Protegée
Protégé
Erik cantava, per lei, ancora una volta.
Tante volte, da quando non era che un bambino, aveva
cantato; aveva sempre trovato nel dolce suono della musica un balsamo, effimero
purificatore, per quelle sue ferite troppo profonde per guarire del tutto, e
così s’era sempre dedicato a quell’arte che era la Musica. Ma allora cantava
per se stesso. Non aveva pubblico né ascoltatori, non conosceva il sapore di un
complimento o di un canto in coppia, tutto ciò di cui era a conoscenza erano la
solitudine e l’oscurità.
Solitudine. Eppure...
eppure da quel giorno, il vuoto non l’aveva più sopraffatto. Quel giorno...
Si abbandonò ai ricordi, mentre cantava per lei: c’era stato
un giorno in cui aveva cantato per lei, ma inconsapevolmente, senza volerlo.
Era salito, quella volta, uscito dai bui sotterranei che ormai gli facevano da
casa, e si era recato nei pressi della cappella. Il luogo da cui era entrato,
il primo luogo che aveva visto del Teatro dell’Opera quando la sua salvatrice l’aveva
fatto fuggire da coloro che l’avevano torturato per anni, che da quel momento
aveva considerato come una porta verso un nuovo mondo... verso una nuova
prigione, aveva riflettuto amaramente alle volte. Sì, perché in fondo, cos’era
quella se non l’ennesima prigionia? Se non un altro luogo dal quale non poteva
uscire, nel quale era costretto a muoversi attraverso le ombre... come un
insidioso serpente, un infido ragno, come
un mostro. E ancora non poteva convincersi di esserlo sul serio! Ma, con
gli anni, non aveva saputo far altro che cedere ai continui insulti del resto
dell’umanità: sì, lui non era altro che mostruosità, orribile deformazione di
quella specie che si definiva da sempre la più grande... e ne era stato
convinto, finché non aveva conosciuto lei.
Lei, le sue lacrime, la sua voce... all’inizio così incerta,
così debole e piccola; era una bambina, e nient’altro che una bambina... ma del
resto, anche lui era nulla più che un ragazzo, e forse era segno del Destino
che s’incontrassero...
Quelli erano stati tempi duri; si era ormai convinto che il
suo futuro sarebbe stato quello di infestare il Teatro, che come una matrigna
lo aveva accolto come casa, ma era pieno di persone che lo odiavano con tutte
le proprie forze. La sua vita consisteva in ruberie e scherzi a quei personaggi
indegni, che si credevano divinità per i loro soldi ereditati da altri; però
aveva la Musica. Ah, sì, questo era vero, la Musica non l’aveva mai
abbandonato... da tempo immemore - non avrebbe potuto dire quando essa era entrata
nella sua vita - ogni giorno era scandito dalle sue ispirazioni, dai suoi colpi
di genio che non riuscivano a staccarlo da un pezzo di carta per appuntare
parole e note... e quando era riuscito a terminare il suo organo, tutto, tutto
era stato più bello... lo strumento era la prova che lui avesse il potere di
fare ciò che voleva: chi altri avrebbe mai potuto costruirne uno di quel
genere, così maestoso e tecnicamente perfetto, nelle sue stesse condizioni? Chi
avrebbe potuto adornarlo di mille decorazioni, quando egli stesso non aveva mai
visto quasi null’altro che le orribili tende di quegli zingari che lo tenevano
prigioniero? Chi avrebbe potuto creare note d’infinita bellezza - potenti,
passionali, vere - dal prodigioso
nulla che costituiva la sua vita fin dal primo respiro di quel piccolo corpo
deforme?
L’ironia della sorte era la lama di un coltello fin troppo
affilato, sottile e terribile: il suo cuore impregnato di melodie celestiali,
la sua voce capace di raggiungere le più alte vette, la sua anima pronta ad
aprirsi per accogliere interi mondi, tutto ciò era rinchiuso in un corpo che...
in un maledetto, misero, orrendo corpo, che nulla aveva a che vedere con ciò
che lui era davvero, nulla! E come l’avevano fatto diventare! Costretto ad
uccidere! Sì, sì, costretto! Aveva avuto forse scelta, lui, per cercare di
trovare una vita più degna? Non era forse un essere umano anche lui?
Ma quella era una domanda alla quale non poteva ancora
rispondere. Perché anche adesso, quando sembrava aver raggiunto un momento in
cui la sua vita aveva aspetti... positivi...
poteva forse essere chiamato uomo, da lei?
Eccola lì, bella come una dea: un singolo, scuro ricciolo
scendeva - morbido - sul suo collo, la pelle - morbida... - era bianca come
latte e dall’aspetto di seta, la linea dolce del collo che non formava alcuno
spigolo col viso... quelle labbra rosse, carnose, così desiderabili! Come
poteva starsene chiuso lì dietro, quando lei faceva sfoggio di una bellezza
così divina, ancora non se lo spiegava; evidentemente, un po’ di umanità c’era
in quel mostro, se riusciva a renderle questo rispetto e non prenderla tra le
braccia ogni volta che la vedeva. Quelle labbra, ah, quelle labbra!..
Distolse lo sguardo dal riflesso di quelle dolci labbra, per
evitare di smascherare il suo ardore nella dolce musica che le stava cantando:
lei chiuse gli occhi, e lui tornò ad abbassare i suoi su quelle labbra così
invitanti, che si levarono in un leggero sorriso adorante. E anche lui sorrise,
e cantò con più tenerezza, guardandola oscillare un poco al suono delle sue
note. Ecco che ritornava quel ricordo, quel ricordo di lei bambina che lo
sentiva piangere... che lo udiva quando nessuno, nessuno aveva mai udito nulla.
Rimembrò ancora quella sera, quando aveva voluto uscire
dalle buie mura della sua dimora sotterranea, non per vedere la luce del sole
ma per trovare un po’ di pace in una notte più aperta; si era diretto su,
sempre più su, e un’inspiegabile malinconia aveva preso il suo cuore. In quel
momento, aveva provato il desiderio di una compagnia, magari anche non umana,
ma l’aveva provato con tutto il suo cuore: di solito impediva al suo cuore di
indugiare troppo in certi pensieri, perché quel dolore infinito era inutile,
dannoso fino a renderlo nient’altro che una larva piagnucolante, se avesse
davvero guardato in faccia la totale mancanza di umanità della sua vita.
Eppure, quella notte, l’idea delle stelle che scintillavano oltre quelle mura
che lo circondavano l’aveva spinto a piangere; e col pianto, certo non potevano
mancare note di straziante tristezza.
Ricordava quelle note... certo, lui ricordava ogni nota mai
creata, e quelle non facevano eccezione; sembrava quasi che potessero davvero
farlo sentire meglio, quelle note sempre più ardite e dolci, che potessero
lenire le sue ferite; la sua Musica, ancora una volta, lo cullava in un
abbraccio di cui non conosceva il corrispondente umano. E poi l’aveva sentita.
- Chi c’è?
Aveva smesso immediatamente di cantare. E cos’altro ci si
poteva aspettare? Lui, un essere così mostruoso e schivo, solitario, non era
mai stato ascoltato da nessuno; l’unica persona che mai lo avesse aiutato era
stata Madame Giry, e nessun altro dopo di lei aveva sentito la sua voce.
Nessuno aveva mai osato origliare... nessuno aveva mai potuto, del resto:
solitamente viveva a tali profondità sotto il teatro che nemmeno nei momenti di
maggiore furia o passione si poteva sentire la sua voce, da sopra. Eppure
adesso c’era qualcuno che l’aveva sentito.
Chinandosi su una fessura tra le travi del pavimento, aveva
guardato sotto di sé: nella cappella c’era una bambina. Non l’aveva mai vista,
e sembrava avere una voce così dolce... sembrava incuriosita e preoccupata al
contempo. Da quanto tempo lo stava ascoltando? Aveva sentito la sua voce per
molto? Aveva solo goduto del suo canto meraviglioso, o forse si era resa conto
anche lei della tristezza che lo stava attanagliando in quel momento, essere
solo al mondo? Le guance della bimba sembravano rigate di lacrime - non poteva
esserne sicuro, da quella distanza - e i suoi occhi sembravano tristi quanto
quelli di Erik stesso. Possibile mai?
Ed ecco, una lacrima fresca era scesa sulla sua rosea
guancia, e il giovane musicista si era sentito il cuore stretto in una breve
morsa: l’aveva fatta piangere! Ancora non la conosceva, ancora non sapeva della
sua esistenza, e già era riuscito a farla piangere! Oh sì, se lo meritava
davvero l’appellativo di mostro... ma mentre la bimba scappava via piangendo,
mentre il sole illuminava dei suoi primi raggi la cappella, mentre un nuovo
giorno iniziava, Erik era ridisceso nel suo eterno buio, nelle profondità
dell’Opéra. E intanto si era chiesto se davvero dovesse preoccuparsi di quella
bambina; del resto, non l’aveva mai vista prima. Non la conosceva. Non sapeva
chi fosse, né perché avesse il volto rigato di lacrime. E oltretutto, l’aveva
ascoltato quando lui non le aveva né chiesto di farlo, né tantomeno gliene
aveva concesso la possibilità!
In un moto di stizza, il ragazzo s’era imbronciato,
assumendo un’andatura più veloce e scalciando l’aria vuota attorno a lui. Come si è permessa... ma qualcosa
sembrava dirgli che quell’orgoglio altro non era che un tentativo di nascondere
la sua curiosità per quella bambina, l’unica che l’avesse sentito piangere. E
non solo sentito, rifletteva, ma proprio ascoltato. O almeno credeva. Ma del
resto, importava? Certo che no; lui avrebbe continuato la sua vita di tutti i
giorni, lì in fondo al teatro, nel buio, nel silenzio riempito solo dalla sua
musica. Non voleva essere disturbato, lui, da stupide bambine frignone... a
malapena si concedeva il tempo per mangiare e dormire, e avrebbe dovuto perdere
tempo con una bambina? No, non faceva per lui.
E del resto era fuori discussione: se lei l’avesse visto,
sarebbe fuggita a gambe levate in un battibaleno, dimenticando quella curiosità
che sembrava aver mostrato in quel primo momento.
Tuttavia, nonostante tutti i suoi nobili propositi di
restarsene rintanato nei suoi sotterranei e di non perdere il suo prezioso
tempo con “stupide femmine”, Erik aveva cominciato a vagare tra i corridoi del
teatro più spesso. Ovviamente nessuno lo vedeva, se non come una fuggevole
ombra; però lui vedeva tutti. Vedeva lei. L’aveva osservata a lungo, per qualche settimana,
sempre di più ogni giorno che passava. Ogni volta gli era sembrata più dolce,
più sensibile, più buona. Aveva imparato ad amare quel nome, Christine, quando
le sue amiche la chiamavano; e aveva scoperto con piacere che suonava
perfettamente quando usciva dalle sue labbra di mostro. Gli era sembrata,
quella bambina, sempre più una poesia vivente: così gentile e innocente con
tutti, ogni notte tornava nella cappella a pregare l’immagine di suo padre,
ogni notte una maggiore aspettativa nei suoi occhi. E aveva una voce così
bella... Erik era certo che sarebbe stata una splendida cantante, se avesse
avuto il giusto maestro.
Un giorno, mentre la osservava dall’alto giocare con le sue
bambole, l’aveva sentita che raccontava loro delle favole: aveva scoperto in
tal modo che Christine - dolce nome! - proveniva dalla lontana Scandinavia,
paese che lui allora non conosceva ancora; e che la sua storia preferita era
quella dell’Angelo della Musica. Era una storia semplice, quasi banale, però al
tempo stesso affascinante... perché a uno come Erik, mostro dalla voce di
Angelo, e infinitamente innamorato della musica, sembrava che la storia fosse
fatta apposta per lui. Così, nella mente dell’allora giovane ragazzo si era
andata formando un’idea... perché lui, che conosceva e amava la musica così
tanto, non avrebbe potuto insegnarle quell’arte tanto meravigliosa? Ma certo,
lui sarebbe stato il suo personale Angelo! Lui le avrebbe insegnato tutto ciò
che sapeva, lui avrebbe preso tra le mani quella piccola e inesperta colomba
che era la voce di Christine e le avrebbe fatto spiccare il volo! E allora,
forse, le si sarebbe potuto mostrare... e forse lei l’avrebbe accettato come
amico, e forse, una volta cresciuti, magari...
Le guance di Erik erano arrossite al pensiero. Una così
piccola bambina non meritava tali idee da parte sua! Maledicendo se stesso e
quel rossore che sembrava non volersene andare, Erik si era deciso a
dichiararsi il suo Angelo della Musica, e a insegnarle tutto ciò che poteva e
conosceva. Che nuova vita avrebbe avuto, da quel momento in poi!
Ma il tempo passava, i giorni sembravano scivolare via più
veloci che mai, e ogni notte la piccola Christine sembrava più delusa dal
persistente silenzio che la circondava. Erik non riusciva a decidersi... doveva
sul serio dichiararsi un angelo? Sarebbe significato ingannarla, quando ancora
non si conoscevano! E sarebbe significato mettersi in gioco, e farlo sul serio,
per una bambina che probabilmente non lo avrebbe mai compreso. Poteva
comprendere davvero il mistero della sua voce, lei? E lui poteva permetterle di
provarci?.. Mentre continuava a rimuginare, il tempo sembrava scorrere in
fretta, più in fretta, troppo in fretta; i giorni e le notti passavano, e lui
ancora non riusciva a raccogliere il coraggio di parlare, cantare, farsi
sentire in alcun modo. E lei era sempre più triste...
Una notte, Christine non aveva più nessuna aspettativa nello
sguardo. Un cipiglio indignato, che non le si confaceva affatto e la rendeva
quasi divertente a vedersi, sostituiva il suo solito dolce sorriso; Erik si era
chiesto, allora, cosa stesse pensando la bambina. E mentre egli ancora non
riusciva a spiegarsi quel suo sguardo, Christine era improvvisamente scoppiata
a piangere. Piangeva, ma non del solito pianto che accompagnava le sue
preghiere per l’amato padre, bensì lacrime di rabbia, di delusione, una
bruciante delusione e disillusione che la faceva singhiozzare in un modo che
Erik non aveva mai visto prima. E in un attimo, egli si era reso conto di
esserne l’unico responsabile. Era lui l’unica causa di quel pianto disperato!
Lei aveva aspettato la sua voce per tanto tempo, e lui ancora non si era
rivelato, e lei piangeva per colpa sua!
- Chi c’è?
Aveva cercato di essere il più dolce e gentile possibile,
con quelle due brevi parole; e il pianto di lei era cessato all’istante,
nient’altro che lievi fremiti ancora a scuoterla. L’aveva vista allora
guardarsi intorno, per cercare d’individuare da dove provenisse la sua voce...
ma si era ben curato di donare a quelle parole una lieve eco, un leggero
rimbombo che dava l’effetto di una voce incorporea.
- Tu sei... il mio
Angelo della Musica?
Quel sussurro aveva colpito Erik come non si era aspettato.
Sapeva che glielo avrebbe detto, alla fine; sapeva che non avrebbe potuto
perdere quell’unica occasione che aveva, lui essere solitario e disprezzato dal
mondo intero, per riuscire ad acquistare un po’ si stima... forse addirittura affetto...
da quella creatura tanto dolce. Era rimasto zitto per un po’, non riuscendo a
trovare il coraggio per risponderle, per legare definitivamente il suo destino
a quello di lei, per darsi una possibilità... ma alla fine lo fece.
- ...Sì.
Aveva visto allora meraviglia e gioia dipingersi sul volto
della bambina, felice di essere stata finalmente esaudita nelle sue preghiere;
e dopo qualche attimo di reciproco silenzio, lei aveva mormorato una preghiera,
la voce ancora rotta da un lieve singhiozzo, quasi una lamentela... e come
avrebbe potuto biasimarla, dopo quell’interminabile silenzio che lui aveva così
caparbiamente mantenuto?
- Canta per me...
Erik, un lieve sorriso - un vero sorriso! - sulle labbra,
aveva cominciato a cantarle una dolce sinfonia, una ninna nanna che aveva
sentito cantare una volta da una zingara alla sua figlioletta... quelle parole
di un’altra lingua non avevano avuto nessun conto per la piccola Christine, che
si beava di ogni nota della voce di quel suo Angelo della Musica, lui poteva
leggerglielo negli occhi; e mentre lei si beava della sua voce, lui si beava di
quel sorriso tenero, di un sorriso sincero che una bambina sconosciuta e
conosciuta insieme gli offriva; un sorriso in cambio di un canto.
Erik aveva deciso, in quel momento, che se avesse potuto
continuare a farla sorridere, quello soltanto gli sarebbe bastato per tutta la
vita.
Eppure, l’uomo che era ormai diventato non poteva essere
d’accordo... e mentre terminava l’ultima dolce nota del carezzevole canto per
la sua musa, ancora una volta si trovò a sognare di poterla accarezzare
davvero, con le dita, le mani, le labbra... ancora una volta, si maledì e
benedì insieme per quella sua scelta di farle da maestro, per quella
curiosità che aveva provato per lei all’inizio, per quel suo continuare a
mettere ogni più piccola speranza in lei. Ancora una volta, si maledì e
benedì per quanto follemente l’amava.
***
E dunque,
eccoci qui.
Queste due
one-shot le ho presentate come capitoli, ma in realtà sono semplicemente la
stessa cosa vista dai due punti di vista dei nostri eroi... e non è che mi
piacciano più di tanto... né l’una né l’altra. Non credo che Christine lo
volesse umano, lei non lo amava in quel senso. E lui non mi piace uguale, non
so nemmeno perché... forse è troppo superficiale, o forse il modo in cui
scrivevo quando ho iniziato sta benedetta fic (l’anno scorso) mi è talmente
estraneo da considerarlo insopportabile. Non so se ci siano differenze tra la
prima e la seconda metà di questo capitolo, ma ho cercato di rimanere sullo
stesso stile iniziale... del resto non mi andava proprio di riscrivere tutto...
In ogni
caso, per qualsiasi cosa ogni più piccolo commento/recensione/critica è
OVVIAMENTE benvenuto :)
Buon *insert
day moment here* a tutti voi, e grazie per l’attenzione. :)
Key
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