Avvertenza: Nick Glennie-Smith è colui
che si occupò della musica del Re Leone II, tredici anni fa.
Lebo M. è un membro della troupe che si occupò della colonna sonora del primo
Re Leone; in seguito, al tempo del secondo film, diventa collaboratore di Nick,
ed autore effettivo della canzone di cui tratta la storia: He Lives In You.
America, 1998.
E’ giugno, ed è l’estate più calda da anni ed anni.
Nei giardini, i bambini giocano con l’acqua, tentando di dare refrigerio ad una
città asfissiata.
Ma nel cuore della città - che batte a malapena, tra quei palazzi colossali che
sembrano in procinto di schiacciarsi l’uno contro l’altro - l’atmosfera è ben
diversa.
"Dio, quanto cazzo odio lavorare al lunedì".
Un uomo si passa tra le mani un pacchetto vuoto di sigarette, utilizzandolo
come fosse uno sfogo contro ogni stress.
"Oh, avanti! Centinaia di persone vorrebbero il tuo impiego, e tu te ne
lamenti".
Accanto a lui, un secondo uomo, dal volto segnato dall’esperienza, ma gioviale,
gli dà una pacca sulla spalla.
"Ma non è il lavoro in sè, è il lunedì! E anche quella cazzo di
macchinetta del caffè rotta, e il capo che non può pretendere che col caldo che
fa mi vengano le idee. Cristo".
Getta a terra il pacchetto, prendendo a ticchettare nervosamente sul tavolo.
"Forza, pigliati il mio, di caffè, e buttati al lavoro...” replica
l’altro, sostituendo all’espressione affabile uno sguardo duro, preciso.
“Dobbiamo
scriverle queste canzoni, okay? Io ho due-tre bozze, ma senza la supervisione
di tutti e la tua in particolare…"
conclude, con l’ombra di un sorriso beffardo.
Uno sbuffo esasperato, dall’altra parte del tavolo.
"Ma perchè proprio io? Santo cielo, Nick".
Nick Glennie-Smith alza le spalle, ridendo, con quei suoi tre denti mancanti e quei
suoi pochi capelli chiari scossi dalla totale assenza di vento, e quel suo
suono allegro, capace di contenere tutto il sole del mondo.
"Perchè sei tu che hai scritto i
capolavori, nel film precedente. Ecco perchè. E ora fammi il piacere di
ascoltarmi. Ho due-tre bozze, come ti dicevo, ma non é quello il punto; cioè,
lo è – ma non ora.
Il punto, ora, è che ho
un'idea".
Ed indica un punto nel vuoto, come se l’idea fosse lì, percepibile, su quel
muro pieno di fotografie.
"Spara..." borbotta il compagno – ma ora c’è una vena d’attenzione;
s’appoggia al tavolo col gomito, lascia ricadere l’altra mano, più rilassato,
ora che qualcosa è sotto un certo controllo.
"Ho fatto un sogno, questa notte" esordisce l’amico, con un luccichio
negli occhi.
"Ah, be';” lo interrompe l’uomo, prendendolo in giro: “Il solito
sognatore, tu".
Nick sorride, pacifico. "È quello che ci si aspetta da un membro della Walt
Disney Company, o erro?"
L’altro lo liquida con un gesto della mano. "Sì, va be'; vai pure
avanti".
"Ho fatto un sogno, questa notte. Ho sognato un ragazzo. È vissuto tanti,
tanti anni fa. Lo so perché l’ho riconosciuto; ma prima ancora che lo
riconoscessi, be’, si capiva che apparteneva al passato: era in bianco e nero,
lui; bianco e nero, su uno sfondo di colori accesi ed accecanti. I colori di
una New York attuale, forse quasi futura. E girava per le strade, questa figura
bianca e nera, e salutava i bambini, e parlava loro nel linguaggio muto che
hanno i bambini; e salutava i ragazzi, e parlava loro con simboli nascosti; e
salutava le madri, e parlava loro con suoni lontani; e salutava gli anziani
bevitori, nei marciapiedi, sull’orlo della notte, e parlava loro con sogni che
a loro non erano più concessi. Ma poi,
pian piano, la gente, intorno a lui svaniva; così di colpo, capisci? Svaniva,
come se fosse stata risucchiata dal tempo. E così, infine, è rimasto solo lui,
in quella città vuota. Una figura quasi stampata, disegnata con l’inchiostro,
sui cartelloni dell’America. E sai, era come se non potesse sparire. Come se
non ne fosse in grado. Come se continuasse a vivere, più forte di quei colori
accecanti.
E quel ragazzo… quel ragazzo lo vediamo in ogni fotografia, Lebo; ogni giorno.”
Alza lo sguardo al muro di fronte a sé, dove una foto scattata molti anni prima
ritrae un uomo, sorridente, che espone un suo folle progetto, riguardo ad un
certo topo, o qualcosa di simile.
“Walt…” sospira Nick, con un sorriso.
L’altro uomo si concede un sorriso a sua volta, toccato. "...E’
commovente, sì” osserva, “Ma l'idea?".
"È questa!” esclama l’amico, piantando le mani sul legno. “Walt-- lui non scompare; lui è qui, è qui, è
accanto a noi!". Il collega sbuffa, scuotendo la testa.
"Non vorrei toccare il tuo animo sensibile, ma il fatto che Walt compaia
nei tuoi sogni non ci aiuta a creare una canzone decente".
Nick gli rivolge uno sguardo di sfida. "E io invece vorrei toccare il tuo
schifoso cuore materialista: non capisci? Ho la canzone! È tutta qui: lui è
vicino a-- no, no, lui è dentro di
noi! Guarda; guarda, guarda, ho i versi. Ho i pochi versi che ho scritto per
lui, al risveglio.
Tanto lo so che è questo che ti interessa".
Tira fuori dalla borsa un pezzo di carta, sul quale, con una grafia tremolante,
eppure, a suo modo, immensamente forte, ci sono scritte poche parole.
‘He lives in you, he lives in me, he
watches over everything we see; into the water, into the truth, in your
reflection, he lives in you’.
“Sai…” mormora Lebo, questa volta con uno scintillio negli occhi, così simile a
quello dell’amico.
“Forse so come contestualizzarla. Grazie, Nick”.
E, oltre i palazzi dell’America, il sole splende un po’ di meno, e in una
nuvola finalmente portatrice di acqua, si intravede un volto che da tanti,
tanti anni vive nei sussurri dei cuori.