If eternity knows what manner of darkness
and when pain will vanish,
then that way, you shall taint me
i looked always to yesterday, to the castles in the sky
when will i be able to follow them?”
Il
cielo non era mai stato così bello.
Non
aveva importanza trovarsi in un luogo conosciuto o meno,
l’importante era avere
Giotto vicino; erano quelli i momenti in cui, anche senza la
felicità nel
cuore, riusciva ugualmente a pensare positivo.
In
qualche modo, il cielo con lui diventava bello anche quando non
c’era il sole,
proprio come in quella giornata d’autunno.
Quel
giorno era tinto di un leggero grigiore che caratterizzava le giornate
autunnali; una leggera brezza scuoteva le fronde degli alberi. Cozart,
seduto
su un ramo dell’albero affacciato sulla finestra
dell’ufficio del boss,
rimirava il panorama, e allo stesso tempo osservava Giotto stesso,
talmente
preso dal lavoro da non essersi accorto della sua silenziosa presenza.
Quanti
giorni erano passati dall’ultima volta che l’aveva
visto?
Giorni?
Settimane! O forse era già passato più di un mese?
Nel momento
esatto in cui si trovò a spostare il
capo per adocchiare un paio di uccellini che cinguettavano nel nido sul
ramo a
fianco, una voce a dir poco familiare richiamò la sua
attenzione - non era
difficile capire che si trattava niente poco di meno di Giotto.
Cozart
non si scompose al richiamo dell’amico, bensì
sollevò il braccio gesticolando
un saluto, calandosi abilmente giù dall’albero e
avvicinandosi alla finestra
dove Giotto si era affacciato per chiamarlo.
«Sei
arrivato da molto tempo?» Domandò
incuriosito, rivolgendogli un sorriso caloroso.
Cozart
mentì, scuotendo la testa e
avvicinandosi al davanzale della finestra. Subito Giotto
notò alcune ferite
sulla guancia e sul braccio del rosso; istintivamente lo
squadrò torvo.
«Non è
come pensi! Ho solo
aiutato una ragazzina a prendere il suo gatto che era scappato su un
albero … E
sono caduto! »
Era
evidente che quella frase suonasse più come una scusa - non
che
fosse il tipo di persona propensa a dire bugie - ma quando si trattava
di
Giotto Cozart aveva imparato a dosare bene le parole; o forse non
così bene
come pensava, a giudicare dalla reazione del biondo.
«Hai
attaccato briga con qualcuno?»
Si
trovavano entrambi seduti sul divano del salotto in casa di Giotto;
quest’ultimo continuava a tamponare con del cotone imbevuto
di disinfettante le
ferite sul bel viso dell’altro, che, a dispetto delle
occhiate quasi severe
rivoltegli, rideva.
«Potrei
offendermi! Sai che non sono mai il primo ad attaccare; semplicemente
ho fatto quello che ritenevo giusto.»
L’aveva
sentita parecchie volte quella risposta - quelle parole alle
quali non riusciva mai a ribattere, perché in fondo sapeva
che Cozart non era
una persona che andava a cercarsele; quindi gli credette.
Fece
per alzarsi, ma lo bloccò, stringendo fra le proprie mani
quella di Giotto, leggermente più piccola e dalla pelle
troppo morbida per
essere la mano di un uomo, a differenza delle sua che era coperta in
più parti
da calli e bruciature.
«Ho
sentito la tua mancanza in questo periodo, non ti sei nemmeno
degnato di scrivermi una lettera … » nonostante la
frase potesse sembrare
accusatoria, Cozart aveva le labbra inclinate nel suo immancabile,
bellissimo
sorriso.
Giotto
sospirò; le mani erano così calde che quasi gli
sembrò di
avvertire l’estate sulla propria pelle. Si era reso conto da
solo che gli
impegni che poco per volta era andato avanti a costruirsi avevano
iniziato a
rubargli gran parte dei momenti tranquilli della sua vita, che per la maggior parte consistevano nel
stare con Cozart, proprio come in quel momento.
«Mi
dispiace.» Sussurrò.
Cozart,
per fargli capire che in fondo
non ce l’aveva con lui, portò la mano di Giotto
alle proprie labbra e e baciò
il dorso, proprio come farebbe un gentiluomo con una ragazza.
Il
ragazzo biondo increspò le labbra, mentre un lieve rossore
gli
tinse le guance; quella avrebbe dovuto essere l’espressione
corrucciata di
Giotto, ma Cozart non riuscì a far a meno di trovarlo
immensamente adorabile.
Ovviamente
non gliel’avrebbe mai detto;
ogni volta che si lasciava sfuggire complimenti del genere, lui si
arrabbiava o
non gli rivolgeva più la parola, il tutto per dieci minuti
massimi. Giotto era
fatto così!
Approfittando
dell’abbassamento di guardia di Giotto, Cozart gli
poggiò una mano sul petto, spingendolo
all’indietro sul divano e beandosi della
sua bellissima espressione, mista fra dolcezza e sorpresa per il gesto
improvviso. Entrambe le mani di Cozart andarono a poggiarsi ai lati
della testa
di Giotto, sul divano, come a volerlo intrappolare.
Rinchiudere
in una
gabbia Giotto, proprio come un uccellino.
Forse
il suo fu un pensiero un po’ deviante, ma per non perderlo
aveva come la netta sensazione che sarebbe potuto arrivare anche a quei
livelli. Giotto però amava stare in mezzo alla gente, amava
essere libero ed in
fondo era qualcosa che gli aspettava di diritto.
Ma
ogni tanto anche una persona come
Cozart era in grado di fare ragionamenti così egoisti -
succede quando hai
qualcosa o qualcuno per cui vale la pena esserlo.
«E’
solo che … non so quando ci potremo
rivedere... Diciamo che mi sono lasciato prendere dalla
malinconia.»
Ammise
accarezzando il viso del ragazzo sotto di sé con una mano,
seguendo quel gesto con un bacio a stampo sulle labbra.
Seguì
un minuto di silenzio, durante il quale ci fu un rapido
scambio di sguardi. Il ragazzo biondo sospirò, passando un
braccio dietro al
collo di Cozart ed obbligandolo a abbassarsi, in modo da poter far
incontrare
nuovamente le loro
labbra.
Lui
non si oppose: desiderava più di
qualsiasi altra cosa quel contatto, e quando era Giotto a dargli la
possibilità
di averlo, non riusciva a far altro che accettare, incorniciando il suo
bel
volto con una mano e lasciando guizzare la propria lingua nella bocca
dell'altro, avvertendo la sua ricambiare, come in una timida danza di
cui
conosceva appena i passi.
Quel
baciò sembro non aver fine; Giotto
ansimò più volte contro la bocca del rosso,
lasciandosi sfuggire un rigo di
saliva lungo il mento.
«
Ti … sarai accorto che c’è qualcosa che
non va nel tuo gruppo,
che c’è un Traditore.»
Quelle
parole arrivarono in un sussurro all’orecchio di Giotto,
mentre la mano di Cozart era occupata a sbottonargli il gilet, seguito
dalla
camicia.
Lui
annuì. Nell’ultimo periodo i suoi Guardiani si
erano adoperati per
cercar di capire cosa stesse succedendo, ma non si sarebbe mai
aspettato che si
sarebbe parlato di un conflitto interno, tanto meno causato da una
persona in
cui aveva riposto la sua massima fiducia, nella quale,dopotutto, ancora
adesso
la riponeva.
Avrebbe
anche parlato, se solo le labbra di Cozart scese a
baciargli il petto non gli avessero levato le parole di bocca.
Istintivamente
espose di più il petto contro l’altro, che nel
frattempo percorreva i fianchi
di Giotto con carezze lente, sorridendo nel vederlo inarcarsi a quel
trattamento.
«
Comportarti come sempre, hai capito?»
Mai
trovò come allora insopportabili le parole pronunciate da
Cozart. Sapere che lui rischiava la vita per aiutarlo non gli
permetteva di
comportarsi in modo arrendevole ed accettare la realtà, non
faceva parte dei
suoi modi di fare, a dirla tutta.
«
Vuoi essere picchiato, Cozart?» Gli domandò tutto
d’un tratto,
senza esser in grado di nascondere il broncio sul viso. Il ragazzo dai
capelli
rossi si lasciò sfuggire una breve risata, posando un bacio
sulla fronte di
Giotto.
Era
evidente che si fosse arrabbiato; succedeva ogni volta che cercava
di prendere una decisione da solo, anche quando si trattava del bene di
Giotto.
Si
mise a sedere, attendendo che Giotto facesse lo stesso,
sentendosi poco pronto a dover affrontare una discussione con il
biondo, seppur
in quel momento la determinazione che aveva letto nei suoi occhi non
poté
fargli cambiare minimamente idea.
«Siamo
sempre lontani, nemmeno Dio sa quando sarà la prossima
volta che ci vedremo … E tu butti la tua vita in questo
modo? » Giotto sembrava
davvero provato da quella situazione, tanto che non riusciva nemmeno a
guardare
in viso l’altro, che invece sorrideva sereno.
«Giotto,
non è buttare via la mia vita. Quando voglio so essere
più testardo di te, lo sai. Se non vuoi vedere la situazione
in maniera
razionale, devi almeno farlo per la nostra amicizia.»
Era
solito accettare le parole di Cozart, anche quando facevano
male. Seppur coetanei, per lui era sempre stato collocato un gradino
più in
alto di lui, maturità parlando.
Seppur
i loro destini si fossero in parte divisi, i loro scopi
erano pressoché simili; le lettere che riceveva
periodicamente Giotto le
conservava sempre, visto che erano l’unico modo per avere
sempre con se
Cozart,anche quando non c’era.
Il
ragazzo dai capelli rossi si alzò in piedi, sistemandosi la
giacca sulle spalle e lanciando un sorriso a Giotto, che nel frattempo
si era
messo a sedere, fissandolo con un lieve broncio.
«
Non ti chiedo di fare promesse che non puoi mantenere
…»
«Quando
mai non ho mantenuto una promessa?»
Rispose Cozart
interrompendo la frase di Giotto, accigliandosi. Miracolosamente
riuscì persino
a zittirlo.
«E’
esattamente come tutte le altre volte, sbrigo i miei affari e
torno. Tu invece pensa alla tua Famiglia, sono sicuro che G.
farà un ottimo
lavoro nel darti una mano.»
Lo
liquidò con quella frase, sistemandosi la giacca per
rendersi
presentabile, mentre Giotto si sollevò in piedi,
avvicinandosi alla finestra da
dove Cozart poco prima era entrato.
«L’importante
è che torni sano e salvo.»
Lo
affiancò, piegandosi leggermente in avanti, con le braccia
conserte sul davanzale.
«E’
lo stesso per te.»
Il
silenzio che andò a crearsi fu rotto dal
versetto di sorpresa emesso da Cozart quando
Giotto appoggiò il capo sulla sua spalla.
«Voglio
sentirti, scrivimi spesso.» Mormorò con un misto
di
preoccupazione e disperazione il Boss dei Vongola, osservando Cozart
che
sfuggiva al suo abbraccio, per poter risalire sul davanzale della
finestra.
Non
riuscì a vedergli perfettamente il
viso - il sole sembrò improvvisamente essersi fatto
accecante - ma fu quasi
sicuro di intravedere un’espressione malinconica.
«A
presto, Giotto.»
La
sua mano sfiorò gentilmente il capo di Giotto, scompigliando
con affetto i suoi capelli biondi, per poi ritirarsi e sparire al di
là della
finestra, al di là del Maniero, al di là di
qualsiasi sua fonte visiva.
Sospirò,
quasi trascinando il proprio corpo alla scrivania, con in
testa ancora le stesse preoccupazioni, lo sguardo di Cozart prima del
loro
ennesimo addio.
Poco
più in là, nelle strette vie del borgo, Cozart si
avviò verso
il porto. Non avrebbe fallito, lo avrebbe fatto soprattutto per lui, lo
avrebbe
protetto anche se fossero stati a distanze enormi.
Portò
una mano alla tasca dei pantaloni, sorridendo in modo amaro
quando afferrò fra le mani un anello che aveva comprato
settimane fa per
Giotto.
Non
era niente di speciale, un comunissimo anello con una piccola pietra
azzurra -
sicuramente non si trattava di una pietra preziosa - ma gli ricordava
così
tanto il cielo che quando l’aveva visto, subito
l’aveva associato a Giotto.
Gli
avrebbe dato quell’anello la
prossima volta. Nel frattempo sarebbe sopravvissuto.
Sapeva
che ci
sarebbe stata una prossima volta.
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