E rieccoci con una nuova shot tutta per voi, un nuovo pezzo di puzzle da porre nel quadro di RMA. Pronti? ;D
Allora, giusto per la cronaca,
qui Mao ha diciassette anni, Rei e Kai diciotto,
Hilary sedici.
Hope u like
it.
=D
A Padme86.
Perché se non ci fosse stata lei, oggi non avrei minimamente
saputo come fare.
Perché resiste stoicamente alle mie ansie, ai miei scleri e ai miei lamenti.
Come faccia, però, è ancora racchiuso in uno dei misteri dell’universo.
Spoiled
Un anno che passa
Un anno in salita
Che senso di
vuoto
Che brutta ferita
Delusa da te, da me,
da quello che non c’è stato mai
Per tutta la vita – Noemi
****************
L’aeroporto di Dublino era
proprio strapieno di persone: giornalisti, fans,
persone comuni, bladers di alto e medio livello si
confondevano tra loro, parevano essere tutti imbottigliati in un edificio un
po’ troppo piccolo per contenerli tutti.
Dublino. Dublino e il nuovo
campionato del mondo di beyblade.
Mao sospirò, procedendo con le
sue due valigie azzurre.
Hilary ed Emily sarebbero
arrivate solo nel pomeriggio, e fino ad allora, fino a
quando non sarebbe potuta esplodere, era senza dubbio meglio concentrarsi
sull’allenamento in vista del torneo; quell’anno le regole sarebbero state
differenti: ogni squadra doveva avere quattro componenti, che si sarebbero
sfidati uno alla volta, decretando il vincitore.
Per i Baihuzu
avrebbero gareggiato Lai, Gao, lei e, ovviamente,
Rei.
Si morse il labbro superiore: in
quei giorni, non aveva fatto altro che ripensare al fatto che aveva passato
tutta la sua vita in Cina, a Pechino, al villaggio e… Dietro un ragazzo che la
considerava come una sorella.
Sentiva crescere nel suo petto
una sorta di inquietudine, qualcosa di opprimente che
cercava di scacciare con tutte le sue forze, ma che non ne voleva sapere di
andar via: da qualche settimana, con l’avvicinarsi del suo diciassettesimo compleanno
e del campionato, era stata parecchie notti sveglia a meditare circa la sua
vita, ed a fare il punto della situazione, uscendone sconfitta.
La verità era che non sapeva cosa
fare.
“Andiamo?” quando due occhi
ambrati si posero sulla sua figura, non poté fare a meno di distogliere lo
sguardo, o sarebbe arrossita. La verità era che Rei le faceva sempre
quell’effetto, sin da bambina, ma in quel momento ne era come… irritata. Da se
stessa e dalle sue emozioni.
Si limitò a seguire la squadra,
andando verso l’uscita dell’aeroporto; non essere tampinati dai giornalisti fu
davvero dura, perché si infilavano da tutte le parti e
non avevano riserve nel porre domande inopportune o sconcertanti, ma riuscirono
comunque a farla franca e a salire sul taxi che li portò all’hotel che la BBA aveva prenotato come
residenza per i bladers.
Un’elegante signorina alla
reception diede loro la chiave di una stanza, e Mao si
avvicinò, chiedendo, come ogni anno, una tripla riservata, prenotata per tempo:
da quando lei, Emily e Hilary avevano fatto amicizia, ogni anno si facevano
mettere assieme; ne venivano fuori i pigiama party più rumorosi e le chiacchierate
più lunghe avesse mai fatto.
“Ti porto le valigie?”
Sorrise a quel ragazzone di Gao, che la osservava con un sorriso buono.
“Se non ti dispiace.” scrollò le
spalle, indicando il piano superiore dell’hotel.
“Non capirò mai perché mia
sorella debba portarsi il villaggio intero ogni volta.” brontolò Lai, scuotendo
la testa in segno di disapprovazione, facendo ridere gli altri.
“Pensa per te.” lo rimbrottò lei,
andando verso l’ascensore, seguita dall’amico.
L’hotel era,
come sempre, un cinque stelle grandioso; la BBA si manteneva sempre a livelli molto alti e
nessuno dispiaceva la cosa. Premette il secondo tasto, sospirando, e
ravviandosi i capelli.
“Sei triste, Mao?” la domanda che
le rivolse Gao la lasciò completamente spiazzata:
voleva bene a quel gigante che conosceva da una vita, che non pensava ad altro
che al cibo e al beyblade, ma che sapeva
essere davvero tanto dolce…
E in certe situazioni non si aspettava davvero tante cose. Tipo questa.
“No, io… No.” sapeva di non avere
un tono di voce particolarmente convincente, ma gli
sorrise ugualmente, come a fargli capire che non voleva parlarne. “Siamo
arrivati. Grazie per l’aiuto.”
Lui ricambiò il sorriso. “Noi siamo
amici, Mao, e io sono qui ogni volta lo vorrai.”
La ragazza abbassò lo sguardo,
portandosi fuori dall’ascensore.
Lo so, grazie.
“Il viaggio da New York a qui mi ha distrutta!” si lagnò Emily, buttandosi sul letto. “Ho un mal di testa davvero incredibile, mi sembra di essermi
sbronzata.”
Hilary la guardò di traverso. “E
tu non hai nemmeno dovuto cambiare due aerei: per Dublino non c’è un diretto da
Tokyo. Non farmelo ricordare.”
“Anche Julia e Mathilda sono arrivate.” fece Mao, guardando fuori dalla
finestra, con aria pensierosa. “Magari domani potremmo
andare tutte a fare shopping. Ho sentito che questa è molto carina come città.”
Emily annuì lentamente, poi
seppellì la faccia sotto il cuscino. “Sì, ma prima fammi riprendere.”
Hilary sbuffò. “Concordo. Mi
sembra ancora di viaggiare in turbolenza.”
Mao le guardò sorridendo. “Volete
che abbassi le serrande e vi lasci riposare?”
La bruna la fissò inarcando un
sopracciglio. “Mi piacerebbe, ma prima siediti accanto a me e dimmi cos’è
quell’aria afflitta.” Emily, da sdraiata, alzò melodrammaticamente il pollice
verso l’alto.
La cinese cercò di sorridere e,
automaticamente, si sedette sul bordo del letto della sua amica, mordendosi le
labbra. “Brutti pensieri.”
“Di che genere?”
“Mi sono stancata della mia
vita.” buttò fuori tutto d’un fiato, fissando un punto
davanti a sé.
“Bada che mi opporrò al tuo
suicidio.” la frase di Emily, buttata lì a casaccio in tono neutro, fece ridere
le altre due.
“No, intendevo dire che io…” Mao
abbassò lo sguardo ed accavallò le gambe, non sapendo
bene come articolare la frase.
“Non ne posso più: della tribù.
Della Cina. Di Rei. Soprattutto di
Rei. Ho sempre condotto la stessa… Normale, scontata vita: sono sempre stata
Mao, quella innamorata persa di lui, del futuro capo
della tribù della Tigre Bianca, quella che è un’ottima cuoca, quella che,
forse, lo sposerà… Ma ora… Non lo so. E se volessi altro dalla vita? Che ne so…
E se mi innamorassi di un francese? Di un dublinese? E
se decidessi di aprire un ristorante qui? Secondo le regole
non potrei farlo, ma io voglio essere libera di fare quello che voglio!” disse,
tutto d’un fiato. “Non… non credo di aver mai vissuto veramente. Io voglio vivere.”
La pausa che seguì fu un lungo
silenzio, ma la prima che prese la parola fu l’americana che, seppur pallida
per il lungo viaggio le dedicò un sorriso. “Se per ora
non sei felice, credo dovresti fare ciò che ti permetta di esserlo.”
Hilary annuì. “Emily ha ragione.
Chiariamoci: io credo che Rei ti voglia bene, però… Non so, è da vedere. Se tu
ritieni di voler ritrovare la tua libertà, io ti aiuterò. Sarò sempre al tuo
fianco. Sempre.”
Mao le strinse la mano. “Grazie. Vi voglio bene.”
Emily sorrise. “Domani, come
prima cosa, si va a fare shopping anche con Julia e Mathilda. Prima, però, facci riprendere, che diamine!”
Il campionato iniziava ufficialmente
tra due giorni e le ragazze ebbero il tempo di visitare la città, nonostante
gli allenamenti.
Radunate Julia e Mathilda, decisero di andare in giro per la città celtica,
perdendosi tra i vari negozi, le statue, i monumenti e i musei.
Mao dovette fare un gran sforzo per cacciarsi alle spalle le preoccupazioni che
la assillavano, soprattutto perché per gli allenamenti non era stata al top
della forma: stando accanto ai ragazzi, sentire Rei che, con il suo sguardo le
ricordava le cose brutte che pensava, non aveva giovato alla sua prestazione
sportiva, ma quel giorno era determinata a divertirsi.
“Coraggio.” Hilary la prese a
braccetto. “Da oggi comincia qualcosa di nuovo.” fece, schiacciandole
l’occhiolino.
La ragazza annuì, sorridendo, e
seguendo la sua amica: sapeva che non avrebbe scacciato la sua inquietudine con
uno schiocco di dita, ma perlomeno ci avrebbe provato.
“Guardate, questa è la statua di
Molly Malone!” esclamò Mathilda estraendo la
digitale. “E’ praticamente il simbolo di Dublino.”
Julia si fermò a guardare la
statua con aria dubbiosa: raffigurava una bella ragazza in abiti succinti che
spingeva un carretto. “Okay, facciamo una foto?”
“Mettetevi in posa!” sorrise la componente della squadra europea.
“Sì, ma tu poi non ci sarai!”
protestò Emily, corrucciando la fronte.
Mathilda
fece per scrollare le spalle e ribattere, quando udì una voce da dietro le
spalle: “Se volete posso scattarvela io.” a parlare
era stato un ragazzo alto, dai capelli rossicci e gli occhi verdi: aveva un
sorriso aperto e sincero, che splendeva come il sole.
“Ci faresti un favore.” gli
sorrise Hilary.
In breve, tutte presero posto l’una accanto all’altra, vicino la statua, e
ne venne fuori una foto di notevole qualità.
“Che bella.” Emily era ammirata.
“E c’è un sole piuttosto forte, come hai fatto?”
“Sono uno studente all’accademia
di belle arti, nel corso di fotografia.” spiegò il giovane, non smettendo di
sorridere. “Mi chiamo Shane, non sono di Dublino, ci studio: sono di Kilkenny.”
La brunetta aveva l’espressione
di chi aveva appena avuto un’idea geniale. “Io sono Hilary, lei è Emily, lei Mathilda e lei Julia.” fece, escludendone volutamente una.
La cinese sbatté gli occhi. “Ah, e io sono Mao.”
“Siete
tutte straniere.” osservò il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, confuso.
Da dietro, Hilary fece cenno alle
ragazze di stare due passi più indietro rispetto a loro, infatti
la conversazione si concentrò solo su loro due.
“Sì.” rispose Mao, ravviandosi i
capelli. “Io sono cinese, Julia è spagnola, Mathilda è
danese, Hilary è giapponese ed Emily americana.”
Lui sorrise, ma aveva
un’espressione sorpresa. “E’ strano che cinque ragazze di diversa nazionalità
vengano qui, a Dublino… Per caso alloggiate all’University College of Dublin per fomentare la conoscenza dell’inglese?”
Mao gli
sorrise, scuotendo la testa. “No, siamo delle bladers.
Siamo venute a partecipare al campionato del mondo.”
Shane spalancò occhi e bocca.
“No, che figata! Allora quand’è così fatevi offrire
un aperitivo: ho l’onore di conoscere delle campionesse, non capita mica tutti
i giorni.”
Quella giornata fu meravigliosa,
trascorse letteralmente in un lampo: Shane fu una compagnia divertente,
affabile, galante, gentile, e insieme trascorsero delle ore veramente
bellissime, testimoniate dalle numerose foto che scattarono.
Mao sospettò più volte che le sue
amiche stessero tramando di lasciare appositamente lei e il ragazzo da soli, visto che, spesso e volentieri, loro due si ritrovavano a
parlare insieme mentre le altre si eclissavano chissà dove, ma non le
dispiaceva.
L’irlandese era un ragazzo di
ottima compagnia, e trascorrere la giornata con lui era stato quanto di più
piacevole si potesse aspettare.
Erano andati da un punto
all’altro di Dublino, visitando il Trinity College,
passando per il Liffey River, ed
avevano visto anche la
Cattedrale di San Patrick.
Sfortunatamente non vi era stato
tempo, altrimenti Shane aveva detto che le avrebbe portate a visitare la casa
di Joyce e anche il posto dove gli U2 incidevano i primi dischi (e qui sia
Hilary che Julia avevano fatto un salto, da fan
sfegatate della band), ma le avrebbe portate l’indomani.
Però, per quella sera le aveva
invitate al Temple Bar, un famosissimo pub di Dublino dove si scatenava la vita notturna irlandese, e
aveva dato loro appuntamento per le dieci.
“E’ bello vederti così.” quando
Hilary la sorpassò, Mao aggrottò le sopracciglia.
“Così come?”
“Sorridente, finalmente.” la
bruna si fece dare dalla receptionist la chiave della loro stanza. “Shane ha
colpito, eh?”
Mao arrossì. “Beh, è carino…”
Julia sfoderò un sorriso
malizioso. “E’ il tipico maschio irlandese: dolce ma ci sa
fare. Non so se mi spiego…” tutte scoppiarono a
ridere, facendo arrossire la cinese ancora di più.
Mathilda
intervenne per salvare l’amica da ulteriori imbarazzi.
“Mi sa che dobbiamo prepararci per la cena, che poi al pub non possiamo mica
andare a stomaco vuoto…”
Emily sollevò i numerosi
sacchettini che reggeva. “Così passiamo pure dalle nostre camere a depositare
questi: pesano un po’.” le altre sorrisero, ricordandosi dei numerosi
negozietti accuratamente selezionati dal ragazzo in cui avevano fatto, di tanto
in tanto, una sosta.
“Avete svaligiato mezza Dublino?”
Julia inarcò un sopracciglio alla
domanda di Lai, ponendo le braccia conserte. “Non che siano affari tuoi, ma
siamo andati a fare shopping. Non lo sapevi?”
“Hai perso una giornata di
allenamento solo per questo?” borbottò il cinese, in direzione della sorella.
Mao si irrigidì,
scegliendo di passare avanti e di non rispondergli nemmeno, infilandosi
direttamente sull’ascensore, dove fu seguita dalle compagne di stanza.
“Tutto bene? E’ raro che te la prendi per qualcosa che ti dice tuo fratello.” osservò
Emily, fissandola di sottecchi.
La cinese sospirò lentamente. “Sì,
io… Lo so, ho reagito in maniera esagerata.”
Hilary scrollò le spalle. “Non
crucciarti per questo: stai passando un periodo particolare, è più che normale
scattare come una molla alla minima stronzata. Ora posiamo nella stanza le
nostre cose, andiamo a mangiare che stasera ci divertiamo. Soprattutto
tu.” dichiarò, strizzandole l’occhiolino.
Se c’era una cosa a cui era sempre stato abituato fin da bambino, era ad avere
un occhio sopraffino, oltre che un udito fuori dal comune e un intuito eccezionale.
Da membro e futuro capo della
tribù della Tigre Bianca, non era uno sprovveduto: sapeva che qualcosa nella
sua amica era cambiato, e che, probabilmente, era tormentata da diversi
pensieri: erano giorni che il suo animo pareva rodersi, e giorni che sembrava non concentrata sul mondo che la circondava.
Lui, ovviamente, non aveva fatto
pressioni: ci sarebbe sempre stato per lei, esattamente come lei c’era sempre
stata per lui.
Mao, aveva, da sempre, occupato
un posto speciale nel suo cuore: era stata la sua compagna di giochi, erano
cresciuti insieme, ed era stato spontaneo sentir affiorare, nel petto, quel
dolce sentimento che ora sentiva esplodere e cercare
di contenere ogni qualvolta lei gli sorrideva…
Lei era stata colei che si era
dichiarata davanti a tutti durante il primo campionato del mondo di beyblade, dichiarando che lo avrebbe aspettato sempre… E lo
aveva fatto.
Come Penelope aspetta Ulisse che
naviga per raggiungere Itaca, anche lei era rimasta, paziente, presso la tribù,
mai lamentandosi, mai urlandogli contro, ma sempre sorridendogli e andandogli
incontro ogni qualvolta tornava dai suoi viaggi.
E, nonostante tutto questo,
nonostante lui fosse tornato in pianta stabile in Cina da ormai due anni, non
si erano ancora parlati, e non avevano fatto alcun riferimento a quanto era
accaduto quando entrambi avevano tredici anni.
Non sapeva se l’inquietudine di
Mao dipendesse da questo, o vi fossero altri motivi o ragioni, ma una cosa era
certa.
Ci sarò sempre per te, Mao…
Emily fissò compiaciuta
la mise elegante della cinese quella sera: per essere una semplice serata per
le vie di Dublino, Hilary aveva passato un’ora intera a decidere cosa fare
indossare a Mao e come farla truccare, e il risultato era stato più che
sconvolgente.
Un tubino nero metteva in risalto
le forme prorompenti della ragazza, e un trench bianco le sottolineava
candidamente. La bruna, poi, le aveva prestato una borsa Chanel che si intonava alla perfezione e che rendeva ancora più
elegante ed armoniosa la sua figura.
“Wow.” Shane era ammirato. “Sei…
Di un altro pianeta.” il ragazzo non riusciva a smettere di sorridere e fu con
gesto automatico che le porse il braccio. “Ragazze, spero non vi dispiaccia.”
fece, rivolgendosi alle altre.
“Oh, no, no.” Julia, Mathilda, Emily e Hilary lo esclamarono quasi in coro, cercando
di sorridere in maniera spontanea e non da streghe,
come le aveva apostrofate la loro amica cinese minuti
prima.
Nel quartiere di Dublino che
prendeva il nome Temple Bar, vi erano numerosi artisti di strada,
cosa che catturò subito l’attenzione di Julia, estasiata da tutta quella
bravura.
“Oh, l’Hard Rock café!” mugolò Mathilda,
indicandolo. “Shane, ci devi portare assolutamente, domani.”
Lui le sorrise. “Sarà fatto.”
Più avanti le
condusse presso un locale che spiccava per i muri rossi dove, a caratteri
cubitali, stava scritto Temple Bar. “Ecco, il pub che ha dato il nome a tutto il quartiere.” dichiarò, facendole
entrare. “Sapete, Sir Temple era il rettore del Trinity college nel 1600, colui che
ha probabilmente dato il nome al pub e, successivamente, a tutto il quartiere.”
Shane dimostrò di sapere
parecchie cose su Dublino, nonostante ci vivesse da solo un anno: si descrisse
come un curiosone e un amante dei viaggi, dopodiché, ordinate le birre, chiese
loro di illustrargli le curiosità del beyblade.
“Quando inizia il campionato? E’
un vero peccato, ormai i biglietti saranno andati a ruba… Mi sarebbe piaciuto
fare il tifo per voi…”
Mao gli
sorrise. “Mai dire mai.” fece, estraendo un pass. “Piacere di conoscerti,
Giancarlo Bianchi, giornalista italiano de ‘La Repubblica’.” tutti
scoppiarono a ridere.
Shane fissò le altre. “Io amo
questa donna!” e a Mao si strinse il cuore in una morsa di inquietudine.
Le vie irlandesi viste dall’alto
erano meravigliose.
Si strinse nella sua vestaglia,
mordendosi le labbra, quasi potesse impedire ad una
lacrima di solcarle la guancia, inutilmente; un singhiozzo le scivolò via dalle
labbra, prepotente. Si portò le mani alla bocca, nel
tentativo, inutile di calmarsi.
Era sempre stata una ragazza
energica e combattiva, pronta a combattere le sue battaglie: perché in quel
frangente era ridotta uno straccio? Perché non si riconosceva più?
S’irrigidì appena quando sentì
delle braccia circondarle la vita, ma si rilassò subito quando capì che si
trattava della sua migliore amica.
Aveva solo bisogno di una spalla
su cui appoggiarsi e di piangere, piangere fino allo
sfinimento, e magari di urlare, urlare fino a non avere più voce… Ma poi
perché?
“Sfogati.” la voce di Hilary le
arrivò chiara e dritta alle orecchie, in una stilettata che fece
quasi male e le fece abbassare lo sguardo.
Si appoggiò al muro, mordendosi
le labbra. “Perché?”
“Perché non posso vederti così.”
le prese una mano, accarezzandole lievemente il palmo. “Ti voglio bene, e mi
fai soffrire.”
Le sue parole, appena sussurrate,
furono un incentivo per far inumidire gli occhi della cinese. “I-Io… Non ce la
faccio più.” scoppiare a piangere fu automatico, così come essere strette
dall’abbraccio della bruna.
“Stai attraversando un brutto
periodo, ed è normale una crisi d’identità, specie a chi è sempre stata
catalogata dalla gente con una sola etichetta.” la scostò dolcemente da sé,
fissandola dritto negli occhi. “Io so esattamente chi sei: tu sei Mao, sei la
mia migliore amica e io ti adoro.” fece, scoccandole un bacio sulla guancia.
“Se tu decidessi di mollare il beyblade, di sposarti Shane alle Hawaii, di fare un bambino
in provetta, di fare la barbona al supermercato… O di mollare tutto e insieme andare
a fare le ladre sexy alla Thelma
e Louise… Io ti appoggerei.” le schiacciò l’occhiolino.
“Ma
voglio che tu ricordi una cosa, e per quanto dolorosa devo proprio dirtela: non
ha senso voler rinnovare se stessi se la nostra anima rimane accorata al passato.”
le sorrise dolcemente, ravviandole i capelli dietro l’orecchio.
“Buonanotte, ti voglio bene.”
“Dai, vediamo di godercela bene
quest’ultimo giorno di libertà!” trillò Julia, da sopra la piccola torre della
casa di James Joyce.
“Esagerata.” rise Emily, nella
sua direzione, scattandole una foto, per tutta risposta.
Avevano visitato la dimora dello
scrittore dublinese, rimanendo affascinate – soprattutto Hilary, grandissima
lettrice di autori classici come la Austen, Joyce
e le sorelle Bronte – da quel luogo che emanava una storia così
vivida, limpida che pareva esser toccata con mano.
“Hilary è in visibilio.”
sghignazzò Mao, in direzione del ragazzo, che annuì.
“Senti, ti va di scendere
dabbasso?” Shane aveva una nuova luce negli occhi che la ragazza non seppe
interpretare, tuttavia scelse di annuire leggermente: quando le dita del
ragazzo si insinuarono tra le sue, sobbalzò
leggermente, e il pensiero andò a Rei: sarebbe morta se quel gesto lo avesse
fatto lui.
Vicino la casa di Joyce c’era un
grande spiazzo, ideale per parlare, riposarsi, soprattutto se c’era una bella
giornata, come quella che stavano vivendo. Il clima irlandese era capriccioso,
come un po’ in tutto il regno unito: il sole non
durava a lungo, così come non durava a lungo la pioggia.
“Dublino è bella.” soffiò Mao,
affacciandosi a vedere il panorama dal muretto: i suoi capelli si mossero a
ritmo del vento abbracciava l’intera città, ipnotizzando il ragazzo.
“Io credo che sia tu a renderla
tale.” la voce roca di Shane fece aggrovigliare lo stomaco di Mao in un impeto
di… tremore?
Quando lui si avvicinò lei chiuse gli occhi di scatto, con fare
quasi disperato, ma non bastò. Non bastò, perché quando le labbra
di lui furono sulle sue, furono altre labbra quelle che desiderò di
baciare.
E si dette della stupida.
Lai afferrò
Galeon con fare quasi rabbioso non appena terminò il
suo scontro con Rei. Erano stati tutto il giorno ad allenarsi, come quasi tutti
i bladers, e l’indomani sarebbero cominciati i
campionati. Era preoccupato per sua sorella perché non la vedeva serena, il
campionato era solo la punta dell’iceberg, e poi… Dove diavolo andava ogni
giorno?
“Io starei tranquillo.” fece Gao, con aria pacifica. “Mao sa quello che fa, ed è già
brava per com’è.”
“Sì, lo so.” brontolò. “Ma
vorrei perlomeno sapere cosa le passa per la testa.”
Kiki,
che faceva da riserva, era il più tranquillo di tutti; ponendo le braccia
dietro la testa, si stiracchiò. “Ah, non farla troppo lunga: quando vorrà
parlarcene, noi ci saremo.”
“Ben detto.” approvò il gigante
cinese. “Ora andiamo a cena?”
Mentre il gruppetto rideva e lo
prendeva in giro, nella hall dell’albergo erano appena
rientrate la comitiva di ragazze cosmopolite che, dopo una giornata all’insegna
della Dublino più pura, stavano festeggiando la novità in maniera alquanto
rumorosa, destando l’attenzione delle persone vicine.
“Dai, Shane, rimani a cena!”
chiocciò Julia, tutta un sorriso.
“Infatti, noi ceniamo sempre
tutte e cinque in un tavolo da sei.” spiegò Mathilda.
“E stasera saremo veramente sei.”
“Si festeggia il fidanzamento di
Mao!” esclamò Hilary battendo il cinque a tutte e facendo arrossire i due.
Quello che seguì fu una scena
particolarmente imbarazzante: Lai andò dritto sparato dalla sorella,
artigliandole il braccio con occhi di fuoco. “Mao: cos’è questa storia?”
Hilary si schiaffò una mano sulla
fronte. “Calmati, stavo esagerando.” fece, provando a gettare acqua sul fuoco.
“Mica si sposano o roba simile: tua sorella adesso sta
semplicemente con questo ragazzo.”
La cinese sbuffò. “Grazie Hila, ma ci penso io.” fissò Lai trapassandolo con lo
sguardo. “Che c’è?”
Il fratello incrociò le braccia
al petto. “E’ per questo che hai saltato gli
allenamenti? Per stare con lui?”
Mao inarcò pericolosamente un
sopracciglio. “Anche se fosse?”
Lui serrò la mascella, stringendo
i pugni. “Abbiamo un campionato da disputare, e lo sai. Non
sono ammesse… Distrazioni.”
La ragazza inarcò un
sopracciglio. “Io ho una mia vita, ma
probabilmente tu te ne sei dimenticato, te ne dimentichi sempre.” ringhiò. “Io
esco con lui, se ti sta bene okay, altrimenti va’ un
po’ a quel paese.” strinse la mano di Shane con aria di sfida, poi fece un
cenno alle ragazze con la testa. “Venite, andiamo a cenare.”
La stettero a
guardare mentre si allontanava, scortata dalle sue amiche e da quel
ragazzo: sembrava così diversa dalla Mao che erano abituati a conoscere… Era
evidente che in lei stava cambiando qualcosa.
Rei cercò
di tenere a bada la sensazione di furia e gelosia che minacciò di propagarsi
per tutto il suo essere: mai, mai
avrebbe immaginato che quel giorno potesse arrivare.
Aveva letto nello sguardo della
sua amica una rabbia, un furore non indifferente, ma una cosa era certa: non
era amore quello che l’aveva spinta a schierarsi con il ragazzo. Era piuttosto
disperazione, frustrazione,e qualche altra cosa che
non aveva saputo classificare.
Lei non provava nulla per quel
ragazzo.
La sua Mao c’era ancora, non era
cambiata.
Il suo unico cruccio era se
doveva lottare per riprendersela oppure aspettare. Aspettare i suoi tempi, aspettare che questo periodo finisse, un po’ come lei aveva
sempre fatto con lui.
Che devo fare?
Hilary lanciò
il mozzicone di sigaretta lontano, badando bene a non farsi accorgere da
nessuno: aveva iniziato a fumare da pochissimo, e non voleva che nessuno se ne
accorgesse, altrimenti le sentiva già le lamentele: già bastava Takao, di tanto in tanto, a fare le veci di sua madre senza
che ci si mettessero pure le altre…
“Che fai?” sobbalzò quando Mao
uscì fuori sul balcone.
“Niente, pigliavo una boccata
d’aria.” finse un tono quantomeno casuale. “E pensavo che quest’anno è una noia: tutte facce già viste, già conosciute… Tranne la
nuova leva della squadra europea, direi. E’ carino. Quasi quasi…”
La cinese ridacchiò. “Attenta,
che secondo me si è preso una cotta per te, quel povero viennese.”
Hilary scrollò le spalle. “E’
tanto per divertirmi, Mao. Lo sai qual è la mia
filosofia con i ragazzi: usali e poi gettali.”
La cinese sospirò: sapeva bene
che la brunetta aveva avuto numerose relazioni durate
un arco di tempo inferiore al tempo dove una limonata non era intesa come la
bevanda, ma era fatta così: aveva chiarito che non le interessavano le
relazioni. “Forse non hai trovato quello giusto.”
“Quello giusto!” la scimmiottò. “Diamine, ho sedici anni, mi voglio
divertire! Voglio essere baciata, guardata, e tra un po’
vorrò pure scopare, che diamine!” alla faccia scandalizzata della cinese, lei
rispose con una linguaccia.
“Sì, cara mia,
è meglio che ti adegui: sco-pa-re.
Voglio questo, e basta. Sono una ragazza libera e indipendente, l’ultima cosa
che voglio è un ragazzotto che mi dica come devo vivere. Ho sedici anni e tutto
il diritto di divertirmi.”
Mao sbuffò. “Non è così che… Mi
hanno insegnato.”
“Beh, se è per questo neanche a
me, ma le idee vanno soppiantate, cara mia.” fece,
strizzandole l’occhiolino.
La cinese scosse la testa,
appoggiandosi alla ringhiera del balcone. “Non ti interessa
sposarti, avere una famiglia?”
La brunetta inarcò le
sopracciglia. “Sì… Più o meno tra una ventina d’anni.”
fece, scoppiando a ridere. “Ho se-di-ci anni!”
Mao si morse le labbra.
“Probabilmente se anch’io, anni fa, l’avessi pensata come te
non mi sarei trovata in questa situazione adesso…”
Hilary le cinse le spalle con un
braccio. “Ascoltami, okay? Con Shane non è che ti ci
devi sposare o altro; ci stai, vedi come va, e se non ti ci trovi… Lo mol-li. Cos’è che non
è chiaro?”
L’altra sorrise.
“Niente, tu fai proprio tutto facile, Hila…”
Il campionato del mondo iniziò il
giorno dopo, e grazie al pass speciale che Mao aveva procurato a Shane, il
ragazzo poté presenziare agli incontri che videro
combattere quattro delle otto squadre mondiali che presenziavano al campionato.
Il presidente Daintenji
fece il classico discorso d’inizio campionato, e, quando le squadre
si batterono, tra cui quella dei Baihuzu, i tifosi
furono subito pronti ad acclamarli, ed a tifare per il loro preferito.
Mao non giocò, quel giorno,
chiedendo brutalmente di essere sostituita.
Nella sua squadra si respirò
tutta la mattinata un clima orribile: suo fratello non le parlava e gli altri
la fissavano di sottecchi; Rei, poi, sembrava volesse comunicarle con gli occhi
qualcosa che lei voleva fuggire a tutti i costi.
Non le sopportava quelle iridi
ambrate. Non le sopportava e non sopportava nemmeno il calore che le provocavano per tutto il corpo.
Non sopportava che ogni qualvolta
lui si degnava di posare il suo sguardo su di lei, lei dovesse sentirsi così,
come una povera scema.
Perché con lui mi sento così e con Shane no?
La prima mattinata d’incontri si
esaurì presto, e Mao poté dileguarsi per il pranzo: non avrebbe retto ancora a
lungo la presenza dei Baihuzu.
Rei la guardò
andare via con un misto di rabbia e impotenza: il non sapere che cosa doveva fare
stava divenendo una sensazione lacerante, impossibile da sopportare.
Come diavolo posso far fronte a tutto questo?
Fu quando si pose la domanda che
la possibile risposta gli passò accanto. In jeans e canotta rossa.
“Hilary!”
La brunetta si volse verso di lui,
sorridendogli genuinamente. “Ciao Rei. Complimenti per l’incontro: siete stati
mitici!”
Rei ricambiò
il sorriso: voleva bene a quella brunetta conosciuta qualche anno prima in
Giappone che considerava alla stregua di una sorella. Era diventata un must nei campionati, un vero elemento della BBA; tutti le
volevano bene e, se c’era qualche problema si
confidavano con lei. Era divenuta una sorta di psicologa.
“Posso parlarti?”
Hilary annuì. “Pranziamo insieme?
Ho un certo languorino…”
Il cinese inarcò un sopracciglio
prima di sorridere. “La vicinanza con Takao ti ha
fatto male…”
“E’ stato un peccato che tu non abbia
giocato… Domani non so se potrò esserci, sarà allestita la mostra di Andy
Warhol.” Shane stava blaterando da ormai dieci minuti, ma
Mao aveva la testa da tutt’altra parte.
Per la precisione, fissava il
tavolo in fondo alla sala pranzo del ristorante dell’albergo, quello in cui, da
cinque minuti, si erano accomodati Rei e Hilary.
Di che diamine potevano parlare?
Parecchi metri più in là il
cameriere aveva portato ai due ragazzi del fish and chips, sul quale Hilary non si era minimamente risparmiata.
“Scusami, ma ho fame.” fece,
sorridendo. “I campionati mi mettono sempre un certo appetito.”
Rei scosse la testa. “Ti capisco, anche io sono affamato.”
“Allora, dimmi tutto.” esclamò,
con voce allegra, condendo il pesce con una spruzzata di limone.
Il cinese non
seppe da dove cominciare: sapeva bene che aveva scelto la persona giusta per
confidarsi: in fondo Hilary era una ragazza fidata e poteva anche dargli il
consiglio giusto, ma non sapeva proprio come impostare il discorso…
“Non so cosa fare… Con Mao.”
La bruna annuì, accompagnando la
forchetta alla bocca. “In che senso, esattamente?”
“Speravo potessi dirmelo tu.” inarcò
brevemente il sopracciglio lui, inghiottendo un boccone.
Lei sorrise furbescamente. “Ah, no! Io so cosa ha in testa Mao, ma
hai torto se speravi che te lo dicessi.” esclamò, accavallando le gambe.
“Non sai cosa fare… In
che senso? Qual è il tuo bivio esattamente?” sussurrò con fare
accattivante.
Mi ha fregato.
“Shane.” ammise, con un sospiro
che sapeva tanto di sconfitta. “Amo Mao, e la mia colpa è non averglielo mai
dimostrato. Quindi le due strade sono: vado a riprendermela o la aspetto, come
lei tante volte ha fatto con me?”
Hilary roteò gli occhi e
ridacchiò. “Tu e Mao siete proprio due anime gemelle. Vi
auguro veramente che, quando vi ritroverete, non vi lascerete più, perché come
voi ne esistono poche al mondo.” ridacchiò, nascondendo il sorriso dietro una
mano. “Rei, lei non ama Shane. Lui è un diversivo. Deve
soltanto trovare se stessa.”
“Che devo fare?”
La brunetta assottigliò gli
occhi. “Se tu fossi una ragazza che si sente data per scontata, una che per
tutta la vita non ha fatto altro che essere etichettata come quella che aspetta e spera… E ora si è
proprio rotta i coglioni e vuole provare il brivido… Che faresti?”
Rei sorrise, e una luce brillò nei suoi occhi color caramello. “Non aspettavo altro che tu
me lo dicessi.”
Non capiva perché quel giorno si
sentisse quella strana sensazione addosso: era differente dalla solita
inquietudine a cui ormai aveva fatto il callo,
differente da tutte le strane emozioni che provava di solito, era qualcosa che
aleggiava su di lei come un’ombra, che la rendeva ulteriormente nervosa.
E non era perché il clima nella
sua squadra era ormai compromesso, o perché Shane fosse assente. No.
Aveva come una sorta di strano
presentimento.
Si batté contro la squadra
europea quasi rabbiosamente, determinando la sua vittoria in pochi minuti. Non
sopportava quella sensazione, voleva tornare a sedersi in panchina.
“Sei stata brava.”
Fu come una stilettata.
E all’improvviso capì: lui, era
sempre lui, sempre e solo lui il responsabile di tutto.
Mao strinse i pugni, abbassando
lo sguardo, tremando appena. Gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo né
rispondendogli; semplicemente si detestò ulteriormente per il suo cuore che,
furioso, aveva aumentato i battiti.
“Voglio sapere cosa vi siete
detti tu e Rei ieri sera.”
Hilary si fermò con la mano a
mezz’aria, ed Emily emise un gemito. “Strappala tutta, dannazione!” forse non
era stata una buona idea fermarsi con la striscia di ceretta a metà.
La brunetta sorrise, riprendendo il
suo lavoro. “Spiacente, ma lo sai che quando le persone mi parlano non rivelo
mai cosa so. Parlare con me è come parlare con un muro: i muri parlano?”
Mao tremò di rabbia: non ce l’aveva con la giapponese, ma se non le diceva cosa si
erano detti con Rei la sera prima, poteva rischiare di fare una pazzia. “Bene,
questa volta dovrai fare un’eccezione.”
Hilary spalmò dell’intrugliò
appiccicoso sulle gambe di Emily per poi prendere delle altre strisce. “Dimmi
perché.”
Mao scosse la testa come se,
facendolo, un’idea balorda le potesse scivolare via come una mollica da un
tavolo. “Perché sono confusa, ecco perché!” sputò fuori. “Io non so più chi sono, non so chi voglio essere, non ho un’identità…” i suoi
occhi si riempirono di lacrime, che si affettò a scacciare. “E nessuno sembra
farci caso!”
La giapponese sospirò, mettendo
via la ceretta e stendendo sulle gambe dell’amica dell’olio adatto. “Ma io lo
so. Emily lo sa, tutti lo sanno. Ma
sai cosa dovresti fare, realmente
fare, tesoro?” Hilary si asciugò le mani su una salviettina, che poi
appallottolò e buttò nel cestino della carta. “Prendertela con il
responsabile. Altrimenti questa crisi di identità
durerà per tutta la vita, e tu sarai sempre costretta a chiederti con Shane che
ci stai a fare.”
Mao sobbalzò. “Non è vero, io…”
“Tu cosa? Lo ami alla follia?” La
bruna la inchiodò con lo sguardo e l’altra arretrò, mordendosi le labbra.
La cinese, sconfitta, abbassò lo
sguardo. “No.”
“Solo affrontando Rei potrai
gettarti ogni cosa alle spalle e vivere finalmente bene la tua storia con Shane.”
Hilary pose le braccia conserte, e Mao annuì, decisa, uscendo dalla stanza.
Oppure potrai scoprire che la via precedente non era poi così male, ma
si doveva soltanto riscoprire…
Driger
si destreggiò alla perfezione tra lo slalom di ostacoli che vi erano sul campo;
quel pomeriggio, in palestra, c’era un’insolita calma; non che Rei fosse
particolarmente concentrato, ma tanto bastava ad allenarsi, quindi andava bene.
La verità nuda e cruda era che la
sua mente andava sempre, perennemente a Mao.
Quando quella mattina lo aveva
deliberatamente ignorato gli aveva fatto male, non
poteva nasconderlo, ma che poteva fare? Possibile che uno come lui, così deciso
quando si trattava di beyblade, in quel frangente non
sapesse quasi come muoversi?
Era una cosa che non sopportava.
Quando un bey rosa dai bordi
dorati si immise nel campo, dando parecchio filo da
torcere a Driger, sobbalzò: lui conosceva quel beyblade.
“Galux?”
Mao era ancora lì, alla sua
destra, con il caricatore in mano e un’espressione sciupata sul viso. Era
pallida, e le occhiaie che da qualche tempo avevano preso ad
esservi sotto i suoi occhi parevano essersi fatte ancora più marcate.
“Hai smesso di ignorarmi.” nel
suo tono non c’era traccia né di ironia né di
sarcasmo, eppure ciò bastò per irritare la ragazza, che prese fuoco come un
fiammifero.
“Ovvio. In fondo sono solo Mao Cheng, quella che aspetta e spera, l’idiota che sta a lavare i panni mentre tu viaggi intorno al mondo, no? I
miei capricci non potevano durare a lungo.” la sua voce densa di rabbia mista
al tremore delle sue labbra ferirono Rei come se si
fosse trattato di una stilettata.
Sapeva di averle fatto del male,
in quegli anni, ma non avrebbe immaginato così tanto.
“Ma cosa
dici?” fece per avvicinarsi a lei, ma la ragazza indietreggiò, prendendo a
tremare.
“Sta’
lontano da me!” urlò. “Sempre data per scontata, sempre,
sempre stata ad aspettarti… Ma adesso sai che c’è? Che mi sono
scocciata. Mi sono scocciata della tribù, della Cina, ma soprattutto di te. Voglio essere libera,
libera da tutto e da tutti, libera di fare ciò che mi pare.” ringhiò,
fissandolo dritto negli occhi.
Mentre la ragazza si sfogava, Rei
si sentì esattamente come quando si allenava al villaggio e si
immergeva nelle cascate per fortificare il corpo: lì la cascata gli
pioveva addosso, e il peso dell’acqua gli si gettava all’improvviso tutto sulle
spalle, e qui era lo stesso.
Solo che lo provò figuratamente,
e fu una sensazione molto più devastante, anche perché capiva alla perfezione
come si doveva sentire, perché era esattamente come si era sentito lui anni
prima, quando aveva deciso di lasciare la tribù della Trigre
Bianca. Aveva regole ferree, severe, intransigenti, e lui le aveva violate per
andare in viaggio per il mondo, ed era stato additato come traditore.
Mao, per tutti quegli anni era
stata ad aspettarlo, non facendo mai vacillare il suo amore per lui, e per
tutti era stata sempre etichettata come colei che lo avrebbe sempre aspettato:
non avrebbe mai pensato che, un giorno, si sarebbe potuta
stancare.
“…Hai ragione.” la voce gli uscì
come un soffio, ma almeno ciò che disse fu chiaro ed
udibile. “Mi dispiace che tu stia soffrendo, e ti chiedo perdono. Ma io ti amo,
Mao, e questo non posso cambiarlo; la mia unica colpa è stato
non fartelo mai capire, e dirtelo adesso che è troppo tardi.”
La ragazza lo fissò in maniera
neutra, non commentando.
“Sappi solo che non mi arrendo, e
che lotterò per te, perché io credo
in te. Tu sei Mao, la mia Mao, la mia compagna di giochi, la mia migliore
amica, e vorrei che tu fossi anche qualcosa di più. Ma ti aspetterò, ti
aspetterò sempre, dovessi attendere tutta la vita.”
La cinese si voltò di scatto,
mordendosi le labbra ed andando nella direzione
opposta, marciando verso il corridoio, per non fargli vedere le lacrime che,
copiose, avevano cominciato a scendere sulle sue guancie.
I'm spoiled
By your love boy
No matter how I try to change my mind
What's the point it's just a waste of time
I'm spoiled by your touch boy
The love you give is just too hard to find
Don't want to live without you in my life
Spoiled – Joss Stone
******************
Emily sospirò, andando verso
l’amica che, rannicchiata sulla poltrona della stanza, non si muoveva da una
mezz’ora abbondante: sapeva che stava passando un periodo difficile, ma
talvolta non sapeva proprio cosa dirle, come aiutarla.
Hilary sosteneva che era qualcosa
che si sarebbe smossa da sola, ma lei non ce la faceva a stare a guardare. La
giapponese e Mao erano state le prime amiche che aveva avuto, era particolarmente
legata a loro; non voleva che soffrissero.
Emily era sempre stata una
ragazza tutta calcoli e ragionamenti matematici; per lei tutto si limitava al
razionale e al reale, non vi era spazio per altro… Ma quando entravano in gioco
le sue amiche… Tutto ciò si andava a far benedire. E lei non sapeva cosa fare
esattamente; si sentiva inutile.
Si sedette sul bordo del letto
vicino alla poltrona, e sporse la sua mano in direzione della ragazza; Mao lo
notò e le sorrise dolcemente, afferrandola. Stettero così per qualche secondo,
fino a quando qualcuno non bussò alla porta.
L’americana si alzò, sospirando.
Capiva benissimo che, in quel frangente, l’amica non voleva vedere nessuno.
Non appena aprì la porta, però,
la sorpresa fu grande. Rei Kon.
Emily sbatté gli occhi: che
diamine ci faceva lì? Non aveva il buon gusto, perlomeno di lasciarla in pace?
Rei cercò
con lo sguardo Mao nella stanza, dopodiché con un sorriso, le chiese
silenziosamente di venire alla porta. La cinese, irritata, lo fulminò con lo
sguardo, alzandosi malamente dalla poltrona.
“Che cosa vuoi?” sbottò,
fulminandolo con lo sguardo.
Il ragazzo, apparentemente, non
si fece scoraggiare: aveva le braccia dietro la schiena, pareva reggere chissà
cosa e sembrava essersi chiuso in un ostinato mutismo.
Poco dopo, estrasse una pila di
fogli, che fecero inarcare le sopracciglia della ragazza; li mosse
ritmicamente, e su ogni foglio vi era scritto
qualcosa.
Ho delle
confessioni da fare. Altrimenti non mi
sentirò con la coscienza a posto, capisci?
Confessione 1)
La mia
mente e il mio corpo viaggiano molto: ma trovano sempre un modo per arrivare a
te;
Confessione 2)
Ho tanta
paura di perderti, ma tu non sei nemmeno mia;
Confessione 3)
il 99% di me ti ama, ma
l’uno per cento ti biasima per questa situazione;
Confessione 4)
Ti amo
dalla prima volta che ti ho visto. Qualunque essa sia stata.
Mao sentì i suoi occhi inumidirsi
e il suo stomaco aggrovigliarsi. Quanto aveva aspettato quella dichiarazione… Ed
era arrivata in quel momento. Proprio in quel momento.
Si portò una mano agli occhi,
mordendosi le labbra, e singhiozzò: perché doveva essere così difficile?
Rei la stette a
guardare un istante, infine salutò con la mano, andandosene così come
era arrivato, lasciando sole nella stanza le due ragazze.
Emily si voltò a guardare l’amica.
“Lo lasci andare?”
Mao rispose a fatica. “Sì.”
eppure dentro di lei lo sentiva: qualcosa aveva trovato la giusta posizione.
Anche
per quel giorno il campionato finì, dichiarando i suoi vincitori e i suoi
sconfitti. La platea si alzò e si spostò muovendosi a macchia d’olio, dirigendosi,
in massa, verso l’uscita dello stadio: l’ora di pranzo incombeva e, dopo ore passate ad applaudire e a tifare i propri preferiti, un
certo languorino si faceva di certo sentire.
Hilary,
contenta, andò verso l’amica, abbracciandola. “Sei stata fenomenale!”
Mao
le dedicò un sorriso stanco. “Insomma: Galux ha
combattuto così così, ma, poverino non aveva tutti i
torti. Sono io che in questi giorni ho altri pensieri per la testa.”
La
bruna si stiracchiò. “Che ne dici se io e te, al posto
di andare a pranzare al ristorante, andiamo all’italiano qui a qualche
isolato?”
“Sì,
dai.” approvò Mao. “Oggi non c’è Shane e sono pure libera.”
Hilary
dapprima la fissò, poi scoppiò a ridere. “Ma che dici?
Guarda che è il tuo fidanzato, mica un poppante a cui
devi fare da baby sitter!”
Mao
arrossì. “Lo so, è che…” le parole le morirono in gola. “Niente, lascia perdere.”
La
giapponese la prese a braccetto. “Mh, come vuoi.”
L’altra
sospirò e si rivolse alla bruna con fare apocalittico. “Tu credi che dovrei
lasciarlo?”
Entrarono
nella hall di un ristorante italiano che aveva l’aria
di essere molto in, ma, d’altronde, non ve ne erano altri in zona.
Le
ragazze diedero al cameriere il loro soprabito e si accomodarono al tavolo,
fingendo di non notare come l’aspetto pomposo del locale mal si sposasse con il
loro abbigliamento sportivo.
“Accidenti,
che figuraccia!” ridacchiò Hilary. “Ti credo che ci hanno
spostato nel tavolo più in fondo di tutta la sala.”
Mao
parve non farci nemmeno caso. “Rispondi alla mia domanda?”
La
bruna fece per aprire bocca, ma arrivarono i menù, che lei aprì con crescente
entusiasmo. “Guarda che cose buone che ci sono qui, ragazza mia! Adoro la
cucina italiana, è veramente un sacco che non ne mangio. Tu
che prendi?” fu quando l’amica le scoccò un’occhiata assassina che la
giapponese calmò il finto entusiasmo.
“Okay,
non lo so. Devi vedertela tu. Se non ci fosse un certo cinese di mezzo, tu e
Shane… Sareste perfetti. Il punto è che Rei esiste. E non credere che Emily non
mi abbia raccontato di ieri.”
Mao
si passò una mano tra i capelli chiari. “Sono ancora più confusa di ieri. E allo stesso tempo non lo sono.”
Hilary
si accigliò. “Che intendi?”
“Quando
si è presentato da me facendomi quella scenetta alla Love Actually… Mi ha stupito.” lo disse
mordendosi il labbro inferiore, poi sorrise, come se si stesse perdendo nel
ricordo.
La
bruna scrollò le spalle. “Io ce lo vedo, onestamente.
Voglio dire, Rei mi sa di romantico.”
Mao
scosse la testa. “No, voglio dire che… Love Actually è il mio film preferito. Ma
io non pensavo lui lo sapesse.”
La
giapponese assunse un’espressione pensosa. “Io preferisco Il Laureato.”
“In tutti questi anni ho pensato che mi
considerasse soltanto una sorella, o peggio, la sorella
del suo migliore amico… E ora scopro che non è così.” Mao scosse la testa, e
una cascata di capelli chiari si mosse con lei. “Quanto tempo sprecato…”
Hilary
fece spallucce. “Io non ho mai dubitato dei sentimenti di Rei per te. La sua
unica colpa è di non averne mai parlato con te. Ma
come ti parlava, come ti guardava… Era chiaro. Forse chiaro
per tutti tranne che per te.”
La
cinese sospirò. “Insicurezza. Che
brutta parola… Può minare molti rapporti e anche l’equilibrio di molte persone.”
L’altra
annuì lentamente. “Tesoro, cosa farai adesso con Rei e con Shane?”
Mao
pareva essere immersa nei suoi pensieri. “Anche se lui fosse stato l'ultimo
uomo sulla terra, non vorrei mai essermi innamorata di lui. Un attimo di dannata insicurezza, e ho trovato me stessa tra le braccia di un’altra
persona. Non avrei mai dovuto
innamorarmi di lui.”
Hilary
scostò la testa di lato. “Tesoro?”
La
cinese sospirò. “Riflettevo a voce alta.” sbuffò. “Riguardo Shane, mi sa che lo
lascerò. Per Rei… Sono così spaventata…” con le dita tamburellò sul tavolo,
fino a quando la mano di Hilary non coprì la sua, come a farle forza e a dirle
che, si, l’avrebbe superata, questa paura.
“Ecco
qua, principessa: sana e salva.”
Mao
si fermò a fissare i contrasti di luce che le lampade dell’albergo creavano con
i capelli di Shane: da rossi, parevano, in certi punti, essere quasi biondi,
mentre in altri, quasi castani.
Quel
ragazzo era simpatico, spiritoso, di compagnia, con lui le ore passavano in
fretta… Era davvero adorabile: peccato che accanto a lui non sentisse un
brivido quando solo la sfiorava. Niente farfalle nello
stomaco, niente brividi lungo la schiena, niente tremolii alle ginocchia…
Niente di nulla. Era davvero demoralizzante.
“Grazie
per la bella serata.” Mao si sforzò di sorridere, ma, quando, in realtà, era
spaccata a metà: quella sera erano andati in giro per le vie di Dublino, era
stata una serata meravigliosa, e qualsiasi altra ragazza avrebbe visto in Shane
il ragazzo ideale… Ma non lei.
Perché
aveva capito che poteva viaggiare per il mondo, farselo a nuoto, girarlo con la
canoa, con l’aeroplano, con la nave… Ma il pensiero di Rei sarebbe rimasto
sempre con lei. Così come quello dei suoi affetti: suo fratello, tutti i suoi
amici… Non poteva sradicarli dal suo cuore con uno schiocco di dita.
Lei
era Mao Cheng, lo sarebbe stato per sempre, qualunque
strada avrebbe scelto di intraprendere.
Per
quello aveva deciso che quella sarebbe stata l’ultima sera con Shane. Il giorno
dopo avrebbe rotto con lui.
Cos’avrebbe
fatto con Rei era ancora tutto da stabilire. Se ci fosse stata Hilary nella sua
testa, in stile grillo parlante, le avrebbe detto di andarselo a riprendere.
Eh, ma in che modo?
Quando
Shane intrecciò le dita con le sue, Mao si sforzò di sorridere: non era giusto
prenderlo in giro così, lo sapeva, ma d’altro canto non sapeva
proprio che altro fare.
Le labbra di lui arrivarono sulle sue alla velocità della luce
e tutto quello che avvertì fu… Nulla. Un semplice contatto di labbra. Ricambiò
il bacio, passandogli il braccio dietro il collo per qualche secondo ma lo
allontanò da sé subito dopo.
“Okay, ‘notte.” fece, ridacchiando.
Shane
sorrise. “Buonanotte.” le sussurrò all’orecchio, per poi posarle un bacio sul
collo. E ancora una volta, quello che provò fu… il nulla più completo. Una
semplice alitata sul collo.
Eppure
non poté fare a meno di pensare che se l’avesse fatto un’altra persona, a
quell’ora si sarebbe retta a malapena sulle ginocchia.
Vide
Shane varcare la soglia dell’uscita dall’hotel, e sospirò. L’indomani sarebbe
stato un giorno pesantissimo.
“Ci
divertiamo, eh?” sobbalzò a sentire l’ultima voce che si aspettava di sentire
in quel frangente.
Che
diamine ci faceva Rei lì, a quell’ora, nella hall dell’hotel, con le braccia
conserte e con un cipiglio scurissimo sul volto?
Mao
strinse gli occhi. “Ho festeggiato il mio compleanno.” ribatté, gelida. “Il mio
fidanzato se ne è ricordato e mi ha festeggiato.”
Il
ragazzo chiuse per un frangente gli occhi, come a volersi calmare, ma rimase
terribilmente serio: parlò molti secondi dopo, e con un tono di voce
terribilmente severa.
“Mi
dispiace.” sussurrò. “Certe volte sono geloso pensando
che qualcuno possa renderti più felice di
quanto faccia io. Sono le mie insicurezze, credo. Perché so
di non essere il più bello, il più intelligente, o il più divertente ed
emozionante.” poi la inchiodò con lo sguardo, e per la ragazza fu come annegare.
“Ma una cosa la so: non importa quanto a lungo tu possa cercare; non troverai mai
qualcuno che ti ami quanto ti amo io.”
Mao
lo fissò a bocca aperta, sbalordita da quella dichiarazione inaspettata; lo
fissò per un istante, dopodiché si incamminò verso le
scale, come Cenerentola quando si rese conto che era troppo tardi.
Solo,
che a differenza di Cenerentola, non era troppo tardi.
Hilary cominciava ad averne
abbastanza: da quando aveva quattordici anni aveva
acquisito più maturità, più elasticità mentale, insomma, era cresciuta… Ma se
la si metteva alla prova, erano guai.
“Okay, fammi capire.”
Erano le due di notte, e le
ragazze stavano facendo uno dei loro pigiama party;
Erano stati interrotte dall’arrivo di una Mao visibilmente scossa che aveva
iniziato a farneticare sconnessamente.
“Ripeti, ti prego.”
La cinese prese a sciogliersi i
lunghi capelli che teneva raccolti in uno chignon
basso molto elegante, che ricaddero, liberi, sulle sue spalle. “Sono arrivata
nella hall, stavo baciando Shane. Gli ho dato la buonanotte, ed è andato via.”
armeggiò un po’ con la lampo, poi sbuffò. “Qualcuno mi
aiuta?”
Mathilda
intervenne, paziente, ad abbassare la cerniera all’amica. “Ecco fatto.”
“All’improvviso dietro di me
subentra Rei. Fa delle battutine e io gli rispondo a
tono. Lui si dichiara per la terza volta, io capisco che siamo fatti per stare
insieme, lo lascio lì come un allocco e vengo qui
senza dirgli una parola.”
Le ragazze ammutolirono,
visibilmente sconvolte.
“Brava.” Julia spezzò il
silenzio. “Prendi un uomo e trattalo male: così si fa.”
Hilary sbuffò. “Torniamo al
pigiama party, che è meglio.” dentro di sé sentiva crescere un’irritazione
fuori dal comune: quei due avrebbero combinato qualche cavolata, se lo sentiva.
Meglio intervenire subito, o sarebbero stati guai e di quelli belli grossi.
Mandò un sms a Julia, che lettolo,
le rispose con un occhiolino: fortunatamente poteva contare su validi alleati…
“Davvero sei cresciuta in un
circo?” Shane sbatté gli occhi, incredulo, come se la ragazza davanti a lui gli avesse appena rivelato di avere una seconda testa.
“Beh? Qual è il problema, querido? Non ci
credi?” distendendo le lunghe gambe davanti a lui per poi accavallarle, la
madrilena gli lanciò un’occhiata maliziosa, ricambiata da uno sguardo
affascinato: quel giorno Mao era in ritardo, e lei e il ragazzo si
erano incontrati per caso nella hall dell’hotel.
“No, non è questo, è che sei
così…Normale. In realtà avevo
dubitato persino che tutte voi foste delle bladers.
Non mi sembrate in grado di fare grandi cose.”
Ma senti un po’ questo…
Julia inarcò le sopracciglia,
resistendo alla tentazione di dirgliene quattro. “L’apparenza inganna.” commentò, secca. “Piuttosto,
tu e Mao avevate appuntamento qui?”
“Sì; anzi è strano che lei sia in
ritardo, solitamente è così puntuale…”
La spagnola glissò sull’ultima
affermazione del ragazzo. “Il campionato tra un paio di giorni si sposterà a
Berlino… Voi come farete? Voglio dire, Mao è una blader,
è della Cina, tu sei di qui… Credo sia complicato.”
Lui scrollò le spalle. “Lo so,
ma… Non facciamo programmi. Guardiamo in faccia la realtà, Julia: stando
insieme, sia io che lei sapevamo che sarebbe stata una
storiella senza pretese, finita nel giro di poche settimane. Non
mi aspettavo certo di sposarla, no?”
La spagnola esibì un sorriso
irritante. “Ti dispiace scusarmi un attimo?” mollò l’irlandese nell’atrio
dell’hotel e, pochi passi dopo si arrestò, incrociando
le braccia. “Soddisfatte?”
Mao guardava davanti a sé con
occhi disillusi, mentre Hilary sospirò. “Beh?”
La cinese guardò le amiche negli
occhi. “Vado a mettere fine a questa farsa.”
“Dios mio, sarebbe anche ora!”
Emily entrò nella stanza che
condivideva con le sue amiche sentendosi parecchio confusa ma anche contenta:
qualcosa stava accadendo tra lei e Max, anche se non sapeva bene che cosa…
Ridacchiò, pensando alla chiacchierata di un’ora e mezza che avevano fatto
sulle scale, salvo poi accorgersi che stavano intasando il passando per gli
altri clienti dell’hotel e salutarsi.
“Beh?”
A sentire la voce alterata di
Hilary, all’inizio l’americana pensò che ce l’avesse con
lei; solo dopo qualche istante realizzò che la domanda era rivolta ad una Mao
che, acciambellata sulla poltrona come una gatta, pareva non avesse la minima
intenzione di smuoversi. “Hai intenzione di stare lì? Di non
fare nulla?”
“Scusate, qual è il problema?”
Emily posò la borsa, guardando le due interrogativamente.
“Visto che
ho lasciato Shane, secondo Hilary dovrei correre da Rei.”
Passandosi una mano tra i capelli
rossicci, Emily aggrottò
le sopracciglia. “C’è ancora qualcosa che ti turba?”
“Tutto. E’ come
se-”
“Si caga sotto.” le rimbrottò
contro Hilary-
“Mi pare lecito.” Mao le lanciò
un’occhiataccia che fece stringere i pugni alla giapponese: non poteva
sopportare di sapere i suoi due amici ad un passo dal coronamento del loro
sogno d’amore e mandare tutto all’aria per paura.
Nervosa, uscì dalla stanza,
capendo che se fosse restata lì dentro avrebbe solo litigato con la sua
migliore amica; che ci voleva ad andare da Rei a parlargli? Okay, magari lei
non era la persona più adatta per dirlo, visto che nella sua vita non si era
mai innamorata, ma… Si arrestò quando vide quando vide
l’oggetto dei suoi pensieri.
Rei si trovava
al bar dell’hotel, stava parlando con Kai.
Marciando spedita nella loro
direzione, li raggiunse prima ancora di poter collegare il cervello alla bocca.
“Rei Kon.” sbottò. “Cosa ci fai qui?”
Quello sgranò gli occhi, mentre
il russo inarcò le sopracciglia nella sua direzione come a dire: ‘Uh, sì, mi sa che ce
l’ha con te.’
“Stavo parlando con Kai di Berlino, visto che-”
“Non mi interessa
di cosa stavate parlando!” esclamò la ragazza. “Perché non sei a sistemare le
cose con Mao?”
Si irrigidì
di colpo. “Ho giocato le mie carte, che altro dovrei fare?” sbottò,
incupendosi. “Lei, poi, sta ancora con quel-”
“L’ha lasciato; due giorni fa.”
La faccia del cinese, in quel
frangente, divenne tutta un programma. “Cosa?!”
Hilary incrociò le braccia al
petto. “Santo cielo, quanto mi fate sclerare voi maschi! Rei, non ti insulto
perché sei mio amico e ti adoro, ma… Dannazione, hai in te la tigre bianca solo
quando ti conviene?! E sfoderali, ‘sti
artigli, cazzo! Vuoi qualcosa che, tra parentesi, vuole
anche te? Allunga una mano – molto figuratamente parlando – e prenditela!” tuonò la giapponese.
“Che cosa stai aspettando?!”
Rei era
come intontito: sia per le parole a raffica da parte della sua mica, sia per…
“Hai detto che lei…?”
Hilary lo guardò malissimo. “Se
adesso non vai lì e le fai una dichiarazione degna di James Dean, giuro che la
mia ira funesta si abbatterà su di te.” la ragazza sgranò gli occhi e prese a
saltellare. “Ma sei ancora qui?! Muoviti!”
Rei scosse la testa, e sorrise.
“Con permesso.” e poi le ali si impossessarono dei
suoi piedi, perché volò via alla velocità della luce.
Kai
osservò la giapponese, stando bene attento affinché non si accorgesse del
sorriso di ammirazione che gli era spuntato sulle labbra: che furia, quella Hilary… Alta poco più di un metro e sessanta, ed era
in grado di tenere testa ad una mandria di sportivi grandi e grossi almeno il
doppio di lei.
“Se le cose non vanno come
previsto… Li do in pasto a Takao. Tutti
e due.” Fu qui che non poté impedirsi di sorridere.
Detestava provare quella strana
inquietudine che sentiva alla base dello stomaco: pareva che le sue interiora
si fossero aggrovigliate per uno strano scherzo della natura e che questo
avesse il potere di farla star tesa come una corda di violino.
Hilary era uscita dalla stanza
ormai da un po’, Emily aveva preferito lasciarla da sola, e per quello la
ringraziava… Non aveva voglia di parlare con nessuno, aveva bisogno di stare da
sola: lei, lei stessa e i suoi pensieri.
Sospirando, si alzò dalla
poltrona, passandosi una mano tra i capelli, e sobbalzò quando sentì bussare
con una certa decisione; inarcando le sopracciglia, andò ad aprire, chiedendosi
quale delle sue due compagne di stanza si fosse arrabbiata così
tanto per bussare con così-
Rei. Rei e i suoi occhi; decisi,
furibondi, timorosi, ma anche pieni di aspettativa.
“Che vuoi?”
“Hai lasciato il tuo fidanzato.”
Assunse un’aria ironica. “Beh,
sì.” il suo cuore aveva preso a galoppare ad una
velocità mai provata prima, e i suoi occhi si erano già persi in quelli color
caramello di lui.
“Si dice che il momento buono per
dichiarare il proprio amore ad una persona sia prima
che lo faccia qualcun altro; e io ho corso per arrivare qui proprio perché non
commetto lo stesso errore due volte.”
La ragazza sentì il proprio cuore
implodere, e proprio mentre gli occhi di lui
affondavano nei suoi per quasi non riemergere più, fu la ragione a reclamare la
propria parte, e a gran voce. “Pressata.” gracchiò. “Mi sento pressata.” per
dirlo dovette fare uno sforzo immane, tanta la felicità che le
era esplosa nel cuore, nello stomaco, non arrivando però nella testa,
che reclamava la propria parte. “Ti ho aspettato per anni, sono sempre così
scontata, io… Basta.” esalò, come se stesse riemergendo dopo cinque minuti
ininterrotti di apnea.
“Ti amo, lo sai che ti amo, ma… Vorrei fare qualcosa per me stessa, qualcosa di
più. Invece sono la solita, prevedibile Mao. Un cliché
assurdo.”
Era incredibile come lui non
staccò gli occhi da lei nemmeno per un secondo. “No.” lo disse come fosse la
cosa più naturale del mondo. “Tu sei mia, ed è diverso. Tu sei quella normalità
senza la quale il mondo – il mio
mondo – non potrebbe girare, perché appena te ne sei andata, ho iniziato a
vacillare.” le si avvicinò, e non appena fu tra le sue
braccia, prese a rilassarsi, come se quell’abbraccio fosse stato fatto apposta
per lei. “Non ti lascerò mai più andar via.”
Lei inarcò le sopracciglia con
aria di sfida. “E se io volessi viaggiare proprio come hai fatto tu anni fa? Se
decidessi di trasferirmi alle Hawaii ad intrecciare
ghirlande?”
“Ghirlande siano.”
“Polo nord?”
“Mi sono sempre chiesto come
fossero fatti gli igloo.”
“Equatore?”
“Sarà interessante tentare di
abbronzarsi.”
Fu lì che Mao scoppiò a ridere,
rovesciando la testa indietro. “Mi hai convinta… Solo
una cosa: come mai tutto questo romanticismo?
E’ un po’ sospetto…”
Lui si guardò intorno, poi assunse
un’aria supplichevole. “Se te lo chiede Hilary… Io sono stato all’altezza di
James Dean, okay?”
Fine.
Oooooh:
con Rei e Mao sono letteralmente uscita pazza per farli risultare
come li volevo io, ma alla fine ce l’ho fatta, e tutto questo grazie alla Pad:
ringraziatela tutti perché non so come avrei fatto senza di lei! ç___ç
Spero davvero che anche questo missing moment vi sia piaciuto e
non sia stato banale, idiota, cretino o altro… xD
Noi ci risentiamo Venerdì 20 e…
Cominciate a tremare. Perché sarà la prima parte di un missing moments bello
tosto; sì: Lexy90, sto guardando proprio te. ;D
Grazie davvero a tutti coloro che hanno recensito, letto la fanfic
più volte, messo tra i preferiti- seguiti- da ricordare. *__*
Vi adoro, vi adoro,
vi adoro, vi adoro.
E sto lavorando per voi. u___u
A presto ;D
Hiromi