Prigione
*
Il corridoio fiocamente illuminato dell’ala riservata a
Vanishing Age era silenzioso, tale quiete interrotta solamente dal rumore
cadenzato di passi lenti, di chi non ha fretta. Perfetti per due dei membri più
illustri di quella sezione contro il tempo stesso.
“Mi sembra sempre più
forte,” commentò il più anziano dei due, infilando le mani in tasca. Un sorriso
nostalgico venne celato dall’ombra. “Quasi come se ogni giorno ricevesse sempre
più potere. Alla faccia nostra.”
Il suo compare, al posto
di dimostrarsi profondamente frustrato per i loro continui insuccessi, esibì un
sogghigno lezioso, quasi divertito. “Ginga Bishounen, hn?” mormorò, fissando il
soffitto senza neppure vederlo. “Che esagerazione.”
“Si direbbe quasi tu
sia invidioso di lui, Tokio,” malignò l’altro. “Non è un comportamento molto
pedagogico o paterno da esibire, sai?”
“Tsk,” sbuffò il
leader, mentre tratteneva una risata. “Sono certo che ad impartirgli una
corretta educazione ci abbia già pensato il vecchiaccio,” scherzò, entrando
nella sua ampia stanza. Si lasciò cadere sul suo sofà e catturò, per un
secondo, l’espressione trasognata sul volto scavato dall’età di Ryosuke. Se il
Ginga… No, se Takuto non fosse stato figlio di Sora, sangue del suo stesso
sangue, Chairman non avrebbe speso così tanto tempo ad elargire frivoli
complimenti alla loro spina nel fianco preferita. Poco importava che fosse
stato lui a contribuire maggiormente alla nascita di quella scocciatura splendente
e dall’uniforme così pomposa. Era proprio suo figlio…
Head si sdraiò sulla
schiena, ubriacandosi involontariamente con il silenzio assordante della camera
scura, mentre una fitta di nostalgia gli trafiggeva ulteriormente il cuore.
Come se il ricordo del morbido corpo di Sora non fosse stato abbastanza
straziante. Di solito, proprio lì, ascoltava la più melodiosa delle canzoni – proprio
in quella posizione – che veniva sostiuita alle volte da un racconto davvero
avvincente, ma dal finale altamente deludente. Sogghignò e si mise a sedere,
mordicchiandosi l’unghia del pollice mentre fissava lo sguardo sull’acquario in
un angolo. Vuoto. Era stato un uomo proprio sciocco. Scosse il capo e
schioccò le dita. Immediatamente un faretto illuminò delicatamente un’enorme
gabbia, sferica ed in ferro battuto. Vuota. Vuota. Vuota… Fottutamente… Vuo-
“Mi sono sempre
domandato una cosa, Tokio,” proruppe Ryosuke, roteando tra le dita un calice
rotondo pieno di brandy. “Tra tutti i giacigli di questo nostro mondo, perché
proprio una gabbia?” Il suo occhio era puntato là, sulla sua casa per
una stagione intera, e la stava fissando curiosamente. “Non la chiamavi forse
Sakana-chan?” continuò, senza malizia nella voce. “Pesciolina? Non
sarebbe stata più adatta, che so, una grande vasca? Una piscina, magari?”
Head non replicò
subito, ma rimase imbambolato a guardare quella costruzione assurda addossata
alla parete. Al suo interno, sui morbidi cuscini candidi che ricoprivano il
fondo, c’era ancora il suo semplice vestito verde, accompagnato dal collare
giallo annesso di catena che lei teneva sebbene non ce ne fosse mai stato
effettivo bisogno. Le sue labbra si incresparono in un sorriso intenerito al
pensiero della sua Sakana-chan immersa nell’acqua, i suoi bellissimi,
lunghi capelli turchini bagnati, in parte appiccicati al suo viso di porcellana
ed in parte fluttuanti sulla superficie trasparente. Sarebbe stata una visione
incantevole. La sua adorabile sirenetta con le gambe pallide.
Gettò all’indietro la
testa, scacciando quella deliziosa immagine conturbante. “Me l’ha chiesto lei,”
spiegò a Ryosuke, che di certo attendeva uno straccio di risposta, “e non
sarebbe stato carino da parte mia rifiutare il desiderio d’una così candida
fanciulla, non trovi?”
L’uomo scoppiò a
ridere, divertito ed interessato da quell’aneddoto così particolare, ma la sua
risata, come sempre, assomigliava più al tossire di un malato terminale. “Sì,
molto maleducato,” convenne ironicamente. “E, magari, ti ha spiegato il perché
di tale decisione…?”
Head continuò a
sorridere al soffitto nero. Era un po’ restìo a parlarne, ma sapeva che il suo
braccio destro non avrebbe tradito la sua fiducia, né si sarebbe permesso di
azzardare commenti fuori luogo o maligni. “Sebbene ci siamo conosciuti al di
fuori di questa Organizzazione e oltre i nostri propositi,” cominciò a dire,
“Sakana-chan ha sempre sostenuto di essere una mia prigioniera. Quindi, quando
ho spezzato il suo sigillo del Nord, ha preteso di essere rinchiusa in una
gabbia, perché solamente così avrebbe potuto realizzare con concretezza quella
sua situazione psicologica.” Aveva riportato ogni sua parola, scolpita nella
mente, ed il suo ghigno dolce si estese ulteriormente.
Solo dopo qualche
minuto ricevette un responso da Ryosuke. “Una vera poetessa, non c’è che dire.”
Head annuì, rise e si
coprì gli occhi con l’avambraccio. “E
così l’avventura della vita continua.”
Un sussurro flebile che si perse per sempre
tra quelle quattro pareti scure.
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