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PILLOLE DI MECCANICA
Armeggiando con gli attrezzi, rannicchiato a terra sotto la
moto, Shotaro tentava di svitare un bullone particolarmente stretto poco sotto
il carburatore mentre le mani graffiate e lorde di grasso scivolavano sul
metallo, senza permettergli di appigliarsi da alcuna parte.
Il giovane sbuffò, asciugandosi il sudore con l’unico lembo di
manica ancora pulito mentre imprecava tra sé e sé: “Maledizione!” sbottò il
bruno, starnutendo, “Non credere di averla vinta!” esclamò arrabbiato, “Non è
ancora stata creata una macchina in grado di farmi fesso!” urlò, infilando
nuovamente le mani nei meccanismi.
Sdraiato sul freddo pavimento di alluminio, Hidari non aveva
la minima intenzione di cedere al vile ricatto di quel disgraziato del motore
della sua motocicletta: ci sarebbe riuscito, vivo o morto.
“ACCIDENTI!” gridò Joker, lanciando il cacciavite lontano, con
rabbia; “Maledetto!” imprecò, alzando la mano a pugno verso il meccanismo muto;
non aveva sentito la porta del garage aprirsi e si accorse del ritorno di Philip
solo per il passo leggero e dal ritmo inconfondibile del più giovane, che si
fermò, sorpreso, a fissarlo dalla porta.
“Shotaro…?” chiamò lui incerto, accosciandosi sul bordo della
piattaforma per guardare l’operato dell’amico nel piano inferiore; le sue parole
vennero accolte da un ringhio furioso: “Che stai facendo?” chiese Cyclone,
poggiando la borsa sul divano sformato e sprofondando nei cuscini, “La moto fa un
rumore strano.” replicò Joker, puntellandosi sul gomito per stare dritto mentre
armeggiava con bulloni e giunti, “Stavo controllando.”.
Incuriosito, Sonozaki si alzò, e con un balzo felino scese di
sotto, poggiandosi al sellino: “Vuoi una mano?” gli chiese.
Stupefatto, Shotaro si sporse da sotto il mezzo col viso
sporco di olio e grasso: “Pensi veramente di riuscire a metterla a posto?”
chiese, afferrando lo straccio per darsi una sommaria pulita; Raito annuì,
rimboccandosi le maniche, e si gettò sotto la moto.
Le dita sottili s’insinuarono nei meccanismi, sfiorando
ingranaggi e bulloni, fino a incontrare qualcosa di insolito: “Shotaro, qui c’è
qualcosa che ostruisce.” borbottò; il moro armeggiò qualche istante poi, con
delicatezza, tirò fuori quello che sembrava un lembo di tessuto.
Sporco di olio, il colore originale non si distingueva più,
solo il motivo a quadrettini tanto caro a Philip.
Il cui spolverino aveva una lacerazione sul bordo, che
corrispondeva esattamente alla misura del frammento di stoffa.
Gli occhi di Hidari si assottigliarono: “Philip…” ringhiò lui,
“Come lo spieghi questo?!” esclamò risentito, sventolandoglielo sotto il naso,
“Tutta questa fatica… E poi è colpa TUA!”
Con un urlo belluino, il bruno prese a inseguire il moro per
tutto il garage.
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