mostro.
Posò la mano
libera sulla maniglia e ancora una volta si ritrovò
bloccata.
Le parole di suo
fratello risuonarono alle sue orecchie, come una vocina perfida che non
volesse permetterle di andare avanti.
Ma poi, il viso di
Leonardo comparve nei suoi pensieri: lo ricordò come era
allegro e vivace quando il mostro non lo aveva ferito e, ferma su
questa immagine, spalancò la porta e avanzò di un
passo o due all’interno del luogo, scuro e polveroso.
Il suo cuore prese a
battere ancora più forte, squarciando il silenzio presente.
In quell’oscurità solo una flebile luce le
permetteva di avanzare con meno difficoltà.
I suoi passi sembrarono
sempre più pesanti, come se una forza sconosciuta volesse
farla bloccare.
Aveva davvero tanta
paura e, ancora una volta, pensò di scappare, ma per Leo
avrebbe fatto questo e altro nonostante fosse ancora così
piccola.
Non voleva subire la
stessa cosa del fratello, non voleva che le rubasse il colorito roseo,
i suoi capelli castani – che dopo la sua pazzia erano
ricresciuti e le sfioravano appena le spalle – e il suo
adorabile, allegro sorriso.
« Vieni
mostro! Vieni fuori. Io ti uccido! » esclamò, con
una vocina acuta ma anche traballante.
Ma nessuno si fece vivo.
Era difficile vederlo
bene in quell’oscurità, essendo anche lui nero, ma
doveva trovarlo.
Mosse ancora qualche
passo, fino a quando qualcosa la spinse a fermarsi di colpo e, prima
che potesse liberare un grido, si portò entrambe le mani
alle labbra, facendo così cadere la spada a terra.
Dinanzi a lei,
nell’oscurità, brillavano due occhi chiarissimi
che la fissavano con intensità.
In un primo momento le
sembrarono veri, reali, forse una sensazione scaturita dalla paura
immensa che provava.
Il suo corpo
iniziò a tremare, come una flebile foglia sospinta da venti
contrari, e non riuscì a dire o fare altro, se non fissare
quegli occhi ancora per alcuni istanti.
Dopo qualche istante
portò le mani agli occhi, come a voler sfuggire da
quell’immagine ma, non appena tornò a guardare,
notò che quegli occhi non erano scomparsi, ma continuavano a
fissarla ancora.
La piccola
cercò di ritrovare il suo coraggio. Pensò a
Leonardo. Pensò alle sue storie. Pensò a come
fare.
Si abbassò a
terra, tentando di tastare il pavimento al fine di ritrovare la spada
di legno, e una volta trovata, la strinse di nuovo con entrambe le mani
e avanzò di qualche passo.
« Mostro
cattivo! Io ti cieco! » gridò ancora, come se per
lei fosse un gioco e, una volta abbastanza vicina a quegli occhi, li
colpì con un affondo non preciso di spada.
Eppure, ancora una volta
non si avvertì nulla. Il mostro non urlò.
Che avesse sbagliato?
Ma almeno gli occhi non
la fissavano più. Forse era riuscito a scappare!
Gaia si
guardò intorno, sempre tenendo salda la presa sulla spada, e
poi tornò al punto in cui aveva scorto quello sguardo
inquietante. Si fece di nuovo coraggio e avanzò ancora di
qualche passo.
Il presunto mostro
sembrava essere scomparso, ma al suo posto, proprio in un angolo della
stanza sfiorato dalla luce, intravide un delizioso fagottino bianco,
peloso e soffice. Si abbassò, cauta, per guardarlo meglio e
ritrovò il sorriso: quello che prese tra le braccia era un
adorabile peluche a forma di tigrotto completamente bianco, con due
adorabili e grandi occhi azzurri che la guardarono intensamente, ma non
li trovò affatto inquietanti.
Sul collo era legato un
nastrino blu, che tratteneva un foglietto bianco.
La piccola non sapeva
ancora leggere bene e quindi decise di scendere subito sotto a cercare
la mamma, o il suo papà, o magari Leonardo per farsi dire
cosa c’era scritto.
Corse velocemente lungo
le scale, rischiando di cadere più volte, e tutta allegra si
avviò verso la stanza di suo fratello, gridando:
« Leo! Leo ho
ucciso il mostro e lui mi ha dato un regalo! Leo guarda! »
Era così
eccitata da non avvertire il silenzio della casa, rotto solo da
singhiozzi dovuti al pianto.
Giunse
all’improvviso all’interno della stanza del
fratello e, solo lì, finalmente si fermò col
fiatone. Guardò i suoi genitori: sua madre era seduta su una
sedia accanto al letto di Leonardo e suo padre era dietro di lei,
cercando di confortarla con le mani sulle spalle, seppur anche lui,
come sua moglie, piangesse.
Ma le sue erano lacrime
silenziose…
La piccola
cercò di riprendere fiato e si avvicinò pian
piano al fratello che sembrava ancora addormentato.
Suo padre
sembrò voler prendere parola, ma fu sua madre a bloccarlo,
come se questa volta volesse consentirle di restare.
Una volta vicina al
volto del fratello, ritrovò la voce, ma usò un
tono più basso, seppur fosse sempre eccitato.
« Leo? Leo
guarda qui. Ho ucciso il mostro che ti ha fatto male e ho trovato il
tesoro. È un peluche stupendo. Una tigre come quelle dei
libri! Però è tutta bianca. Ha anche un nastrino
sì, qui sul collo, e c’è anche un
bigliettino, lo leggiamo insieme? »
Da Leo però
non ottenne nessuna risposta. Il ragazzino sembrava ancora
addormentato.
La piccola
pensò che forse non l’avesse sentita.
Posò la mano
sinistra su quella del fratello, sfiorandola un poco.
« Leo? Guarda,
dai! Basta dormire, ora guarirai. Il mostro è morto!
»
Ancora silenzio, rotto
solo dalle lacrime della madre.
La piccola non capiva.
Perché il fratello non le rispondeva? Perché non
si svegliava?
Riprese a scuoterlo un
poco più forte, tanto che il padre fu costretto a fermarla
ma, proprio in quel momento, Leonardo sembrò dare dei segni
di risposta.
Mosse prima la mano
destra, poi pian piano contrasse i muscoli del viso, fino a che i suoi
occhi stanchi non si aprirono, cercando di focalizzare la stanza e le
persone intorno a sé.
Scrutò i suoi
genitori e sembrò volere dire qualcosa, ma pur muovendo le
labbra, non emise alcun suono.
Poi soffermò
lo sguardo sulla piccola che stringeva ancora tra le braccia il
tigrotto di peluche.
« Leo! Hai
visto? Il tesoro! » trillò ancora lei, ritrovando
l’emozione.
Lui socchiuse gli occhi
per un attimo e poi li riaprì.
« Sei stata
bravissima…» sussurrò flebilmente.
Gaia arrossì
sensibilmente, e poi aggiunse:
« Ora che il
mostro non c’è più, tu guarirai e
tornerai a giocare con me vero? »
Gli occhi del ragazzo si
fecero più tristi, mentre lacrime calde ne venivano fuori,
scivolando sul cuscino candido come il suo viso.
Non disse una parola, ma
cercò di sfiorare la manina di Gaia, la quale gli rivolse un
caldo sorriso.
« I-il
biglietto… » sussurrò ancora, Leonardo,
e quella fu la sua ultima parola.
Guardò di
nuovo la sua famiglia e rivolse loro il più adorabile dei
sorrisi. Un sorriso che nascondeva delle parole che tanto avrebbe
voluto proferire.
“Vi voglio
bene…”
Il ricordo faceva ancora male, pulsava nelle vene e raggiungeva, come
un liquido acido, il cuore. Gaia si ritrovò a stringere
più forte a sé il candido peluche, un poco
impolverato dal tempo e dalla mancata pulizia. Non riusciva a
comprendere come fosse finito lì, un peluche tanto
importante. Allora era solo una bambina di sette anni che non poteva
comprendere la morte, ma quando si fece più grande,
probabilmente non riuscì a guardare più quel
peluche senza provare sofferenza.
Suo fratello era morto di un male difficilmente curabile, a soli dodici
anni.
Leonardo, il suo esempio.
Leonardo che le leggeva o inventava storie fantastiche.
Leonardo che giocava sempre con lei, la prendeva in giro, ma anche
proteggeva.
Leonardo che era l’altra parte della sua vita.
Un fratello magnifico che purtroppo aveva perso nel fiore degli anni.
Il mostro nero l’aveva portato via con sé,
mangiando i suoi capelli, succhiandogli il colore della pelle e il
sorriso.
Ma, nel momento ultimo, lui aveva sorriso e vinto contro quel male,
quel mostro orrendo.
Calde lacrime sgorgarono incessanti dai suoi occhi. Non
riuscì a bloccarle.
Quella non era mancanza di coraggio.
Gaia avvertiva ancora, dopo anni, l’assenza del suo amato
fratello dal quale molto aveva imparato.
Il giorno stesso, dopo la sua morte, i suoi genitori presero il
foglietto. Tutti e tre, riuniti intorno al letto di quel piccolo
angelo, ascoltarono le sue ultime parole:
Gaia, sorellina mia, non
smettere mai di sorridere,
anche
quando mostri cattivi tentano di rubarti tutto,
sorridi
e vivi ogni istante la tua vita.
Perché
è breve e non sai mai quando un mostro arriverà,
e
ti batterà.
Ti
voglio bene.
Leonardo.
I suoi genitori ripresero a piangere, stringendo la piccola tra le loro
braccia. Ma lei non disse una parola, né verso una lacrima.
Quelle parole le entrarono nel profondo e da quel momento le fece sue.
Iniziò a vivere realmente, a gustare ogni attimo della sua
vita.
Fece tutto ciò che poteva per renderla migliore, per stare
bene, e non smise mai di sorridere.
Neppure in quel momento in cui quel ricordo le aveva scaturito lacrime,
riuscì a far svanire completamente il sorriso.
Il tigrotto Leo era ancora stretto tra le sue braccia, quando
entrò suo marito per vedere se poteva essere
d’aiuto.
Lei si asciugò le lacrime con la manica della giacca e gli
corse incontro buttandosi tra le sue braccia, non abbandonando tuttavia
ancora il peluche. Lui la strinse a sé, senza fare domande e
lei…
…sorrise.
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Questa storia si è classificata
Terza al Contest " Multifandom e Originali - Un Segreto in
Soffitta" di DarkRose, ma giudicata gentilmente da
iaia86@, che ringrazio infinitamente! :)
Prima di aggiungere altro voglio lasciare due piccole note:
1) Questa storia, come potete vedere, tratta di avvenimenti spiacevoli
di cui non sono una grande esperta. Per tal motivo mi sono tenuta sul
vago, senza entrare troppo nello specifico non avendo nozioni
pertinenti e non volendo "offendere" nessuno.
2) Nell'ultimo messaggio
forse può sembrare assurdo che un bambino di 12 anni possa
scrivere tali parole, ma - e questo è un mio pensiero magari
anche sbagliato - secondo me, quando succede qualcosa di grave, anche i
bambini maturano di colpo. Poi non so.
Per il resto che dire, sono felicissima del posto e del giudizio che
posto qui sotto, e anche del premio attinenza che ho vinto *__*
Grazie anche a Shurei per aver realizzato questi due bellissimi banner!
A presto e se vi va lasciate un messaggio :)
Giudizio
di iaia86@
Correttezza grammaticale: 7/10 punti.
Stile e lessico: 8/10 punti.
Caratterizzazione dei personaggi: 9.5/10 punti.
Originalità: 9/10 punti.
Attinenza: 10/10 punti.
Utilizzo dell'oggetto: 4.5/5 punti.
Apprezzamento personale: 4.5/5 punti.
Per un totale di: 52.5/60 punti.
Valutazione: Storia dai toni tristi e malinconici, che tiene il lettore
incollato allo schermo e fa emozionare. All'inizio volevo assegnare
alla storia il premio angst. Riferendomi a quello che scrivi nelle
note, il tuo 'accennare appena' la gravità della situazione
aiuta a rendere ancora più etereo il racconto, che unito
all'ingenuità tipica dei bambini diventa ancora
più triste. La pecca più grande della storia
è la grammatica, dove in certi punti si nota una discordanza
dei tempi verbali che sarebbe potuta essere evitata con l'utilizzo dei
trapassati. Ci sono alcune virgole di troppo, che spezzano il filo
delle frasi e ho riscontrato spesso un utilizzo improprio della
congiunzione 'ma'. Ci sono varie ripetizioni ed alcune parole
utilizzate impropriamente ('finché si trattava di ricordi
allegri, era facile gestirli, ma altri erano davvero difficili da
AVVERTIRE di nuovo'). I pronomi personali 'lei' e 'lui' vengono
ripetuti spesso, sarebbe stato meglio intervallarli con dei sinonimi.
La parola 'cieco' prevede la i (probabilmente è stato solo
un errore di distrazione). La caratterizzazione di Gaia e Leonardo
è precisa e approfondita, ci mostra il legame tra questi due
bambini e la tenacia del loro rapporto. L'originalità della
storia sta nell'espediente creato da Leonardo per mostrare i suoi
sentimenti alla sorellina, senza oberarla del peso della conoscenza.
Sei riuscita a legare la trama alla soffitta ed all'oggetto in modo
tale da rendere sempre presenti tutti gli elementi in un gioco che
gioco non è, ma che porta ad un finale dolce-amaro.
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