Eccomi di nuovo!!
Ultimamente sono prolifera, per la scrittura è un buon momento! Manco
ho finito Azzurro che in 3 giorni ho scritto questaJ Era una storia che
avevo cominciato l’anno scorso, ma bloccata alla terza pagina… però da
tempo mi frullava tutta in mente, attendevo l’ispirazione necessaria
che, finalmente, è più che arrivata!:)) Sono strafelice di tornare a
scrivere sui miei amati figlioli, sulla mia coppia prediletta, loro…
Jun e Ken! Dio, li amo! Sono la coppia perfetta! Quanto ce li vedo!
Questa ff è, comunque, una storia un po’ anomala, per vari motivi.
Prima di tutto, è una ff soprattutto sportiva. È incentrata sul nuovo
ruolo di Ken nel Golden 23, una parte che io adoro, ma che il Taka non
ha approfondito per nulla. MI sono sempre chiesta come facesse Ken a
passare ‘tranquillamente’ da portiere ad attaccante… quindi ho voluto
approfondire la cosa, incastrando il tutto nel mio particolare universo
di Ken e Jun. In verità, il loro rapporto è più sullo sfondo, perché il
centro della storia è la scelta di Ken e il calcio… quindi davvero
pochissimo shonen ai… (giuro, scriverò presto una bella Lemon con
loro!! La voglio!!XD), più che altro ho voluto dare un ruolo a Jun in
tutto questo… idea che mi è venuta in mente proprio da una scena del
manga che cito alla fine della ff!! Quindi da tutte queste riflessioni
nasce Ecdisi. L’ecdisi è il processo di muta tramite cui i rettili
perdono lo strato di pelle a favore di uno nuovo…. Quindi, un
cambiamento.
Seconda ‘anomalia’:
sono cambiata. Me ne sono accorta già da Azzurro. Lì avevo cambiato
proprio il modo di vedere i rapporti fra i personaggi, è una ff più
matura rispetto alle mie solite, e già dagli ultimi due capitoli anche
lo stile era cambiato. E in questa ff c’è proprio un nuovo stile. Un
po’ meno descrittivo, credo, rispetto al mio solito, e più dinamico e
‘veloce’. Sono andata un po’ in paranoia per questo XD, però leggendo e
rileggendo mi sembra che comunque non manchi nulla e, forse, era
proprio il carattere sportivo della ff a chiedermi uno stile più agile.
Mah… mi auguro di non essere stata sterile e di aver passato il
concetto!
Ok, meglio non
scrivere un trattato e lasciarvi direttamente alla lettura della
storia, ma prima…
Dediche: A Ichigo, perché i
suoi figliocci sono finalmente tornati!! Grazie oneechan per aver letto
con me la ff in fase di correzione, qui, al mio fianco, davanti a
questo pc! Grazie per aver sclerato con me sui passaggi, ridendo e
squeando… sì, come due matteXD (e lo siamo!!!) La dedica è tutta per
te!!
Ringraziamenti: Alla
super beta Berlinene,
che è sempre pronta a betare (soprattutto quando si tratta di KenXD) e
per sopportare i miei scleri e paranoie!!
A Sil, che è sempre
così carina a sopportarmi, ha una grande pazienza!! (le ho mandato 20
mila versioni della ff che l’ho fatta diventare mattaXD) Grazie per
aver letto in anteprima e avermi incoraggiata!!
E ora… il ritorno dei
miei figli!!
Buona Lettura!!!
Ecdisi- Cambio Pelle-
Aveva
gli occhi spalancati, persi nell’oscurità vellutata sopra la sua testa.
Non riusciva a dormire. Non sapeva neanche che ore fossero, dato che,
da diversi giorni, la sveglia riproponeva sempre la stessa: le due e
venti. Avrebbe dovuto comprarle, quella dannate batterie, ma ogni volta
se lo scordava.
Fece
un lungo e stanco sospiro, mentre sollevava il bacino dal letto,
attento a non far troppo rumore.
Comunque,
si disse, lanciando uno sguardo laddove sapeva esserci la finestra, era
ancora notte fonda, poiché nella stanza non filtrava alcuna luce
naturale, ma soltanto quella elettrica dei lampioni adiacenti alla
casa. Il mattino era ancora lontano. Era un bene: non aveva tutta
questa gran voglia di alzarsi, né di affrontare la giornata. Molto
meglio la penombra della camera, cui i suoi occhi si erano abituati,
nonostante scorgessero soltanto ammassi d’indefinite forme, grigie e
nere.
Eppure,
distingueva chiaramente il giallo sulla parete di fronte. Che fossero i
suoi occhi a vederlo, o la sua mente a proiettarlo, lui quel colore
luminoso lo riconosceva. Più fissava quel punto, più quello s’allargava
a macchia d’olio, assumendo una fisionomia nota: la divisa della
Musashi, quella del campionato delle medie. Di fianco, era appesa anche
la sua felpa del Toho. Le avevano appese lì il primo giorno in cui
avevano messo piede in casa. Quelle divise erano colme di ricordi, un
simbolo dei loro ruoli sul campo. A quei tempi, Misugi era stato un
centrocampista offensivo, poi, negli anni, era diventato difensore, poi
libero, e ora nuovamente centrocampista, nella strategia voluta da
Mister Kira, con Misaki e Matsuyama.
Lui,
invece, era sempre stato un portiere. Certo, se ci ripensava, gli era
capitato di giocare come attaccante, sempre nel Meiwa, ma era successo
così poche volte ed era passato così tanto tempo che faticava a
ricordare. Ciò che sapeva bene, invece, era di aver sempre desiderato
essere un portiere, e lo era diventato con anni di duri allenamenti e
sacrifici. E lo era ancora, nel suo club: il Nagoya Grampus Eight.,
Insieme a quel pensiero, si lasciò sfuggire uno sbuffo nervoso, come
nervoso fu il modo in cui strinse le lenzuola. All’improvviso, però, un
tocco sulle sue mani lo distrasse, facendolo voltare. Accese la luce
premendo l’interruttore sopra la testiera, e subito vide gli occhi di
Jun saldi su di lui: vigili e per nulla assonnati.
“Ti
ho… svegliato?” Domandò Ken, non del tutto convinto.
“Ero
già sveglio.” Rispose il principe del calcio, confermando le ipotesi
del portiere. “Anzi, a dire il vero, non mi sono mai addormentato…”
“Ah…”
Stavolta, Wakashimazu lo guardò sorpreso.
Jun
abbozzò un sorriso, poi si sollevò, lasciando che le lenzuola gli
scivolassero sul corpo, scoprendo il torace nudo. Ken sembrò rapito da
quel movimento e rimase a fissare la pelle del compagno, guidandoci la
propria mano, posandola all’altezza del cuore per sentire, sotto il
proprio palmo, il battito e la pelle calda. Cuore che per anni era stato di
vetro, per il quale si era così preoccupato… ogni volta
che avvertiva quel pulsare, provava una sorta di benessere, come se il
cuore di Jun gl’infondesse forza.
Aveva
bisogno di lui, la sua presenza lo confortava.
Era
stata una buona scelta quella di acquistare quel piccolo appartamento,
dove potersi vedere e trascorrere insieme i momenti liberi. Ormai erano
adulti, e non potevano più continuare a stare l’uno a casa dell’altro,
cercando ogni possibile escamotage per ritagliarsi istanti d’intimità,
come facevano al liceo. Avevano scelto una zona tranquilla di Tokyo,
dove si trovava la sede di un prestigioso club di baseball. Essendo la
popolazione decisamente più ‘anziana’ da quelle parti, era molto
probabile che fosse il baseball e non il calcio, lo sport più seguito
del quartiere. Il calcio, infatti, si era affermato nel paese del Sol
Levante solo da pochi anni.
Con
quelle premesse, lui e Jun avevano meno possibilità di essere
riconosciuti.
Il
portiere fece scivolare la propria mano lungo il torace del principe,
lentamente, chinando il viso verso il suo collo, fuggendo quegl’ occhi
indagatori.
“Cos’hai,
Ken?”
Wakashimazu
s’irrigidì.
“…
è da ieri che sei distratto…” Doveva saperlo che il principe del calcio
era un attento osservatore, anche quando lui si sforzava di sembrare
tranquillo. Anzi, era specialmente in quei momenti che Jun lo capiva di
più.
“Anche
quando abbiamo fatto l’amore, prima… eri assente…”
Gli
occhi di Ken corsero altrove, incapaci di guardare in faccia la realtà.
Aveva lasciato fare tutto a Jun quella notte, senza coinvolgersi o
coinvolgerlo. Come una bambola senza vita, si era lasciato prendere e
nei gesti e nei sospiri del suo ragazzo aveva avvertito l’insofferenza
per quella conclusione ottenuta con troppa facilità.
No,
non era un rimprovero il suo, Jun desiderava soltanto vederci chiaro. E
Wakashimazu lo sapeva bene. Purtroppo, però, il suo corpo si mosse
indipendentemente dalla ragione e il portiere, inginocchiandosi sul
letto, si chinò sul proprio ragazzo, costringendolo a cercare appoggio
sui gomiti. Le sue labbra cominciarono a baciare la gola candida del
principe del calcio, la lingua scese sulla clavicola, avanzando piano,
mentre una mano correva dietro la sua testa e si chiudeva fra i
capelli. L’altra, invece, camminò fin sotto le lenzuola, fra le gambe
di Jun, pronta a rimediare alle mancanze di quella notte.
Misugi
boccheggiò e, per un istante, chiuse gli occhi. Quando avvertì il fiato
caldo dell’amante sul collo e le ciocche corvine solleticargli la
pelle, lo travolse l’idea che il ragazzo potesse affondare i denti
nella sua carne e succhiargli il sangue, come un avido vampiro.
Perché
aveva bisogno di lui.
C’erano
occasioni in cui avrebbe permesso a Ken ogni cosa, in cui si sarebbe
volentieri abbandonato al piacere di quel tocco, all’abilità delle sue
mani grandi. Attimi in cui il portiere, il suo personale angelo, gli
avrebbe aperto facilmente le porte del Paradiso. Ma quel momento non
era contemplato. L’espressione di Wakashimazu, quella sera,
era infatti quella di un angelo caduto, spaurito perché perso, incapace
di distinguere il bene dal
male. Ogni
suo gesto era incerto, il respiro irregolare.
Perciò
Jun fece un grande sforzo per ignorare i brividi del proprio corpo, la
reazione che quelle attenzioni gli scatenavano. “Ken…” Lo chiamò
respingendolo, passandogli poi una mano fra i capelli, scostandoglieli
dal viso, affinché non lo nascondessero. Creò la distanza, ma cercò di
non essere troppo brusco.
Ken
si stupì che Jun non gli concedesse quel contatto, ma capì. Sapeva bene
che una delle caratteristiche principali di Misugi era la capacità di
controllare le emozioni, quella freddezza che più volte,
lottando contro i limiti del suo cuore, lo aveva tenuto in piedi sul
campo.
“…
è successo qualcosa da Mister Kira?” Insistette il principe. Se non era
chiaro cosa turbasse il compagno, era però certo che c’entrasse la
riunione avuta con Kozo Kira il giorno prima.
Le
mani di Wakashimazu frenarono ancora e, stavolta, si strinsero in un
pugno. Il portiere non sollevò comunque lo sguardo, ma preferì poggiare
una guancia sulla spalla del compagno, contemplando qualcosa di
indefinito davanti a sé.
Kozo
Kira era stato scelto per allenare la nazionale in vista delle
qualificazioni alle olimpiadi. Se n’era stupito, Misugi. Non aveva mai
condiviso granchè i suoi metodi, che riteneva troppo severi e,
talvolta, violenti. Sapeva, altresì, che, a causa della sua dipendenza
dall’alcool, da anni era stato tagliato fuori dalla rosa degli
allenatori della Nazionale. Eppure, quando aveva assistito alla sua
nomina prima, e lo aveva ascoltato nelle riunioni poi, il principe del
calcio si era trovato davanti a una persona completamente diversa.
Capace e intelligente. Inoltre, l’uomo aveva voluto convocare tutti i
giocatori, singolarmente, e quando era toccato a lui, quella mattina,
sentire parlare delle tre M lo aveva caricato d’adrenalina. Sì. Mister
Kira avrebbe davvero potuto far aprire loro le porte di Madrid.
Però…
al contrario suo, Ken era turbato. E proprio dopo la riunione personale
avuta con il mister.
“Non
me ne vuoi proprio parlare?” Incalzò Misugi.
“Mi…”
un piccolo sforzo, da parte del portiere. “… mi ha chiesto di fare
l’attaccante durante le qualificazioni!” Gettò d’un fiato. “Mentre
Morisaki starà in porta.” Passò qualche secondo e, sorpreso dal
conseguente silenzio, Ken alzò lo sguardo su Jun che non aveva smesso
di fissarlo, un’ espressione indecifrabile sul viso. Eppure, in quegli
occhi, volle leggere una sorta di rimprovero per le sue ansie, simile a
un ‘e allora? Cosa c’è
di male?’. Il portiere guardò il compagno come se gli
avesse piantato un coltello nel fianco. “Ti sembra tutto così normale?”
alzò la voce, irritato e, senza lasciarlo replicare, continuò: “… a
cosa sono serviti tutti questi anni di sacrifici come portiere? Le
discussioni con mio padre, la rivalità con Genzo, il World Youth… io
sono un portiere!”
“Lo
so, Ken.” Jun, suo malgrado, sorrise. Comprensivo. “Sei un grande
portiere.”
Wakashimazu
rimase in silenzio, quelle parole placarono l’ira e il ragazzo tornò a
sedersi sul letto, passandosi stancamente una mano sulla fronte.
“Scusami, Jun… non ce l’ho con te…”
Il
principe del calcio seguì i suoi movimenti, senza staccargli gli occhi
di dosso. “… ti ha spiegato il perché?” Domandò poi.
“Non
lo so…” Sbuffò Ken, poggiandosi sui gomiti, i muscoli dell’addome che
si contraevano per lo sforzo e la tensione. Non ci stava più capendo
nulla. “Ha detto di aver sempre notato le mie qualità come attaccante,
già ai tempi del Meiwa… la mia ‘polivalenza’, così l’ha chiamata.
Sostiene che possa essere un’ottima arma segreta…” Terminò, con poca
convinzione.
“Beh
non ha tutti i torti… è il tuo modo di giocare” Disse Jun,
sovrappensiero. “Contro il Meiwa, nel campionato delle medie, facesti
davvero una splendida uscita…”
Il
portiere si ricordò all’istante dell’incontro disputato contro gli ex
compagni di squadra: era vero, in quell’occasione stavano rischiando di
perdere e lui aveva avuto l’istinto di uscire dai pali, entrare in
tackle su Sawaki e recuperare la palla. Infine, grazie a un passaggio
di Sorimachi, aveva segnato il goal della vittoria.
“Fuori dall’area di rigore, il
portiere è un giocatore come tutti!” Erano state le sue
parole, quel giorno.
“Hai
un’enorme potenza d’attacco…” Aggiunse Misugi, sdraiandosi sul torace,
le mani sotto una guancia e il viso rivolto al portiere.
“Lo
so… ma quella volta è stato diverso. L’ho fatto per scelta… ora,
invece… dovrei rinunciare al mio ruolo.” Wakashimazu fece una pausa,
poi riprese. “Inoltre, dice che grazie a me, anche a un altro giocatore
il mio ruolo da attaccante gioverà: Nitta.”
“Cos…
Nitta?” Jun spalancò gli occhi per lo stupore, sperando che dalla voce
non trapelasse il filo di nervosismo che l’aveva scosso l’udire quel
nome.
“Già…
il mister sostiene che alla squadra manchi una coppia d’attacco
decisiva, alla stregua di Taro e Tsubasa, o di Kojiro e Tsubasa…”
Era
vero, pensò Jun. Tsubasa e Kojiro non erano stati convocati perché
impegnati coi rispettivi club.
“Vuole
che faccia tandem con lui… certo, Shun è un bravo attaccante, poi da
quando si allena al dojo è migliorato ancora, però, noi due, in
attacco…”
La
luce elettrica dietro di Ken gli sembrò improvvisamente troppo intensa,
così Jun distolse lo sguardo. Da un po’ di tempo a quella parte, Nitta
aveva cominciato a frequentare il dojo della famiglia Wakashimazu,
desideroso di migliorarsi come attaccante. E pensare che il tutto era
nato da una stupida scommessa… malediva il momento in cui lui e Ken
avevano litigato.* Certo, sapeva che non c’era nulla di male, ma non
poteva negare di provare fastidio per quella situazione, e anche un po’
di gelosia, forse. Anche perché, aveva l’impressione che Nitta…
“Anche
Morisaki è migliore di me, ora?”
La
frase di Ken, però, cancellò il suo ultimo pensiero. Il portiere si
espresse con voce risentita, gli occhi che si chiudevano a fessura,
come se davanti a sé, nel vuoto della stanza, ci fosse il peggiore dei
nemici. “In questo modo… in questo modo Wakabayashi sarà sempre un
passo più avanti. Anzi, lo sarà sempre di più…capisci?”
Lo
capiva Jun, lo capiva. Il principe del calcio conosceva tutto della
rivalità fra il suo ragazzo e Genzo Wakabayashi. Il loro rapporto era
di più e di meno che una competizione. Era anche un’eterna e durissima
battaglia, un confronto perenne da cui, doveva ammetterlo, era sempre
stato Genzo ad uscire vincitore. Sapeva quanto Ken tenesse alla loro
personale sfida, soprattutto dopo gli eventi del World Youth ed era
conscio che, nonostante l’orgoglio, il suo ragazzo riconoscesse la
superiorità dell’SGGK e desiderasse con tutto il cuore raggiungere il
suo livello e, magari, superarlo. Sapeva anche, però, che se questo non
era ancora avvenuto, era a causa sua, perché Ken avrebbe potuto
diventare migliore di Genzo… se solo fosse andato a giocare in Europa.
Ken, invece, aveva rinunciato… per lui. ‘Non potrei mai separarmi da
te…’, gli aveva detto una sera, dopo che l’aveva sentito litigare al
telefono con Hyuga. Quest’ultimo, infatti, aveva più volte tentato di
convincere l’ amico a raggiungerlo in Italia, dove pareva che alcuni
club della serie A fossero interessati a lui, ma Wakashimazu aveva
sempre rifiutato. Aveva anche discusso con Mikami, che l’aveva
convocato per parlargli di un ingaggio proprio in Italia. Quel giorno
era presente anche lui e, nonostante fosse rimasto nel corridoio, aveva
sentito l’intera discussione.
“Senti
così tanto la competizione con Genzo e rifiuti di andare a giocare in
Europa?” Tatsuo Mikami era incredulo. Al mister erano ben note le
divergenze fra i due portieri, ne aveva avuto un assaggio alle
eliminatorie asiatiche per il World Youth, e proprio per questo non
riusciva a capacitarsi della risposta negativa di Wakashimazu.
“Posso
superare Wakabayashi anche rimanendo qui in Giappone, anzi, ci sarà
molto più gusto!”
Il
portiere aveva ostentato un’arroganza che non gli apparteneva e Misugi
si era rammaricato per quella maschera che il suo ragazzo era stato
costretto ad indossare.
“Non
vado da nessuna parte senza di te…” Aveva aggiunto, quando lui gli
aveva ricordato che diventare un professionista in Europa era il sogno
di ogni calciatore. E lui, Jun Misugi, non aveva potuto farci nulla,
poiché nessun club straniero poteva essere interessato a un giocatore
con una malattia cardiaca alle spalle, n’era consapevole e se n’era
fatto una ragione. Non aveva però avuto la forza di insistere ancora
con Ken: fondamentalmente non voleva che lui partisse e per questo si
sentiva un vigliacco. Tante volte gli era passato per la testa che la
sua presenza intralciasse la carriera di Wakashimazu e che, perciò, si
sarebbero dovuti lasciare. Quando ne aveva parlato con Yayoi, la
ragazza si era arrabbiata e l’aveva sgridato, accusandolo di voler fare
sempre il martire, quello che vuole trovare una soluzione a ogni costo,
con freddezza e senza pensare ai sentimenti degli altri.
“Ken
ti vuole bene quanto tu ne vuoi a lui, se prendessi una decisione del
genere non l’accetterebbe mai, ne sono certa!”
Probabilmente
Yayoi aveva ragione e, comunque, non avrebbe mai avuto il coraggio di
fare una simile scelta. Ken era troppo, troppo importante per
lui. Ed era proprio a causa di questo che si sentiva il
principale responsabile di quella situazione. Cercò tutto il coraggio
possibile per guardare ancora il compagno disteso al suo fianco. “Sei…
costretto ad accettare?”
Ken
fece un profondo respiro, scuotendo la testa. “No… il mister dice che
la decisione spetta a me. Mi ha dato tempo fino alla convocazione al J
village, quando ci riuniremo per prepararci per le amichevoli contro
Danimarca e Nigeria. In caso di risposta negativa, potrei comunque
rimanere in porta…”
Jun
si poggiò su un lato, quello rivolto al ragazzo. “E tu? Cosa vuoi fare?”
Ken
trattenne il respiro, sdraiandosi completamente sul letto. “Non lo so…”
Rispose in un sussurro, chiudendo gli occhi.
Il
principe del calcio fece per dire qualcosa ma preferì tacere e,
nell’andare a cercare le labbra di Ken con le dita della mano, pensò
che doveva fare qualcosa per lui.
*****************************
“E
questo che significa?” Domandò con grande sorpresa Wakashimazu, nel
guardare dritto, di fronte a sé. Da qualche giorno Jun si comportava in
maniera strana: vagabondava per la casa sovrappensiero, borbottando di
tanto in tanto qualcosa di incomprensibile, lo aveva visto annotare
chissà che su un quaderno, cancellare, riscrivere, parlare al telefono
senza dirgli mai con chi finché, quella mattina, non lo aveva anche
costretto ad alzarsi presto, vestirsi sportivo e uscire per andare non
si sapeva dove. Si era preoccupato, Ken, ma anche un po’ infastidito.
Era un momento difficile per lui, perché allora Jun si metteva a
giocare a fare misterioso, invece di stargli vicino?
Però,
ora che si trovava a fissare un campetto da calcio della periferia di
Tokyo, cominciava a pensare che il principe del calcio avesse
pianificato tutto.
“L’ho
affittato per questa mattina…” Disse soddisfatto Jun, mentre lanciava
uno sguardo all’orologio.
“Eh?
Perché?”
“Beh,
perché se vogliamo davvero capire se vuoi fare l’attaccante o il
portiere, credo che la soluzione migliore sia sperimentarlo sul campo,
no?” Spiegò Misugi, sorridendogli.
“È
vero, ma…”
“Capitaaaaaano!”
Un coro di voci li raggiunse, richiamando la loro attenzione. Un gruppo
di ragazzi si stava avvicinando e Ken si stupì non poco nel riconoscere
delle facce note. “Ma quelli sono…” Non era certo di ricordarsi tutti i
nomi, tuttavia era più che sicuro che i primi tre fossero proprio
Ichinose, Honma e Sanada, il tridente d’attacco della Musashi delle
elementari e medie! Con al seguito, il resto della squadra.
“Capitano,
quanto tempo!” Escamò l’ex numero undici Sanada, abbracciando Jun.
Questi sorrise a quel epiteto, con cui gli ex compagni lo chiamavano
ancora, nonostante le loro strade si fossero divise da un pezzo. Molti
di loro, infatti, dopo il liceo avevano abbandonato il calcio per
entrare nel mondo del lavoro, e se qualcuno aveva continuato a giocare,
lo faceva solo nei momenti liberi per pura passione.
Anche
Ken fu accolto con grande entusiasmo. “Sei diventato un vero campione,
Wakashimazu! Sei il miglior portiere di tutto il campionato!” Lo elogiò
un eccitatissimo Ichinose, stringendogli la mano. “I Grampus con te in
porta possono stare tranquilli!”
“Grazie,
davvero!” Rispose il portiere, un po’ imbarazzato.
“Oh,
ma vi ricordate la partita che disputammo contro il Toho?!” Intervenne
Honma, ex numero dieci. “Sei riuscito a parare tutti i nostri bolidi,
dico, tutti!”
“Sì,
è vero!” Esclamò Ichinose, rivolto al compagno. “Ti avevo servito un
assist precisissimo e tu avevi tirato una bordata micidiale, ma
Wakashimazu fece una parata memorabile!”
Honma
scoppiò a ridere. “Cavolo, è vero, Wakashimazu! Hai parato bloccando il
pallone sul mio piede! Che spettacolo, ragazzi!”
Ken
li ascoltava, piacevolmente divertito: era incredibile l’entusiasmo dei
ragazzi! Anni fa, il solo ricordo di una sconfitta del genere li
avrebbe fatti rodere, mentre ora, a distanza di anni, l’amarezza era
scomparsa lasciando solo il piacere di aver disputato una bellissima
partita. Era proprio vero che il calcio aveva la capacità di unire e
divertire.
“Scusate
il ritardo! Ci siamo persi qualcosa?”
Una
voce femminile fece voltare tutti e, stavolta, non fu soltanto Ken a
sorprendersi: di fronte a lui c’erano Taro Misaki e Yayoi Aoba.
“Manager!!”
“E
c’è anche Taro Misaki della Jubilo Iwata!” Esclamarono gli ex giocatori
della Musashi, increduli ma felici.
“Ciao
Ken, come stai?” Il ragazzo si avvicinò al portiere, dandogli una pacca
sulla spalla.
“Che
sorpresa, Misaki…” Wakashimazu lo guardò con grande stupore. Intanto,
anche Misugi si era avvicinato scambiandosi con Taro uno sguardo
d’intesa.
Il
resto dei ragazzi, intanto, si era stretto intorno a Yayoi.
“Che
sorpresa, Manager! Quindi stai sempre con Misaki?”
“Che
significa sempre? Certo che sto con lui!” Rispose un po’ imbarazzata
Yayoi. Ormai lo sapevano tutti… era dal secondo anno del liceo che lei
e Taro si frequentavano.
“Ah,
ah, ah! Sempre con calciatori famosi, eh?” Scherzò Honma.
La
ragazza arrossì vivacemente.
“Eravamo
tutti innamorati di te quando facevi la manager, ma tu non te ne sei
mai accorta!” Ridacchiò Sanada. “Avevi occhi solo per il capitano….
‘Juuuuuuuuuuuuuun’” La imitò, scimmiottandone la voce.
“Antipatico!”
Sbuffò Yayoi, dandogli un buffetto sulla testa. “Io mi prendevo cura di
tutti voi, Jun, di’ loro qualcosa!” Ma Misugi e Taro stavano già
ridendo per quel siparietto. “No, Wakashimazu-kun, anche tu! Ti facevo
più serio!!” Esclamò imbronciata la ragazza, vedendo Ken nascondere a
sua volta una risata con la mano. Yayoi fece un lungo sospiro e non
poté far altro che unirsi a quelle risa contagiose.
“Allora
quando si comincia?” Domandò a un certo punto Misaki, catturando
l’attenzione di tutti.
“Vero,
siamo qui per l’allenamento speciale di Wakashimazu, no?” Sorrise
trepidante Honma, imitato dai compagni.
“Io
farò l’arbitro!” Esclamò Yayoi, tutta contenta. “Mi sono anche
attrezzata!” Indicò il fischietto al collo e l’abbigliamento sportivo
che aveva indosso: una tuta rosa e giallo pallido che ben s’intonava al
colore dei suoi capelli e alla carnagione chiara.
Wakashimazu
guardò i ragazzi, poi Jun. Nel sentirli parlare, capì che Misugi aveva
semplicemente accennato a un ‘allenamento speciale’ in vista delle
eliminatore asiatiche, lasciando intendere che servisse al suo intuito
di portiere, senza menzionare il possibile cambio di ruolo voluto da
Kira. Solo Misaki sapeva. Ora, finalmente, gli era tutto chiaro.
“Grazie,
Jun… grazie davvero…” Sussurrò Wakashimazu, mentre si posizionavano in
campo.
“…
è tutto quello che posso fare per te, Ken…” Gli rispose Misugi,
carezzandolo con lo sguardo. “Il resto… sarai tu a deciderlo.”
Le
formazioni videro Misugi e Wakashimazu l’uno contro l’altro. Dalla
parte di Jun, Honma e Sanada, da quella di Ken Misaki e Ichinose. Negli
istanti che lo separarono dal fischio d’inizio, Ken sentì salire
l’adrenalina alla stessa maniera di un’importante partita, anzi, forse
la tensione era molto più intensa. Il portiere si ripromise
d’impegnarsi a fondo, poiché da quell’allenamento sarebbe dipeso il suo
futuro di giocatore.
Quando
Yayoi diede il via, fu proprio Wakashimazu a scattare in avanti,
agganciando il passaggio di Taro. Con una serie di salti e finte,
riuscì a evitare un paio di avversari, passando poi ai compagni. D’un
tratto, però, un difensore riuscì a rubargli la palla, facendolo
scivolare in terra, ma subito Ken balzò in piedi, deciso a recuperare.
Era davvero strano, pensava il portiere, essere impegnato come
attaccante per un’intera partita. Doveva seguire tutti i giocatori,
individuare i compagni, studiare come evitare gli avversari. Nella sua
mente balenarono i ricordi del gioco di Hyuga, di Sawada, Sorimachi,
gli attacchi di Tsubasa, l’abilità di Matsuyama e quella di… Misugi.
Misugi, che ora stava proprio di fronte a lui, la palla ai piedi, e che
doveva fermare.
Jun
gli sorrideva, mentre aspettava le sue mosse e Ken accolse la sfida,
imponendogli una marcatura serrata. Durante quella lotta non si dissero
nulla, ma si studiarono, ognuno attento ai movimenti dell’altro. Fu
però il principe ad avere la meglio, creandosi un varco che gli permise
di passare a Sanada, mentre Ken serrava i denti per quello smacco.
Misugi era comunque sbalordito dal gioco di Wakashimazu, era molto di
più di quanto si aspettasse. Il suo ragazzo aveva una grandissima
agilità, ottimi riflessi e un buon intuito, nonché grinta da vendere.
Certo, aveva bisogno di ulteriori allenamenti, però in poco tempo
avrebbe potuto... raggiungerlo. Quella bravura che lui aveva ottenuto
dopo anni di allenamento… Ken avrebbe potuto guadagnarla in breve. Già…
perché nonostante avesse sempre fatto il portiere, sembrava già… un
attaccante nato. E di questo, Misugi, era davvero felice.
Quando
tornarono a casa, il principe del calcio rispettò i silenzi di Ken. Il
portiere mangiò qualcosa al volo poi si sdraiò sul divano, chiudendo
subito gli occhi. Si capiva che non stava dormendo, ma bensì pensando.
Non coinvolse Jun nelle sue riflessioni, né gli parlò di quella
giornata, se non per ripetere le battute scambiate coi ragazzi, ma non
alluse mai al gioco in sé. Non poteva parlarne, perché nella sua testa
tutto era ancora troppo confuso.
Anche
nei giorni successivi, la Musashi si riunì più volte, anche se non
regolarmente, per l’ ‘allenamento speciale’ di Wakashimazu. Alla fine
anche i ragazzi sembrarono capire che c’era qualcosa dietro a quegli
allenamenti, ma sia Ken sia Jun apprezzarono la loro discrezione,
poiché non chiesero mai nulla.
Pian
piano il portiere si stava abituando e cominciò a parlarne con Misugi.
“Accidenti,
Honma e Sanada sono davvero pericolosi! E anche tu non scherzi! Ma tu
sei il regista, devo trovare il modo di bloccarli definitivamente, così
da avanzare senza problemi verso la porta! Dammi una mano!”
“Ma
io sono tuo rivale!” Rise Jun.
“Oh,
ma quante storie, sei qui per aiutarmi!”
Chiacchierarono
moltissimo quella sera, seduti sul pavimento, davanti a un grande
foglio con abbozzati campi da calcio e schemi di gioco. “Forse potrei…”
Ipotizzò Ken, tratteggiando con la matita su un giocatore, iniziando un
percorso. “Uh? Ma che hai da ridacchiare?” Domandò perplesso
Wakashimazu, all’indirizzo del suo ragazzo.
“Nulla…
nulla… noto solo… che stai cominciando a pensare come un attaccante…”
La
mano di Ken si fermò, non prima che la punta della matita segnasse una
deviazione dal percorso intrapreso. Il ragazzo riportò gli occhi sul
foglio e guardò gli abbozzi dei giocatori, notando di non aver
disegnato il portiere: stava davvero basando tutto su difesa e attacco.
Lasciando cadere la matita, guidò le mani sotto lo sguardo e le
immaginò protette dai guanti da portiere.
Sarebbe
stato solo per quel periodo, no? Per le eliminatorie asiatiche e le
Olimpiadi… poi avrebbe ripreso il proprio ruolo.
“Comunque,
ci pensi?”
Jun
attirò la sua attenzione. Il principe del calcio lo guardò per una
manciata di secondi, dopodiché terminò la domanda. “Potresti trovarti a
giocare in campo con Wakabayashi!”
“Eh?
Io e… Genzo?” Ken lo guardò, interrogativo. Ci mise qualche istante
prima di dare a quelle parole il senso che meritavano.
“Beh…”
si stiracchiò Jun “potrebbe essere un buon modo per andare d’accordo,
una volta tanto!”
Il
portiere non capì se Misugi stesse esprimendo quel pensiero per
smorzare la tensione o per farlo realmente riflettere su
quell’eventualità. In effetti, non ci aveva mai pensato. E, quando in
quel momento lo fece, si rese conto che la cosa non gli dispiaceva poi
così tanto. Fondamentalmente, lui e Wakabayashi miravano agli stessi
obiettivi, e una volta tanto sarebbe stato bello poter gioire di una
vittoria per i meriti di entrambi. Certo, in questo caso significava…
nella stessa partita, e non alternati in uno stesso campionato. Compagni… e non rivali.
“Perché
no? Questo però non significa che sia disposto a cedergli il ruolo di
portiere. Mh, lui in attacco e io in porta?” Scherzò Ken, facendo una
linguaccia.
“Naaaaa!
Non ce lo vedo Wakabayashi in attacco, lui sta bene solo fra i pali!”
Ammise Jun, ridendo.
Wakashimazu
gli lanciò un’occhiata torva. “Non capisco se queste sono lodi al
sottoscritto o meno!”
“Uh,
come sei permaloso! Intendo che lui non ha la tua polivalenza!” Jun gli
strizzò un occhio.
Non
convinto, Ken gli si gettò contro, gli afferrò i polsi e lo fece cadere
sulla schiena, inchiodandolo a terra. A carponi su di lui, il portiere
lo guardò contrariato. “Altro che principe… sei un ruffiano!”
Poi
sospirò, allentando la presa sul suo ragazzo. “Comunque non ci saranno
di questi ‘problemi’. Al momento sembra che Wakabayashi non parteciperà
alle olimpiadi…”
Il
suo sguardo si adombrò nuovamente. Lui, poi, non aveva ancora preso la
sua decisione.
“Ken…”
Le
mani di Jun si liberarono facilmente e andarono a cercare il viso del
portiere. Il principe del calcio si chinò, attirandolo a sè. “Qualsiasi
cosa deciderai, andrà bene…” Terminò, cercando le sue labbra per un
bacio.
Quella
notte, Ken Wakashimazu faticava a riposare. Aveva chiuso gli occhi e
cercato di assopirsi… ma una sensazione sconosciuta lo aveva
disturbato. In quel limbo, al confine fra il sonno e la veglia,
qualcosa lo agitava, suscitandogli angoscia e lievi tremori. Aveva
freddo, molto freddo e, pertanto, con un gesto istintivo, attirò a sé
le coperte, cercando tepore, inutilmente. Si trattava di qualcosa di… interno, come se il
sangue avesse cominciato a gelare. Avvertiva gli arti intorpidirsi
quando, all’improvviso, fu travolto da un’ ondata di freddo intenso che
gli partì dai piedi e salì lungo le gambe, conquistando piano piano il
suo corpo, guadagnandosi anche il torace e la gola, ormai inaridita,
insieme alle corde vocali, paralizzate dallo schock. Prima che
quell’afflusso gelido raggiungesse anche l’ultimo capello, il portiere
inarcò la schiena e boccheggiò, come se l’aria gli fosse venuta meno. Come se fosse stato avvolto in
un involucro, che gli impediva di respirare. Le gambe tese
quasi a fargli male, le dita dei piedi arricciate, cominciò a
contorcersi nel letto, scosso da bruschi spasmi, tormentato da un
formicolio crescente. Le dita di Ken corsero a grattare laddove
avvertiva maggiore fastidio, a graffiare… sentiva la pelle dura,
squamosa che, lentamente, cominciava a venire via.
Cos’era
quell’ illusione?
D’un
tratto una fitta dolorosa gli attraversò il torace e lui si aggrappò
alle lenzuola e strinse i denti, gettando il viso di lato, sfregandolo
sul cuscino. Come se
una lama stesse correndo lungo il suo corpo, aprendogli la pelle in due.
Poi un ‘tic’ simile
a quello di una cucitura che parte, a un punto che salta, seguito poi
dal secondo, dal terzo e così via, fino a provocare quello
squarcio che separa due lembi di stoffa.
Così
come accadeva in quella visione: la sua pelle, divisa in due, perdeva
il vecchio involucro, lasciando spazio a quello nuovo.
Lo
chiamavano processo di muta o, meglio, di ecdisi.
Il
portiere si svegliò, spalancando gli occhi e sollevandosi di scatto. Si
liberò delle lenzuola, non sentiva affatto freddo. Subito le sue mani
andarono a toccare il viso e poi le braccia, mentre gli occhi temettero
la discesa lungo il corpo. Con grande sforzo, però, abbassò lo sguardo
sul torace, scoprendolo intatto: non era cambiato nulla.
Wakashimazu,
il cuore ancora agitato, si voltò verso Jun e capì subito che stava
dormendo. Tirò un sospiro di sollievo, sia per non averlo svegliato,
sia per aver capito di aver semplicemente sognato.
*****
“Oggi
giocherò con te!”
L’affermazione
di Jun arrivò inaspettata. Erano sul campo da un pezzo, insieme agli
altri ragazzi, Yayoi e Taro, quando Misugi se ne uscì con questo cambio
di programma.
“Proviamo
a giocare insieme, no? Vediamo se funziona!” Esclamò Jun, in risposta
alla sorpresa del compagno.
“Va
bene!” Annuì Ken. Jun non l’aveva mai affiancato, ora, invece, l’idea
di poter giocare insieme lo elettrizzava da morire.
Lui
e Jun… insieme, sul campo.
Scattarono
nel medesimo istante, eseguendo una serie di passaggi con cui
superarono vari giocatori: una sincronia perfetta, degna della coppia
d’oro. Ken continuava a chiedersi cos’era quella sensazione che gli
cresceva nel petto, quel misto di entusiasmo e ambizione che lo
spingeva in avanti, facendogli desiderare ardentemente di arrivare in
porta, segnare e sancire la vittoria sua, di Jun e della sua ‘squadra’.
Era
questo ciò che da anni provava Kojiro? Che provava anche Jun?
Quando
Misaki fu su di lui, Wakashimazu riuscì a superarlo, effettuando poi un
retropassaggio verso Jun, sorprendendo tutti, Taro compreso. La
squadra, compattata intorno a Misugi avanzava, non lasciando spazi, e
dopo pochi minuti erano già tutti concentrati nell’area avversaria,
pericolosi. Fu un attimo. Il traversone di Misugi schizzava dritto
nella sua direzione e Ken non poté fare altro che seguire il proprio
istinto: nell’istante che ritenne più opportuno saltò, chiedendo alle
gambe il massimo slancio possibile e, con un colpo di testa, raggiunse
il pallone che andò dritto in rete.
Quando
si rese conto del goal, Ken ebbe l’impressione di non udire più alcuna
voce intorno. Vedeva i ragazzi andargli incontro, congratularsi con
lui, Jun che gli sorrideva soddisfatto e si complimentava, Yayoi che
batteva le mani. Ma non sentiva nulla.
C’erano
solamente il pulsare emozionato del suo cuore, il respiro affannato e
un sorriso trionfale che gli si allargava sulle labbra.
********************
“Ho
preso la mia decisione!”
Faceva
caldo, quella mattina. Era una di quelle giornate torride e afose, in
cui il sole picchia forte e la gola s’inaridisce troppo facilmente. Ken
aveva comunque dormito abbastanza bene, si era alzato, facendo
attenzione a non svegliare Jun, fatto una doccia rinfrescante e
preparato per uscire. Siccome non aveva un grande appetito a causa del
caldo, aveva fatto una leggera colazione, giusto per non rimanere a
digiuno. Poi, non appena aveva aperto la porta, aveva sentito una voce
alle sue spalle: Jun stava in piedi all’ingresso, gli occhi ancora un
po’ assonnati. “In bocca al lupo…” Gli aveva augurato e lui aveva
risposto con un sorriso grato. Durante il tragitto in auto aveva
pensato al possibile discorso, alle parole da usare ma, ora che si
trovava davanti a Kozo Kira, nella sua casa di Tokyo, inginocchiato di
fronte a lui, il discorso era venuto meno, gli era rimasta soltanto una
gran foga di parlare.
“Io…
ho deciso di accettare la sua proposta, mister!”
Un’espressione
di sollievo e gioia animò lo sguardo di Kira, mentre un sorriso si
allargava sulle sue labbra.
“Però…
a una condizione…” Disse Ken, abbassando lo sguardo. Lo sguardo del
mister mutò e si fece particolarmente attento.
Ken
strinse i pugni sulle ginocchia. “Mister…” Alzò nuovamente lo sguardo
su di lui. “Mi faccia fare anche
il portiere! Quello è il mio ruolo e se facessi soltanto l’attaccante
sono sicuro che mi sentirei incompleto come giocatore! Mi affido a lei
su come impiegare i due ruoli, ma, la prego, me li faccia ricoprire
entrambi! Fare il portiere è troppo importante per me, ho ancora una
sfida aperta con Wakabayashi e lei lo sa ben…”
“Wakashimazu…”
Lo interruppe l’uomo, guardandolo come se non comprendesse bene le sue
parole. “Non ho mai pensato di rinunciare a te come portiere…”
La
sorpresa di Ken fu enorme.
“Non
te l’ha detto… Misugi?”
“Eh?
Misugi?” Lo stupore del portiere dei Grampus crebbe ancora di
più.
“Beh…
quando sei uscito dal mio ufficio, l’ultima volta, ti ho visto
parecchio turbato e sconvolto, quindi ho pensato che, forse, nello
spiegarti la mia nuova strategia, non ero stato chiaro sul punto che
non volevo rinunciare a te in qualità di portiere…” Spiegò l’uomo. “Per
questo, quando il giorno dopo, nella riunione avuta con le tre M, ho
preso da parte Misugi e gli ho chiesto di spiegartelo. Ho pensato che
lui sarebbe stato in grado di aiutarti nella decisione…”
Ken
sentì un vortice di emozioni animarlo dentro. “… è stato proprio così,
mister.” Disse, perdendosi per un istante nei suoi pensieri. Jun lo
sapeva… e non gli aveva detto nulla. E, nel pensare a ciò che aveva
organizzato per lui, alle partite con gli ex compagni di squadra, alle
serate passate a pensare a possibili schemi d’attacco, comprese ogni
cosa: Jun aveva voluto renderlo consapevole delle sue potenzialità come
attaccante, per non fargli vivere quel nuovo ruolo come un’ imposizione
o una sconfitta in quanto estremo difensore ma, anche, e soprattutto,
per non farlo adagiare sul fatto che avrebbe comunque ricoperto il suo
ruolo di sempre. In quel modo aveva potuto scegliere, prendere una
chiara decisione. In cuor suo ringraziò infinitamente il proprio
ragazzo per ciò che aveva fatto.
Poi,
però, resosi conto delle parole del mister, non potè fare a meno di
domandare con un po’ di timore: “Come mai… proprio Misugi?”
Kozo
Kira lo guardò brevemente, poi afferrò la bottiglia d’acqua che stava
al suo fianco. Ne versò un po’ nel suo bicchiere e in quello di Ken,
poi prese il proprio fra le mani e ne ispezionò il contenuto. “Sarò
anche un ex alcolizzato…” Esordì con un sorriso disteso. “Ma non sono
totalmente rimbambito.”
Ken
sussultò.
“È
da anni che faccio l’allenatore di calcio e, puoi stare certo, che non
è la prima volta che mi capitano… ehm… situazioni come la vostra… non
posso capirle appieno, lo ammetto, ma ritengo che ognuno debba vivere
come meglio creda. Non sono nella posizione di giudicare nessuno. Siete
entrambi dei ragazzi in gamba…” Sorrise l’uomo, paterno. “E poi, ho
come l’impressione che Misugi acquieti un po’ il tuo fare impulsivo,
no?”
Wakashimazu
posò le mani in terra e fece un inchino davvero sentito. “Grazie
mister. Grazie.”
L’uomo
alzò il bicchiere e bevve d’un fiato. “Allora ti aspetto al J Village,
Wakashimazu!”
“Sì,
mister!”
********
Alla
fine del primo tempo, il Giappone conduceva per 2 a 1 contro la
Danimarca, grazie ai goal di Misaki e Nitta. Si era lasciato fare un
goal, ma nel complesso aveva protetto la porta egregiamente, erano
state queste le parole del mister, nello spogliatoio. Nonostante tutto,
avvertiva aria di cambiamento. Così, quando sentì Kozo Kira pronunciare
quella frase, il suo cuore cominciò a battere per l’emozione.
“È
arrivato il momento di usare l’arma segreta e la nuova strategia
provata durante gli allenamenti…”
Wakashimazu
tergiversò, prima di sfilarsi la maglia da portiere, per lui come una seconda pelle.
Tentennò un istante, mentre recuperava quell’ultimo pensiero. Una nuova pelle. E,
finalmente, capì: il sogno, la metamorfosi, il suo cambiamento. Infine,
con decisione, indossò la nuova maglia da attaccante.
Togliersi
la divisa da portiere era come essere spogliati del proprio ruolo. Non
soltanto il corpo si privava di qualcosa, ma anche la sua mente, in
quegli istanti completamente svuotata. Misugi, di fronte a lui, gli
porgeva la nuova maglia, sollecitandolo con lo sguardo. Ken allungò la
mano e l’afferrò, senza distogliere gli occhi da quelli del ragazzo,
neanche mentre l’indossava. Non appena fu pronto, si sentì carico di
energie, come se, quel giorno, non fosse ancora entrato in campo. Era
il suo nuovo ruolo, un nuovo Ken Wakashimazu.
Quella
maglia era la sua nuova pelle e lui non poteva assolutamente tradirla.
Il
secondo tempo era cominciato da pochi istanti e le tre M erano già
entrate nel vivo dell’azione, effettuando passaggi rapidi e precisi fra
loro, che li fecero avanzare pericolosamente nell’area avversaria.
All’improvviso, Misaki cambiò strategia, procedendo in dribbling ma,
non appena due difensori danesi lo raggiunsero, il numero undici passò
alla sua destra, in direzione di Misugi che agganciò al volo.
Era
noto che il principe del calcio non fosse un giocatore individualista e
che prediligesse il gioco di squadra. Quel giorno, però, Misugi pensò
che, per una volta, poteva esserlo anche lui. Avanzò in una
progressione solitaria, correndo sulla fascia finché, superata l’area
di rigore danese, decise di passare.
Sì,
i compagni dovevano assolutamente concedergli quell’azione egoistica,
perché il primo passaggio per Wakashimazu in veste di attaccante, non
poteva essere che il suo.
FINE
*capitolo
7 de “il cuore e il pallone”: Nitta scommette con Ken che, se fosse
riuscito a parare il suo tiro, si sarebbe iscritto anche lui a Karatè.
Si
ringrazia il Taka per la scena del Golden 23: è davvero Jun il primo a
effettuare il primo passaggio a Ken in veste di attaccante ed
è proprio da questa bellissima scena che è nata la ff!
Adoro
il siparietto della Musashi *__* qui trovate il trio: (da sinistra
Honma, Ichinose e Sanada)
[http://i234.photobucket.com/albums/ee55/releuse/034-035.png
Grazie
a tutteee:))))
|