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WITH
A BLIND EYES --- CON OCCHI CIECHI
“Sono più forte di te,
Sas’kè”
“Baka”
Buio. Gli occhi erano aperti, perché questo era
l’ordine che gli aveva
dettato il cervello. Eppure intorno riuscivo solo a vedere del buio,
diverso
rispetto a quando si chiudono gli occhi per riposare; diverso a quando
non c’è
più luce.
Era un buio più denso, che non lasciava intravedere neppure
delle
ombre o piccoli puntini luminosi.
Tastai ciò che mi circondava, rimanendo stupito
nell’udire una voce
familiare.
-Vedo che ti sei svegliato, tieni- com’era triste quella
donna, non la
ricordavo così. Mi porse quello che a tatto mi
sembrò un bicchiere, bevvi e
riscontrai un sapore amaro come di medicinale.
-Sono cieco, vero?- chissà se anche lei era riuscita a
notare un live
dispiacere nella mia voce. No, non era mai stata in grado di capire gli
altri;
troppo esuberante.
Sentì i brevi singulti e il lieve umido delle coperte,
vicino alla mia
mano. Poi udì i suoi passi, mente s’allontanava
ancora piangente.
Feci scorrere la mano lungo il braccio finché non raggiunsi
il collo,
sentì una linea in rilievo, dura e dolorosa. Una ferita.
“Sappiamo
entrambi che cosa
succederà” sorrideva. Sembrava non aver notato la
serpe nere che strisciava
attorno ai suoi piedi.
“Sas’kè,
sei pronto a morire?”
annunciò schiacciando bruscamente la testa delle serpe, che
sebbene si fosse
agitata non era riuscita a fuggire.
“Naruto,
non c’è tempo per le
chiacchiere” lo rimproverò la donna che rideva,
con un ghigno di sfida in volto
e i capelli del medesimo colore dei fiori, di quel frutto del quale
portava il
nome.
In un momento mi
furono ad un
palmo, i loro volti velati di rancore e malinconia.
Erano migliorati,
maturati. La
loro forza mi stupì, non avrei mai immaginato che un giorno
quel mocciosetto
dai capelli biondi fosse stato in grado di tenermi testa in un
combattimento. E
mai avrei pensato che quella bambina noiosa fosse divenuta una donna
astuta e
portentosa.
-Coma stai oggi?- sebbene si notasse un lieve cambiamento, riconobbi
anche la sua voce.
-Hatake- sussurrai, non credevo fosse ancora vivo. Non dopo quello che
io stesso gli avevo fatto.
Il silenzio che aleggiava in quella stanza era come quel buio, che
solo io vedevo.
-Credevano fossi morto- disse, sentivo il suo sguardo addosso. Lo
credevo anche io, dopo ciò di cui l’avevo privato.
-Si può vivere anche senza- annunciò, come se
avesse intuito i miei
pensieri. Dubitavo che fosse serio, come poteva dire di riuscire a
vivere anche
senza quell’occhio che lo rendeva tanto speciale, o quel
braccio con il quale
reggeva sempre il suo libro?
Iniziò a ridere, ma era diverso, era malinconia quella che
sentivo.
Non era più il maestro Kakashi.
“Dovrete
riuscire a rubarmi
questi campanelli, per poter
superare la prova” disse, mentre sfilava dalla tasca il libro
che leggeva
solitamente.
“Come
vedete sono solo due,
difatti solo due di voi riusciranno a prenderli. Il terzo
verrà legato ad un palo,
senza poter mangiare” spiegò, mentre sfoglia le
pagine del piccolo libro.
“Iniziamo”
esordì, cominciando a
leggere.
Sembrava sicuro che
questa prova
sarebbe stata facile, sembrava felice e fiero del team 7.
-Sasuke, ti auguro una buona guarigione- disse, quando
riuscì a
placare la sua risata nervosa. Udì il suono dei passi che
s’allontanavano dalla
stanza. Segno evidente che la ferita alla gamba non era profonda come
credevo,
evidentemente ero riuscito solo a rompergli qualche osso.
Durante quella battaglia l’avevo ridotto male, il maestro.
“Non
sei degno di portare
quell’occhio Hatake”
“All’ora
prova a rubarmelo” rispose,
trsite.
“Molto
volentieri” risi.
Portai una mano al viso, sentii una piccola cicatrice sulla guancia
destra.
Così breve, ma dolorosa. Tenni la mano sopra ad essa per
lungo tempo.
Era la sua cicatrice, quella che mi aveva in parte stupito ed in parte
divertito.
Il vento
le scompigliava i
capelli rosa e quel ghigno perfido che s’ostinava a tenere,
non le si addiceva.
Si
slanciò verso di me, attesi
il suo arrivo sollevando la katana.
Il suo viso ad un
palmo dal mio,
il suo kunai che mi sfiorò la guancia, la katana che
sfiorò la sua.
Sangue misto a
lacrime, le
sporcarono la guancia sinistra. Veleno e sangue, sporcarono la mia.
Il verde smeraldo ed il
rosso
sangue, s’incontrarono. In quell’attimo
capì quanto doloroso fosse per lei quel
momento, ma non m’impietosì. Non chiesi alla mia
mano di fermarsi quando la
scaraventai al suolo, provocando un rumore d’ossa fratturate.
-La signorina Tsunade mi ha mandato a dirti di prepararti, tra poche
ore sarai dimesso- la sua voce era diversa da prima, non tremava
più. Ora
sembra più dura, come se provasse odio nei miei confronti.
Eppure mi sembrava
di ricordare che anche lei fosse innamorata di me.
-Sei Ino, vero?- dissi, tanto per confermare il mio sospetto
-Si- un sussurro, quasi temesse pronunciare quelle due lettere.
-Verrò carcerato?- chiesi, senza nessuno interesse. Infondo
avevo
fatto si che non mi restasse più nulla in cui poter sperare,
che non avessi più
nessuno con cui poter continuare a vivere.
-Probabilmente si- la voce orgogliosa, di chi è fiero per la
sentenza
appena annunciata. Capì che l’amore che forse un
tempo provava per me, il
giorno in cui partì svanì assieme al mio ricordo.
Lasciò la stanza e rimasi solo.
Intuì che fosse una giornata di sole dai raggi che sentivo
riscaldarmi
la schiena. Mi sollevai a fatica, l’utilizzo delle gambe
ancora c’era. Eppure
credevo che grazie a quel colpo l’avessi perduto.
“Sas’kè
siamo giunti alla fine”
disse ansimante, era ricoperto di sangue e ferite. Il braccio destro
ormai
immobilizzato e le gambe deboli.
“Risparmia
il fiato” gli
consiglia, sebbene non fossi ridotto meglio di lui. Io riuscivo ancora
a
camminare.
Lo vidi preparare un
rasengan,
impastando quel poco di chakra che gli era rimasto. Si
scaraventò contro di me
e in un lampo mi fu alle spalle, mi colpi alla schiene. Poi
sentì le gambe
cedere, probabilmente era riuscito a lenire la spina dorsale.
Estrassi la katana e
la rivestì
di chakra, doveva essere il colpo finale. Ero pronto a affondargliela
al petto.
Quando una sagoma
rosa si piazzò
davanti, cercando di parare il colpo. La vidi poggiarmi le mani al
viso, mentre
rideva mostrando la bocca impastata di sangue. Sentì le mani
posarsi sui miei
occhi ed il dolore lancinante di quei movimenti rapidi. Poi un tonfo,
due, tre.
L’umido sotto
di me e l’odore
acre del sangue, furono l’ultima cosa che sentì
prima di chiudere gli occhi;
divenuti già bui.
Indossai i vestiti che sentì essere sopra il letto e mi
sedetti su
quest’ultimo.
-Se sei pronto andiamo- m’alzai e la sentì posarmi
un braccio attorno
alla vita. Odiavo quel contatto, ma non potevo staccarmi da lei. Sapevo
che se
l’avessi fatto, non sarei riuscito a muovere un passo.
Non sapevo dove ci stessimo dirigendo, ma intuì
d’essere arrivato
quando sentì una voce di donna chiamarmi per nome.
Sebbene fosse abile nel mascherare i propri sentimenti, quando mi
chiamò riuscì a notare la tristezza e la rabbia
impressi nella sua voce.
-Grazie Ino, ora me ne occuperò io- sentì il suo
sguardo posarsi su di
me –prima d’incarcerarti, desidero portarti in un
luogo- disse, lasciando
trapelare tutta la malinconia che il suo cuore sopportava.
Camminammo per qualche minuto, finche non giungemmo in un luogo in cui
il vento soffiava forte e le voci che s’udivano erano solo
singhiozzii.
-Dove siamo?- odiavo fare tutte quelle domande, ma
l’impossibilità di
vedere mi obbligava a ciò.
-Nel cimitero- rispose, secca e fredda –Ascolta bene le voci
che
senti- aggiunse poi, porgendomi qualcosa in mano. Dei fiori.
Restai in ascolto, cercando d’intuire di chi fosse quel
pianto.
-Porterà il tuo nome e probabilmente adorerà
anche lui il ramen- la
voce strozzata dai singulti -Gli racconterò di te e del tuo
valore. Sarà forte
come te e fiero d’averti per padre- l’orgoglio che
portavano quelle parole era
lodevole -Sai, già adesso mi fa divenire matta.
S’agita di continuo. Ti
assomiglia molto, Naruto- rise lievemente, miscelando alle lacrime quel
suono
d’una risata fragorosa.
La riconobbi, Hinata Hyuga. Che piangeva sulla tomba del compagno,
incinta d’un bambino che sarebbe stato sicuramente come lui.
-Quel ragazzo aveva ancora molte cose per le quali vivere-
esordì
Tsunade, celando la tristezza dietro al rancore.
Mi afferrò bruscamente per un braccio e mi condusse a quella
che
doveva essere, sino a prova contraria, una tomba.
-Non la vedi, non la puoi vedere, ma qui giace l’allieva
migliore che
io abbia mai avuto!- urlava, abbandonandosi alla rabbia e alle lacrime.
Titubante m’inginocchiai e tastai alla ricerca del freddo
marmo.
Quando lo trovai vi poggiai i fiori che mi erano stati dati e mi
abbassai sino
a toccare quella superficie liscia con la fronte.
L’avevo uccisa io, così come avevo ucciso Naruto.
Li avevo uccisi allo
stesso modo, nello stesso momento.
Avevo ucciso chi possedeva tutto, per ottenere una misera vendetta che
non mi aveva dato nulla. Piuttosto m’aveva tolto quel poco
che m’era rimasto.
Ero stato l’artefice della mia condanna, lo stolto che
s’era ritrovato
solo a causa d’un suo gesto.
“Resta
Sasuke, oppure permettimi
di venire con te” credeva fermamente in tutto ciò
che diceva, era realmente
disposta a tutto pur di potermi restare accanto.
E sebbene il tempo
fosse
passato, i suoi sentimenti non erano mutati. Me ne dette prova quando
la
rividi.
“Ho sempre
avuto il rimorso di
non averti potuto seguire, ma ora sono pronta” anche quel
giorno, sebbene
stesse mentendo e nella realtà desiderasse uccidermi,
capì che non era
cambiata.
Il suo stesso
volermi uccidere
ne era un segno. Voleva essere la salvatrice, liberarmi dalla condanna
che io
stesso m’ero affibbiato.
Anche quando
posò le sue mani
sul mio viso e vidi per l’ultima volta il suo sorriso, sporco
di sangue.
Capì che era l’unica ad essermi rimasta
accanto, assieme al Baka, per tutto questo tempo.
-Perdonami- sussurrai, mentre un liquido caldo m’inumidiva le
guance.
Lacrime. Non credevo d’essere ancora capace di piangere.
-Perondatemi- implorai.
Ero stato talmente stupido da lasciare che l’ira ed il dolore
mi
rendessero schiavo dell’odio e che quest’ultimo mi
conducesse alla vendetta.
Ed ora mi ritrovavo ad essere maggiormente solo. Ero riuscito ad
autodistruggermi magistralmente.
E per di più non avevo neppure ottenuto quella vendetta che
tanto
bramavo, ero solamente riuscito a scatenare un’inutile
guerra.
L’unico sentimento in grado di mutare l’essere
umano è il dolore
profondo, ma paradossalmente è anche l’unico in
grado di salvarlo a volte
dall’oblio.
-Sasuke, dobbiamo andare- un’idea si fece strada nella mia
mente,
divenendo desiderio.
-Hokage, posso esprimere la mia ultima volontà?- domandai,
temendo un
possibile rifiuto.
-A tutti i giustiziati è concessa- la sua voce era serena,
come se
avesse intuito i miei pensieri.
-Desidero poter morire!- esclamai, sentendomi improvvisamente radioso
-Desiderio accordato- non volle sapere il motivo, sembrava
già lo
conoscesse. Si limitò ad accompagnarmi nuovamente in
ospedale e somministrarmi
un veleno che avrebbe avuto effetto in una manciata di minuti.
-Addio Sasuke- mi salutò ed intuì che stesse
sorridendo
-Grazie Hokage- ero sollevato, sereno. Felice, come quando mi allenavo
da bambino insieme ad Itachi.
“Sas’kè ti vedo
informa” quella
voce la riconobbi subito
“Sasuke, che bello
rivederti”
riconobbi anche quella, di voce.
“Baka, Sakura!” esclamai,
sorridendo. Non avevo più un motivo per essere adirato.
“Benvenuto fratellino” mi
sorrise, scompigliandomi i capelli come era solito fare quando ero un
bambino.
Li vedevo, li potevo vedere
tutti.
La cecità era scomparsa e mi
permetteva di vedere il perdono dipinto sul volto delle persone alle
quali più
tenevo e che avevo maggior mente ferito.
Avevo sempre vissuto
male la
mia vita. La mia morte volevo viverla bene.
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