wtf
Finalmente sono
riuscita a sistemare l'HTML ... l'ho vinta sul PC!
Questa fanfiction ha partecipato ed è arrivato quinto al "
[Hetalia]
Through History Contest! " indetto da Lalani.
Ringrazio onee-chan per avermi detto del concorso: senza di te, ci
sarebbe più pace, sì, lo sai vero? <3 Ora
impazzirò tra tutti quei file!
Ho anche troppo da dire su questa fic, ma spero vi basteranno le note,
altrimenti non la finirei più.
Inoltre, questo è stato il mio primo esperimento di ff
storica con Hetalia, quindi ... siete stati avvertiti!
Speravo di riuscire a fare un disegno decente da mettere, ma vista la
mancanza di tempo, penso l'aggiornerò più tardi!
Se, nel tentativo di vincere sull'HTML ho impasticciato qualcosa,
ditemelo pure!
Buona lettura!
Autore:
_Ayame_
Titolo della fic:
L’agenda dei
ricordi – 14 dicembre 1913
Tipologia della fic: One-shot
Evento Scelto: 14 dicembre 1913,
Creta
viene
annessa ufficialmente dalla Grecia
Personaggi principali:
Grecia/Heracles
Karpusi, Nuovo personaggio (OC!Creta/Kalliopi Kanakis), Turchia/Sadiq
Adnan
Genere: Storico, introspettivo,
fluff (solo nell'ultima parte)
Avvertimenti: //
Raiting: Giallo
Conteggio
parole:
2608 – note e titolo esclusi
Introduzione: I
sentimenti che Creta
ha provato il giorno dell’annessione al Paese di suo
fratello, Heracles, non li
ha mai mostrati a nessuno, da brava orgogliosa qual è, ma se
per caso arrivasse
tra le sue mani la sua vecchia ‘agenda di
battaglie’ che le facesse rivivere
quel giorno? Quella in cui ha scritto tutto, compreso ciò
che pensava, ciò che
provava, ciò che detestava…
L'agenda
dei ricordi – 14 dicembre 1913
Passo
le dita sulla carta fragile, ancora più di una volta, e
sorrido: quanti
ricordi, quanti ricordi stupidi e dolci. Mi chiedo come abbia fatto
quest’agendina consunta ad arrivare fino a qui. Ormai sono
passati giorni,
mesi, anni, decenni e ancora di più, eppure mi emoziona
ancora quella data,
così significativa.
14
Dicembre 1913, Creta è
ufficialmente
annessa alla Grecia, dopo lunghe battaglie per riuscirci.
Stavo
passeggiando per le spiagge della mia
capitale, ora capoluogo greco di Creta, il vento che mi scompigliava i
capelli
mossi e bruni.
Quel
pensare al fatto che Iraklio fosse capoluogo greco, mi fece ricordare
cosa
avevo dovuto passare durante il periodo precedente.
Ero
stata per un certo periodo sotto il controllo di sei Nazioni: Austria,
Germania, Inghilterra, Francia, Italia e Russia.
Presto
Austria e Germania decisero di ritirarsi, e iniziarono a stringere
rapporti con
Sadiq.
Cosa
non a mio vantaggio, aggiungendo il fatto che Austria voleva estendersi
su
tutto il territorio dei Balcani, considerandolo “una naturale
espansione
dell’Impero Asburgico” e anche Russia che voleva
uno sbocco sicuro sul
Mediterraneo. La cosa non mi faceva sentire al sicuro, visto che i due
si
mettevano anche d’accordo sulla spartizione dei Balcani.
Le
quattro Nazioni rimaste mi affidarono – pur mantenendo sempre
la loro
giurisdizione su di me – a Heracles e al suo capo, Giorgio di
Grecia.
Ero
con mio fratello, eppure no… Il mare ci divideva ancora.
Pareva insormontabile:
per quanto ci spingessimo sulla costa, l’uno di fronte
all’altra, non potevamo
far nulla, non ci potevamo scorgere. E anche vero che molto raramente
mi
capitava di vederlo. E in quelle occasioni dormiva oppure mi
costringeva a
passare il tempo dando da mangiare ai suoi amati gatti, o ancora mi
mostrava i
suoi meravigliosi siti archeologici: l’acropoli di Argo, ora
una statua di
Atena, come se io non avessi nulla!
Quando
il capo di mio fratello abdicò, Francis, Veneziano, Lovino,
Ivan e Arthur gli
chiesero di scegliere un sostituto, ognuno con la sua solita
“raffinatezza”,
nella quale Sud Italia eccelleva: «Sbrigati a trovare un
altro, bastardo di un
greco gattofilo!», fu questa la richiesta
“formale” scritta del meridionale.
La
scelta ricadde su un greco, tale Zaimas, che governò
sull’isola fino al 1908;
allora io e i miei ‘concittadini’ decidemmo di
proclamare l’annessione di Creta
alla Grecia. Già dal 1832 circa cercavamo in tutti i modi di
ricongiungerci con
Grecia, ovvero da quando mio fratello era riuscito a liberarsi dal
giogo
dell’Impero Ottomano.
Quella
che io volevo, comunque, era un’unione di convenienza: avevo
scelto il male
minore, la Nazione che mi avrebbe dato più sicurezza ed
autonomia, a cui in un
certo senso ero legata.
Cosa
che non volevano accettare, neanche a parlarne.
Purtroppo
la mia isola aveva la fama – brutta, bruttissima, per me e il
mio popolo – di essere
territorio turco, causa l’antica dominazione turca che
durò per circa 230 anni,
e così Sadiq si sentì in dovere di protestare
presso le Potenze.
A
pensarci, in quel momento, anche se tutto era finito e passato, sentivo
ancora
la rabbia in me: era stato un pessimo, pessimo tutore. Aveva lasciato
la mia
gente nell’inerzia, nella trascuratezza, la mia economia, un
tempo così florida
e ricca, che mi aveva portato al potere 1
era caduta in basso e alle nostre ribellioni aveva risposto
con
l’uccisione dei
‘ribelli’; a volte uccidevano persone a caso,
scommettendo su come sarebbero
caduti. Maledetti giannizzeri! E io non potevo nulla. Ci avevano
imposto parole
che ci sminuissero: come l’aggiunta del suffisso
‘aki’ o ‘akis’ ai cognomi.
Significa ‘piccolo’, ed io non sono stata esentata
da questa umiliazione. Aveva
cercato – con abbastanza successo – di cambiare la
nostra religione: ai palazzi
che il dominio di Venezia mi aveva lasciato si erano aggiunte le
Moschee; altra
cosa, mi allontanava da mio fratello, più di quanto non lo
fossi già.
Si
divertiva a deridermi: «Karpusaki!», era sempre
lì a gridare, a darmi della
“piccola Karpusi”, a me, che ero uno Stato a
sé, che avevo una mia identità.
Mia e basta.
Dopo
tutto questo, pretendeva ancora che fossi un suo territorio; ma io
volevo stare
con mio fratello; fratello che non si decideva ad annunciare nulla, per
paura
che ciò potesse offendere le potenze; loro ci
‘avvertirono’ – tenendo delle
navi da guerra nelle mie acque – che dovevo mantenere il mio
governo autonomo e
che mio fratello doveva lasciarmi stare.
«Fratello,
vuoi
deciderti?!»,
gli chiedevo,
agli incontri tra Nazioni quando le potenze mi portavano con loro
«Mh…
Kalliopi, lo sai che
è meglio non
scatenare proprio ora la loro ira! Lo sai, no? È
impossibile che una cosa
sia o divenga senza una causa o un principio, diceva
Aristotele. Dammi tempo», diceva allora, propinandomi la sua
filosofia, giusto per il piacere di farlo.
«”Il
tempo
frantuma
le cose, ogni cosa
invecchia sotto la potenza del tempo e viene dimenticata con il passare
del
tempo”, ricordatelo», gli
rispondevo con
un’altra frase del filosofo che tanto amava e prima che
dicesse altro me ne
andavo. “
La causa c’è, il principio
c’è, cosa vuoi? Tu hai dimenticato
l’importanza della nostra causa... ” Spesso
lo pensavo e mi rattristivo. Eppure poteva immaginare cosa passavo.
Mi
ribellai, inutile cercare di farmi ragionare, ma prima calarono la mia
bandiera
da Candia 2
,
poi inviarono altre quattro navi da guerra per
‘proteggermi’ – a loro detta.
Era
come essere chiusi in una gabbia: in un certo senso, il fatto di
dovermi
‘tutelare’ li univa in uno scopo comune e
colonialista e li distraeva dalle
loro lotte continue.
All’ennesima
domanda mia e del mio popolo, mi risposero: «Prima fai un
Governo stabile, poi
si vedrà!», questo perché Inghilterra
era stranamente di buon umore – forse
ancora non aveva assaggiato i suoi scones.
Facile a dirsi: quando i
miei ufficiali
chiesero al Governo di giurare fedeltà a Grecia, nel 1910, i
Musulmani si
rifiutarono, minacciando invasione.
Il
mio Governo però non resse a lungo: perse completamente il
controllo nel 1911,
ma quelle potenze che ormai avevano deciso di torturarmi, continuavano
a dire
che non era il momento; ma un anno dopo i Cretesi elessero dei delegati
all’Assemblea Greca.
Purtroppo
le potenze decisero di intervenire, mandando quel borioso di un
teinomane:
costretta a essere relegata nel mio stesso Paese. Sempre colpa di Sadiq!
I
miei delegati riuscirono finalmente ad entrare nell’assemblea
di Heracles sono
allo scoppio della Prima Guerra Balcanica.
La
guerra si prolungò dall’8 ottobre 1912 fino al 3
dicembre dello stesso anno,
quando fu firmato un armistizio: lo stesso giorno, mio fratello,
attaccò Sadiq,
che portò ad un altro scontro due giorni dopo; si vedeva che
Heracles aveva
dormito più del solito, e non aveva recepito bene tutti i
fatti. O li aveva
bellamente ignorati.
Sospirai,
seduta per terra: possibile avere un fratello così sbadato?
Pensando al mio,
sì; pensando a Veneziano, non posso che riconfermare il
fatto, che sì, è
possibile.
Guardai
il foglio che avevo tra le mani, già vecchio degli anni
passati, rovinato e
sprimacciato; avevo scritto qualche appunto su quella storia,
perché né io né
il mio popolo dovevamo dimenticare: 30 maggio 1913, Trattato di Londra,
Creta è
ceduta agli Alleati dei Balcani da parte dell’Impero Ottomano
e riconoscimento
dell’indipendenza cretese.
Questo
trattato non poté nulla in senso assoluto per me,
né i successivi, quello di
Atene alla fine della Seconda Guerra Balcanica, né il
trattato di Atene, che
mio fratello firmò con Turchia il 14 novembre 1913;
continuarono a litigare
velatamente, ma erano sempre lì pronti a prendersi a
maschere e gatti volanti.
L’unica
cosa positiva per me era che quei trattati riconoscevano che io fossi
sotto
tutela e dominio di mio fratello. Metaforicamente.
Neanche
un mese dopo il trattato di Atene le potenze che prima ci avevano
ostacolato
riconobbero l’unione mia e di mio fratello.
Scrissi
l’ultima nota quel giorno stesso e poggiai per terra il
foglio rinchiuso
nell’agenda su cui era scritta quella data; chiusi gli occhi
e sorrisi: sentivo
l’intera isola in fermento. Quanto avevamo aspettato quel
momento?
Non
so quanto rimasi lì, con gli occhi chiusi, ma fu per molto
tempo: sentivo il
Sole cambiare d’intensità e posizione,
però erano le mie ultime ore sulla mia
isola.
Ogni
volta che sentivo lo sciabordio delle onde contro la prua di una nave
sentivo
il cuore aumentare i battiti e gli occhi volersi aprire.
Ma
non arrivava mai. Quel dannato! Dormiva sempre! E sicuramente stava
facendo
ritardo perché sapeva
che io avrei
sempre detto di essere Creta e non una delle sue regioni 3 .
E che non avrei mai ammesso di voler essere sotto la sua
tutela, per
qualsiasi
motivo. Più semplicemente e sicuramente dormiva, ne ero
certa; in fondo – ma
forse molto in fondo – ci teneva a me.
Ormai
avevo smesso di tentare di capire quando sarebbe arrivato: quando
arrivava,
arrivava, e non potevo certo innervosirmi e perdere la calma. No, io
non avrei
perso la testa per quello lì, no. Non l’avevo
fatto.
Cercavo
di convincermene.
Iniziai
a giocare con la sabbia e i piccoli sassi su cui ero seduta, quasi
carezzando
la terra.
Una
nuvola all’improvviso oscurò il mio Sole: i miei
occhi, abituati a quella
luminosità intensa, passarono al buio più totale,
mentre il vento soffiava
ancora e scompigliava i miei capelli peggio di quanto non fossero
già,
vanificando il lavoro della mia cameriera – no, non Toris:
Ivan non me l’ha mai
voluto prestare – che si sarebbe arrabbiata.
«Miao!»,
un miagolio mi costrinse ad aprire gli occhi, e mi trovai davanti
Grecia, che
oscurava il Sole del Tramonto, un gattino in testa che si stiracchiava
dal
sonno, sentii i miei occhi farsi grandi: era venuto, e mi tendeva una
mano.
«Kriti 4
disse con la sua strana pronuncia
«Heracles»
dissi solo, ancora mezza tramortita dalla sorpresa.
«Kalliopi»,
chiamò, «Ti ho raggiunto».
Razza
di fratello idiota! Lo vedevo!
«Ci
hai impiegato troppo!», mi lamentai afferrando la sua mano
con un sorriso.
Dissimulavo l’ansia e la gioia, ma presto non ci sarei
più riuscita.
L’agenda
con il foglio la lasciai lì, nella speranza di tornare a
fare visita.
«Non
è colpa mia! Ho trovato traffico! E poi il Caporale Gatto si
era sentito male!»,disse
mentre camminavamo sul bagnasciuga.
laquo;Bugiardo!
Hai comunque fatto tardi! E questo non è Caporale
Gatto!»
«Hai
ragione, questo è Aristotele: Caporale Gatto l’ho
lasciato a casa; aveva sonno,
poi mi ero messo ad aspettarlo e…», cercava di
scusarsi, ma la mancanza di
sonno lo mandava in palla.
«Hai
chiamato un gatto come il tuo amato filosofo?!»
«Certo,
che c’è di male. Antica Grecia mi ha lasciato
tanti scritti su di lui ed io
volevo onorarlo»
«Dedicare
un monumento, no, eh? E poi eri tu ad avere sonno! Lascia in pace quei
poveri
gatti!», dissi dandogli un pizzico con la mano libera.
«Ahia!»
si lamentò lui, stringendo la presa sulla mia mano, per
riflesso, e
controllandosi poi il braccio.
«Esagerato!»,
esclamai, gli occhi color ambra al cielo.
«M-ma
quell’agenda?», mi chiese apprensivo, voltandosi
verso dov’ero prima. Teneva
agli scritti storici.
Mi
voltai appena, sperando che il vento non portasse via quei fogli; poi
tornai a
guardare davanti a me, incurante: «Non mi serve»,
esclamai, lo sguardo sicuro
avanti a me.
«Sicura?»,
chiese ancora mezzo voltato.
«Sì!»,
dissi esasperata
«Davvero?»
«Ho
detto sì!», urlai buttando in mezzo
all’acqua.
«K-Kalliopi!»,
si lamentò.
«Troppo
lento, troppo!» gridai mentre iniziavo a correre
perché altrimenti mi avrebbe
trascinata nell’acqua.
«Kriti!
Aspettami!!» disse uscendo dall’acqua zuppo, mezzo
scivolando.
«Grecia!»
mi preoccupai, raggiungendolo per aiutarlo, ma quel pazzo di un greco
mi
schizzò l’acqua addosso. Iniziammo a ridere,
mentre, fradici entrambi, andavamo
dal bagnasciuga alla sabbia, a piedi nudi.
«E
ora dove mi porti?» chiesi. Era il mio
“addio” a quel bel litorale, lo sapevo.
«A
casa, alla tua nuova, seconda casa»
«Va
bene», acconsentii, felice della sua precisazione.
Mano
nella mano, come quando eravamo piccoli, ci dirigemmo verso la sua
nave, da
dove provenivano miagolii allegri, affamati ed assonnati.
Anche
HeraHera sbadigliò, forse per simbiosi con i suoi animali
preferiti.
«Signorina
Kanakis», disse, indicandomi il ponte della nave per
invitarmi a salire.
«Signore»,
dissi mentre salivo lentamente ma a passo sicuro; sulla nave si udiva
un
russare sommesso di gatti e umani.
“Ma
bene!” pensai tra me e me, con sarcasmo.
Una
volta saliti entrambi, salpammo verso la mia nuova casa, con Grecia che
accarezzava e accudiva i suoi amati gatti, costringendo anche me a
farlo.
Mentre
dava l’ennesima porzione di cibo a un plotone di gatti, io ne
accarezzavo uno
piccolo e indifeso; non potei far a meno di notare quanto fosse
luminoso quel
ragazzo.
«Kalliopi»,
disse, forse per la millesima volta nella giornata
«Sì?»,
chiesi sorridente: forse avrei anche potuto perdonargli di avermi
abbandonato, e
di aver tentennato così tanto per riprendermi con
sé, in fondo non è poi
un’unione così campata per aria. Forse.
«Prometti
che rimarrai sempre qui?», chiese.
Capii
cosa intendeva, ma volevo lo dicesse chiaramente: «Su una
nave?», domandai
infatti, facendo la tonta, cosa, che, a suo dire, mi riesce molto bene.
«N-no!»
esclamò, il gatto sulla testa si svegliò di
soprassalto per il suo quasi-grido.
Alcuni
momenti di silenzio, momenti e secondi che divennero minuti. Distolsi
lo
sguardo, del rimprovero e della sconsolatezza negli occhi: non ci
riusciva
proprio a dirmi quello che voleva, quel greco.
«Prometti
di rimanere sempre al mio fianco?», chiese esplicitamente,
sta volta,
prendendomi di sorpresa.
Non
me l’aspettavo più ormai, perciò rimasi
un po’, mh, sotto shock.
«Ah
… ehm …» dissi mentre il gattino
continuava a strusciarsi dolcemente contro la
mia mano destra.
«Allora?»
disse con fare sonnolento ma attento. Davvero strano. Davvero da
Heracles.
«Sì,
lo prometto», risposi
«Bene,
lo prometti, rimani, finalmente», rispose a sua volta lui,
imbarazzato e
sollevato.
«Bene,
l’ho promesso», conclusi.
Sembrava
felice e anche io lo ero: il mio cuore scatenato lo confermava.
Potevamo
levare il forse: quell’unione non era così a caso,
lo sentivo, sarebbe durata.
L’avrei
perdonato, lo sapevo; sbuffai: riusciva a farmi strani effetti,
Heracles.
Stava
per dire qualcos’altro, ma lo zittii: «E non
provare a farmi uno dei tuoi doppi
sensi!», ero rossa – per dirla
all’Antonio – come un pomodoro. Non gli
conveniva rovinare quel momento!
Lui
rise: «No no, te lo giuro, Kalliopi!».
Perché
queste figure così … così turche le
facevo solo io?
Ancora
tra le risate mi si avvicinò e mi abbracciò:
«Questa non me l’aspettavo da te!»
«Nessuno
ti ha detto che potevi ridere!»
«Come
vuoi, Kriti» disse lui, continuando ad abbracciarmi,
«Ti porterò a vedere tutti
i siti archeologici più belli della mia Terra!
Contenta?», mi stuzzicò, sapendo
che avrai replicato e sbuffato.
Il
resto del viaggio passò in silenzio, a goderci la brezza del
mare tra i
miagolii, a recuperare il tempo perso parlando, riempiendo vuoti di
troppi
decenni e secoli, abbracciati a guardare la riva cretese sparire per
lasciar
posto a quella greca.
NOTE:
Il
personaggio di Creta è stato basato sugli stereotipi che si
trovano in giro sulla
rete sui cretesi e in generale sulla loro storia e in minima parte
anche
all’arte antica – soprattutto – e
moderna.
[Sono
testardi, orgogliosi, tengono alla loro libertà, sono
‘facilmente
infiammabili’, non sopportano per nulla i turchi, prima si
definiscono cretesi
e poi greci, essendo gelosi delle proprie tradizioni.]
Kalliopi
non è un nome cretese, al contrario del cognome.
[1]si
riferisce al periodo più o meno del II millennio
a.C;
[2]Candia
è l’antico nome di Iraklio;
[3]
anche
se l’isola di Creta premeva per unirsi alla
Grecia, come ho scritto, era perché aveva scelto il male
minore tra quelli
possibili, anche perché i cretesi difficilmente diranno di
essere di
nazionalità greca, tenendo molto alla loro
identità culturale;
[4]pronuncia
greca di ‘Creta’
Grazie per aver letto!
Alla prossima,
_Ayame_
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