“Ho sentito urlare, ieri notte.”
Narcissa fu sorpresa dalla voce del
marito, la mattina dopo.
Era nel grande salone, e sorseggiava
da un calice trasparente. Lo sentì
entrare e non si girò per
guardarlo. Aspetto che fosse lui ad
avvicinarsi, mettendosi fra lei e il
caminetto.
Narcissa annuì. “È stata una nottata
particolare, per lei,”
disse. “Brutti sogni, penso. Residui di
Azkaban… e dei Dissennatori. Però poi
si è calmata ed è
riuscita a dormire tranquillamente. Di
fatto, dorme ancora ora, e penso ne
avrà per tutta la
giornata.”
Evitò di parlare della breve
conversazione che avevano
avuto; sapeva quello che Lucius avrebbe
Detto: che Bellatrix non era lì per
lei, che era lì per
Voldemort, perché a lui serviva. Ma non voleva
sentirselo dire.
“Narcissa, non possiamo ignorare il
pericolo di tenerla in casa,”
Lucius disse, lentamente. “Le
probabilità di ricevere una visita in
mattinata sono
altissime. Anzi, a dir la verità sono sinceramente
sorpreso che non siano ancora
arrivati.”
“La nasconderò, se dovessero venire,”
Narcissa disse,
ripetendo quello che aveva detto la notte
prima, quando il marito aveva dato
voce alle stesse
perplessità. “Ho un esercito di elfi domestici
che fanno tutto quello che gli dico,
la legheranno in
cantina se dovesse opporre resistenza, ma
l’importante è che non la portino
via.”
“Narcissa, il tuo amore per tua
sorella ti rende cieca,”
Lucius disse. “Pensavo avessi capito che tipo
di persona è.”
Narcissa lo guardò, il fuoco negli
occhi. “Non dirmi cosa so
e cosa non so,” sibilò. “È mia sorella.”
Era ironico come, ogni volta che
parlava di Bellatrix,
l’unica cosa che riuscisse a dire fosse che era
sua sorella. Come se questo bastasse
a giustificare gli
atteggiamenti di Bellatrix, come se essere sua
sorella la autorizzasse ad essere ciò
che era. Ma in realtà
lo diceva più per ricordarlo a se stessa. Era sua sorella, e aveva
degli
obblighi nei suoi confronti. Non importa quanto crudele, immorale
fosse; Bellatrix
era sua sorella prima ancora di essere un’assassina.
Lucius sbuffò e scosse la testa,
sentendosi impotente di
fronte all’incantesimo di Bellatrix sulla
moglie. Non l’avrebbe mai capito… Ma
lui non aveva fratelli,
né sorelle. Probabilmente per quello
gli sembrava così folle; era sicuro,
in fondo, che Narcissa
avrebbe sacrificato persino se stessa per
amore della sorella.
Lucius infilò la mano nel vaso che
era sul caminetto,
afferrò un pugno di Metropolvere e la buttò
nel caminetto, partendo con
un’ultima, glaciale occhiata
alla moglie. Narcissa guardò in alto,
cercando di ricacciare dentro la
rabbia che suo marito era
oramai solito procurarle. Non poteva
essere arrabbiata, doveva essere
lucida.
Per Bella.
Mentre pensava a sua sorella, arrivò
un colpo dalla porta.
Si voltò di scatto, guardando in direzione
dell’ingresso. Altri colpi,
insistenti, più forti. E poi la
voce che aveva temuto di sentire. “Lucius
Malfoy, apri la porta! Per orine del
Ministero”
Il Ministero, pensò, allarmata.
Poggiò il calice sul tavolo
e si guardò intorno. “Ganeth!” sibilò,
imperiosa. “GANETH!” Si sentì un crac
e la piccola elfa
domestica si materializzò nella stanza,
inchinandosi profondamente.
“La Padrona ha ch-“
“GANETH! Veloce, Sali nella stanza di
Draco, prendi la donna
che sta dormendo e portala nella
cantina! Cercherà di opporre
resistenza, ma non farci caso!
Usa la forza se necessario, insonorizza
la stanza, urlerà e cercherà di
colpirti. Non ha la
bacchetta, non è pericolosa. Non troppo, almeno,”
aggiunse, aggrottando le
sopracciglia. “Veloce! ORA!”
L’elfa si smaterializzò e Narcissa
corse nell’ingresso.
Fuori, gli Auror del Ministero continuavano
a bussare e minacciavano di buttare
giù la porta. Narcissa
deglutì e si portò una ciocca di capelli
dietro l’orecchio prima di aprire la
porta con grazia.
Un gruppo di persone entrarono
correndo nella villa, e lei
li seguì con sguardo scandalizzato mentre
si spargevano in ogni direzione.
“Narcissa Malfoy, sono Kingsley
Shacklebolt, e abbiamo
l’autorizzazione del Ministero di
perquisire casa sua riguardo la fuga
di Bellatrix Lestrange.
Se ha qualcosa da dichiarare, le
consiglio di farlo subito e di
collaborare con il Ministero,
in vista di una eventuale condanna per
aver dato rifugio ad un fuggitivo
dell’ala di massima
sicurezza delle prigione magica di Azkaban.”
Narcissa inarcò le sopracciglia.
“Siete liberi di perquisire
la mia dimora,” disse, con scherno. “Non
troverete niente fuori
dall’ordinario, a parte un paio di
elfi domestici altamente inetti.”
Kingsley la osservò prima di annuire
ed entrare, avviandosi
a seguito dei suoi uomini. Narcissa
chiuse la porta e rimase con la mano
sulla maniglia in
ottone per qualche secondo, facendosi
coraggio. Poi si voltò, e il suo viso
non tradiva la minima
preoccupazione.
Gli Auror perquisirono ogni angolo
del maniero, e viste le
dimensioni impiegarono quasi tre ore
prima di ritrovarsi tutti
nell’ingresso, con facce confuse;
erano stati sicuri di trovarla là, glielo si
leggeva in faccia.
“Dunque?” chiese, sprezzante. “Non
avete trovato nessun
Mangiamorte nascosto sotto il mio letto?”
“Signora Malfoy, sua sorella…”
“Non ho sorelle,” disse,
improvvisandosi dura e implacabile.
“Non più.”
Gli Auror si guardarono e, con
espressioni sconfitte,
uscirono uno ad uno dalla villa, mormorando
scuse all’indirizzo di Narcissa e del
marito. Shacklebolt fu
l’ultimo, e prima che Narcissa potesse
chiudere la porta dietro di lui le
rivolse poche parole di
avvertimento. Le ricordò la pericolosità
di Bellatrix Lestrange, la esortò a
contattare l’Ufficio
Auror se si fosse presentata a casa sua, e
le ricordò di non sottovalutarla
perché la donna era, a suo
dire, “senza controllo e senza anima,
oramai più bestia che umana”.
Non appena la porta si fu richiusa,
nella stanza riecheggiò
un sonoro crac, e la piccola elfa riapparve, tenendo Bellatrix per il
polso.
Non appena furono Materializzati, lasciò andare il polso della strega e
corse a
nascondersi dietro la colonna più vicina. Bellatrix le urlava contro
improperi,
anche se in realtà erano solo parole senza un nesso logico.
“Bellatrix,” Narcissa sussurrò,
avvicinandosi alla sorella e
prendendola per la vita, impedendole di
rincorrere l’elfa. “Calmati, ha agito
per mio ordine. Il
Ministero è stato qui, ti cercavano. Dovevo
fare qualcosa, dovevo proteggerti!”
Bellatrix si dimenava, gli occhi
folli fissi sull’elfa che
tremava. Grugniva, ansimava, come un cane
da caccia che avvista la sua preda.
“BELLATRIX!” urlò Narcissa, e questo
sembrò riscuotere la
donna dalla trance omicida in cui
era caduta. Smise di dibattersi e
pian piano si accasciò al
suolo, in ginocchio. Non era ancora
abbastanza forte per certi slanci di
vivacità, il suo corpo
non poteva sopportarlo. Aveva il respiro
affannoso e le palpebre pesanti.
Narcissa la accompagnò nella discesa
verso il suolo,
tenendola stretta alla vita, e anche lei si
inginocchiò. Le pose una mano sulla
nuca e spinse la faccia
della sorella nell’incavo del suo collo,
tenendola stretta a sé. “Calmati,”
diceva, come un mantra.
“Calmati. Calmati.”
E Bellatrix si calmò, lasciandosi
stringere dalla sorella,
pur sbarrando gli occhi e guardandosi
intorno come già aveva fatto l’altra
sera, spaesata, quasi
spaventata, come se non riconoscesse
niente.
“Cissy,” sibilava. “Dov’è?”
“Due giorni, Bella,” rispose
Narcissa, sapendo già a cosa, o
meglio a chi si riferiva la sorella. “Due
giorni e sarà qui.”
“È tornato a prendermi, Cissy.”
“Sì, è tornato a prenderti Bella,
come hai sempre saputo,”
le diceva Narcissa, sapendo oramai che
era l’unico modo per calmarla. La
conosceva. La conosceva
bene. “Avanti, torniamo di sopra.
Potrai lavarti, e mangiare. E sarai
pronta per l’arrivo del
Signore Oscuro.”
Bellatrix sorrise.
“Sì.”
*
Bellatrix parlava poco, oramai.
Narcissa non poté fare a
meno di notarlo mentre sedeva sul bordo
dell’antica vasca da bagno e passava
la spugna sulla schiena
della sorella. Anche ora, nella vasca,
era raggomitolata, con le gambe
strette al petto, gli occhi
fissi di fronte a sé, ed un sorrisetto
inquietante che appariva e
scompariva, a seconda dei
pensieri che le passavano per la testa. Narcissa
sapeva che quando sorrideva, era
perché pensava a Voldemort,
a come l’avesse salvata e a quando
avrebbe finalmente potuto riprendere
il suo posto nel
circolo dei Mangiamorte.
Decise che non avrebbe parlato
nemmeno lei, e che sarebbero
state in silenzio entrambe e condiviso
quelle giornate così come Bellatrix
le voleva. Strofinava la
spugna sulla schiena ossuta della
sorella, e le si spezzava il cuore
ogni volta che scopriva
un nuovo livido, un graffio, ferite che
probabilmente si era inferta da sola
durante la prigionia.
Lasciò cadere la spugna e sollevò la
sua bacchetta,
mormorando, “Aguamenti”. Un getto d‘acqua
fuoriuscì dalla punta, gentile,
tiepido, e Narcissa lo passò
sui capelli di Bellatrix, che al tocco
dell’acqua si appiattirono contro la
nuca e la schiena della
donna.
“Voglio la mia bacchetta,” disse
Bellatrix.
Narcissa, spiazzata, si guardò
intorno, come se si
aspettasse di vederla là, sul lavandino. Poi ricordò.
Probabilmente la bacchetta le era
stata tolta al momento
dell’incarcerazione, e quante possibilità vi
erano che non l’avessero spezzata in
due, bruciata, nel
tentativo di cancellare gli orrori che quella
bacchetta aveva compiuto?
“Io non ho la tua bacchetta, Bella,”
spiegò Narcissa,
continuando a passare la sua sui capelli della
sorella. “Penso che l’abbiano
distrutta.”
Bellatrix abbassò lo sguardo. “Pensi
che potrò averne un’altra?”
“Certo,” esclamò Narcissa,
sorridendo. “Sono sicura che
troveremo un modo. Non puoi certo uscire
di casa e marciare da Olivander, ma
possiamo architettare
qualcosa. Avrai una nuova bacchetta.”
Bellatrix annuì e si strinse le
spalle. “Ho freddo.”
“Va bene, dai, dammi la mano ed esci
dalla vasca.” Narcissa
porse la mano alla sorella, che si
alzò e barcollò un attimo prima di
trovare la stabilità
sulle proprie gambe. Poi, un piede alla volta,
riuscì a scavalcare il bordo della
vasca e Narcissa le
avvolse un grande asciugamano bianco intorno
alle spalle. “Sei così magra, Bella,”
aggiunse in poco più
che un sussurro, con la voce piena di
preoccupazione.
Bellatrix alzò lo sguardo e, con un
sorrisino quasi
complice, sussurrò: “Invidiosa?”
Narcissa rise.
“Mio Dio,
Narcissa!”
disse Bellatrix entrando nella camera dove Narcissa si stava preparando
per
il grande
giorno. “Sei
sicura di non essere malata? Sei magra da far spavento.”
Narcissa si
voltò per
afferrare il vestito bianco ed il velo. Lanciò un’occhiata alla
sorella.
“Invidiosa?”
Scacciò via i ricordi, alla stessa
velocità di come erano
arrivati, e mise un braccio intorno alla vita
di Bellatrix, guidandola fuori dal
bagno, nella camera da
letto adiacente. Arrivate al letto, la fece
sedere e, una volta completamente
asciutta, Bellatrix si
stese nuovamente, stavolta appoggiando
la testa contro la testiera, in modo
da essere quasi seduta.
Narcissa si sedette accanto a lei e
gridò: “Ganeth, il vassoio!”
L’elfa si Materializzò nella stanza,
portando un vassoio con
mani tremanti; lanciò un’occhiata
impaurita a Bellatrix, e Narcissa
sbuffò, alzandosi e
prendendo il vassoio dalla piccola creatura
terrorizzata. “Sparisci,” le disse.
Rimasero nuovamente sole. Narcissa
tornò a sedersi affianco
a Bellatrix e poso il vassoio tra di loro.
Bellatrix analizzò tutto quello che
c’era, come se dovesse
riabituarsi anche al cibo. Pane, zuppa,
uva, cioccolata, e almeno tre
bicchieri, colmi di liquidi
diversi. Non sapeva neanche lei cosa fare.
Narcissa prese il cucchiaio e lo
affondò nel primo piatto,
quello che conteneva la zuppa, e la guardò,
avvicinandoglielo alla bocca.
Bellatrix la guardò per un
tempo infinito, prima di socchiudere la
bocca e accettare di essere imboccata.
Tra un cucchiaio e l’altro, Bellatrix
aggrottò la fronte.
“Che fine ha fatto quell’elfo stupido? Dobby,
così si chiamava?”
Narcissa sospirò stancamente.
“Abbiamo dovuto rimpiazzarlo.”
“Muro delle
teste?”
disse Bellatrix, con un ghigno.
Narcissa scosse la testa. “Non
esattamente,” spiegò. “Lucius
ha dovuto liberarlo.”
Stava per imboccarla nuovamente,
quando lo sguardo le cadde
sull’avambraccio sinistro, dove il
Marchio Nero spiccava contro il
bianco dell’asciugamano che
la avvolgeva. Abbassò la mano e lo
fissò. Bellatrix seguì lo sguardo
della sorella, ed anche
lei guardò il proprio braccio marchiato. Era
tornato vivo, splendente, così come
l’uomo che l’aveva
impresso sulla sua pelle venti anni prima.
“Non ricordo bene cosa sia successo,”
cominciò Bellatrix,
catturando l’attenzione di Narcissa dal
Marchio. “Ero lì, nella cella, in una
specie di limbo. E poi
c’è stato un rumore forte, e ho aperto gli
occhi. Non c’erano più muri, non
c’erano più celle. Potevo
vedere gli altri carcerati per la prima
volta, e potevo vedere il mare che
circondava Azkaban. Mi ci
è voluto un po’ per capire che il muro
esterno era stato fatto saltare in
aria. Vedevo gli altri
che si Smaterializzavano, e ci ho provato
anche io ma…”
“Eri troppo debole,” finì Narcissa
per lei, ricordando le
condizioni in cui si trovava quando il
Signore Oscuro l’aveva portata a casa.
“Poi l’ho visto. Era lì, davanti a
me. Sentivo delle urla,
vedevo luci di incantesimi da tutte le parti.
Lui mi ha presa, mi ha sollevata da
terra e ci siamo
Smaterializzati. Poi… non ricordo più niente
fino a stanotte, quando mi sono
svegliata qui, e tu eri
vicino a me.”
“Il Signore Oscuro ha pensato che
saresti stata al sicuro,
qua,” Narcissa spiegò.
“Come fate ad essere vivi?” chiese
Bellatrix, e gli occhi le
si fecero minacciosi. “L’avete tradito.
L’avete rinnegato. Ho sentito tutte
le fandonie che Lucius
ha raccontato al Ministero per evitare
Azkaban, e la mia domanda è… Come
fate ad essere ancora
vivi?”
Narcissa lasciò il cucchiaio sul
bordo del piatto e guardò
un punto fisso alla sua sinistra.
Sapeva che questo momento sarebbe
arrivato, il momento in
cui le avrebbe rinfacciato di aver
tradito Voldemort, il momento in cui,
da invasata qual era,
avrebbe gridato quanto fosse stata
doppiogiochista e bugiarda mentre
lei, Bellatrix Lestrange,
aveva sopportato anni ed anni di
prigionia pur di non tradire lui, o
la sua causa.
“Avevo un figlio, Bella,” disse
Narcissa. “Un figlio che
sarebbe cresciuto senza un padre e una
madre, se avessimo fatto quello che
tu e Rodolphus avete
fatto.”
“Ma avrebbe potuto essere orgoglioso
dei suoi genitori,”
sibilò Bellatrix, socchiudendo gli
occhi. “Mentre ora, come può
guardarvi in faccia sapendo che
avete tradito?”
Narcissa non rispose.
“Vattene,” mormorò Bellatrix.
Narcissa inspirò profondamente prima
di provare a dire qualcosa,
ma la sorella la anticipò. “Ho
detto di andartene.” Si fissarono per
molto tempo, l’una
cercando di capire l’altra: Bellatrix cercava
di comprendere perché la sorella
avesse compiuto un tale
atto di tradimento, mentre Narcissa
cercava di capire se fosse tutto
perduto, se per colpa di
quel Marchio che sua sorella adorava così
tanto anche le loro vite fossero
state travolte e distrutte.
Si alzò e si allontanò da Bellatrix;
giunta alla porta si
voltò e scosse la testa. “Non è la tua guerra,
Bellatrix.”
Un lampo attraversò gli occhi della
sorella. “È la mia
guerra, la nostra guerra. Tu sei solo troppo
codarda per combattere.”
“Bella, sei
pazza! Ti
sei fatta marchiare!” gridava Narcissa, quella notte di venti anni
prima.
“Perché l’hai
fatto?”
“Perché sono
una
Black, devo difendere l’onore del sangue puro!” aveva ribattuto
Bellatrix
fissando il
suo
marchio come ipnotizzata. “È quello che la gente si aspetta da me!”
“No, Bella!
Quello che
la gente si aspetta da noi è che siamo le mogli e le madri perfette, che
educhiamo i
nostri
figli secondo i valori puri della famiglia Black! Non si aspettano di
vederci
scendere in
battaglia!
Siamo donne!”
“E solo
perché sono
una donna non dovrei combattere?” gridò Bellatrix. “Dovrei stare a casa,
come fai tu?
Io non sono
te! Io ci sarò, sarò al fianco del Signore Oscuro, sarò la più fedele
dei
suoi seguaci
perché io
solo credo a ciò che dice in modo incondizionato! Io sola lo capisco,
io sola
capisco la
missione
punitiva che ci è stata affidata!”
“Morirai,
Bellatrix!”
“Se è quello
che il
destino ha in serbo per me, sia! Almeno sarò morta per una causa in cui
credo,
assieme
all’uomo che
mi ha dato una ragione per vivere!”
Fuori dalla camera, Narcissa rimase a
rimuginare su quel
Marchio che sua sorella aveva accettato
con tanto orgoglio; a come la loro
vita fosse cambiata da
quando lei, Lucius e gli altri gradualmente
erano stati marchiati, uno dopo
l’altro, come bestie che
vanno di loro spontanea volontà al macello.
Suicidio era l’unica cosa che
Narcissa riusciva a pensare
ormai di quella missione, suicidio e
masochismo.
*
Narcissa non vide Bellatrix per i
restanti due giorni; in
parte perché la sorella si rifiutava di uscire
dalla camera e di respirare la stessa
aria di Lucius, quel viscido bugiardo,
e in parte perché
Narcissa
stessa era troppo orgogliosa per
accettare ciò che Bellatrix
le diceva ogni volta che i loro sguardi si
incrociavano.
Aveva pensato, sperato, che sarebbe
stato più facile, che
Azkaban avesse domato Bellatrix, ed
invece aveva avuto l’effetto
contrario. Il cambiamento era
graduale ma rapido, e la Bellatrix esausta
e debole che era piombata in casa sua
veniva rimpiazzata
minuto dopo minuto da una donna che
Azkaban aveva reso schiva e
intoccabile.
Si incrociavano solo di sfuggita,
quelle rare volte che
Bellatrix lasciava la stanza ed usciva nel
giardino sul retro. Conoscendola,
Narcissa poteva capire il
malessere che solcava l’anima già nera
della sorella: non era mai stata una
reclusa, non aveva mai
amato le costrizioni, e per di più, dopo
gli anni trascorsi in una piccola
cella ad Azkaban, poteva
capire la voglia di libertà, la voglia di
uscire da quelle quattro mura e
respirare aria che non fosse
contaminata dal respiro gelido dei
Dissennatori.
Ma Bellatrix non poteva uscire, non
poteva vivere secondo i
suoi istinti, non con il Ministero della
Magia impegnato in una caccia
all’uomo come poche se n’erano
viste dalla caduta del Signore
Oscuro. A volte sembrava quasi che
poco importasse loro
della fuga degli altri Mangiamorte, che
l’unica che volessero, l’unica che
temessero, fosse
Bellatrix Lestrange.
Come biasimarli, d’altronde?
Bellatrix era sempre stata la
più pericolosa fra tutti. Il Signore Oscuro
aveva riposto in lei ciò che di più
simile alla fiducia ci
fosse al mondo, e l’aveva presa come
sua discepola; le aveva insegnato
tutto, l’aveva resa una
macchina da guerra senza coscienza, ne
aveva coltivato la mente, l’aveva
contorta e distorta,
l’aveva resa così simile a lui che spesso gli
altri Mangiamorte faticavano a
discernere dove finisse Lord
Voldemort e dove iniziasse Bellatrix
Lestrange.
Narcissa aveva assistito a questo
processo, impotente. Aveva
visto la sorella cambiare di giorno
in giorno, aveva visto come con ogni
lezione che il suo
maestro le impartiva perdeva un po’ di se
stessa e si avvicinava a quell’essere
immondo che il mondo
temeva. Narcissa aveva visto la sorella
imparare a comandare, torturare,
uccidere: ogni maledizione
che infliggeva le gonfiava il cuore
d’orgoglio, mentre raccapricciava
Narcissa.
Erano state così simili, fino
all’arrivo di Voldemort. Da
quel giorno, il giorno in cui Tom Riddle
aveva assunto quella nuova, spietata
Mangiamorte, Bellatrix
Black era morta, soppiantata da una
copia carbone del Signore Oscuro.
L’unica cosa che non era riuscito a
domare, e questo Narcissa
lo sapeva bene, era la folle passione
con cui Bellatrix portava avanti i
suoi compiti. Lui che
l’avrebbe voluta fredda e calcolatrice, si era
invece trovato tra le mani
un’assassina mossa da qualcosa
che lui non riusciva a capire, che non era
mai riuscito a capire. Solo sua
sorella poteva sapere
l’intima origine dell’efferatezza della sorella, e
non era solo l’odio per i Babbani, o
qualsiasi cosa
minacciasse la purezza del suo sangue.
C’era il fuoco, dentro Bellatrix. Un
fuoco che ardeva e non
si spegneva mai, che bruciava così caldo
da scottare chiunque le si
avvicinasse. Era il fuoco di una
passione incalcolabile; passione per il
suo Signore, passione per la causa,
passione per il dolore e
la tortura. Questa era la differenza fra
Lord Voldemort e Bellatrix Lestrange.
Mentre lui aveva
smesso di trarre piacere dalle urla di dolore
delle sue vittime, o forse non
l’aveva mai fatto, Bellatrix
continuava ad essere pervasa da un torpore
immane.
Erano state così simili, Bellatrix e
Narcissa. E sembrava ironico
che l’unica cosa che non fosse
cambiata nell’una, fosse stata la
cosa dalla quale l’altra
era dovuta scappare per proteggersi dalla
follia che la circondava. Narcissa,
che una volta era stata
appassionata, era stata percorsa dal furore,
dall’ardore, aveva chiuso tutti quei
sentimenti in
un’anticamera della sua anima, perché solo con il
distacco sarebbe riuscita a non
morire di ciò che era
diventata la sua vita.
Un marito Mangiamorte, una sorella
disconosciuta ed un’altra
rinchiusa ad Azkaban per anni, un
figlio troppo incline a seguire le
orme del padre ed una
vita sottosopra, lontana da quell’allegro,
sontuoso sfarzo a cui era stata
abituata.
Aveva rifuggito la passione per non
cadere nel baratro della
disperazione che, lo sapeva, aspettava
dietro l’angolo, attendendo solo che
lei le desse
un’occasione per entrare e buttare all’aria i suoi
castelli di sabbia.
“Come sta tua sorella?” chiese
Lucius, la sera del terzo
giorno, scuotendola dai pensieri che le si
accavallavano nella testa. “Sono due
giorni che non
litighiamo per colpa sua, comincia quasi a
mancarmi.”
Narcissa colse l’ironia e sbuffò.
“Diciamo che al momento
non siamo in rapporti idilliaci,” spiegò,
giocherellando con la carne nel suo
piatto senza mangiarla.
“Spero tu non ti sia dimenticato che per
lei siamo alla stregua dei Weasley,
al momento. Traditori,” aggiunse,
sputando la parola
come se
fosse veleno.
Lucius sghignazzò, scuotendo la
testa. “Eppure il Signore
Oscuro ha affidato a me la missione, io
devo recuperare la profezia. Non lei.”
“Questo è da vedere.”
Entrambi alzarono lo sguardo in tempo
per vedere Bellatrix
entrare, a passo di guerra, nella sala da
pranzo. Narcissa pensò subito che
doveva aver rovistato in
cantina, tra le cose di famiglia, perché
indossava un lungo abito nero che le
era appartenuto in
passato. Vederla così era allo stesso tempo
un sollievo ed un colpo al cuore, per
Narcissa: da un lato
era sollevata perché sua sorella stava
bene, glielo si leggeva in faccia,
mentre dall’altro la
riportava ad un passato in cui temeva per la
sua incolumità ogni volta che la
vedeva uscire di casa,
spaventata per quello a cui la sorella andava
incontro.
Bellatrix sedette all’altro capo del
tavolo, opposta a
Lucius, tanto lontana da loro quanto fisicamente
possibile. Sembrava una presa di
posizione, una cosciente
opposizione a Lucius, un tentativo
di ristabilirsi come personalità
dominante nella casa. Si
sedette senza un briciolo di grazia e,
sprezzante, sollevò le gambe e le
poggiò sul tavolo, la
testa chinata da un lato, lo sguardo fisso su
cognato.
“Bellatrix,” disse Lucius, con finta
cortesia. “È un piacere
vederti in piedi… Senza delirare,
intendo.”
Bellatrix strinse le palpebre alla
frecciata di Lucius, ma
lasciò correre e si rivolse invece a
Narcissa. “Quando arriverà il Signore
Oscuro?” le chiese.
“Le riunioni si svolgono dopo cena,
Bella,” le rispose
Narcissa, cercando di ignorare gli
atteggiamenti volutamente provocatori
della sorella.
“Sei sicura di essere in grado di
tornare a servire il
Signore Oscuro?” si intromise Lucius. “Non
vorrei che il tuo stato mentale
corrompesse le nostre
missioni.”
“O forse hai solo paura che ti soffi
il comando.”
Lucius sorrise. “Dubito che il
Signore Oscuro affiderebbe
una missione così importante ad una
persona instabile come te, Bella,”
disse, inarcando un
sopracciglio.
Bellatrix sospirò e si rivolse
nuovamente alla sorella. “Di
che missione stiamo parlando, ad ogni
modo?” chiese, evitando lo scontro
diretto con Lucius.
“Tortura? Omicidio?”
“Nulla di tutto ciò,” tornò a parlare
Lucius, come se non
ritenesse Narcissa all’altezza di parlare
dei piani di Lord Voldemort. “Ma non
sta a noi parlartene.
Deciderà lui se… fidarsi di te, con certe
informazioni.”
“La profezia,” disse Narcissa, dal
nulla.
Lucius si voltò verso di lei, di
scatto, incredulo.
Bellatrix spostò lo sguardo sulla sorella lentamente,
ne scrutò il viso e poi sorrise.
“Narcissa!” la rimproverò il marito,
ma lei non lo
ascoltava.
“Il Signore Oscuro vuole recuperare
la profezia, teme di
aver tralasciato qualcosa,” spiegò Narcissa,
rivolta verso la sorella, il cui
sorriso si allargava sempre
di più man mano che la sorella parlava e
l’espressione di oltraggio sul viso
di Lucius diventava più
scura. “Vuole che i suoi Mangiamorte
entrino al Ministero e recuperino la
profezia,” concluse,
abbassando lo sguardo.
Lucius stava per parlare, quando le
candele nel mezzo del
tavolo si spensero, come se una raffica
di vento si fosse abbattuta su di
loro. Bellatrix si alzò,
con uno scatto, e le sue pupille si dilatarono.
Sapeva cosa stava per succedere.
Anche Lucius balzò in
piedi, e con un movimento della bacchetta
fece svanire tutto ciò che aveva
occupato il tavolo; si
avvicinò a Narcissa, piegandosi leggermente,
e le sussurrò ad un orecchio: “Io e
te facciamo i conti
dopo.”
Tutti e tre si allontanarono dal
tavolo, contro il muro, e
in men che non si dica una serie di figure
incappucciate si Materializzarono
nella stanza. Narcissa ne
contò venti, in totale: dieci persone in
più rispetto all’ultima riunione. I
Mangiamorte evasi da
Azkaban.
Uno di loro si staccò dal gruppetto
appena apparso e si
diresse verso di loro. Mosse la bacchetta
verso la maschera, che si dissolse,
rivelando il volto di
Rodolphus Lestrange. L’uomo si avvicinò e
si fermo di fronte a Bellatrix,
chinando la testa leggermente.
Ella gli sorrise, complice.
“Quattordici anni, Rodolphus,”
disse, porgendogli la mano, che lui prese
con cavalleria e sfiorò appena con le
labbra.
“Quattordici anni,” ripeté lui,
ricambiando il sorriso.
Poi si voltò verso Lucius e Narcissa
e con un cenno della
testa salutò entrambi, cortesemente. Tante
cose si potevano dire, di Rodolphus
Lestrange, tranne che
fosse sgarbato. Celava il suo disdegno
con maestria.
Poi Narcissa notò il tremito che
percorse le persone attorno
a lei, e vide la mano di Rodolphus
volare verso il proprio avambraccio
sinistro. Avvertì il
respiro di Bellatrix farsi più veloce, e prima
che potesse muoversi o dire niente,
una figura più alta di
tutte le altre si Materializzò nel centro
della stanza.
Ci fu silenzio, tutti gli occhi fissi
su Lord Voldemort, che
si guardava attorno compiaciuto; poi, si
fermò sul gruppetto vicino al muro,
precisamente su
Bellatrix e Rodolphus. Sollevò le braccia verso
di loro. “Rodolphus,” disse.
“Bellatrix. Finalmente il mio
esercito è completo.”
Bellatrix si staccò dal muro e corse
verso il suo Signore,
buttandosi ai suoi piedi. “Mio Signore,
siamo ai vostri ordini come sempre è
stato. Siamo pronti a
servirvi, a morire per voi. Una sola
parola, e agiremo.”
Narcissa guardò la sorella, prostrata
davanti a Lord
Voldemort.
Non c’era speranza.
*
La riunione non fu un festeggiamento,
come tutti si
aspettavano; i Mangiamorte liberati, con l’unica
eccezione di Bellatrix e Rodolphus,
non ottennero che un
cenno da parte del Signore Oscuro prima
che egli si lanciasse in una acceso
resoconto del suo ultimo
piano.
Bellatrix fremeva, nel suo posto nel
circolo; era evidente
che aveva aspettato qualcosa per tutta la
durata dell’incontro, qualcosa che
arrivò solo poco prima
che il Signore Oscuro si congedasse.
“Bellatrix,” aveva detto.
“Accompagnerai Lucius al
Ministero, quando i tempi saranno maturi. So di
poter confidare nella tua
meticolosità.”
Narcissa aveva spostato lo sguardo
sul marito,
immediatamente, e gli aveva letto in faccia la
delusione, la realizzazione di ciò
che aveva temuto. Lo
aveva visto abbassare il capo e fissare il
pavimento, ed aveva sentito il
mormorio che aveva percorso
il circolo.
Il Signore Oscuro aveva congedato
tutti i Mangiamorte, che
si erano smaterializzati uno ad uno.
Anche Rodolphus, dopo un inchino ed
un cenno del capo verso
Bellatrix, aveva lasciato Villa
Malfoy. Il Signore Oscuro non si era
mai trattenuto più del
necessario, ma Narcissa notò che quel
giorno attese finché l’ultimo
Mangiamorte fosse sparito;
finché nella stanza rimasero solo lei,
Lucius, Bellatrix e Lord Voldemort.
“Mio Signore…” tentò di dire Lucius,
ma il Signore Oscuro
sollevò una mano mettendolo a tacere.
“Lucius, puoi andare.”
Malfoy fu sicuramente stupito
dall’affermazione del Signore,
non tanto per il fatto che nessuno
aveva mai dato ordini in casa sua,
quanto per ciò che
significava. Gli occhi di Bellatrix, infatti,
si erano illuminati. Lucius, ancora
una volta, sentì il
rossore salirgli alle guance, e con un goffo
inchino si voltò per lasciare la
stanza. Fece un cenno a
Narcissa, che annuì e fece per seguirlo,
quando la voce altisonante di Lord
Voldemort la fermò.
“Resta, Narcissa.”
Ella rimase pietrificata, perché mai
il Signore Oscuro le
aveva concesso alcun privilegio, se non
quello di assistere alle riunioni
nonostante non fosse una
Mangiamorte. Ed ora che Bellatrix era
tornata, Voldemort la voleva presente.
Narcissa si voltò verso Voldemort e
abbassò la testa,
ubbidendo. Lucius scrutò la moglie e la
cognata, poi con un ulteriore inchino
lasciò la stanza,
chiudendo la pesante porta di quercia dietro di
sé.
Rimasero in tre, nella stanza,
silenziosi. Il silenzio di
Narcissa era di disagio, mentre quello di
Bellatrix era trepidante ed eccitato.
Lord Voldemort
spostava lo sguardo da Bellatrix a Narcissa,
con il ghigno di chi sa qualcosa che
gli altri non sanno.
“Ho sempre avuto una grande stima per
la famiglia Black,”
disse, rompendo il silenzio. “Conobbi
vostro padre quando ero solo un
ragazzo. Era un mago degno e
di valore. Posso dire con certezza di
essere onorato di essere alla
presenza delle ultime
discendenti della casata Black.”
Bellatrix tornò a chinare il capo e a
biascicare
ringraziamenti e lodi dell’uomo, ma Narcissa
si limitò a guardarlo. Sapeva che non
gli interessava
davvero, sapeva che l’unica cosa che gli
interessava era avere un fidato
seguito su cui contare per
non sporcarsi le mani.
“Narcissa, voglio ringraziarti,”
disse, quasi ignorando
Bellatrix. “Ti ho dato un compito, giorni
fa, e da quello che vedo l’hai
portato a termine
perfettamente.” Spostò lo sguardo su Bellatrix
nuovamente, soddisfatto, come un
compratore che analizzi il
suo nuovo acquisto.
Narcissa annuì, senza trovare parole
che si addicessero alla
situazione.
“Ma forse avrò bisogno di una piccola
prova…” aggiunse Lord
Voldemort, il ghigno si allargò
sul suo viso, diventando a tratti
crudele. “Bellatrix, oggi
ti ho affidato una missione assolutamente
fondamentale per la riuscita dei miei
piani. Ma ho bisogno
di avere la certezza che tu sia
all’altezza.”
“Sono la vostra umile serva, mio
Signore, tutto quello che
volete che io faccia, sarò più che onorata
di portarlo a termine,” disse
Bellatrix.
Voldemort sorrise e con un movimento
circolare della mano ci
fu un sonoro pop!, ed una figura si
materializzò, legata mani e piedi da
un Incantesimo potente.
“Riconoscete il nostro ospite?”
“No, mio Signore,” rispose Narcissa,
a voce bassa. Anche
Bellatrix scosse la testa, ma c’era
qualcosa nei suoi occhi, come se
sapesse già cosa il suo
Signore le avrebbe chiesto.
“Questo è perché è un Babbano,”
continuò Voldemort, posando
lo sguardo sull’uomo
addormentato. “Un indegno, inutile
Babbano la cui unica
colpa è stata camminare lungo il sentiero
sbagliato nel momento sbagliato.”
Narcissa distolse lo sguardo. Tanto
era il suo sdegno per i
Babbani ed i traditori del loro sangue, ma
l’omicidio e la tortura erano
qualcosa a cui non si sarebbe
mai abituata.
“Bellatrix, ho qualcosa che ti
appartiene,” sussurrò il
Signore Oscuro, attirando l’attenzione di
Narcissa nuovamente, che lo guardò
incuriosita, chiedendosi
cosa mai potesse avere ancora. Aveva
già tutto, di sua sorella: il cuore,
l’anima, la vita
intera.
Narcissa non potè fare a meno di
essere estremamente
sorpresa quando vide la mano bianca
scivolare fuori dal mantello, serrata
attorno a quelle che
sembrava…
“La mia bacchetta!” esclamò
Bellatrix. “Mio Signore, come
avete fatto…. Come… Dove…”
“Non fare domande, Bellatrix,” disse
Voldemort, porgendo
l’arma alla donna, che tese una mano
tremante e strinse il pugno attorno
al manico.
Contemporaneamente, dalla punta sprizzarono
scintille rosse, in segno di
riconoscimento.
La bacchetta di Bellatrix Lestrange
era pronta a servirla,
di nuovo.
Bellatrix sorrise e si inumidì le
labbra, stringendo il
pugno ancora di più intorno alla sua bacchetta.
“Mio Signore, è troppo presto,”
intervenne Narcissa, facendo
un passo avanti, intuendo cosa stava
per succedere. “È ancora debole e
provata, mia sorella non
può…”
“TACI.”
Era stata Bellatrix a parlare, senza
distogliere lo sguardo
dalla preda. Narcissa spalancò gli occhi e
aprì la bocca per controbattere, ma
nulla sembrò essere
abbastanza convincente per combattere le
convinzioni radicate della sorella.
“Uccidilo, Bellatrix.”
Bellatrix sollevò la bacchetta e
rimase ferma per qualche
secondo, pregustando quello che tanto le
era mancato nei suoi anni di
detenzione. Poi, come una
frusta, abbassò la bacchetta e pronunciò le
due parole mortifere ad alta voce,
chiaramente, scandendole
quasi con affetto.
“Avada Kedavra!”
Un lampo di luce verde scaturì dalla
punta della bacchetta e
l’uomo cadde a peso morto sul
pavimento della stanza; l’incantesimo
che lo teneva immobile
si sciolse con la maledizione, ed
egli cadde scomposto, ed i suoi arti
formarono angoli
innaturali. Narcissa sobbalzò e fece un passo
indietro, portando la mano davanti
alla bocca.
Ma il suo stupore ebbe vita breve
quando notò che Bellatrix
si accasciava al suolo e la bacchetta le
scivolava dalle mani. Corse verso di
lei e la sorresse poco
prima che potesse toccare completamente
il suolo. Era cosciente, ma la
maledizione aveva provato
notevolmente quella poca energia che era
in lei. Respirava affannosamente;
eppure aveva
un’espressione di totale appagamento dipinta in
volto.
Lord Voldemort guardò le due sorelle
e scosse la testa.
“Mi aspetto di più, per quando andrai
al Ministero,” disse.
“Molto di più.”
Il Signore Oscuro si smaterializzò
senza ulteriori
spiegazioni, e Narcissa sollevò lo sguardo sul
punto che aveva occupato fino a pochi
secondi prima,
stringendo le palpebre con risentimento.
“Sei una stupida,” sussurrò a
Bellatrix che, con difficoltà,
lottava per liberarsi dalla presa della
sorella e sorreggersi sulle sue
gambe. Narcissa la lasciò e
si limitò a guardarla mentre cercava, con
gli occhi chiusi, di riacquistare le
forze che la
maledizione le aveva rubato.
Bellatrix rise. “Sono mille volte più
intelligente di te, e
questo mi basta.”
Narcissa strinse le labbra e, con un
movimento veloce ed
inaspettato, si voltò e si allontanò dalla
sorella, spalancando la porta e
lasciando la stanza. Era già
a metà della scalinata quando sentì il
rumore affrettato dei passi che
provenivano dalle sue
spalle. Si fermò e si voltò, con una mano sul
corrimano di marmo.
Bellatrix la guardava dal basso, nel
mezzo dell’immenso
ingresso, la testa inclinata e un sorriso
amaro sul volto.
“Perché non mi sbatti fuori?” le
gridò contro, sprezzante.
“Perché non mi consegni al Ministero?
Perché continui a sopportare tutto
quanto? Sei una codarda,
Narcissa. Una donna senza spina
dorsale, hai perso tutto quello che i
Black ti avevano
insegnato!”
“Sei mia sorella,” disse Narcissa. “E
sarebbe molto più
facile buttarti fuori. Ma ho scelto di aiutarti.
E che tu lo creda o no, richiede
molto più coraggio che non
arrendersi senza fare almeno un
tentativo.”
Era sua sorella, sì. Bellatrix era
sua sorella, lo sarebbe
sempre stata.
Eppure, salendo le scale, con lo
sguardo infuocato di
Bellatrix che le perforava la schiena, si chiese
se Bellatrix la considerasse ancora
parte della sua
famiglia.
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