1)
1) So many fucking words.
-Fermi la macchina?-
Il suono ovattato della sua voce
rimbombò nella vettura,
accompagnando il rumore delle gocce di pioggia scroscianti.
L’odore del fumo
era asfissiante, e Agito non aveva intenzione di restare un minuto di
più lì
dentro.
-Aah, andiamo, ti bagnerai
tutto…
-Kaito, voglio scendere da questo
fottuto camper. Puzza di
prostitute…!
-Attualmente, si chiamano
sigarette…
-Che t’importa, te le fumi
entrambe ugualmente.
Kaito non ribatté a
quell’ultima affermazione. Tuttavia non
fermò la macchina e continuò a guidare
imperterrito, osservando l’asfalto
bagnato davanti a sé. Guardò di soppiatto
l’alter ego di quello che aveva
imparato a considerare suo fratello. Un lieve moto di affetto gli
scaldò appena
quel cuore che non credeva d’avere. Era diventato
grande… Quasi quasi gli
somigliava. Anche se stava iniziando a diventare il ritratto sputato di
lei…
Mentre una mano era al volante, l’altra si allungò
verso il cruscotto,
afferrando una bottiglietta squadrata, ricoperta di cuoio.
Iniziò a bere,
lanciando un’altra occhiata ad Agito. Aveva la tipica
apparenza
dell’adolescente perennemente arrabbiato col mondo: cuffie
nelle orecchie, per
ascoltare musica assordante al limite del volume consentito per la
salute dell’udito, felpa
nera slargata, jeans borchiati e
braccia incrociate. Oltre che ad un broncio stranamente adorabile,
diventato
per lui un marchio di garanzia.
-Problemi?- si azzardò a
domandare, bevendo un po’ da quella
bottiglina.
-Che ti frega? E poi, non bere e
guidare contemporaneamente!
-Rilassati, è solo
acqua… e poi, come che mi frega?-
domandò, con tono quasi offeso. –Sei
mio…
-Siamo arrivati.
Il camper si fermò,
sollevando l’acqua di una pozzanghera.
Senza neppure un cenno di gratitudine, Agito slacciò la
cintura di sicurezza,
aprì svogliatamente la porta della vettura e
poggiò il piede fuori, bagnando le
sue scarpe da ginnastica. Sentì il freddo pungente, in
perfetto contrasto col
tiepido tepore del camper di Kaito; ma forse, quel clima si adattava
meglio al
suo umore. Prima di uscire del tutto, afferrò una borsa a
tracolla che aveva
poggiato ai suoi piedi durante tutto il viaggio. Kaito lo
fermò prima che si
allontanasse. –Neanche
un saluto?
-Fuck.
La porta del camper venne richiusa
con una violenza
eccessiva, al punto che Kaito sobbalzò.
Osservò Agito allontanarsi con un sospiro, ed
una lieve preoccupazione.
Spense la sigaretta che aveva in bocca nel posacenere, seguendo con lo
sguardo
ogni singolo passo di Agito. Non sembrava stesse camminando: ogni passo
era
così pesante che pareva volesse bucare l’asfalto.
Ma anche se si impegnava,
Agito non riusciva ad assumere un’espressione particolarmente
minacciosa, o
almeno, non gli riusciva bene come ai vecchi tempi. Aveva sempre
l’aria di un
bambino ferito, un fragile ragazzino che portava dentro sé
pesi inimmaginabili.
Sul suo viso, quella sofferenza si era tramutata in un velo di costante
malinconia. Per quale motivo…?
Agito si soffermò,
arrivato all’uscio della porta. Casa
Noyamano era vuota. Per fortuna, gli venne da pensare. Non aveva
nessuna
fottutissima intenzione di fingere interesse per la vita sociale. Non
quel
giorno.
Infilò le chiavi nella
toppa, ed un leggero “clack” lo
rassicurò: era finalmente a casa. Richiuse la porta dietro
di sé, senza neppure
degnare di un leggero accenno di saluto l’uomo che lo aveva
accompagnato fin
lì, lasciandogli in bocca il bruciante sapore della
delusione. D’altronde,
Kaito ci provava davvero, a differenza sua, a restaurare un rapporto
perduto da
tanto tempo. Ma a lui cosa importava? Fatti suoi e di Akito. Lui non
aveva
alcuna voce in capitolo. Senza neanche accendere le luci, si
avviò verso la
stanza che da qualche anno era diventata sua di diritto, in quella casa
dove lo
avevano accolto con un sorriso. L’unico posto nel pianeta
dove si sentiva
davvero al sicuro. Oppure, no. C’era un altro posto dove gli
sarebbe piaciuto
andare.
Appena entrato in camera,
gettò la borsa in un angolo a
caso, beccando una pila di cd che si scaraventarono rovinosamente sul
pavimento. Accese la lampada sulla scrivania, e afferrò un
libro. Con un umore
come quello, toccava anche fare i compiti. Che poi Ikki avrebbe
palesemente
copiato. Senza neanche sedersi, diede un’occhiata al lavoro
che la sua mente
avrebbe dovuto affrontare quella sera, ma neppure il tempo di leggere
il titolo
del capitolo che già richiuse il libro, svogliato.
‘Fanculo. Si sedette su una
confortevole sedia girevole, fregata apposta dall’ufficio del
fratello. Un paio
di giri, per avere una panoramica dell’ambiente in cui si
ritrovava. Dei
poster, da un lato suoi, e da un altro di Akito. Dei libri, da un lato
suoi, e
da un altro di Akito. La sua vita, da un lato sua, da un altro di
Akito.
Condividere la vita con qualcuno
però non era così male,
specie se quel qualcuno aveva la straordinaria capacità di
addolcire anche un
carattere spinoso come quello di Agito.
“Tutto
ok, Agito-kun?”
Domandò
una vocina adorabile nella
sua testa. Per la prima volta in quella giornata, ad Agito venne da
sorridere.
-Sì, Akito…-
non ebbe vergogna di parlare ad alta voce:
d’altronde, non c’era nessuno.
“Non
mi sembra…”
-Massì, è tutto
ok…
Una risata improvvisa lo scosse.
Akito stava ridendo…?
“Agito-kun,
dovresti
capire che non puoi mentire a qualcuno che risiede nel tuo stesso
corpo. E’
assurdo.
“E’
per via di quel
messaggio che stai così
male, vero?”
Agito ammutolì. In
effetti, era ridicolo cercare di
nascondere qualcosa ad Akito, ovvero…a sé stesso.
Sarebbe stato impossibile
anche non avendo un alter ego dolcissimo che risiedeva in testa.
Agito dovette ammettere che Akito
aveva ragione. Era bastato
accendere il cellulare per trascorrere un’intera giornata tra
ricordi, rimorsi,
rimpianti. Delle semplici parole, inviate dal numero di qualcuno che
invano
aveva cercato di rimuovere dalla sua testa. E poi, così
inaspettatamente! C’è
davvero da chiederselo, pensò, perché mai le
persone, quelle che più ti hanno
fatto male, tornano da un momento all’altro, specie in quello
meno opportuno,
della tua vita. L’effetto è sconvolgente: cuore e
mente iniziano una battaglia
inferocita, con una sola conseguenza: confusione.
Agito si accorse di aver lasciato
Akito in sospeso, quindi
riprese a dialogare con lui, cercando di apparire il più
tranquillo possibile.
-Quale
messaggio,
Akito?- Fece il finto tonto, riafferrando il libro di prima, come a
voler dire
“Tagliamo corto, ho da fare!”.
“Oooh,
per favore…lo
sai benissimo…! Vuoi parlarmene?”
-No, grazie.
Troncò di netto la
conversazione, aprendo il libro e
iniziando a leggere. La mente sua e di Akito si affollò con
principi della
dinamica di cui a lui non importava assolutamente nulla. Non in quel
momento.
Era tutto sbagliato! Era un giorno completamente sbagliato! Ma in
realtà, non
sarebbe stato così difficile renderlo uno dei giorni
più felici della sua vita.
Richiuse il libro, col chiaro intento di non aprirlo più per
quel giorno, e si
sollevò, avvicinandosi allo stereo e premendo distrattamente
il tasto play.
Sentì il rumore fastidioso del disco che si caricava, e si
stese sul letto,
lasciandosi in balia del caso.
La sveglia accanto al comodino
scattò, con un rumore acuto e
breve. Agito si voltò verso di essa: la lancetta
più grande era in alto, quella
più piccola al contrario era dritta verso il basso. Le sei
in punto. Il ragazzo
frugò in tasca, un po’ combattuto.
Passò una mano sulla fronte, mentre con
l’altra meccanicamente afferrava il cellulare e con dita
veloci accedette al
menù dei messaggi. Iniziò a scorrere: un
messaggio di Kaito, ricevuto alle 7
del mattino. “Passo a prenderti alle 17.30 dopo la scuola. Ti
do un passaggio.”.
Due bip: cancellato. Kaito gli faceva prudere letteralmente le mani,
insomma,
era fastidioso!Era diventato inaspettatamente così
premuroso, così
affettuoso…oddio, “affettuoso” era una
parola grossa. Restava sempre il solito
stronzo, solo un po’ meno…stronzo.
Ecco
tutto. E se ad Akito la cosa faceva un piacere immenso, ad Agito
causava
semplicemente il voltastomaco. Altro messaggio. Ikki, durante la lezione
di
inglese, alle 11,18. “Ma che palle! Fuggiamo!”
seguito da un’emoticon disperata.
Ad Agito sfuggì un sorriso, appena abbozzato. Non era la
prima volta che lui ed
Ikki messaggiavano durante la lezione, imprecando contro professori e
compagni.
Una volta Ikki fu scoperto dalla professoressa, ma si
giustificò prontamente
con uno spassoso “Ma non è un cellulare,
è un pacemaker! Volete farmi
crepare?”. Sia la prof che i compagni iniziarono a ridere
così tanto che non ci
fu nessuna punizione per il corvo. Anche Agito rise parecchio. E doveva
ammettere che quando c’era Ikki rideva spesso. Quel messaggio
decise di
tenerlo.
Ed infine, eccola…
L’ultima mail, quella catastrofica. Agito
si morse il labbro: era come se avesse paura di aprirla, come se il suo
contenuto avesse potuto causargli di nuovo quel batticuore che lo aveva
assalito nel momento stesso in cui l’aveva letta.
Respirò profondamente, e
prese coraggio. Un “bip” glorioso gli
annunciò che ce l’aveva fatta. Ore 13.
Precise. L’ora in cui il suo cuore aveva smesso di
funzionare, appesantito dai
ricordi.
“Torno
stasera alle
nove…spero ci sarai ad accogliermi”.
Mittente: Akira.
Note:
Ooook, non è stato un
granchè, ma avevo questa storia in
testa da parecchio e in qualche modo dovevo pur cominciare. Per ora la
pubblico, così, anche per sentire l’opinione di
qualcuno. Se questo primo
capitolo è così catastrofico, mi sa che lo
modificherò del tutto.
Dunque, ci sono un bel po’
di cose da spiegare, maaa…non le
spiegherò qui. Ogni perplessità, ogni cosa
lasciata in sospeso verrà ripresa
nei prossimi capitoli. Non sarò avida di
parole…solo se vi interessa, mi sembra
ovvio.
Il titolo è preso dalla
canzone dei “The Pretty Reckless”,
che appunto mi ha ispirato questa storia ed il
“motto” connesso ad essa.
Che dire…se commentate mi
fate piacere. Se no…aumenterò il
counter delle storie di Air Gear e mi sentirò comunque
potente.
See you soon!
|