Brian
quel giorno era nettamente di cattivo umore: qualcosa di istintivo e
oscuro,
come un brutto presentimento, lo rendeva terribilmente scontroso.
Intabarrato
nel cappotto nero e munito degli occhiali da sole di ordinanza, aveva
percorso
strascicando i piedi quei pochi metri che lo separavano dal bar in cui
faceva
sempre colazione; e lì, sorseggiando il suo
caffè, aveva testardamente
mantenuto un silenzio funereo che i gestori del posto avevano definito
tra loro
“preoccupante”, dato che di solito il signor Molko
era sempre “così loquace e
cortese”.
Quando
la cameriera si era fatta avanti per ritirare la tazza vuota, Brian le
aveva
abbaiato contro che non aveva ancora finito e di non mettergli fretta, Cristo santissimo!
La
ragazza aveva annuito ferita e se n’era ritornata dietro al
bancone con la coda
fra le gambe. Per fortuna, si era consolata fra sé e
sé aggiustandosi la coda
con un gesto veloce, quella mattina la programmazione della radio era
assolutamente fantastica: uno speciale sui Muse, la sua band preferita,
con
annessa rotazione non stop dei loro più grandi successi.
Si
sporse oltre la macchinetta del caffè e rivolse uno sguardo
beffardo munito di
linguaccia a quell’omino sprofondato nel bavero del cappotto:
vide che le sue
mani si erano strette nervosamente intorno alla tazza ormai di sicuro
vuota, e che
un tic inquietante al labbro inferiore tradiva una rabbia furiosa e a
stretto
contenuta.
Ma
poi partì Resistance, la
sua canzone
preferita, e la ragazza non pensò più a Brian per
tutta la mattinata – anzi,
per evitarsi scocciature, mandò un altro cameriere a
ritirare i soldi e le
tazze.
*
Brian,
sebbene lunatico e, quando voleva, persino maleducato con il prossimo,
non era
tuttavia solito a manifestazioni di fastidio così plateali:
ma quella mattina
si era alzato con la luna storta e il fatto che anche l’amato
bar sotto casa
l’avesse tradito,
riempiendogli le
orecchie di polpettoni romantico-progressive made in Bellamy,
l’aveva reso una
furia.
Quando
Matthew aveva cominciato a domandarsi sviolinando se i suoi e i segreti
di
chissà chi – di sicuro
non lui –
sarebbero rimasti al sicuro quella notte, gli era venuto da vomitare;
quando
poi quell’essere odioso aveva attaccato a squittire, dopo un
autentico plagio
dei Queen sotto forma di coretto melenso, che l’amore era la
loro resistenza
(tua e di chi? Di chi?!) si era trattenuto a stento dal frantumare la
tazzina
fra le dita come un ramoscello secco.
-
Signore… -
-
Eh. –
-
Tutto bene? –
-
Sì. No. No, per niente. –
-
Che… -
-
Un consiglio da amico: cambiate stazione radio. Vedrete quanti clienti
più
soddisfatti – io, per cominciare. – disse cupo,
abbandonando il tavolo.
*
Tornando
a casa aveva ritirato la posta con un sospiro insofferente. Quel giorno
il
solito ammasso di raccomandate e bollette pesava ancora più
del solito, quasi a
volergli infliggere un ulteriore seccatura. Una delle buste poi,
grande, grossa
e color crema, aveva il pomposo aspetto di una comunicazione ufficiale.
Che
orrore,
si disse,
lanciando il tutto su una poltrona lontana il più possibile.
Che orrore.
Chiamò
Stefan e gli chiese se voleva venire a pranzo da lui; quel giorno
sapeva che
non ce l’avrebbe fatta a rimanere da solo. L’amico
gli rispose prevedibilmente
con uno dei suoi affettuosi e pacificanti sì.
Brian
sorrise e si mise ad attendere il suo arrivo sdraiato mollemente sul
divano,
fumando una sigaretta dopo l’altra.
*
Stefan
non era un semplice bassista, ne era sempre stato assolutamente certo:
era un
angelo. Si era presentato sorridente alla sua porta con due sacchetti
colmi di
birra e cibo indiano, per evitargli la noia di cucinare – e
poi lui lo sapeva,
che l’indiano era il suo preferito. Non come quello stronzo
che aveva
continuato a portare a casa cinese per anni come se niente fosse,
infischiandosene di-
-
Bri. –
Brian
aveva alzato lo sguardo su Stefan con un mugugno interrogativo. Lo
svedese lo stava
fissando con due occhi un po’ troppo seri per uno dei loro
soliti pranzi fra
amici.
Non
stava forse per…
-
Come stai? –
E
invece sì.
-
Stef, sono un uomo che vive da solo, non un malato terminale. Non
c’è bisogno
di quel tono strappalacrime. Mi andava solo un po’ di
compagnia! – scherzò,
facendogli strada verso la cucina. Stefan
lo seguì con passi che Brian non esitò a definire
premurosi.
*
Brian
ricordava di qualcuno che una volta lo aveva ammonito sul male che
faceva
guardare la tv durante i pasti, specialmente i telegiornali e i
dibattiti
politici. Le brutte notizie favorivano malori e turbamenti, lo aveva
seriamente
redarguito quel qualcuno.
Brian,
almeno quel giorno, avrebbe tanto voluto avergli dato ascolto.
Stefan
sbiancò alla vista di quella famigliare chioma bionda e
tentò subito di
cambiare canale, ma il telecomando gli venne prontamente sfilato da
sotto le
dita. Brian alzò il volume quasi al massimo: la cucina si
riempì della
trillante voce di Kate Hudson, che sullo schermo spiccava bluvestita e
rotonda
come una palla da biliardo.
-
Bri… - cominciò Stefan, implorante.
-
Sssh! – lo zittì brusco l’altro, la
bocca semi-aperta e gli occhi fissi sullo
schermo.
-
…Perché ti vuoi fare del male… -
-
Nessun male. Voglio solo sentire cosa starnazza questa gallina ripiena.
–
Al
momento, a quanto pare, la Hudson – a cui dovevano star
fischiando le orecchie
in maniera fastidiosa - stava facendo sognanti profezie sul sesso del
nascituro.
-
Tsk. Poco cambia se è maschio o femmina: di sicuro viene
fuori brutto come la
fame. – pontificò Brian, infilzando con fare
assassino un involtino di verdure.
-
Brian…! – boccheggiò Stefan, allibito.
-
Lei non è abbastanza bella per raddrizzare i difetti
estetici di Matt. –
proseguì l’altro, impassibile, per niente toccato
dallo sdegno di Stefan. - Lo
sgorbietto sarà già fortunato se riesce a
prendersi i suoi occhi, che sono
l’unica cosa salvabile in quel mucchio d’ossa. Per
il resto non c’è nulla da
fare. –
Stefan
era stupefatto.
-
Brian, sei di un’ipocrisia a dir poco… -
Ma
qualcosa aveva avuto il potere di ammutolirei due, attaccati al
televisore come
se ne andasse delle loro stesse vite: qualcosa che, a occhio e croce,
doveva
valere un bel mucchio di carati, e che la giovane donna aveva portato
all’attenzione di tutti con la nonchalance di una materna
carezza al pancione.
-
Non… E’… -
Stefan
lo vide sbarrare gli occhi e far cadere rumorosamente la forchetta nel
piatto, lo
stupore che gli aveva irrigidito i lineamenti. Poi, con un raptus
improvviso,
Brian si precipitò giù dalla sedia e corse in
ingresso, rispuntandone poco dopo
con una busta tra le mani. La strappò in pochi, frenetici
gesti e si mise a
scorrerla riga dopo riga con occhi velocissimi e increduli.
Stefan
gli si fece accanto, preoccupato. Brian ora guardava con aria testarda
fuori
dalla finestra. La lettera penzolava inerte dalla mano appoggiata
distrattamente
sul fianco.
-
Bri. –
Sentì
un suono gracchiante uscirgli a fatica dalle labbra: era una risatina.
-
E’ vero. – sussurrò, piegando la testa
all’indietro con una smorfia.
-
Cosa? –
Brian
gli porse la lettera tenendola fra due dita come se fosse infetta. A
Stef bastò
leggere le prime parole per capire.
Era
l’invito al matrimonio.
*
Matt
fu quasi certo di aver riconosciuto il mittente della chiamata sin dai
primi
squilli: sembravano le trombe dell’Apocalisse.
-
Pronto. – rispose, dopo una minuscola esitazione.
-
Che cazzo significa. –
-
Br- -
-
Che cazzo significa?! –
Matt
prese lentamente fiato. Il respiro gli si stava già
accelerando per il
nervosismo.
-
E’ l’invito al mio matrimonio. Credevo fosse ovvio.
– ribatté, duro.
-
Questo lo vedo, stronzo, so
leggere.
La domanda è perché a me. –
-
Se tu avessi risposto alle mie telefonate… -
-
Perché cazzo a me,
Matthew! –
Matt
si sedette. Era da quando si erano lasciati che non si parlavano. Il
solo suono
della sua voce aveva il potere di sconvolgerlo.
-
Era l’unico modo di risentirti. Sapevo che la cosa ti avrebbe
fatto incazzare…
-
Sentì
che esplodeva in una delle sue risatine sprezzanti, dolorosamente
famigliari.
-
E infatti i critici hanno sempre avuto ragione: sei un maledetto genio!
Chi
infatti non avrebbe potuto incazzarsi ricevendo l’invito al
matrimonio del
proprio ex - ex che l’ha lasciato da un giorno
all’altro senza uno straccio di
motivo per un attricetta che, tra le altre cose, ha avuto il buon gusto
di
ingravidare dopo pochi mesi? Quel che si dice una reazione
prevedibile!... –
Matt
digrignò i denti, reprimendo un sospiro frustrato.
-
Non ti permetto di parlare così di Kate. –
scandì a chiare lettere, cercando di
dimostrarsi autoritario – e non riuscendoci, evidentemente,
perché tutto quello
che riuscì a provocare fu un’altra risata a denti
stretti.
-
Ah, io non ho niente contro di lei. La compiango, piuttosto.
Sposarti… Per caso
l’hai drogata, prima di farle la proposta? –
Matt
cominciò ad arrabbiarsi sul serio.
-
Ti potrà sembrare strano, ma era entusiasta! –
ribatté, acido. Brian cadde un
breve silenzio, un silenzio che a Matt diede l’impressione di
dovergli costare
carissimo.
-
La cosa orrenda è che non mi sembra affatto strano.
–
-
… -
-
… -
-
Bri… -
-
Non me lo merito, Matt. E non me lo meritavo un anno fa. –
Come
tutte le volte che era turbato, la voce gli era diventata di ghiaccio.
Matt cercò
di radunare tutto il suo coraggio.
-
Non l’ho fatto per ferirti, Brian. Credimi. –
-
Non mi riesce più tanto facile. –
-
Tu hai ignorato tutti i miei messaggi, le mie chiamate, i miei
tentativi di
rivederti e scusarmi. Hai fatto terra bruciata. E io non sapevo
più dove
sbattere la testa. –
-
Tu mi hai lasciato e io ho reagito di conseguenza. Fine della storia.
Questo
non giustifica in alcun modo il tuo gesto. –
-
Brian- -
-
E’ stata la cosa più di cattivo gusto che io abbia
mai… -
Matt
perse la pazienza.
-
Due settimane dopo che ti ho lasciato, - cominciò, la voce
che gli tremava, - due
settimane dopo aver commesso quell’orribile sbaglio e averci subito ripensato, ti sei già
fatto
vedere in giro con un altro. Questo non è cattivo gusto,
forse? Io strisciavo
davanti alla tua porta e tu mi sputtanavi pubblicamente. –
-
Ah! Quindi sarebbe stata colpa mia, se ho capito bene. Mmmh. –
-
Non ho detto che è stata colpa tua! Io –
-
E’ vero, l’ho fatto appositamente per farti
soffrire. – lo interruppe Brian, in
tono prepotente. - Per farti stare male un decimo di quanto stavo male
io. L’ho
lasciato dopo nemmeno un mese. –
-
… -
-
Mi avevi spezzato il cuore. –
Matt
si strofinò gli occhi con una mano. Qualcosa di molto simile
alla nausea gli
aveva svuotato completamente lo stomaco.
-
Io credevo… - disse, con un filo di voce.
-
Lo so quello che credevi. E’ per questo che ho fatto quello
che ho fatto. –
Matt
sentì la testa cominciare a girargli.
-
Tu hai mandato a monte la possibilità di tornare insieme
per… per… - tentò,
incredulo.
-
Per cosa, Matthew? –
-
Per orgoglio, Cristo! – sbottò Matthew, la voce
che gli tremava per la rabbia.
-
Da quando amare sé stessi più di uno stronzo
vigliacco si chiama orgoglio?
Credevo che il nome giusto fosse legittima
autostima! –
-
Beh, invecchia solo come un cane insieme alla tua legittima autostima,
vediamo
come saprà tenerti compagnia! –
Gli
sembrò di averlo sentito trattenere il respiro.
-
Non ce l’avrei mai fatta ad invecchiare con te. –
sussurrò infine Brian,
incerto persino delle sue stesse parole.
Matt
gli mise giù il telefono mordendosi un labbro per la voglia
repressa di
mettergli le mani al collo. Per fargli cosa, non lo sapeva nemmeno lui.
*
Brian
richiamò dopo nemmeno cinque minuti.
-
Sentimi bene, bastardo: sono io che
semmai riattacco a te, e non il contrario, visto che tu
sei lo stronzo. E ripensandoci bene… Ci vengo, al
tuo maledetto
matrimonio. –
Matt
digrignò i denti, prevedendo una perfidia imminente.
-
Ah sì? –
-
Sì, ma al posto del riso porto da lanciare dei mattoni!
–
Non
poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una risatina amara.
-
Non c’è un cazzo da ridere, Matt. – gli
ringhiò l’altro nella cornetta. Matt
scosse la testa.
-
Lo so, Brian. Ma che ci posso fare? Tutta questa situazione
è ridicola. Non ci
sentiamo da mesi, non ci siamo nemmeno fatti gli auguri di compleanno,
e ora io
sto qui ad ascoltare le tue battutine venefiche sul mio matrimonio con
Kate.
Converrai che è paradossale. –
-
Qui di paradossale c’è solo il fatto che io non ti
abbia ancora coperto di
insulti, come ti meriti. –
-
Veramente l’hai fatto. –
-
Davvero? – chiese, provocatorio.
-
“Stronzo” e “bastardo” non mi
sembrano paroline da innamorato. –
-
E’ solo l’antipasto. Il dessert sarà
alla stricnina. –
-
Non vedo l’ora. –
-
A Gaia l’hai mandato l’invito, stronzo bastardo?
–
-
No. –
-
Ah, a lei no e a me sì. Che onore, sono commosso. –
-
Credevo che l’avrebbe presa male. –
-
Perché io invece sto ballando di gioia. –
-
Brian, Gaia è una donna.
–
-
Osservazione acuta, Matt. –
-
E anche Kate è una donna. –
-
Sono letteralmente abbacinato dalla tua attenzione per i dettagli.
–
-
Capisci bene che è diverso. –
-
Non capisco un cazzo, invece. –
-
Gaia può entrare in competizione – anche se non lo
farà: penso di starle
piuttosto indifferente, ora come ora. Al massimo augurerà
mentalmente a Kate di
inciampare nello strascico. Tu invece sei… diverso. In tutti
i sensi. –
Sentì
che esitava.
-
Perché? – chiese infine, sprezzante ma
terribilmente curioso.
-
Non avrai mai speranze di entrare in competizione con Kate. –
Brian
restò in silenzio, un silenzio tetro come quello di un
cimitero. Poi,
calmissimo, gelido, sussurrò:
-
Vai a farti fottere. –
-
Non c’è storia, fra voi due. –
-
Che figlio di puttana… -
-
Non c’è perché lei è
esclusivamente una tua creatura. –
Brian
prese fiato per dire qualcosa, ma si interruppe, come se ci avesse
ripensato
all’ultimo momento.
-
Che… Che intendi dire? – chiese poi, con finto
scetticismo.
-
Che se ora la sposo e aspetto un figlio da lei è solo colpa
tua. Ti sarebbe
bastato schioccare le dita, e io sarei tornato da te in un secondo. Non
l’hai
fatto: hai preferito guardarmi annegare nei sensi di colpa. Buon per
te. Ma non
ti stupire se ho cercato conforto in altri lidi. –
-
Tu mi hai lasciato. – ripeté Brian, testardo. E
Matt perse la pazienza.
-
Sì, Cristo, ma solo perché ero confuso! Volevo
solo prendermi un po’ di tempo
per schiarirmi le idee! –
-
Che cosa…?! –
-
Con Gaia era appena finita e già mi ritrovavo completamente
coinvolto in
qualcosa che non aveva cercato, e che era meraviglioso. E’
accaduto tutto
troppo in fretta, mi hai preso alla sprovvista: ma che colpa ne ho io?
–
-
E io?! –
-
Non è stata colpa tua, te l’ho già
detto! –
-
Mi hai accusato di essere stato lì a guardare mentre ti
contorcevi per il
dolore di avermi perso! –
-
Non puoi negarlo! –
-
Sono un essere umano anch’io, sai, Matt?! Anch’io
soffro, cazzo! Che cosa ti
aspettavi? Che ti avrei riaccolto con lo champagne in una mano e dei
cioccolatini nell’altra? –
-
Pensavo che mi fossi più attaccato. Che non mi avresti
dimenticato così presto.
–
-
Così non è stato, infatti. –
-
Però me l’hai fatto credere! –
Brian
emise uno sbuffo quasi annoiato.
-
Era mio diritto vendicarmi. – disse, in un tono che voleva
sembrare ovvio.
E
Matt decise che non intendeva più curarsi di ciò
che gli usciva di bocca.
-
La vendetta non è un diritto nei paesi civilizzati.
–
Brian
fu di parola. Un secondo dopo gli aveva già sbattuto il
telefono in faccia.
*
Stefan
guardò allibito il telefono ricominciare a squillare.
-
E’ancora lui? – chiese, confuso. – Ma a
che gioco state giocando? -
Brian
gli lanciò uno sguardo furtivo. Sembrava raggiante, e
terribilmente spaventato.
-
Non l’ho mai capito a che gioco giochiamo, Stef. So solo che
credevo di averlo perso, questo gioco, e che la
partita fosse finita, ma a quanto pare non è
così. – Gli sorrise. – Pur con
un’evidente invasione di campo e falli di ogni genere e
sorta. –
Si
guardarono in silenzio. Brian continuava a lanciare rapide occhiate al
cellulare.
-
Cosa intendi fare? – gli domandò Stef, reprimendo
un sospiro rassegnato. Brian
fece spallucce.
-
Per ora, - disse, allungando la mano verso il telefono che tremava sul
tavolo,
- rispondergli. –
Note
dell’autrice: Dio
mio, è un Harmony XDDD Che vergogna. Però
è stato divertente scriverla e
inoltre, visto che io solitamente ragiono per gruppi a tema, deduco che
con la
tragicommedia sul matrimonio di noi-sappiamo-chi ho finalmente concluso
la
*musichetta di Star Wars* TRILOGIA DI KATE, composta altresì
da Playing The
Game, This Mess We’re In e Hero. Son cose.
Non
mi guardate così, io sono felice per poco. Davvero.
Su
questi due d’altronde ho poco o niente da dire. Sono
abbastanza patetici,
credo, e per una volta l’infantilismo è stato
equamente distribuito *ride
malefica* Io in primis non ho dato preferenze a nessuno, insomma.
Eppure in
qualche modo li ho trovati teneri. Sbandati, quindi meritevoli di una
qualche
forma di affetto.
Mi
sembra piuttosto che ci sia un divario troppo forte tra il dialogo
demenziale e
quel poco di introspezione depressa che ho concesso ai due signori. Non
mi pare
per niente realistica, insomma, ma devo dire che per stavolta me ne
frego :D e
mi concedo un po’ di scrittura di evasione. Spero almeno che
sia riuscita in
qualche modo divertente.
Tantissimi
grazie e baci a tutti :******
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