Second
Sight.
Prologo.
Sono le undici, più o meno, le undici e qualcosa al massimo.
Camminare per quelle strade non è particolarmente sicuro,
considerando chi si può incontrare da quelle parti, ma
questa sera non gli interessa visto che ha già affrontato il
peggio.
Vuole solo arrivare alla sua destinazione, senza altri casini.
Quando ci arriva davvero si sorprende: per una volta è stato
fortunato.
Il portone è aperto, come sempre, quindi si limita a salire
le scale frettolosamente, senza badare a fare silenzio. Dalle porte dei
vari appartamenti proviene di tutto: musica, schiamazzi, litigate,
chiacchiere - sembra quasi che i vari abitanti si siano dimenticati che
è notte e che esistono persone che, magari, vogliono anche
dormire.
Ma questi non sono suoi problemi.
Bussa quando è arrivato di fronte ad una porta del terzo
piano.
Bussa di nuovo, incerto se suonare o meno.
Questa si apre poco dopo ed è proprio Jude ad apparire sulla
soglia, dimostrazione che per questa giornate le cose hanno smesso di
andare male.
«Oh,» si limita a dire l'inglese quando riesce a
guardarlo in faccia, a rendersi conto dei lividi,
«vieni.» Continua mentre si fa da parte,
invitandolo ad entrare in quel piccolo appartamento, quello dove vive
con altri studenti e che appare sempre troppo disordinato o troppo
pieno di cose o troppo pieno di persone o... troppo,
insomma, gonfio di
quella vita studentesca che Robert invidia perché ne
vorrebbe fare parte.
Si dirige verso la cucina, stranamente vuota per questa volta, e una
volta arrivato torna a guardarlo.
«Posso prepararti qualcosa?»
«Uhm...» Mormora in risposta, pentendosi di
non aver ancora detto una parola. In effetti, non è riuscito
nemmeno a salutarlo.
Non che questo offenda l'altro, «Un toast, magari?»
«No, non serve.»
Ma Jude non lo sta ascoltando, non lo fa mai. Si limita a prendere un
po' di pane e ad adoperarsi in quella che crede essere una cenetta
notturna, fatta alle undici di sera. L'altro lo fermerebbe anche, visto
che un semplice caffè basterebbe per farlo sentire meglio,
ma continua ad avere quel blocco alla gola, nessuna voglia di parlare;
sicuramente è ancora un po' scosso per gli ultimi
avvenimenti.
«Sai,» si sforza, mentre è lui a
guardarlo, «non è stata esattamente colpa mia. Non
me la sono cercata, questa volta.»
«Qualche teppista?» Chiede.
Vorrebbe dire "Hooligan" ma non può
perché
probabilmente questi sono in salotto.
«Direi più... Artisti di strada.»
«Esistono?»
«Certo che esiston-» e si ferma. Sa per certo che
ci sono ancora questo genere di musicisti ed è proprio per
colpa di uno di questi se altri di loro hanno deciso di sfasciare mezzo
centro, compreso il posto dove lavorava;
è proprio questa consapevolezza a farlo fermare di nuovo.
Dicono che l'Inghilterra sia fredda e grigia, sempre bagnata e sempre
troppo stanca, ma Robert vive nella periferia da anni ed ancora non ha
trovato niente di tutto questo. Il sole non spacca le pietre,
né riscalda come
fa a New York, ma non ha ancora sentito il gelo. Ci si
può vivere, nonostante tutte le differenze culturali e
sociali alle quali è andato incontro - e che solo
recentemente ha imparato ad apprezzare.
«A che cosa stai pensando?»
«Ad una storia.» Ed è la sua vita.
Vorrebbe aprire il proprio cuore e comunicare che cosa c'è
dentro, confessare tutti i suoi sentimenti.
«Me la racconti?»
«No, tanto non la ascolteresti.»
Ed è davvero così: Jude non ha mai sentito una
sola parola di ciò che ha detto fino ad ora, e di cose
gliene ha dette tante.
Prende una sigaretta dal pacchetto un po' ammaccato che porta sempre in
tasca, «Non avevi smesso?» Chiede subito l'altro,
mentre posa il toast finalmente pronto davanti a lui - e dentro ha
messo del formaggio, solo quello, cosa che a Robert farebbe anche
ridere se non fosse che deve mangiarlo in ogni caso - e si siede su
un'altra
sedia, per niente turbato dalle sue parole, forse perché non
le ha colte, «avevi detto che quel musicista ti aveva
convinto...»
Già.
Si domanda dove si può trovare adesso e si risponde che,
probabilmente,
è in qualche locale a suonare il suo jazz poco commerciale
ma venduto ma ascoltato ma.
«Sono nervoso.» Giustifica.
«Mah, certe volte mi viene in testa che sono io a farti
agitare.»
Certo che è lui. Tra le tante caratteristiche che ha, fra le
prime c'è sicuramente la capacità di
scombussolargli la testa - incasinarla, sconfiggerla, piegarla alla sua
presenza.
Ed è fumo: nella sua mente, nella stanza, nel momento, in
quella notte; è la cenere che non sa dove buttare, ricordo
di giorni meno sereni e prospettiva di un futuro incerto.
Lo licenzieranno di certo, se vedono com'è ridotto,
perderà il lavoro se il locale è
irrimediabilmente distrutto.
«Puoi dormire qui se ti va.»
«C'è spazio?» Si limita a domandare. E
per quanto non lo stia mostrando, il suo cuore sta battendo e battendo,
perché dormire qui significa dormire con
Jude, stargli
accanto, sfiorarlo, il tutto fingendo di non adorarlo.
I suoi sogni si infrangono subito, immediatamente, non appena lo stesso
inglese fa: «Abbiamo una stanza vuota... puoi dormirci tu
o-» e continua a dire qualcosa, mentre Robert si sforza di
mangiare il toast.
Per nascondere la propria espressione, se non altro, per non fare il
solito malinconico misterioso.
«Sì, va bene.»
E sorride, dopo un attimo di incertezza, per calcare un po' il
concetto. Il ché fa scattare Jude come una molla mentre -
oramai in piedi - aggira il tavolo e corre verso la stanza in
questione, probabilmente per mettere delle coperte sul letto.
Lo sente canticchiare da lontano - I used to wake up
in the morning - e riconosce i The Who che ascolta
dalla mattina alla sera; stonato, stonatissimo, praticamente
inascoltabile.
Per la seconda volta non scoppia a ridere, ma sospira. Come se si fosse
rassegnato.
Forse dovrebbe capire bene che cosa pensa, cosa gira per la sua testa.
Forse sta tutto nella
logica delle ultime settimane. Ed anche messa così... non
sono altro che belle frasi, nulla di concreto, per
quanto sia stato un cammino pieno di musica, rumori e bisbigli.
♦
Note:
Uno svampito disordinato che ha come motivo di vita i The Who? So cosa
state pensando: non sono io travestita da Jude; lasciatemi un paio di
capitoli e ve lo dimostrerò.
Quindi sì: ecco la long che avevo
promesso. È una
AU ed è anche abbastanza corta: solo nove capitoli.
È ambientata a Bristol, precisamente nel borgo di Redland.
Avevo bisogno di un posto che stesse nella "periferia" - quindi lontano
da Londra - e ho scelto Redland perché è quello
che più di tutti corrisponde alla mia idea di "Quartiere
Studentesco".
Ma è solo per dare un po' di precisione alla fanfic, non
serve immaginarla o averla vista (e va beh, i personaggi studiano ai
veri indirizzi dell'università di Redland, ma ne parleremo
quando sarà il momento... x'D)
Qualche nota "tecnica":
Ho praticamente azzerato la differenza di età: Jude ha 20
anni, Robert uno e mezzo di più. Il primo è uno
studente, il secondo lavora ed ha una
strana tendenza a mettersi nei guai.
Jude è vegetariano, quindi anche il mio lo è (e
mangia i toast proprio come piacciono a me, lol).
Robert è nato a NY, ma in effetti è cresciuto a
Londra... va beh, è una AU, quindi si può far
finta che sia cresciuto lì dov'è nato xD
E questa fanfic meriterebbe talmente tante dediche che non so da dove
iniziare. Quindi la dedico a tutte quelle meravigliose persone che
hanno letto, commentato, preferito e ricordato la mia oneshot: vi
adoro ♥
Ma in particolare a Manu
& Barbara
che mi sono
sempre state accanto durante la
stesura di questa fic e che mi hanno aiutata in una maniera indicibile,
tenendomi la mano anche quando vagavo nel delirio più puro. Bà
mi ha persino aiutata a postare, consolandomi quando blateravo di
cestinare tutto (cosa che avrei seriamente fatto senza di lei), quando - invece - avrebbe dovuto staccarmi la
testa dal
collo, semplicemente & senza troppi complimenti.
Ed anche a
Roberta,
che ci teneva davvero molto a leggere qualcos'altro di mio.
Grazie donne! ♥
Il titolo viene dalla canzone dei Placebo ovviamente e, vi avviso fin
da ora, non c'entra proprio niente con la fic in sé xD
Au revoir~
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