Nuova pagina 1
IL BRUTTO ANATROCCOLO
ROSA-BARBIE
«Vediamo se sei della
famiglia. Cosa ti fa venire in mente questo capolavoro?»
Stella era entrata un po’
nel panico quando Lui, guardando il vecchio settimanile, le aveva posto quell’improvvisa
domanda.
Erano soli. Lei ad
impastare la pizza per la cena, in cucina; Lui ad ammirare la Sua ultima geniale
creazione, in salotto. Entrambi ad aspettare che arrivasse il di Lui figlio per
farsi dare un passaggio fin dalla Sua amata, a casa.
«Cosa mi fa venire in
mente?» aveva ripetuto Stella, girandosi a guardarLo attraverso l’uscio aperto.
Era seduto su una sedia,
con la giacca già addosso e le preziose mani infilate nelle tasche ricolme di
liquirizia. Guardava, assorto, il mobile appena restaurato.
“Sembra un ragazzino”
pensò non per la prima volta Stella, vedendo risplendere i chiari occhi verdi di
Lui.
«Sì, cosa ti viene in
mente guardando questo mobile?» le aveva chiesto nuovamente Lui senza alzare lo
sguardo brillante dall’oggetto della Sua contemplazione.
In altre circostanze,
forse, Stella avrebbe risposto senza indugio a quella semplice domanda.
Purtroppo, però, aveva la brutta abitudine di andare nel pallone quando Lui
metteva alla prova la sua intelligenza, sia pure in modo piuttosto banale.
Perché, per lei, Lui era
talmente “al di sopra” che sarebbe morta di vergogna rivelandosi così “al di
sotto” di quella intelligenza. L’intelligenza che Lo caratterizzava.
L’intelligenza della famiglia, appunto.
«Oddio! Dammi almeno un
indizio!» Lo aveva implorato lei, arrossendo di agitazione.
Lui, continuando a tenere
gli occhi puntati sul settimanile, aveva piegato leggermente la testa da un lato
ed aveva fatto un sorriso storto. «E’ facile!» le aveva detto. «Se ti do un
indizio indovini subito.»
La povera Stella,
abbandonando definitivamente la cena al suo destino, aveva rivolto anch’essa lo
sguardo a quell’oggetto tanto familiare.
Era davvero bello. In
origine, era stato un vecchio settimanile di legno compensato di poco valore,
appartenuto a sua nonna. Successivamente, previa tinteggiatura del mobile con
vernice rosa-Barbie per mano di suo padre, era stato “passato” a Stella,
occupando così per quasi un ventennio ben sei piastrelle della sua camera.
Quando, novella sposa,
Stella si era trasferita nella sua bella casa, non se l’era sentita di separarsi
dal vecchio e malconcio settimanile rosa. Era quel genere di persona capace di
affezionarsi agli oggetti come se fossero stati amici di vecchia data, che
ammucchiava nell’armadio, anno dopo anno, cianfrusaglie inutili ai più ma
assolutamente indispensabili per coccolare i dolci ricordi d’infanzia della loro
proprietaria. Suo marito la prendeva sempre in giro dicendole che, in realtà,
più che una camera, la sua si sarebbe potuta definire una “tana”, dove la sua
occupante stipava chincaglierie luccicanti tutt’in torno ad un giaciglio per
dormire.
Stella, di solito, non
badava a questi non troppo velati rimproveri sul suo senso dell’ordine. Al
massimo, gli faceva una linguaccia e rispondeva che non era assolutamente vero
(mentendo sapendo di mentire).
Ma come poteva rinunciare
a certi inestimabili tesori!
Quel piccolo portamonete
di plastica blu, per esempio... Sì, proprio quello a forma di cilindro con il
laccetto di corda per poterlo mettere attorno al collo! Stella andava ancora
all’asilo quando ci custodiva dentro le vecchie monetine da cento lire. Oppure
la rivista dei Mio Mini Pony! “Diario della felicità del Mio Mini Pony” recitava
la copertina fra un arcobaleno ed un sole sorridente; aveva appena tre anni
quando, entrando in un’edicola, chiese a sua madre se glielo poteva acquistare,
pur non sapendo ancora leggere. E che dire del suo pinguino di pezza
cicciottello? Anche lui era legato ai più lontani ricordi di Stella, ovvero i
ricordi più belli, quelli non ancora inquinati. Quelli in cui nessun Uomo Nero
cercava di disintegrarle il cervello a suon di afflizioni per mandarla fuori di
testa.
Ecco, il settimanile rosa,
seppur molto più grosso degli altri oggetti a lei cari, era anch’esso ugualmente
indispensabile. Si sarebbe rifiutata di dormire nella sua nuova camera da letto,
se non ci fosse stato il suo vecchio ed affidabile mobile a vegliarla durante la
notte. Perché lui – il settimanile rosa – aveva condiviso con lei cose che
neanche a suo marito avrebbe mai voluto mostrare. Pietose notti di pianti e di
fantasmi che, senza preavviso, tornavano a scuotere le loro pesanti catene color
vinaccia ad un centimetro dal suo orecchio distratto...
Insomma, lo voleva con sé!
Punto e basta!
Quando, però, fu
finalmente portato nella nuova casa, Stella si accorse che il malconcio mobile
faceva letteralmente a pugni con quelli nuovi fiammanti della sua camera da
letto. Con tutta la buona volontà, non avrebbe potuto metterlo di fianco
all’armadio appena acquistato senza che la sua parte... diciamo “più casalinga”
non iniziasse a protestare a gran voce accusandola di essere una massaia
sfaccendata.
Poi, per fortuna, Lui si
era messo al lavoro.
Faceva sempre così: mentre
tutti gli altri rimuginavano a vuoto sulla questione cercando, invano, qualche
buona idea, Lui tirava fuori dall’inseparabile pacchetto marrone uno dei Suoi
toscanelli puzzolenti e metteva in azione il motore della Sua creativa fantasia.
E, sicuro come l’oro, risolveva il problema, qualunque esso fosse.
Un aquilone da costruire?
Quando si comincia?
Un braccialetto da
riparare? Un gioco da ragazzi... Bastano un paio di pinze.
Un intero impianto
elettrico da realizzare? Prima il disegno dello schema. A me carta e
penna!
Serviva un elettricista?
Un falegname? Un idraulico? Un carpentiere? Un decoratore? Un compagno di giochi
per arrampicarsi su un albero?
La risposta era sempre e
solo una: Lui.
Nel caso dell’annoso
cassettone rosa, per esempio, il professionista adatto al lavoro era
indubbiamente un restauratore provetto. Neanche a dirlo, Lui era capace di
giostrarsi anche in simile occupazione. Bazzecole!
Fu così che, in pochi
giorni, il settimanile, in abbinamento ai suoi nuovi compagni di stanza, venne
riverniciato di verde chiaro, gli vennero foderati i sette larghi cassetti con
un bel panno di velluto verde-bosco ed i quattordici pomelli di legno scheggiato
vennero sostituiti con altrettanti pomelli di ceramica bianca impreziositi da
piccoli fiori rosa.
Stella ne era rimasta
entusiasta, assicurando che non avrebbe potuto trovare di meglio neanche in un
negozio di articoli ricercati e costosi.
Ed ora, mentre fissava il
nuovo capolavoro, cercava con tutte le sue forze di non deludere le Sue
aspettative, spremendosi, nel panico più totale, le povere meningi in cerca
della soluzione al piccolo indovinello.
«Per carità, dimmi almeno
a quale aspetto devo far riferimento!» Lo aveva supplicato nuovamente lei,
giungendo le mani ancora impiastricciate – e deliziosamente profumate – di
lievito e farina.
Lui aveva sorriso di
nuovo, come se si fosse intenerito davanti a quella difficoltà e a quella voce
ansiosa che gliela stava esprimendo. «Riguarda una favola» aveva infine
concesso.
«Una favola... una
favola...» aveva febbrilmente riflettuto Stella aggrottando le sopracciglia e
infarinandosi il mento con una mano.
«Se indovini, sei della
famiglia» le aveva ricordato Lui, fra un sorriso e l’altro.
Stella, maledicendo la sua
quasi assoluta mancanza di fantasia, stava quasi per mettere fine a quell’avvilente
dimostrazione di ignoranza dichiarando la resa senza condizioni, quando, come un
fulmine a ciel sereno, il nodo del suo ragionamento si era sciolto e,
finalmente, tutto le era parso chiaro e semplice.
«Il brutto anatroccolo!»
aveva urlato senza cercare minimamente di placare il senso di giubilo e di
trionfo che le stava scacciando dalle membra quel fastidioso senso di
inadeguatezza che ogni tanto la morsicava. «E’ vero! All’inizio è brutto, ma poi
diventa bello!» aveva riassunto in poche (fin troppo poche) parole, quasi fosse
stata un’entusiasta bimbetta di prima elementare che risponde in modo corretto
alla domanda della maestra.
E, allora, Lui l’aveva
finalmente guardata, puntando su di lei quella rara ed accecante luce verde che
sempre la stupiva e che, seppur con una tonalità un po’ differente, ritrovava
molto spesso in suo marito. «Brava» aveva approvato chiudendo per un attimo gli
occhi ed annuendo, assorto. «Brava, figlia.»
Brava, figlia...
Lei si era deliziata di quel complimento, si era beata di quell’epiteto,
elargendoGli sorrisi sempre più soddisfatti ed offrendoGli con allegria e senza
vergogna il lusingato rossore delle proprie gote lentigginose.
«Grazie, padre!» Gli aveva
risposto con leggerezza, incastonando per sempre quel ricordo e quella parola
all’umido odore della farina e del lievito. All’odore di buono e di casa.
Finito di abbagliarla con
la Sua luce, Lui aveva guardato di nuovo il settimanile che aveva trasformato in
cigno con l’abilità delle Sue mani laboriose e la generosità del Suo cuore di
fanciullo ed aveva ripreso a sorridere, perso, come sempre, nel labirinto dei
propri pensieri.
...§...
Leonardo da Vinci, purtroppo il tempo non sta guarendo le nostre ferite. Chissà
se da lì, dove sei Tu, puoi tirare fuori uno dei tuoi robini puzzolenti e
risolverci il problema...
|