Questa
è la mia prima fanfiction su Georgie, uno dei miei cartoni
animati preferiti quando ero una bambina. Ho letto qualche cosa sulla
trama del manga, ma non l'ho letto tutto. Quello che vi apprestate a
leggere è una one shot dedicata all'unica coppia felice alla
fine del manga.
Spero
che vi piaccia. Fatemi sapere con una mail o con una recensione che
cosa ne pensate.
Vi
mando un bacio e vi ringrazio per la pazienza che avete dimostrato
nel leggere questa piccola one shot.
Buona
lettura.
IMPORTANTE:
i diritti del manga giapponese
'Lady Georgie' appartengono a Yumiko Igarashi. Io ho solo preso in
prestito i personaggi per poter rendere omaggio ad una delle storie
più belle che sono mai state scritte nel manga, nella speranza
di non offendere nessuno autrice, parenti dell'autrice, amici
dell'autrice e naturalmente i fans come me.
La
tenacia del paziente.
Tempo
fa, quando i miei ricci biondi toccavano soffici come piume che
cadono dal cielo dalle ali di un uccellino spaventato il terreno nudo
della stalla dello zio Kevin, mentre Barone William Adams Junior mi
guardava silenzioso, forse chiedendosi che stessi facendo, non sapevo
che partire dall'Australia mi sarebbe costato così tanto.
Ho
conosciuto il dolore, il più cieco in questi anni. Pensavo che
scappare dall'amore di Abel e di Arthur, che ancora sentivo miei
fratelli e non due ragazzi come me, del quale mi potevo innamorare,
era la cosa giusta. Pensavo di aver fatto la cosa migliore lasciando
per sempre la fattoria nel quale ero cresciuta, ignara dalle mie
origini, delle mille bugie dette per nascondere quella verità
che il signor Butman, l'uomo che ho considerato mio padre per tanti
anni aveva messo su per proteggermi da tutto e da tutti.
Non
sapeva che mi doveva difendere dalle persone che c'erano nella sua
stessa casa. Quando morì lasciò due figlie maschi che
stavano camminando inesorabilmente verso la lunga via che li avrebbe
resi uomini e una figlia femmina che da allora avrebbe sempre lottato
per un po' dell'affetto di una madre fredda e scostante.
Già
da allora avrei dovuto capire. I segnali c'erano tutti: il signor
Butman che mi diceva che dovevo tenere quel bracciale che portavo al
polso come il più caro dei tesori, che non lo dovevo perdere
mai, che non dovevo separarmene mai; Abel e quella sua strana mania
di difendermi da tutto, molto di più di quello che un comune
fratello avrebbe fatto; Arthur che voleva proteggermi da Abel, dal
mondo, dal mio passato e da quei sentimenti che provava e che non
voleva ammettere nemmeno a se stesso. Tutto mi legava a quel mondo di
cui facevo parte e dal quale ero stata cacciata quando ancora ero in
fasce con mia madre e mio padre.
E
quando quei segni divennero troppo evidenti per essere ignorati
perfino dal più stolto, io non capì e attesi che la
donna che avevo creduto una madre mi sputasse addosso tutta la sua
rabbia.
Ecco
perché tempo fa, davanti ai miei ricci biondi che cadevano
lenti sul terreno sporco della stalla dello zio Kevin, provavo
indifferenza, forse anche liberazione in quel gesto che deturpava la
mia bellezza.
Misi
vestiti da uomo, salendo su di una nave che mi avrebbe portato da
Lowell Gray, il mio primo amore, quello dell'inesperienza, quello dei
primi baci che ti fanno venire le gambe molli.
Salì
su di una nave che mi avrebbe portato in Inghilterra, rischiando la
mia stessa vita quando avvelenarono un uomo con un tè che
dovevo bere io.
Quell'uomo
era mio zio, il fratello del mio vero padre. Ed è grazie a lui
che hanno scoperto che ero una donna e Caterine che mi ha difeso a
spada tratta. Devo tanto a quella bambina. Quando si scoprì
che la destinataria di quel tè ero io e venni scagionata da
ogni colpa, mi prese con se e mi vestì con i migliori vestiti
alla moda, rendendomi quella nobildonna che ero per lignaggio, ma che
non ero mai stata avendo vissuto per tutta la vita in una fattoria
con un piccolo koala come amico.
Ho
faticato per ricostruire la mia vita. Ho trovato Lowell. Ho anche
pensato di essere felice. E forse lo ero. Almeno fino a che non sentì
qualcuno chiamare il mio nome nel giardino della casa di Caterine.
Seguì quella voce, sapendo di doverlo fare. Mi resi conto che
era un pappagallo quando lo vidi planare e posarsi poi su di una mano
conosciuta: quella di Abel. Il mio fratellone era lì. Ma io
non ero più sua sorella. E avevo smesso di esserlo da molto
prima che lui mi dichiarasse il suo amore.
Quando
lo rincontrai a Londra sapevo di essere felice e al contempo triste.
Volevo che mi stesse vicino, che mi proteggesse come quando ero una
bambina, come quando ero solo la piccola Georgie. La mia gioia andò
scemando mano a mano che Abel cominciò a parlare. Voleva che
lo seguissi, che andassi a vivere con lui. Rifiutai, all'epoca troppo
cieca per vedere oltre quell'amore profondo e pazzo che sentivo
crescere in me,quello per Lowell, che aumentava di giorno in giorno
con la stessa forza di un'ossessione. E forse lo era davvero.
Lowell
ed io scappammo per poterci amare. E anche se fu breve e le cose da
allora sono molto diverse da come lo sono ora, ricordo con gioia quei
momenti e mi suscitano sempre tranquillità e gioia.
Lowell
ed io ci amammo. Con la forza del nostro amore riuscimmo a
nasconderci, ma poi arrivò la malattia. Lowell si ammalò
e io fui costretto a riportarlo a Londra, nella sua casa.
Fu
allora che tornai da Abel. Mi aprì la porta di casa sua senza
fare domande. Parlammo di quello che ci era successo: io delle
giornate interminabili passate a lavorare per un tozzo di pane; lui
del fatto che nostro fratello Arthur fosse rinchiuso nelle segrete
della reggia dei Dangering, in una situazione terribile ed estrema.
Uniti
dopo tanto tempo dallo stesso spirito di due fratelli e non dalla
passione disperata di amanti non corrisposti, decidemmo di attuare un
piano per salvare Arthur dalla sua prigione fisica e mentale. E solo
allora incontrai mio padre. Il conte Gerard che mi riconobbe grazie a
quell'unico oggetto che l'uomo che avevo chiamato papà nei
miei primi anni di vita, il signor Butman, mi aveva detto di tenere
stretto.
Fu
come rinascere un'altra volta. Non ero più Georgie Butman, ma
la contessa Georgie Gerard. Avevo di nuovo Abel vicino, conoscevo mio
padre, il mio padre naturale e stavo cercando di liberare Arthur.
Era
un'impresa angosciosa e rischiosa. E sentivo dentro di me uno strano
presentimento, un'ombra che mi diceva che Abel non doveva sostituirsi
al fratello, permettendoci di prendere il largo verso l'Australia.
Lui
mi rassicurò. E forse solo allora mi resi davvero conto di
amarlo. Solo allora. Mentre lui mi diceva che tutto sarebbe andato
bene prendendomi in giro come quando eravamo due bambini, mi resi
conto di amare Abel Butman, quel ragazzo che ridendo mi portava con
se nel cavallo per le sconfinate praterie australiane.
Ma
la paura, forse quel mio essere sempre così debole, mi bloccò
e non mi permise di dire ad Abel che ero innamorata di lui.
Il
piano venne attuato. E solo allora mi resi conto che quell'ombra
scura che era calata nel mio cuore era più di un
presentimento.
Abel,
dopo aver preso il posto di Arthur uccise Inwin e venne condannato a
morte e Arthur, sotto i miei occhi attoniti, dopo essere stato
liberato, impazzito per via dei soprusi e delle violenze, si lanciò
dalla carrozza sul quale stavamo scappando, si buttò dal ponte
e sparì tra i flutti del Tamigi.
Quella
che cominciò dopo la morte di Arthur, fu la parte più
dura della mia vita. Lottai per vedere Abel libero e lo feci con mio
padre al mio fianco. E una sera, aiutata da Maria, l'ex fidanzata di
Arthur, entrai nella cella di quello che un tempo credevo il mio
fratello maggiore e gli confessai i miei sentimenti.
Quella
fu la prima volta che feci l'amore con un uomo. La prima e l'unica.
Lowell provò parecchie volte, ma mi negai, senza nemmeno
capire il vero perché. Forse, già da allora sapevo che
dovevo essere solo di Abel. E così fu. Ci amammo
disperatamente. Una stilla di felicità in un oceano cupo di
tristezza.
Ma
a quella goccia solitaria si aggiunsero mille lacrime di amarezza nel
momento in cui venne annunciato che l'esecuzione sarebbe stata
anticipata.
Mio
padre ed io lottammo per dimostrare non solo l'innocenza di Abel, ma
di mio padre stesso, accusato dal conte Dangering stesso di aver
complottato contro la regina.
Ci
riuscimmo. Tutto sembrava fatto. Abel era salvo. Ma un colpo venne
sparato comunque.
Abel
si accasciò.
E
solo allora riuscì a dirgli che aspettavo un bambino da lui.
Ora,
su questa nave che mi riporta a casa, guardo i miei capelli, i lunghi
boccoli biondi mossi dal vento.
I
miei occhi non hanno lo stesso barlume d speranza a farli brillare.
Brillano per inerzia, per colpa delle lacrime che li hanno bagnati
per così tanto tempo.
E
mentre il vento porta via una lacrima facendola scorrere lungo la mia
guancia, prima, rapendola poi per consegnarla all'orizzonte placido,
sento i piccoli pugni di mio figlio stretti alla mia gonna.
Mi
volto e sorrido e accarezzo i capelli neri. Lui solleva gli occhi su
di me e quando lo guardo sento un tuffo al cuore: è come
rivedere Abel da bambino.
“Che
c'è?”
Volta
lo sguardo un po' preoccupato verso l'orizzonte dove lontano appare
una lunga lingua di terra.
“Mamma?
È quell'Australia?”
Guardo
l'orizzonte. Stringo mio figlio a me e sospirando rispondo:
“Si
Abel! Quella è casa!”
Come
tanti anni fa un carretto mi porta di nuovo a casa. Non alla vecchia
fattoria dei Butman. Quel posto è vuoto e lo troverei solo
pieno di ragnatele e di fantasmi poco propensi ad accogliermi.
Seguo
le linee dei campi sterminati; guardo uomini chini a lavorare e
ricordo con nostalgia la mia infanzia.
L'Inghilterra,
Londra, mi hanno rubato un po' di anima. Mi hanno regalato un padre
ma mi hanno tolto due delle persone più importanti della mia
vita.
E
ripensando a loro, ad Abel ed Arthur guardo su un albero e sorrido.
C'è una famiglia di koala che mi guarda passare con interesse.
Chissà se Lup è ancora lì, con la sua compagna e
se almeno lui è felice.
Il
carro si ferma e mio figlio mi guarda interrogativo. Non ha mai visto
una fattoria e quasi sembra intimorito. Sorrido e lo aiuto a scendere
e poi mi volto. Un uomo sempre più sdentato e sempre più
brizzolato mi guarda quasi vedesse un fantasma.
Nemmeno
ci crede che io sia qua.
“Zio
Kevin!” esclamo felice.
Lui
con la bocca spalancata mi abbraccia sempre incredulo. Poggia le mani
sulle mie spalle e mi guarda.
“Quando
ti vedrà...” e guardando dietro di me domanda: “E
tuo fratello Abel?”
Sorrido
malinconica. Non do caso a quello che ha detto e poggiandogli una
mano sulla spalla dico:
“Andiamo
dentro. Dobbiamo fare una bella chiacchierata!”
Passano
le ore.
Il
sangue di suo padre e di sua madre scorre nelle vene di Abel che ben
presto toglie le scarpe e si mette a zampettare felice sull'erba
assieme a Barone William Adams Junior. Anche lui è
invecchiato, ma conserva sempre la sua indole da buffone intollerante
all'alcool.
Zio
Kevin sembra sconvolto da quello che gli ho raccontato. Guarda
davanti a se nel vuoto quasi stia cercando di vedere all'orizzonte
apparire Abel pronto a ridere di lui che ha creduto a quello stupido
scherzo e a giocare con quel bambino che, citazione di zio Kevin, 'è
la copia sputata di quel vagabondo di Abel '.
Sento
quasi il peso di quello sguardo che mi spacca il cuore e indifferente
chiedo:
“Chi
ci sta alla nostra fattoria? È da un po' che è
abbandonata...”
Lo
zio Kevin solleva gli occhi su di me. Mi guarda e allarga la bocca in
un sorriso sdentato.
“La
fattoria Butman non è disabitata!”
Lo
guardo corrugando le sopracciglia e per la prima volta dopo il
racconto della morte di Abel, lo sento ridere come quando ero
piccola. E questo mi scalda il cuore.
Sapere
che la fattoria non è disabitata mi ha dato il coraggio di
affrontare i miei fantasmi.
Sono
stanca dal viaggio, lo ammetto. Anche Abel si lamenta. Ma voglio
sapere chi ha preso la casa dove ho vissuto fino alla mia
adolescenza.
Cammino
per quella strada tanto famigliare e nel petto sento quella
straordinaria emozione che si prova quando, dopo tanto tempo lontani,
i tuoi piedi calpestano di nuovo il suolo conosciuto della via di
casa e il cuore batte veloce, mentre tu, sorridendo senza un motivo,
ti appropinqui a bussare ad un uscio conosciuto. All'uscio di casa.
Busso,
ma nessuno mi risponde.
Il
cuore batte così forte che lo sento riecheggiare perfino nella
gola.
Busso
di nuovo, sentendo le mani che tremano.
Di
nuovo nessuna risposta.
È
possibile che lo zio si sia sbagliato. È vecchio e forse non
ricorda...
Busso
di nuovo e non mi rendo conto che Abel jr si è allontanato da
me. Sono troppo presa dalla paura, ora, di aprire quella porta e
trovarci dentro mia madre, o il suo fantasma, che severo e cattivo mi
accusa di aver ucciso Abel e Arthur.
Calde
lacrime bagnano il mio volto e il mio cuore batte a tonfi sordi, come
di notte quando un incubo mi sveglia e non riesco più a
prendere sonno. Ed ora mio padre, il conte Gerald, non c'è ad
aiutarmi a superare questo momento di cupa tensione.
Poggio
il palmo della mano sul legno freddo della porta e sento il cuore
mancare un battito quando la voce di mio figlio grida felice:
“Papà!!”
I
miei occhi pieni di lacrime si spalancano dalla sorpresa. Abel jr
conosce suo padre, lo ha visto in un ritratto disegnato da suo nonno.
Il cuore diventa pesante. Se mi volto mi troverò davanti il
viso di Abel, il mio Abel, l'uomo che ho sempre amato. Il padre di
mio figlio.
Un
fantasma perlaceo pronto a svanire all'intensificarsi della luce a
mezzogiorno.
Mi
volto e vedo qualcuno che tiene in braccio il mio bambino.
I
fantasmi non hanno consistenza, non posso reggere in braccio un
bambino.
Eppure
anche quello che ho davanti, che non è Abel, dovrebbe essere
un fantasma. L'ho visto sparire. L'ho visto soccombere alla sua
pazzia e al suo dolore e morire nelle acque scure del Tamigi.
E
spostando i capelli, quasi chiedendo conferma a ciò che gli
occhi hanno chiaro di fronte a loro, sussurrò una domanda.
Dico un nome che non pronuncio da tanto tempo:
“Arthur?”
Lui
si volta e mi guarda.
È
quello sguardo dolce che conosco da una vita. È lo stesso
Arthur che si è tagliato i polsi per disperazione, lo stesso
Arthur che mi difendeva dalla mamma e dal suo odio alle volte cieco
verso una figlia non sua, che stava dividendo la sua famiglia e che
un giorno avrebbe portato i suoi due figli ad uccidersi per il suo
amore.
Arthur.
Quello dolce e comprensivo. Quello meno impulsivo di Abel, che
preferiva parlare prima di prendere a pugni qualcuno.
Arthur.
Il fratello minore. Quello che mi diede il carillon che mi regalò
Lowell il giorno dopo in cui rischiai di annegare.
L'uomo
perfetto da amare. Eppure io nemmeno mi ero resa conto di Abel e del
suo amore disperato, quasi pazzo per me. Come potevo anche solo
immaginare che il bonario Arthur fosse un degno pretendente con il
suo amarmi in silenzio, stando dietro alla mia ombra, diventandone
parte.
Le
lacrime di prima ricominciano a scendere. Abel pretende di essere
messo per terra e Arthur, senza smettere di fissarmi, lo lascia
andare. Lenta mi avvicino a lui. Poggio le mani al suo petto, pronta
a vederle passare attraverso, ma mi accorgo che il suo petto è
caldo e solido e che il cuore batte contro il palmo della mia mano
destra.
“Sei
vivo?”
Lui
mi guarda sorpreso quasi quanto me. Non parla. Sento un tuffo al
cuore. Non è amore. È la gioia immensa di una persona
che rivede qualcuno che credeva di aver perduto per sempre.
Arthur
sorride dolce.
Come
mi disse tempo fa zio Kevin, Arthur mi ha sempre amata in un modo
totalmente diverso e meno passionale di quello di Abel, ma non meno
forte. Lui metteva il bene mio e della famiglia prima dei suoi
sentimenti.
Solo
ora mi rendo conto che quel sentimento è rimasto immutato e
provo un po' di paura.
Non
ho tempo di pensare ad altro che Arthur mi abbraccia.
Questo
è il segno tangibile che mi fa capire che Arthur è qui
vicino a me. E che posso ricominciare di nuovo. Che posso crescere
Abel jr qua in Australia. E che Arthur, con la sua pazienza e il suo
amore disinteressato mi aiuterà.
È
passato qualche tempo da quell'abbraccio.
La
mattina mi sveglio e mi sento diverso. Ho messo da parte i miei
fantasmi.
Inwin
non tortura più giornalmente i miei sogni. Non mi sveglio di
soprassalto e non ho paura del mio passato come ne avevo dopo che lo
zio Kevin mi ha curato e mi ha aiutato a ricominciare la mia vita da
solo.
Certo
che la vita è strana però.
Stavo
morendo e io stesso ho cercato la morte quando il dolore, le violenze
divennero troppo insopportabili.
Ho
passato una vita a lottare nel silenzio, nella seconda linea. Ero il
gregario di me stesso e nemmeno lo sapevo.
Poi
un giorno la mia vita è cambiata. E la luce è entrata
nella mia testa con la stessa forza di raggio di sole che passa
inoffensivo attraverso la finestra. Ed è arrivata sotto forma
di Abel. E non mio fratello. No! Mio nipote.
In
un attimo anni di silenzi, di amori chiusi a chiave dentro il luogo
più nascosto del mio cuore sono riaffiorati lentamente. Ho
rivisto Georgie, bella come quella sera al ballo, quando cercò
di farmi capire che lei era lì per me, per salvarmi. E con lei
c'era anche Abel.
Quella
volta li persi entrambi buttandomi nelle acque del Tamigi.
Quel
giorno in cui Abel jr entrò nella mia vita riconoscendomi come
quel padre che lui non aveva mai visto, decisi che avrei smesso di
piangermi addosso. Avrei affrontato la vita, le mie paure con Georgie
e il piccolo.
Ricominciare
non è mai facile.
Anche
per me e per Georgie le cose non lo sono state all'inizio.
Crescere
un bambino è dura. Affrontare le nostre paure e i nostri
dolori assieme, facendoci da spalla a vicenda ci aiutò a
continuare nonostante la durezza della vita nella fattoria.
Le
cose hanno cominciato a cambiare lentamente. E sono migliorate con la
mia abilità nel gestire i campi aiutato da Georgie e dallo zio
Kevin.
Mi
sono accorto che bisogna aver pazienza con il grano. Bisogna saperlo
coltivare dando attenzione che nessun uccello mangi i semi quando li
butti sulla terra appena arata. Bisogna aver tenacia e aspettare che
cresca lentamente. E poi sapere esattamente quando è il
momento di tagliarlo, raccoglierlo in covoni e renderlo grano.
Ho
capito presto che tutta la mia vita è stata così. Ho
pazientato sempre. Ho nascosto i miei sentimenti per Georgie persino
ad Abel, fino a che non ho potuto negare più nulla, il giorno
il in cui quello sconosciuto venne a cercare Georgie per portarla
via. Fu allora che per un attimo abbandonai la mia pazienza e divenni
impulsivo come Abel dicendo una bugia, troppo sconvolto dall'idea di
perderla per aver paura delle fiamme dell'inferno, dei pugni di Abel
che mi atterrarono quando confessai il mio amore per nostra sorella.
Georgie
qualche volta dice che le ho salvato la vita due volte: la prima
quella notte di tempesta quando, dopo averla tratta in salvo dalle
acque del fiume, la scaldai con il mio corpo per non farla morire
assiderata; la seconda il giorno in cui accettai di accoglierla con
me, nella mia casa, nella mia vita.
Non
si rende conto che lei l'ha salvata a me.
Credevo
che non avrei mai più amato una donna dopo le violenze di
Inwin. O dopo aver capito che il mio amore per Georgie era superiore
per quello che potevo provare per chiunque altra: questo lo capì
una sera in cui Maria disse di amarmi. Mi resi conto che non potevo
ricambiare i suoi sentimenti, che non potevo amarla con lo
spauracchio di Inwin che entrava nella mia cella, con il pensiero di
Georgie che era l'unico spiraglio di luce in quella vita da incubo.
Ecco
perché è lei che ha salvato me. Ecco perché
l'amerò per sempre. Specialmente ora che anche lei ha deciso
di ricambiarmi.
Ho
scoperto che Georgie mi amava una notte di qualche anno fa. Eravamo
da soli in casa. Abel jr aveva insistito per stare a casa di zio
Kevin e noi lo abbiamo lasciato volentieri.
Quella
sera cominciò a piovere. Lei mi sorrise. La guardai e stupito
chiesi:
“Non
hai più paura dei temporali?”
Lei
guardò la finestra. In quel momento un lampo squarciò
il cielo. Scosse la testa e i ricci biondi ondeggiarono sulle spalle,
accarezzando lo stesso scialle che indossava sempre la mamma quando
cominciava a fare freddo.
Si
voltò verso di me e rispose:
“Sono
cresciuta, Arthur! Non sono più una bambina che ha paura di un
tuono!”
Sorrisi
felice. La guardai sedersi e poggiare la guancia sul palmo della mano
aperta. Il bracciale d'oro scese velocemente sul braccio magro.
Parlammo
a lungo. In principio non mi resi conto che non stavamo parlando
delle nostre paure, dei nostri rimpianti, dei nostri dolori.
Stavamo
parlando di noi, del futuro, del raccolto, di quello che potevamo
fare con i soldi che avremo guadagnato.
Parlammo
a lungo. Poi ci fu un tuono fortissimo. Mi spaventai anche io. La
luce della candela si spense perché la porta d'ingresso che
non avevo chiuso bene si spalancò facendo entrare pioggia e
vento nella piccola cucina di pietra.
Prima
di potermi alzare mi trovai Georgie tra le braccia. Tremava:
“Arthur
stringimi! Ho paura!”
Sorrisi.
Quante volte aveva detto una cosa simile a me o a Abel. Le accarezzai
i capelli e dissi solo uno stupido:
“Lasciami
chiudere la porta!”
Georgie
sollevò la testa e annuì. Tremava sempre e nella luce
di un lampo mi resi conto che stava piangendo.
Andai
a chiudere la porta -accertandomi di aver fatto bene il mio lavoro- e
riaccesi la candela. La vidi in piedi, con una mano poggiata sul
tavolo spoglio e gli occhi fissi su di me.
“Che
succede Georgie?” chiesi preoccupato. Non avevo mai visto
quell'espressione nel volto di qualcuno.
Era
triste e allo stesso tempo decisa.
Lei
mi guardò e rispose:
“Ho
scoperto che il mio amore per Abel sta mutando nel tempo. Che sta
diventando solo un bel ricordo!”
Aggrottai
la fronte. Stavo per rispondere, dicendole che era un bene che stesse
riuscendo a superare quel dolore, quando la vidi avvicinarsi. Bella e
terribile. E non potei non pensare che era arrivata la fine. Che mi
stava lasciando per sempre, per conservare intatto il ricordo di
Abel.
Lei
mi abbracciò e disse:
“Tu
ci sei sempre stato. Eri quel bambino che mi consolava, invece di
fare a pugni con chi mi faceva piangere. Eri quello che disse una
bugia a mio zio quando venne a cercarmi. Accettavi la mia totale
mancanza di malizia, senza cercare mai di approfittare mai di questa
mia ingenuità. Non mi hai mai messo davanti ai tuoi
sentimenti. Pazientemente me li mostravi. Solo che io non me ne
rendevo conto... Tu mi hai portato il carillon di Lowell. Tu mi hai
salvata dalle acque del fiume e mi hai scaldata con il tuo corpo per
non farmi morire. Nella tua certosina pazienza mi hai resa una regina
inconsapevole al centro del tuo mondo, anteponendo me a te stesso.
Anche ora che non c'è più Lowell, che non c'è
più Abel, mi hai lasciato abitare nella tua casa, mangiare
alla tua tavola, silenzioso e paziente. E solo ora mi rendo conto che
tutto questo mi ha fatto innamorare di te. Che tutto questo ha aperto
il mio cuore che tu hai curato dalle ferite, facendomi capire di
amarti...”
Non
so dirvi cosa successe dopo. Ricordo gli occhi di Georgie che
riempivano tutta la stanza. Il mondo intero. So solo che fu semplice
come mai lo era stato prima baciarla. E che fu più semplice
ancora spogliarci e fare l'amore, stretti come quella notte di
tempesta, ma in maniera differente.
La
mattina dopo, quando il sole scaldava le piante ancora bagnate dalla
pioggia del giorno prima, Georgie ed io ci svegliammo nudi, felici e
abbracciati l'uno all'altro. Lei mi guardò felice. I suoi
occhi splendevano come quando eravamo ragazzi, il suo sorriso era
sereno: era stato, per entrambi, come amare per la prima volta
qualcuno, visto che da tanti anni non conoscevamo più l'amore
fisico. Lei mi accarezzò una guancia e dolce disse:
“La
tenacia del paziente ha vinto alla fine!”
Sorrisi
e l'abbracciai forte.
Da
quel momento Georgie divenne mia e mia soltanto. L'amore che prova
per me è differente per quello che ha provato per Abel. E non
mi importa se non lo dimenticherà mai completamente. Questo
significa che la memoria di mio fratello rimarrà viva negli
anni e mi rende felice saperlo.
Amo
Georgie per quello che è con me. Per la sua pancia che lievita
di giorno in giorno. Per quel figlio mio che mi sta concedendo. So
che è femmina. E che stavolta sarà davvero identica a
lei.
La
amo perché mi ha fatto innamorare di lei quando ero un
ragazzino. La amo perché mi ha insegnato ad innamorarmi di lei
giorno dopo giorno, quando la vedevo che giocava con Abel jr, quando
le ha permesso di chiamarmi papà, quando mi aspetta sulla
soglia di casa dopo una giornata di lavoro.
Lei
ha imparato ad amarmi da poco. Ma non mi importa. Ho pazientato tutti
questi anni. Riuscirò ad aspettare una vita per riuscire a
rendere il nostro amore eterno.
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